Introduzione
Il presente lavoro ha ad oggetto la trattazione, in ambito bancario,
dell‟adeguatezza patrimoniale e della gestione del rischio di credito con
riferimento agli accordi sui requisiti patrimoniali. In particolare, il primo capitolo
è stato, interamente, dedicato al fattore capitale; quest‟ultimo è considerato uno
degli elementi più importanti da inserire nel contesto del complessivo sistema di
gestione dell‟attività bancaria e delle sue strategie di crescita; inoltre, se gestito
adeguatamente, tende a garantire la solidità di un intermediario bancario.
L‟analisi del fattore capitale viene svolta partendo dalle teorie delineate sul ruolo
del capitale, sulla funzione dello stesso, sulle molteplici definizioni che al capitale
vengono assegnate, sulla regolamentazione ed, infine, sulla determinazione del
capitale “ideale”.
Il secondo capitolo tratta, invece, l‟adeguatezza patrimoniale con riferimento agli
accordi di regolamentazione del capitale di rischio; sono stati inseriti, infatti,
entrambi gli accordi di Basilea, e di ognuno, i rispettivi limiti. In particolare è
stato evidenziato l‟effetto pro ciclico come uno dei maggiore limiti del secondo
accordo.
Nel terzo capitolo, si è concentrata l‟attenzione sul rischio di credito, sotto il
punto di vista della sua valutazione attraverso i rating; questi sono considerati
elementi indispensabili del mercato finanziario; infatti, l‟accordo di Basilea 2 che
denomina le agenzie di rating “External Credit Assesment Institution” (ECAI), ne
attribuisce il controllo e la certificazione all‟autorità di vigilanza di ciascun Paese.
Le agenzie di rating una volta riconosciute e certificate possono svolgere la loro
attività di valutazione all‟interno del Paese che ne ha fornito la certificazione;
oltre a fornire una cronistoria delle maggiori agenzie mondiali di rating (Moody‟s,
Standard & Poor‟s e Fitchratings), sono stati, poi, evidenziati i metodi per il
calcolo dei requisiti patrimoniali, i quali si basano su due metodologie: il nuovo
metodo standard e i metodi basati sui sistemi di rating interni alle banche,
l‟approccio Internal Ratings Based approach (IRB); quest‟ultimi a loro volta sono
divisi in una versione base (based), vale a dire una versione semplificata nel quale
i fattori di rischio stimati all‟interno dell‟istituto bancario sono limitati, ed in una
versione avanzata (advanced), nella quale le banche hanno maggiore libertà per la
1
stima dei diversi fattori di rischio; si sono evidenziate le differenze che si
riscontrano tra i metodi utilizzati dalle suddette agenzie e i metodi interni alle
singole istituzioni bancarie. Sono stati, infine, presi in considerazione i modelli
per l‟analisi del rischio di credito, partendo dal modello di Merton, sviluppato
sulla base del modello di Black e Scholes, la metodologia del CreditMetrics che è
modello proposto dalla banca d‟affari statunitense J.P. Morgan nel 1997, il quale
si propone di analizzare il rischio di credito e di migrazione attraverso le matrici
di transizione proposte dalle agenzie di rating.
Nel quarto capitolo, infine, è stato analizzato il sistema bancario alla luce della
crisi finanziaria globale partendo dalla descrizione dell‟evoluzione della crisi;
successivamente è stata analizzata la teoria dell‟intermediazione finanziaria ed, in
particolare, le sue valutazione teoriche che, con la suddetta crisi, generata dai
mutui subprime, ha presentato caratteristiche di attualità. I temi della teoria
dell‟intermediazione finanziaria rivisti sono stati, principalmente, quello relativo
alla valutazione del rischio di insolvenza, quello degli intermediari creditizi e dei
mercati mobiliari, quello dell‟equilibrio finanziario e della liquidità bancaria,
quello dell‟innovazione finanziaria e dei controlli pubblici ed, infine, quello della
politica di vigilanza e monetaria. Infine, sono state esaminate le decisioni e i
cambiamenti per il futuro, nonché gli interventi che le autorità mondiali stanno
effettuando per arginare la crisi finanziaria.
2
Capitolo 1
IL FATTORE CAPITALE
1.1 Premessa
Il settore bancario rappresenta il settore economico più regolamentato e tale
peculiarità è da mettere in relazione con la specificità delle funzioni svolte
nell‟ambito dell‟intero sistema economico. Il sistema finanziario, e in particolare
il sistema bancario, svolge tra le varie funzioni quella di trasferimento delle
risorse finanziarie tra unità finali in surplus e unità finali in deficit e tale funzione,
meglio conosciuta come funzione creditizia, rappresenta l‟attività tipica esercitata
dalle banche
1
.
Nello svolgimento della funzione creditizia le banche svolgono una duplice
funzione, quella di raccolta del risparmio tra il pubblico, con la quale l‟ente
creditizio assume la posizione di debitore nei confronti dei clienti o di altri enti
creditizi depositanti o finanziatori, e quella di impiego dei fondi, con la quale
l‟ente creditizio assume la posizione di creditore nei confronti dei clienti affidati o
di altri enti creditizi
2
.
L‟attività bancaria tocca profili molto delicati che riguardano le scelte di ogni
unità economica: sono profili caratterizzati da una forte componente fiduciaria. Vi
è, infatti, un interesse generale affinché il risparmiatore rafforzi la propria fiducia
nei confronti dei prenditori dei fondi, vale a dire nei confronti delle banche. È
1
Le principali funzioni svolte dalle banche sono:
-la funzione monetaria, la quale si basa sull‟accettazione dei debiti bancari da parte del pubblico
come mezzo di pagamento;
-la funzione di trasferimento delle risorse finanziarie tra unità finali in surplus e in deficit, con la
quale la banca si inserisce nel circuito creditizio assumendo posizioni di negoziazione in proprio;
attua la trasformazione delle scadenze, assumendo posizioni attive/passive che implicano la
trasformazione delle scadenze dal breve al medio/lungo termine; svolge funzione di selezione ex
ante e di controllo ex post, discriminando la domanda di finanziamenti accettabili e non e
sorvegliando i soggetti finanziari affinché non tengano comportamenti di moral hazard;
-la funzione di trasformazione e gestione del rischio, dove per trasformazione si fa riferimento alla
diversificazione delle posizioni attive e passive e, invece, per gestione del rischio si fa riferimento
alo svolgimento di attività, incentrate su contratti a termini e derivati, che hanno scopo specifico il
trasferimento dei rischi tra operatori economici e finanziari. Cfr. FORESTIERI G., MOTTURA P.,
Il sistema finanziario, Egea, Milano, 2005, pagg. 282, 283.
2
Nell‟ambito della struttura patrimoniale delle banche, la raccolta del risparmio tra il pubblico,
che rappresenta il capitale di terzi, rientra, insieme al capitale proprio, nella sezione delle passività
e patrimonio netto dello Stato Patrimoniale, mentre le varie forme di impiego, insieme ad altri
aggregati, rientrano nella sezione delle attività dello Stato Patrimoniale.
3
stato, quindi, opportuno fissare delle regole cui devono sottostare i soggetti che
offrono strumenti di investimento ai risparmiatori in modo tale da rafforzare
l‟affidabilità dei debitori (prenditori di fondi) ed accrescere la capacità di
valutazione da parte dei creditori (datori di fondi)
3
.
Una vasta tradizione di economisti, che risale ad Adam Smith, riconosce la
diversità delle imprese bancarie rispetto alle altre imprese in ragione della diversa
natura dell‟attività svolta e a motivo di ciò giustifica un certo livello di
regolamentazione e supervisione
4
. La giustificazione economica di una
regolamentazione è, tradizionalmente, associata ai fallimenti del mercato, i quali,
a loro volta, sono da ricondurre all‟esistenza di asimmetrie informative, ai
problemi di agenzie, di esternalità e ai beni pubblici ed, inoltre, nel settore
bancario, anche al rischio di crisi sistemiche e all‟inabilità dei depositanti a
monitorare l‟attività bancaria. La stabilità degli intermediari bancari e del sistema
finanziario complessivo assume, infatti, connotati di bene pubblico.
A tale riguardo verranno individuati i contributi dottrinali più significativi per
comprendere i differenti drivers sottesi alla regolamentazione del capitale di
rischio degli intermediari bancari, soprattutto in un momento come quello attuale,
in cui la crisi economico-finanziaria ha mostrato in tutta evidenza l‟attualità della
riflessione economica sul tema.
1.2 Il capitale proprio
Il capitale proprio di una banca riveste un ruolo che presenta solo alcune analogie
con quello di una qualsiasi impresa industriale. Osservando le finalità a cui
assolve il patrimonio di una banca, è possibile individuare alcuni tratti comuni alla
generalità delle imprese, altri condivisi con le istituzioni finanziarie non-bancarie
e, da ultimo, alcuni aspetti esclusivi dei soggetti abilitati all‟esercizio dell‟attività
bancaria. In particolare, analogamente ad ogni altra impresa, la risorsa capitale
3
Esiste il principio fondamentale della tutela del risparmiatore che è di grande rilevanza sociale ed
economica e costituisce uno dei fondamenti della regolamentazione dei sistemi finanziari; in più,
vi è un ulteriore considerazione che l‟attività finanziaria è profondamente influenzata dal
contenuto fiduciario che caratterizza buona parte dei rapporto contrattuali. Questa condizione è più
delicata nei rapporti che coinvolgono soggetti che si potrebbero definire “risparmiatori non
consapevoli”. Certamente si rafforza la valenza del principio generale della tutela. Cfr.
FORESTIERI G., MOTTURA P., Il Sistema finanziario, Egea, Milano, 2005, pag. 81.
4
Cfr. SMITH A., La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, Roma, 2008, pagg. 260 e segg.
4
deve essere adeguatamente remunerata in modo tale da garantire un‟ottimale
processo di creazione del valore per gli stakeholders; relativamente, invece, ad
una istituzione finanziaria, in cui la gestione di una pluralità di rischi costituisce
l‟attività caratteristica d‟impresa, l‟attività di capital management si intreccia con
quella di risk management, così da poter garantire una corretta allocazione del
capitale e la massimizzazione della redditività corretta per il rischio; per quanto
riguarda, infine, il settore bancario, sottoposto a norme di vigilanza prudenziale, la
gestione del patrimonio deve essere conciliata con vincoli esterni, riconducibili
principalmente ai coefficienti patrimoniali minimi, imposti dalle autorità di
vigilanza per attenuare i rischi sistemici che possono derivare dall‟eventuale
instabilità di un singolo intermediario.
Secondo i postulati teorici della finanza aziendale, infatti, il ruolo del capitale è
innanzitutto quello di fonte di finanziamento dell‟attività d‟impresa. In un‟impresa
non finanziaria la gestione del capitale verte essenzialmente sulla scelta della
composizione ideale tra capitale di rischio e capitale di debito, tale da minimizzare
il costo medio ponderato del capitale e massimizzare la remunerazione offerta agli
azionisti. Dato che gli interessi pagati sul capitale di debito offrono un beneficio
fiscale mentre i dividendi corrisposti agli azionisti sono interamente tassati, le
imprese industriali tendono ad accrescere il leverage
5
fino al punto in cui ciò
risulta economicamente efficiente. Al crescere del rapporto debt/equity, infatti,
l‟impresa viene percepita dai finanziatori come maggiormente rischiosa e,
conseguentemente, si viene a creare una soglia oltre la quale l‟aumento della leva
finanziaria determina un aumento anziché una diminuzione del funding cost.
Per le banche e le istituzioni finanziarie tale assioma perde, in parte, la propria
validità, in quanto la peculiare attività svolta sospinge il leverage verso livelli
marcatamente più elevati, facendo venir meno il ruolo del capitale quale primaria
fonte di finanziamento. Inoltre la remunerazione richiesta dal mercato sul capitale
di debito è meno dipendente da tale rapporto e più dal grado di solidità percepito,
5
Rappresenta, indirettamente, la proporzione esistente tra risorse proprie e risorse di terzi
utilizzate per finanziarie gli impieghi, proporzione che esprime la partecipazione del capitale
proprio ai rischi d‟impresa. Il denominatore è costituito dal capitale proprio, espresso dal
patrimonio netto. Cfr. PAVARANI E., L’equilibrio Finanziario. Criteri e Metodologie nella
logica di Basilea 2, Mc Graw Hill, Milano, 2008, pag. 146.
5
che dipende a propria volta da numerosi fattori, come ad esempio la tipologia di
attività, la qualità del management, la strategia e la posizione di mercato.
La mancanza di una relazione stringente fra leverage e costo della raccolta fa sì
che l‟equilibrio fra capitale di debito e capitale proprio dipenda solo in parte dalle
logiche postulate dalla teoria della finanza aziendale per la generalità delle
imprese.
Per comprendere appieno la natura e il ruolo del patrimonio in una banca, bisogna
considerare l‟importanza del fattore reputazionale, in quanto le banche, per la
funzione economica assunta all‟interno del circuito finanziario, sono esposte al
rischio delle “corse allo sportello”
6
qualora venga meno il rapporto fiduciario con
i depositanti. In quest‟ottica risulta rinforzata la natura di garanzia del capitale,
che travalica il ruolo assunto in un‟impresa industriale. Se in una qualsiasi
impresa il capitale esercita, comunque, un ruolo di tutela dei creditori, in quanto
naturale differenza tra il valore dell‟attivo e il valore del passivo, in un‟istituzione
finanziaria, laddove la percezione della solidità riveste un ruolo fondamentale per
la continuità del rapporto fiduciario con la clientela, il ruolo di garanzia del
capitale è ancor più evidente, nella misura in cui consente di assorbire le perdite
inattese garantendo la solidità della banca anche agli occhi dei depositanti-
creditori.
Tale aspetto è stato ulteriormente accentuato dall‟evoluzione della normativa
bancaria che sancisce i meccanismi della vigilanza prudenziale. Gli accordi
formulati in ambito internazionale dal Comitato di Basilea per la vigilanza
bancaria, sia nella formulazione originaria del 1988 che nella successiva versione
nota come Basilea2
7
attribuiscono al capitale il ruolo di cuscinetto in grado di
tutelate le banche da future e inattese perdite.
La volontà di creare un‟arena competitiva comune (level the playing field) che
disincentivasse le banche dal ridurre eccessivamente le dotazioni patrimoniali, con
conseguenze negative per la stabilità delle stesse banche prima e del sistema poi,
6
Il fenomeno delle corse allo sportello, considerato fino a poco tempo fa un “caso di scuola” da
spiegare sui libri di tecnica bancaria come qualcosa che era avvenuta nel passato e riscontrabile
oggi solo in paesi coinvolti in gravi crisi finanziarie, come nel caso dell‟Argentina, si è
inaspettatamente riproposto in un‟economia avanzata, quale quella del Regno Unito, con il caso
della Banca Northern Rock.
7
Cfr. BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI, International Convergence of Capital
Measurement and Capital Standards: A Revised Framework, 2006.
6
al fine di offrire sempre maggiori rendimenti ai propri azionisti a fronte di una
maggiore assunzione di rischi, ha portato all‟imposizione dei noti coefficienti
minimi di capitale
8
. L‟impatto che essi esercitano sulla gestione bancaria, in
termini di politiche di risk management e capital allocation, è talmente rilevante
da mutare la funzione stessa del capitale e le conseguenti politiche di gestione.
Alla luce di quanto sin qui argomentato, il capitale e la sua gestione sono
importanti per una banca in quanto il ruolo del capitale consiste sia nel finanziare
l‟attività e sia nell‟assorbire le perdite potenziali generate dai rischi assunti e se,
come indicato anche dalle recenti evoluzioni della teoria dell‟intermediazione
finanziaria, il business bancario consiste essenzialmente nella gestione di rischi
finanziari, allora la gestione del capitale, coordinata con la gestione del rischio,
rappresenta un elemento cruciale nella gestione di una banca.
1.3 Le varie definizioni di capitale
Esistono una pluralità di nozioni di capitale, tante quanto le prospettiva che si
possono adottare per la gestione del capitale medesimo
9
.
capitale fisico (physical capital): è composto da tutti gli strumenti
mediante i quali la banca raccoglie mezzi patrimoniali dai propri azionisti,
indipendentemente dalla qualifica che essi assumono alla luce della normativa di
vigilanza. Tale nozione di capitale è quella rilevante nella prospettiva della
tesoreria bancaria, che mira ad identificare le modalità con cui è possibile
raccogliere il capitale e investirlo nel modo più efficiente e profittevole.
capitale regolamentare (regulatory capital): identifica i soli strumenti
qualificati come capitale dalle autorità di controllo nell‟ambito della disciplina che
regola il patrimonio di vigilanza e che sancisce i coefficienti patrimoniali minimi.
Tale definizione adottata nella prospettiva delle autorità di vigilanza, è più ristretta
di quella adottata dalla tesoreria aziendale, in quanto taluni strumenti ibridi, alla
8
Secondo alcuni autori il Nuovo Accordo non è stato in grado di prevenire comportamenti
opportunistici e rischiosi da parte delle banche ed è, pertanto, da considerare fallimentare. Secondo
altri autori, invece, la sua applicazione è stata semplicemente tardiva e gli eventi nefasti di questi
ultimi tempi, con colossi bancari falliti e altri salvati solo grazie ad interventi pubblici, sono il
frutto di comportamenti tenuti dai manager bancari allorquando “Basilea” non era ancora in
vigore.
9
Cfr. PARIS S., La dimensione ideale del capitale bancario, in Banche e banchieri, n. 5/2008,
pagg. 419 e 420.
7
luce della loro ridotta durata e/o analogia con strumenti di debito, possono essere
esclusi dal computo del patrimonio di vigilanza o inclusi limitatamente ad alcune
condizioni.
capitale di rischio (risk capital): indica le risorse necessarie a coprire la
possibile diminuzione di valore degli attivi aziendali, alla luce delle perdite che si
possono probabilisticamente manifestare dato un prescelto intervallo di
confidenza. Tale nozione di capitale, fondamentale nella prospettiva di risk
manager, prescinde dal capitale effettivamente a disposizione per considerare
quello idealmente necessario per fronteggiare la gestione dei rischi finanziari insiti
nell‟attività aziendale. Il capitale a rischio (CaR) mira a fornire l‟indicazione di
quale sarebbe il capitale di cui una banca necessita, in assenza di vincoli di
vigilanza, per poter assorbire variazioni avverse delle condizioni di mercato
permettendo la continuità aziendale.
capitale economico (economic capital): costituisce l‟ammontare degli
investimenti degli azionisti destinati ad attività rischiose o impiegate per ottenere
profitti futuri.
Questa definizione, rilevante nella prospettiva degli stakeholders si differenzia dal
capitale di rischio in quanto include anche il valore delle somme investite dagli
azionisti che sono state impiegate per acquistare asset in grado di generare
rendimenti futuri, ossia l‟avviamento
10
.
In particolare, i concetti di capitale economico e di capitale di rischio hanno
assunto, negli ultimi anni, un ruolo centrale nell‟ambito dei processi di capital
management istituiti all‟interno delle banche di medie e grandi dimensioni, grazie
alla loro capacità di collegare i concetti di valore della banca e di rischi assunti
dalla stessa. Il capitale economico, infatti, fornisce una stima della perdita
inattesa
11
, che corrisponde all‟ammontare di capitale di cui la banca necessita per
limitare la probabilità di bankrupty entro un dato orizzonte temporale.
10
Economic capital = risk capital + goodwill.
11
Il concetto di perdita attesa (expected loss - EL) indica l‟ammontare delle perdite che una banca
si attende sulla base dell‟esperienza storica e, in previsione delle quali, provvede ad accantonare
riserve. Il concetto di perdita inattesa (unexpected loss – UL), invece, si identifica lo scostamento
fra le perdite effettive e le perdite attese, che deve essere assorbito dal buffer di capitale in eccesso.
8
1.4 Le teorie sul capitale di rischio
Il dibattito sul capitale di rischio degli intermediari bancari ha preso avvio, nella
teoria finanziaria, dalle proposizioni di Modigliani e Miller (1958)
12
, i quali
dimostrarono che in un mercato perfetto le decisione di finanziamento sono
irrilevanti e di conseguenza, è possibile separare completamente le decisioni di
investimento da quelle di finanziamento. In un mercato perfetto ogni
combinazione di debito ed equità è valida come qualsiasi altra, per cui il valore
dell‟impresa non è influenzato dalla sua struttura finanziaria.
La tesi dell‟irrilevanza della struttura finanziaria implica che:
il valore dell‟impresa è determinato dalle sue attività e non dai titoli che
emette (fonti di finanziamento);
il valore dell‟impresa è sempre lo stesso pur in ipotesi di diverse strutture
finanziarie;
nessuna struttura finanziaria è migliore o peggiore di qualsiasi altra per gli
azionisti dell‟impresa;
la struttura finanziaria dell‟impresa è irrilevante: l‟indebitamento non
influisce sul valore dell‟impresa;
è possibile separare completamente le decisioni di finanziamento da quelle
di investimento.
Se i mercati dei capitali svolgono una corretta funzione, le imprese bancarie non
possono accrescere il proprio valore modificando la struttura finanziaria: il valore
è indipendente dall‟indice di indebitamento. Modigliani e Miller dimostrano
anche che il costo complessivo del capitale sia azionario e sia di debito è
indipendente dall‟indebitamento. Ciò significa che:
sia che l‟impresa si finanzi ricorrendo a una combinazione di debito e di
equità, sia che si finanzi esclusivamente tramite equità, il suo costo del capitale
complessivo sarà lo stesso;
il costo totale del capitale per l‟impresa non può essere ridotto se si
sostituisce il capitale azionario con debito: quando l‟impresa aggiunge debito, il
capitale azionario restante diventa più rischioso;
12
Cfr. MODIGLIANI F., MILLER M.H., The Cost of Capital, Corporation Finance and the
Theory of Investment, in American Economic Review, 1958, vol. 48.
9
quando un‟impresa modifica la propria combinazione di debito ed equità,
si modifica il rischio e il rendimento atteso dei titoli che compongono il suo
portafoglio, ma il costo totale del capitale resta invariato.
Gli investitori, pertanto, richiedono rendimenti maggiori da un‟azione di una
impresa indebitata.
Il rendimento richiesto aumenta per adeguarsi al maggior rischio. La leva
finanziaria non influisce sul rischio o sul rendimento atteso delle attività
dell‟impresa, ma aumenta il rischio delle azioni (e gli azionisti richiedono un
rendimento più elevato): il tasso di rendimento atteso delle azioni di una impresa
indebitata aumenta in proporzione al rapporto debito/equity
13
.
La teoria finanziaria sviluppata su queste premesse metodologiche non ha fornito
una giustificazione teorica all‟esistenza e varietà degli intermediari finanziari.
Questi ultimi si configurano come entità di puro scambio di strumenti finanziari,
cui non viene riconosciuta valenza produttiva: gli intermediari finanziari
acquisiscono la connotazione di portafoglio di attività e passività finanziarie. In
presenza di mercati finanziari perfetti, gli intermediari finanziari non avrebbero
ragione di esistere.
In assenza di costi di transazione, di asimmetrie informativa e in presenza, invece,
di razionalità illimitata, datori e prenditori di fondi sono nelle condizioni di
negoziare autonomamente e allocare le risorse finanziarie in modo del tutto
coerente con le rispettive funzioni obiettivo (espresse in termini di rapporto
rischio/rendimento). In presenza, dunque, di mercati completi e di irrilevanza
della struttura finanziaria, non c‟è nessuna giustificazione per l‟adeguatezza
patrimoniale e per la regolamentazione del capitale degli intermediari bancari.
Tuttavia a tali conclusioni non si perviene quando vengono rimosse le ipotesi
restrittive sottostanti il teorema di Modigliani e Miller, riconducibili all‟efficienza
dei mercati finanziari, ovvero:
all‟esistenza di concorrenza perfetta;
alla numerosità degli operatori;
all‟informazione perfetta;
13
Cfr. BREALEY R., MYERS S., ALLEN F., Corporate Finance, McGraw-Hill, New York,
2006.
10