9
Premessa
Perché questo argomento? Perché la Tunisia? Queste sono state le
domande che mi hanno rivolto la maggior parte delle persone con cui ho
collaborato in questi mesi. Da parte mia, ho sempre risposto di aver scelto
questo argomento per poter approfondire una situazione in costante
evoluzione: la storia ci ha presentato un’occasione importante, quella delle
rivoluzioni Maghrebine, che mi ha permesso di analizzare un gruppo
sociale in una situazione di rilancio, o forse sarebbe più opportuno parlare
di rinascita. Studiare la riorganizzazione di un sistema d’istruzione
nazionale mi ha permesso di mettere in pratica tutte le conoscenze, le
competenze e le abilità acquisite durante i quattro anni di corsi; in questo
modo ho creato il mio setting di ricerca, attingendo dall’esperienza,
un’occasione per riorganizzare tutte le informazioni trattate solo
teoricamente. In questi mesi ho scavato molto per trovare informazioni, ho
creato una rete internazionale di contatti, ho messo a confronto teorie
diverse e in alcuni casi contrapposte, ho viaggiato molto, mi sono perso e
poi ritrovato. Questa ricerca, è un lavoro che, come direbbe Foucault,
rappresenta un’esperienza viva e significativa sia per chi la scrive che, mi
auguro, per chi la legge, un modo di porsi domande piuttosto che dare
dimostrazioni di fatti o una semplice elencazione di verità. Il mio scopo
iniziale era quello di rintracciare le linee guida della nuova riforma
dell’istruzione tunisina, per poi analizzare i tratti principali della
10
riorganizzazione post-dittatoriale; man mano che sono andato avanti,
però, mi sono accorto che la situazione si presentava molto più complessa:
bisognava tener conto di più variabili che incidono pesantemente sulla
costruzione di un sistema d’istruzione, come: la situazione sociale attuale,
le prospettive politiche del Governo di transizione, il presente ed il futuro
occupazionale di un’intera popolazione. Allora ho dovuto riorganizzare
tutta la ricerca, cambiando il design della tesi che mi ero prefissato. La
ricerca, anche per questo, presenta alcuni limiti di cui sono consapevole,
poiché la vastità dei campi impedisce un approfondimento omogeneo.
Tuttavia, riconoscere questi limiti non rappresenta una mera autocritica,
ma funge, in me, da stimolo per continuare una ricerca che mette in
discussione alcune certezze riguardanti i valori ed i principi che sono alla
base della costruzione di un sistema educativo nazionale. Il momento
storico ci impone, ecco perché la scelta della Tunisia, di approfondire le
dinamiche sottostanti i grandi avvenimenti che, volenti o nolenti,
modificano la carta geopolitica del nostro territorio.
Per analogia, la realtà tunisina potrebbe farci riflettere sulla
situazione attuale dell’istruzione italiana, in un’ottica comparativa che
serve ad analizzare e valutare eventuali cambiamenti. Conoscere e
sviluppare idee circa questi avvenimenti, diventa il pretesto per
trasformare le proteste sociali in proposte sociali.
11
Introduzione
Il fuoco della rivolta
“Mohamed ha sofferto molto e ha lavorato duro. Ma quando si è dato fuoco, non lo ha
fatto per le sue bilance confiscate. Lo ha fatto per la sua dignità.” Manoubia Bouazizi, la
cui morte del figlio ha innescato la rivoluzione in Tunisia
1
.
Tutto è cominciato il 17 dicembre 2010, giorno in cui un giovane mercante
ortofrutticolo, Mohamed Bouazizi, di anni ventisette, in una piazza
pubblica davanti alla sede del Municipio si è suicidato bruciando vivo, in
opposizione alle continue vessazioni che la polizia faceva nei suoi
confronti. Tutto ciò è avvenuto in una cittadina, Sidi Bouzid, a circa
trecento chilometri da Tunisi, nella campagna sterminata del Paese.
Mohamed pensava che questa fosse l’unica strada per ribellarsi ad un
governo corrotto, fatto di soprusi e ingiustizie, uno Stato che non aveva
mai avuto nessuna considerazione delle condizioni dei suoi cittadini. Dalle
cronache si sa che Mohamed lavorava per guadagnare circa 300 dinari al
mese (circa 150 euro) che servivano per sfamare la sua famiglia e mandare
a scuola le sue due sorelle. Chi lo ha conosciuto lo descrive come un
ragazzo come tanti altri, che aveva fatto della fatica la sua compagna
quotidiana; viveva in una situazione di indigenza economica, la stessa
1
TIME, December 26, 2011/January 2, 2012, pag.41
12
indigenza che non ti permette di avere un sogno, di immaginare una via di
fuga. Dopo le continue ingerenze che la polizia corrotta ha fatto nei suoi
confronti, Mohamed ha pensato più volte alla sua morte, poiché essa non
doveva essere solitaria: ha scelto di morire in una pubblica piazza perché
quello è il luogo simbolo della cittadinanza e quello che esprime meglio la
valenza politica del suo gesto. Anche gli Imam ne avevano avvertito la
portata!
Utilizzando le parole di Smelser, questo evento può essere considerato un
fattore di precipitazione
2
che, data la congiuntura politica, sociale e
geografica, viene fatto coincidere con l’inizio della stagione della
primavera araba.
La morte di Bouazizi deve essere analizzata attentamente in una
prospettiva policentrica:
• in primo luogo, tale forma di suicidio non è assolutamente
contemplata dalla cultura musulmana e ciò permette di constatare
che questa è stata un vero e proprio manifesto di liberazione; si
sacrifica il proprio corpo, martire, per donarlo alla causa nazionale
in un rito di passaggio.
• In secondo luogo bisogna considerare che nella Tunisia moderna,
quella della democrazia controllata, o più precisamente della
dittatura di Zine El-Abdine Ben Ali, non era mai successo in ventitre
anni. In tutto questo tempo è stato l’unico evento che ha dato il via
2
Fattori di precipitazione: questi eventi possono confermare o giustificare i timori o gli odi di una
credenza generalizzata, possono ridefinire acutamente le condizioni di propensione. Cfr. Smelser,
Neil J., Il comportamento collettivo, Vallecchi, Firenze, 1968
13
alla <<mobilitazione dei partecipanti all’azione: questo punto
segna l’inizio del panico, lo scoppio delle ostilità, l’inizio
dell’agitazione per una rivoluzione
3
>>.
• Infine bisogna considerare l’impatto immaginifico della scena che
Franco Rizzi descrive così: << […] le fiamme non coprono solo il
corpo di Mohamed, ma si propagano dappertutto dando vita a
una rivolta spontanea, immediata e inarrestabile in tutto il
territorio tunisino. Dopo Sidi Bouzid c’è la sollevazione popolare a
Kasserine, poi a Thala, ancora a Menzel Bouzaine, infine a Tunisi;
la rivoluzione tunisina supera i suoi stessi confini, raggiungendo
l’Algeria, Yemen, Giordania, Mauritania, fino a piazza Tahrir al
Cairo, Libia e finanche il piccolo Stato del Bahrein>>
4
.
A soli ventritre giorni dalla morte di Bouazizi, precisamente il giorno 8
gennaio 2011, scoppia il weekend di sangue, giorno in cui è fissata la
nascita della rivoluzione dei gelsomini in Tunisia; in quei giorni il governo
di Ben Ali perde la testa e comincia a sparare sulla popolazione
provocando la morte di decine di manifestanti (28 secondo l’opposizione,
14 secondo fonti ufficiali
5
) e molti feriti, tutti tra i diciassette e i venti anni,
in due città, Tala e Kasserine. Solo qualche giorno dopo, il 14 gennaio 2011,
il presidente tunisino in carica scappa verso l’Arabia Saudita con la
3
Smelser, Neil J., Il comportamento collettivo, Vallecchi, Firenze, 1968, pag. 82
4
Rizzi, Franco, Mediterraneo in rivolta, Castelvecchi, Roma, 2011, pag 23
5
Corriere.it, 8 gennaio 2011, http://www.corriere.it/esteri/11_gennaio_08/algeria-tunisia-rivolta-
carovita_2074a7f6-1b57-11e0-8e74-00144f02aabc.shtml
14
famiglia, portando con sé ingenti somme di danaro, mentre un governo di
transizione viene incaricato di traghettare il Paese verso le prime elezioni
libere.
È utile e propedeutico alla ricerca poter definire in modo accurato i fatti
raccontanti da una prospettiva sociologica al fine di conoscere le
dinamiche sociali che spesso sono alla base di un’ideologia dominante.
Questa serie di eventi possono essere definiti come esiti di un
comportamento collettivo, una mobilitazione sulla base di una credenza
che ridefinisce l’azione sociale
6
. È utile al nostro intento ciò che dice in
merito Blumer: <<la caratteristica che definisce il comportamento
collettivo elementare è l’irrequietezza che è comunicata da un processo di
reazione circolare “in cui la risposta di un individuo riproduce lo stimolo
che è venuto da un altro individuo e, riflettendosi di ritorno in questo
individuo, rinforza lo stimolo”
7
>>. Il comportamento collettivo è un modo
compresso di affrontare le problematiche sociali create dalla tensione; esso
condensa molte componenti dell’azione in una singola credenza da cui ci si
aspetta che derivino specifiche soluzioni operative. In definitiva possiamo
affermare che un comportamento collettivo si origina proprio quando una
popolazione di un determinato territorio si mobilita per l’azione sulla base
di una tale credenza. Nella protesta popolare si mescolano diverse
condizioni di vita portando con sé le relative motivazioni che spingono alla
6
Smelser, Neil J., Il comportamento collettivo, Vallecchi, Firenze, 1968, pag. 70
7
Ibidem, pag. 70
15
lotta comune, alle esplosioni di violenza, che come nel nostro caso sono la
reificazione di richieste di evoluzione dello stato sociale; per spiegare
meglio questo concetto, mi affido ancora una volta alle parole di Smelser:
l’interazione fra l’insoddisfazione e la chiusura delle vie di protesta genera una situazione
che facilmente dà origine alla violenza. […] La tensione nasce dalla combinazione di uno
scoppio di un momento di panico, maniacale (craze), unito alla repressione. Il panico è
creato dall’esplosione di ostilità
8
.
Questo è esattamente ciò che è successo nei primi giorni del mese di
gennaio 2011 in Tunisia: mentre la popolazione chiedeva la fine di un’era
in cui i partiti e le istituzioni hanno pensato essenzialmente alla loro
riproduzione, in piazza c’erano studenti, professionisti, uomini e donne di
qualsiasi età e appartenenza sociale che gridavano la loro indignazione. Lo
slogan più conosciuto è stato “ dignité, liberté, démocratie”, un’intera
popolazione che gridava la propria volontà di investire in democrazia come
base per la ricostruzione; questa rivoluzione però parte da lontano, come
se il popolo avesse segnato dentro ogni singolo ricordo di ingiustizia che ha
caratterizzato gran parte della vita di ogni cittadino tunisino.
8
Smelser, Neil J., Il comportamento collettivo, Vallecchi, Firenze, 1968, pag. 406
17
Cenni storici
Il 20 marzo del 1956 la Tunisia diventa indipendente e alle elezioni del
successivo 8 aprile Habib Bouguiba diventa Primo ministro con un voto
plebiscitario, il 95%; circa un anno dopo viene proclamata la Repubblica,
viene eletto il Consiglio Costituzionale che assegna a Bourguiba la carica di
Presidente della Repubblica, mentre nel 1959, il 1° giugno, viene adottata
la prima Costituzione repubblicana che conferma la natura laica dello
Stato. La nuova Repubblica tunisina vive circa trenta anni tra sviluppo
sociale ed economico che la metteranno tra i Paesi più esposti,
economicamente e politicamente, sia con la Lega araba
9
che con l’Europa:
ben presto la Tunisia diventerà la principale alleata nord africana di alcuni
Paesi come l’Italia e la Francia che instaureranno una solida relationship
economica. Nel 1981 viene fondato il nuovo partito ti tendenza islamista,
Ennadha, ossia Movimento della Rinascita, con il suo leader carismatico
Rachid Gannnouchi che alle prime elezioni ottiene circa il 14.5% dei voti.
Nel dicembre del 1983 l’annuncio dell’aumento del prezzo del pane e dei
9
Geograficamente i popoli del mondo arabo abitano in una regione caratterizzata da un' immensa
importanza strategica internazionale e beneficia di fattori unificatori quali: omogeneità culturale,
linguistica religiosa, e storica. La Lega degli Stati Arabi è stata formalmente dichiarata quando i
paesi arabi indipendenti firmarono lo statuto il 22 marzo 1945, cioè sei mesi prima della nascita
delle Nazioni Unite. Lo Statuto, sebbene inizialmente formato soltanto da 7 nazioni asserisce
esplicitamente che la Lega venne costituita per il bene di tutti i paesi per assicurare migliori
condizioni, garantire il loro futuro e realizzare le loro aspirazioni. Lo Statuto è composto da 20
articoli che definiscono gli obbiettivi che la Lega ed i suoi affiliati dovrebbero raggiungere, la
forma dei rapporti fra gli stati membri ed altri argomenti importanti. Esso è stato lo strumento che
ha permesso la creazione di stretti legami e forme di cooperazione fra gli stati membri che avevano
comuni obbiettivi. Lo Statuto può essere modificato solo con il consenso unanime dei due terzi
degli stati membri con l'obbiettivo di rendere i rapporti fra loro piø stretti e stabili creando una
Corte araba di giustizia e regolando i rapporti fra la Lega e le organizzazioni internazionali che
hanno come obbiettivo la tutela della pace e della sicurezza. Fonte: www.legaaraba.org
18
cerali viene accolto con una sommossa popolare, la guerra del pane, che
porta a violente manifestazioni spontanee; le repressioni da parte del
governo furono dure, fecero circa un centinaio di morti. Il 6 gennaio
successivo il governo fu costretto ad annunciare in televisione che gli
aumenti erano stati annullati. L’anno più complicato per la storia di questo
Paese fu però il 1987: il 7 novembre il generale El Abidine Ben Ali, primo
ministro dal 1° ottobre, depone il presidente Bourguiba con un colpo di
stato che fu definito medico: infatti il vecchio Presidente venne deposto
ufficialmente per senilità, un modo gentile di chiamare il morbo di
Alzheimer. Nell’anno 1989 Ben Ali diviene Presidente con la quasi totalità
dei seggi in parlamento; l’unico partito che riuscì a contenere lo strapotere
del partito del nuovo presidente fu Ennadha; non a caso due anni dopo i
rappresentanti di Ennadha, con a capo Gannouchi, furono accusati di
complotto islamista e furono tutti condannati a venti anni di carcere.
Gannouchi, invece, fu condannato all’ergastolo. La deposizione del vecchio
presidente e la salita al potere di Ben Ali è stato un passaggio indolore in
cui molto ha contato l’appoggio del governo italiano che ha collaborato al
passaggio di consegne con la propria intelligence, il Sismi, che era guidata
dall’ammiraglio Fulvio Martini che farà conoscere il ruolo apportato
dall’Italia solo nel 1999 davanti alla Commissione stragi del Parlamento
italiano. Infatti, l’ammiraglio dice:
negli anni 1985-1987 organizzammo una specie di colpo di Stato in Tunisia, mettendo il
Presidente Ben Ali a capo dello Stato, sostituendo Bourguiba che voleva fuggire. […]Il
nostro Paese mise in atto un golpe mirato specificatamente a estromettere dal potere un
19
leader considerato malato e pericoloso per la stabilità dell’intera area maghrebina, e a
porre al comando un Presidente gradito all’Italia
10
.
Mentre in Tunisia avveniva il colpo di stato “indolore”, in Italia il governo
era presieduto dall’allora Presidente del Consiglio Giovanni Goria, il
Ministro degli Esteri era Giulio Andreotti e il leader del PSI era Bettino
Craxi il quale, non a caso, dopo essere stato incriminato nella famosa
inchiesta Tangentopoli, decise di fuggire proprio in Tunisia, dove il
Presidente Ben Ali offrì lui rifugio politico ad Hammamet fino alla sua
morte. Da quel momento il nuovo Presidente tunisino avrebbe costruito il
proprio impero politico ed economico per ventitre anni, spesso anche con
l’appoggio dell’Unione Europea che proprio nel 2004 chiude un accordo in
cui si stipula la prima associazione euro-mediterranea, assieme al
Marocco, con cui si stabilisce la politica di vicinato del Mediterraneo. Nel
frattempo i soldi della politica di corruzione di Ben Ali vengono investiti
soprattutto in Francia, Italia e Svizzera; dall’altre parte ci sono stati gli
accordi politici che hanno portato, per esempio, l’Italia a pagare circa 150
miliardi di euro al governo tunisino nel 2006 al fine di far fronte ai flussi
migratori verso le nostre coste. L’ultimo accordo risale al 2009, quando
l’allora Ministro degli Interni, Roberto Maroni, insieme al Presidente del
Consiglio, Silvio Berlusconi, hanno stipulato un nuovo accordo bilaterale
Italia-Tunisia in cui la prima si impegnava a pagare 50 milioni di euro per
risolvere il problema degli sbarchi sulle coste siciliane. Intanto la storia
10
Rizzi, Franco, Mediterraneo in rivolta, Castelvecchi, Roma, 2011, pag. 32
20
dice che il 14 gennaio 2011, il Presidente tunisino termina anticipatamente
il proprio mandato dopo aver abbandonato la propria Nazione. La data che
interessa di più il popolo tunisino sicuramente è il 26 ottobre 2011, giorno
in cui ci sono state le prime elezioni libere dopo più di due decenni di
regime. I dati più significativi sono quelli relativi all’imponente affluenza al
voto: secondo gli ultimi dati, circa il 90% degli aventi diritto registrati si
sono presentati alle urne per scegliere i 217 membri dell’Assemblea
Costituente, che nominerà un governo ad interim, lavorerà alla nuova
Costituzione e preparerà il terreno per le elezioni parlamentari e
presidenziali. Alle elezioni si sono presentati un centinaio di partiti, circa
mille liste e quasi undici mila candidati, tra cui molti blogger che
precedentemente avevano raccontato la rivoluzione in diretta. I risultati
delle elezioni, ormai noti, ci dicono che: il partito vincitore è stato quello di
ispirazione islamista, Ennadha, col 42% dei voti e la carica di Presidente è
andata a Gannouchi, dopo aver passato venti tre anni tra il carcere e
l’esilio. Anche dopo le elezioni però non sono mancati, e non mancano
tutt’ora, gli scontri tra i salafisti, gli estremisti islamici, e la parte laica della
popolazione.
Per dare l’idea dei timori che la popolazione laica vive in questo
periodo, voglio riportare in breve un episodio avvenuto cinque giorni
prima delle elezioni: circa cinquemila fondamentalisti islamici hanno
attaccato la sede di NesmaTv, poiché la sera prima aveva mandato in onda
il cartone animato Persepolis, nel quale si vede in una scena la bambina
21
protagonista che parla con Dio, che è visto in volto. Certo, la strada verso la
democrazia è ancora lunga.
23
La primavera araba fa paura
La rivolta che è partita da Sidi Bouzid e che ha colpito tutta la Tunisia non
è stata presa come un atto di liberazione dagli Stati Uniti, dall’ UE e dalla
Lega Araba e, più in generale, non sembra aver risvegliato gli intenti
democratici di tutti quei Paesi che se ne fanno portabandiera. Di fatto, la
liberazione tunisina è stata vista come un nuovo problema geopolitico da
risolvere: per esempio, solo dopo la fuga di Ben Ali il presidente Barack
Obama ha fatto una dichiarazione in cui lodava la protesta dei democratici
tunisini e condannava, con fermezza, l’eccidio di tanti civili nelle piazze
della capitale.
Nonostante la loro retorica a favore della democrazia, gli Stati Uniti hanno
tradizionalmente appoggiato i regimi autocratici del mondo arabo in cambio della loro
acquiescenza politica: hanno boicottato Hamas quando ha vinto le elezioni palestinesi del
2006 e hanno lasciato che il regime egiziano reprimesse ogni forma di opposizione
interna nel Paese, continuando a fornire al Cairo aiuti per un valore di 1.8 miliardi di
dollari l’anno – una cifra che fa dell’Egitto il secondo beneficiario di aiuti americani nella
regione dopo Israele
11
.
Al di là del mancato appoggio degli Stati Uniti e all’inerzia dell’ Unione
Europea, sicuramente gli Stati più interessati al fallimento della
rivoluzione tunisina sono stati i Paesi arabi, il motivo era chiaro: la
possibilità che la rivolta democratica si fosse potuta estendere ad altri Stati
era chiara, poiché alla base delle rivoluzioni non ci sono state
11
Rizzi, Franco, Mediterraneo in rivolta, Castelvecchi, Roma, 2011, pag. 49
24
rivendicazioni locali, ma malesseri che riguardavano la dignità civile.
Questi valori
12
hanno spinto, subito dopo la Tunisia, piazza Tahrir alla
sommossa, non contro la scommessa dello sviluppo economico già persa,
ma contro tutti i regimi oppressivi che soffocavano lo sviluppo sociale dei
propri popoli, piegandoli con atti repressivi e intolleranti, spingendo
l’ingiustizia a livelli incontrollabili; situazioni in cui nessuno può vivere
civilmente. Per sopperire alla mancanza di risposte da dare alle
popolazioni, i Paesi della Lega Araba hanno indetto un vertice economico
in fretta e furia, che si è svolto a Sharm el-Sheikh il 19 gennaio 2011; i Paesi
avevano deciso di dare una soluzione economica alle effervesceze
nordafricane credendo di poter smontare la tesi della rivoluzione politica:
il comunicato conclusivo di Sharm el-Sheikh non citava nemmeno la Tunisia, sebbene gli
eventi tunisini dominassero l’atmosfera del vertice. Tuttavia, se in futuro i regimi arabi
non coglieranno il messaggio lanciato dal movimento popolare sorto in quel Paese, e non
avvieranno riforme politiche orientate verso il pluralismo e la partecipazione
democratica, il “contagio” tunisino sarà inevitabile, come già oggi accade
13
.
La “rivoluzione dei gelsomini”, così è stata chiamata la lotta tunisina, stava
cambiando i propri connotati: nel giro di poche settimane si stava
trasformando in un movimento trans-nazionale, si stava evolvendo in una
mega-rivoluzione che non era mai avvenuta prima. Tunisia, Egitto, Libia,
Yemen, Siria, Bahrein sono caduti come pezzi di un domino mondiale:
certo le motivazioni potevano essere diverse da Paese a Paese, ma
12
<<I conflitti di valori sono spesso caratteristiche piø o meno durature delle fratture etniche,
comunali, politiche ecc. Quando la frattura è profonda nella società esiste uno stato costantedi
seria tensione>>. Smelser, Neil J., Il comportamento collettivo, Vallecchi, Firenze, 1968, pag. 433
13
Rizzi, Franco, Mediterraneo in rivolta, Castelvecchi, Roma, 2011, pag. 50