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1. Contesto socio-economico e nascita del sincretismo religioso a Cuba
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I Taino
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, una tribù affine agli Arawak del Sud America, erano una popolazione
pacifica, abili agricoltori che basavano la loro civiltà sulla coltivazione del mais e
della yucca. Vivevano in villaggi di circa venti famiglie costruiti con capanne di
paglia e palafitte ed ogni villaggio era posto sotto la guida di un capo, detto cacique.
Questa popolazione indossava indumenti minimi e non conosceva né scrittura, né
metalli, né ruota. Tuttavia erano abili ceramisti e tanto esperti nell‟arte di tessere il
cotone e la canapa (che crescevano spontaneamente sull‟isola) che in seguito i
Conquistadores li obbligarono a tessere le vele per i loro galeoni.
I Taino adoravano un vasto pantheon, da cui credevano dipendesse la furia degli
elementi e con il quale entravano in comunicazione attraverso le cerimonie religiose
presenziate dal behìque (sacerdote del villaggio). Questi, attraverso l‟uso di piante
allucinogene, si provocava uno stato di trance attraverso il quale comunicava con le
divinità.
All‟arrivo degli europei, si stima che vi fossero a Cuba circa 300.000 indigeni,
inclusi i discendenti dei primissimi abitanti che sopravvivevano nell‟estrema punta
occidentale dell‟isola.
Della cultura di queste popolazioni non resta che qualche frammento di ceramica e
qualche parola come canoa, amaca, uragano o tabacco.
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La maggior parte delle notizie relative a questo capitolo sono state tratte da Christopher P. Baker,
Le guide traveler di National Geographic - Cuba , Vercelli, White Star S.p.A, 2007.
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Gli scavi archeologici ci testimoniano la presenza di tribù nomadi di cacciatori e raccoglitori già
dall‟ 8000 a.C. A questi primi abitanti dell‟isola si susseguì una seconda ondata migratoria che si
insediò sulle coste dove praticava agricoltura e pesca. Entrambi i gruppi furono poi rimpiazzati da
una cultura più avanzata, i Taino, giunti nell‟arcipelago cubano fra il 700 e l‟800 d.C.
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1.1. L’arrivo degli europei
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Cristoforo Colombo nella sua ricerca delle Indie Orientali, toccò terra alle
Bahamas
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, qui prese a bordo delle guide indigene che gli parlarono di una grande
isola chiamata Cuba, posta a sud-ovest. Dopo una pericolosa navigazione tra le
secche coralline, l‟esploratore il 28 ottobre 1492 raggiunse Cuba, un paradiso
tropicale che egli riteneva fosse il Giappone e che non esitò a definire il “posto più
bello del mondo”.
Dopo aver esplorato per circa un mese la costa settentrionale dell‟isola decise di
proseguire verso oriente, diretto ad un‟altra isola, chiamata Haiti in linguaggio
indigeno e che questi ribattezzò Hispaniola prima di fare ritorno in Spagna.
Nel 1508, Diego, figlio di Colombo, venne nominato governatore delle Indie e gli
fu affidata una spedizione per colonizzare Cuba. Salpò nel 1510, in compagnia di
Diego Velasquez (1465-1524) ed Hernán Cortés (1485-1547) con un convoglio di
navi ed un equipaggio complessivo di circa 300 uomini. Gli spagnoli stabilirono il
primo avamposto, l‟odierna Baracoa, nell‟estremità orientale dell‟isola. A cui seguì
la costruzione di sei villas: le odierne Bayamo, Camagűey, Sancti Spìritus, Santiago
de Cuba, Trinidad e L‟Avana.
I Taino furono subito posti a lavorare duramente per i Conquistadores, cui venivano
assegnati lotti di terreno ed un certo numero di braccianti indigeni, secondo il
sistema pseudofeudale dell‟encomienda. Presto queste popolazioni si ribellarono,
capeggiate da Hatuey, un capo proveniente dalla vicina Hispaniola, sfuggito
all‟annientamento del suo popolo. La rivolta fallì e Hatuey venne arso vivo.
Afflitti dalla malnutrizione e decimati dalle dure condizioni di vita e di lavoro gli
Indios trovarono un amico in fray Bartolomé de las Casas (1474-1566), un frate
domenicano giunto sull‟isola con Velasquez.
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Baker Christopher P., Ibid, pp. 27 - 28
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Il 3 agosto 1492, l‟esploratore genovese Cristoforo Colombo (1451-1506) salpò dalla Spagna a
bordo della “Santa Maria” con altre 2 caravelle di scorta (la “Niña” e la “Pinta”) e con un equipaggio
complessivo di 87 uomini. Lo scopo del viaggio era quello di trovare un passaggio occidentale per
raggiungere le Indie Orientali con il loro oro, i preziosi e le spezie di cui Marco Polo aveva
raccontato.
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Las Casas lottò per aiutare gli indigeni e denunciò le terribili atrocità che venivano
compiute dai Conquistadores nella sua famosa “Brevisima relaciòn de la
destrucciòn de las Indias” (1542).
Riuscì a far abolire il sistema delle encomiendas, istituito con il pretesto di
convertire i pagani al Cristianesimo. Gli sforzi del frate furono però vani, perché le
malattie portate dall‟Europa (vaiolo, morbillo e tubercolosi) completarono il lavoro
di sterminio esercitato dagli spagnoli e in meno di un secolo la popolazione
originaria di Cuba fu pressoché scomparsa.
Las Casas però commise anche un errore, in quanto suggerì e propose a Carlo V
l‟importazione di “negri” africani per sostituire gli indigeni nativi che erano poco
adatti fisicamente al duro lavoro nelle miniere d‟oro cubane.
1.2. Lo splendore coloniale
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Era la bramosia dell‟oro a spingere i Conquistadores nel Nuovo Mondo. Ne furono
trovate tracce a Cuba ma ben presto gli spagnoli ne esaurirono i filoni, così l‟isola si
convertì in un punto di rifornimento per le spedizioni dirette in Messico e altrove.
Le conquiste degli europei non tardarono ad arrivare e, prima con Cortés, poi con
Pizarro, l‟impero Azteco e quello Inca, sconfitti e saccheggiati, cominciarono a
riversare oro, argento, gioielli e altre ricchezze nelle avide mani dei
Conquistadores. Gli Spagnoli radunavano i loro bottini di guerra nel porto riparato
de L‟Avana, che, grazie alla sua posizione strategica, controllava le rotte per il
Golfo del Messico e fungeva da punto di raduno per le flotte che, protette da
adeguate scorte, trasportavano i tesori, due volte all‟anno, in Spagna.
Oltre alla posizione strategica, l‟altra grande dote di Cuba era il suo terreno fertile.
L‟isola fu infatti deforestata, vennero impiantate ampie coltivazioni di tabacco e
canna da zucchero e fu introdotto l‟allevamento del bestiame, per soddisfare il
crescente fabbisogno europeo.
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Baker Christopher P., Ibid, pp. 28 - 30
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La monarchia spagnola manteneva il monopolio sull‟isola, sulla quale gravavano
pesanti tasse sulle esportazioni. Inoltre l‟isola poteva commerciare solo con la
Spagna ed era proibito ai coloni fabbricare alcunché, tutto doveva essere importato
dalla madrepatria.
Queste leggi ingiuste provocarono la diffusione dell‟illegalità e sull‟isola iniziarono
a riversarsi marinai inglesi, francesi e olandesi che contrabbandavano merci e
schiavi, di cui c‟era grande richiesta per il lavoro nei campi.
Verso la metà del XVI secolo, le piantagioni di canna da zucchero si stavano
diffondendo sempre più e con esse il commercio di schiavi. Da quando, poi
l‟Inghilterra sconfisse l‟Invencible Armada nel 1588, le navi negrerie poterono
attraversare l‟oceano indisturbate.
1.3. La pirateria ed il libero commercio
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Tra il Cinquecento ed il Seicento, la costante belligeranza tra Spagna e Inghilterra e
tra Francia e Olanda portò alla diffusione della pirateria e soprattutto alle scorrerie
dei corsari. Questi ultimi, a differenza dei semplici pirati, erano protetti ed
autorizzati ad agire da parte delle potenze rivali della Spagna. A lungo personaggi
famosi come Francis Drake o il capitano Henry Morgan saccheggiarono e
distrussero navi e città spagnole. Cuba fu uno dei bersagli più colpiti e cadde più
volte nelle mani dei corsari, nonostante i tentativi della Spagna di proteggere i
propri tesori attraverso la costruzione di una serie di fortezze come El Morro che,
costruita su una scogliera all‟entrata della baia e del porto, doveva proteggere
L‟Avana.
Nel 1762 un‟armata inglese conquistò El Morro e rivolse le armi del forte verso
L‟Avana, così gli inglesi si impossessarono di buona parte dell‟isola e aprirono le
porte al commercio, senza alcuna limitazione. Il dominio inglese su Cuba durò solo
11 mesi, dopodiché l‟isola fu restituita alla Spagna in cambio della Florida. Ma
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Cfr. Baker Christopher P., Ibid, p. 30.
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ormai, nella “perla dei Caraibi” si respirava un aria nuova e la Spagna non riuscì più
ad impedire la diffusione del libero commercio.
1.4. Canna da zucchero, schiavitù e prosperità
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Il commercio con le nuove, fiorenti, colonie nordamericane beneficiava fortemente
l‟economia rurale di Cuba. Con il boom dell‟industria saccariera la coltivazione
della canna da zucchero divenne l‟attività principale sull‟isola e questo determinò
una fortissima domanda di schiavi, per deforestare e lavorare i campi. Per la gioia
dei negrieri inglesi, diventati ormai un‟istituzione a L‟Avana, alla fine
dell‟Ottocento il numero totale di schiavi portati sull‟isola, a partire dalla
colonizzazione, ammontava a più di 600.000. Inoltre, con la rivolta degli schiavi a
Santo Domingo, che distrusse l‟industria saccariera del paese, migliaia di coloni si
rifugiarono a Cuba e il prezzo dello zucchero si impennò. Così, Cuba (che nel 1827
era il maggiore produttore di zucchero nel mondo) prosperava sempre più. Nelle
città di provincia, come Camagűey o Trinidad, fiorivano le attività, mentre mercanti
e coloni creoli fondavano le istituzioni culturali e costruivano i palazzi che tutt‟ora
adornano queste città.
Per coloro che sudavano nei campi però, la maggior parte dei quali erano criollos
(nati a Cuba), la vita era un pesante fardello e ormai, dopo 300 anni di schiavismo,
il sangue, le credenze e le tradizioni africane si erano mescolate con quelle spagnole
e si poteva quindi parlare di una cultura creola.
7
Cfr. Baker Christopher P., Ibidem, pp. 30-32.
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1.5. Le guerre d’indipendenza
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Molti criollos si identificavano con la propria terra natale, considerandosi cubani
piuttosto che spagnoli. Inoltre, essendo pesantemente tassati e duramente governati
dai peninsulares (nati in Spagna), bramavano l‟indipendenza.
Alla Spagna, nel 1835, restavano solo le colonie di Cuba, Puerto Rico e le Filippine
cosicché la Corona reagiva bruscamente ai sentimenti nazionalistici dei creoli e
tentò in ogni modo di conservare i suoi ultimi, e più preziosi, baluardi coloniali.
Quando, nel 1857 il prezzo dello zucchero crollò, i tempi erano ormai maturi per
l‟insurrezione.
Infatti nel 1868, Carlos Manuel de Céspedes, che era proprietario di varie
piantagioni nella zona orientale dell‟isola, liberò i suoi schiavi e dichiarò guerra alla
Spagna. Altri coloni si unirono a lui e radunarono un esercito formato da bianchi e
neri che prese il nome di Mambísi, in onore di Juan Mambí, che aveva combattuto
per l‟indipendenza di Santo Domingo. Gli si oppose un esercito di 100.000
spagnoli, giunti prontamente a Cuba per fronteggiare i ribelli guidati dal Generale
dominicano Maximo Gómez e dal Colonnello mulatto Antonio Maceo.
Dopo un lungo decennio di guerriglia che lacerò la nazione e costò la vita a 250.000
persone, nel 1878 la campagna nazionalista fallì ed ottenne soltanto l‟abolizione
della schiavitù, che avvenne in due riprese e divenne definitiva solo nel 1886.
La seconda guerra d‟indipendenza scoppiò nel 1895, guidata dall‟eroe nazionalista
José Martí, il quale, dopo aver incitato lo spirito indipendentista attraverso i suoi
scritti dagli Stati Uniti, dove era in esilio, tornò a Cuba con Gómez e si mise al
comando delle forze insurrezionaliste. Nonostante la morte di Martí, che, a causa
della sua natura di uomo di lettere e non di armi, avvenne nella prima battaglia, i
Mambísi sconfissero le forze spagnole e dettero fuoco alle piantagioni.
Gli spagnoli, nell‟estremo tentativo di difendere la loro colonia, giunsero a
convogliare 200.000 abitanti delle campagne in dei campi di concentramento dove
morirono a migliaia.
8
Cfr. Baker Christopher P., Ibid, pp. 32-33.