CAPITOLO I
1.1 LA COMUNICAZIONE TRANSMEDIALE
Il concetto di comunicazione transmediale o, per essere più precisi, di
narrazione transmediale (“transmedia storytelling
1
”) è stato introdotto da
Henry Jenkins nel suo studio del 2006, Convergence Culture. In questo
testo Jenkins definisce la comunicazione transmediale come quella che,
dispiegandosi attraverso varie tipologie di media, contribuisce ad ogni
passaggio con nuove e distinte informazioni all’esperienza dell’utente.
Usando diversi formati di media si contribuisce a creare dei “punti di
entrata” attraverso i quali l’utente può immergersi completamente nella
narrazione. Quest’ultima diviene quindi “arte di creazione dei mondi”
2
.
L’obiettivo di questa immersione è di decentralizzare il rapporto tra autore
ed utente
3
. Questo fenomeno sta sempre più prendendo piede grazie alla
proliferazione dei media, e il loro potere, unito a quello dei consumatori, porta
a massimizzare il piacere della reiterazione, stimolando la partecipazione
attiva così da raggiungere lo scopo comune delle due parti: creare dei
“mondi”, delle storie che non ci si stanca mai di ascoltare e che portano
all’immaginazione di altre avventure, storie che trasmettono valori a chi
entra in questa dimensione, a chi ne capisce le regole e cerca di andare
sempre più in profondità confrontandosi con altri esploratori. Questa capacità
creativa viene definita da Jenkins come “convergenza
4
” , che però non deve
1 Cit. Jenkins Henry, Cultura convergente, trad. V. Susca, M. Papacchioli, V. Sala,
Apogeo, 2007, [Jenkins Henry, Convergence Culture: Where Old and New Media Collide,
University Press, New York, 2006] p. 357
2 Ivi, p. 105
3 Cfr. Jenkins Henry, Cultura convergente, trad. V. Susca, M. Papacchioli, V. Sala,
Apogeo, 2007, [Jenkins Henry, Convergence Culture: Where Old and New Media Collide,
University Press, New York, 2006] Introduzione p. XXV, p. 105, p. 357
4 Termine che descrive un cambiameno sociale, culturale, industriale e tecnologico
inerente alle modalità di circolazone della nosta cultura. Tramite questa formula vengono
generalmete indicati: il flusso di contenuti attraverso più piattaforme mediatiche, la
cooperazione tra imprese diverse, la ricerca di nuove forme di finanzamento tra vecchi e nuovi
ricadere nel banale riproponendo qualcosa di già visto senza creare un
nuovo universo. Quindi non dobbiamo confondere il mero adattamento di un
romanzo per il cinema con un’opera transmediale. Infatti la transmedialità
non sta nel presentare la stessa storia con diversi linguaggi ma nel creare
una serie di intrecci tra i vari livelli, rendendoli così legati tra loro e l’uno
protesi dell’altro. “La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media
ma nei cervelli dei singoli consumatori nonché nelle loro reciproche iterazioni
sociali”
5
. Ogni consumatore crea nella sua mente una personale “mitologia
dalle unità e dai frammenti di informazioni estratti dal flusso mediatico”
6
e li
trasforma in risorse che danno un senso alla sua vita. L’ opera transmediale
può essere definita anche “intertesto, un apparato proteiforme in cui testi
generano da altri testi
7
”, testi che al loro interno mantengono la cultura
precedente fondendola con quella circostante, creando un nuovo “tessuto
di vecchie citazioni
8
” Per comprendere al meglio questo concetto bisogna
partire da un presupposto: l’opera è finita, chiusa e contiene al suo interno
un testo, formato da un numero finito di nuclei semantici. Questo testo
è proprio quello che può rendere un’opera transmediale, “attraverso la
significanza, che richiama l’idea di un lavoro infinito del significante su se
stesso
9
”. Un’opera non diviene transmediale ma, fin dalla sua genesi, lo è.
In questa situazione, la separazione tra le diverse arti diviene sempre più
sottile, quasi invisibile, rendendo le opere non più dei messaggi ma delle
enunciazioni attraverso le quali il soggetto (sia autore che lettore) continua
a dibattersi. Questo autore-lettore produce continuamente linguaggi, e si
media e il comportamento nomade dei pubblici che sono alla ricerca di nuove esperienze
di intrattenimento gratificanti. Cit. Jenkins Henry, Cultura convergente, trad. V. Susca, M.
Papacchioli, V. Sala, Apogeo, 2007, [Jenkins Henry, Convergence Culture: Where Old and
New Media Collide, University Press, New York, 2006] p. 345
5 Ivi, Introduzione p. XXVI
6 Ibidem
7 Cit. Vittorini Fabio, La soglia dell’invisibile, Carrocci, Roma, 2005, p.9
8 Ivi, p. 10
Barthes Roland, Scritti, società, testo, comunicazione, a cura di Gianfranco Marrone,
Einaudi, Torino, 2008, p.236
lascia continuamente “traversare da essi divenendo egli stesso la figura e il
luogo di questo attraversamento
10”
”
Un esempio di opera considerata transmediale è il “Dracula
11
” di Bhram
Stoker: questo romanzo scritto nel 187, è ispirato alla figura di Vlad III
principe di Valacchia. Il testo di quest’opera si è immediatamente prestato
alla generazione di diversi nuovi testi toccando ogni genere d’arte, ogni
tipologia di media disponibile. Infatti l’opera è stata riprodotta in numerosi
film, alcuni più fedeli di altri al romanzo originario. Possiamo citarne alcuni
come esempio: “Nosferatu il vampiro”, film muto di Friedrich Wilhelm
Murnau del 122, “Dracula” diretto da Tod Browning nel 131, “Nosferatu, il
principe della notte” di Werner Herzog nel 17, “Dracula di Bram Stoker” di
Francis Ford Coppola del 1992, “Van Helsing” del 2004, diretto da Stephen
Sommers. Oltre ai film possiamo ricordare alcuni musical come “Draculea,
nel sangue e nell’amore” del 2007, prodotto dalla Musaico Immaginario di
Firenze e “Dracula opera rock” del 2005. Nel 1927 la storia fu adattata per
uno spettacolo teatrale a Broadway da Hamilton Deane e John L. Balderston.
I videogames dedicati sono moltissimi ma per fedeltà al testo possiamo
citarne alcuni della Microids come Dracula, “La Risurrezione”, “L’Ultimo
Santuario” e “Il sentiero del drago”. Inoltre innumerevoli sono le opere
scritte ispirate al romanzo originale come per esempio “Il Diario del Professor
Abraham Van Helsing”a cura del Prof. Allen Conrad Kupfer, Editrice Nord,
Varese,2004. Il mito di Dracula è stato saldato nella memoria collettiva
partendo dal romanzo, considerato un cult nel suo genere, e da allora
continua ad avere nuove genesi senza perdere mai il suo nucleo semantico.
Questa transmedialità, già insita fin dalla sua genesi, è diventata palese
con il passare del tempo, con la nascita dei media e dei new media che gli
donano continuamente una nuova vita, saldandolo nella memoria collettiva.
Un altro esempio molto importante di questo fenomeno è “Il Signore degli
Anelli” di J.R.R. Tolkien. Il titolo originale in inglese è The Lord of the Rings,
scritto a più riprese tra il 1937 e il 1949, fu pubblicato in tre volumi tra
10 Cit. Vittorini Fabio, La soglia dell’invisibile, Carrocci, Roma, 2005, p.12
11 Stoker Bram T. , Dracula, Trad. Pelà R. Rizzoli, 2008
il 1954 e il 1955. Tradotto in almeno 38 lingue, con decine di riedizioni
ciascuna, resta una delle più popolari opere letterarie del XX secolo, definito
come uno dei migliori romanzi fantasy di tutti i tempi.
Nei capitoli successivi verrà analizzato dettagliatamente in ogni suo aspetto
transmediale, partendo dal romanzo e arrivando alla definizione del fenomeno
culturale che si è creato attorno a quest’opera.
CAPITOLO II
“[...]La fantasia Rimane un diritto umano, creiamo la nostra misura e
nel nostro modo derivativo perché siamo stati creati:
e non soltanto creati ma fatti a immagine e somiglianza del Creatore[...]”
12
2.1 J. R. R. TOLKIEN: LA BIOGRAFIA.
J.R.R. Tolkien nacque nel 182 in Sud Africa a Bloemfontein, cittadina situata
ad oltre un miglio dalla capitale. Il padre Arthur Reuel Tolkien, discendeva
da una ricca famiglia sassone, emigrata in Inghilterra nel XVIII secolo,
specializzata nella costruzione di pianoforti. Alla fine del XIX secolo, gli affari
dei Tolkien iniziarono ad andare sempre peggio così che Arthur decise di
cambiare lavoro dedicandosi all’attività bancaria trasferendosi in Sudafrica.
Fece velocemente fortuna e riuscì a far arrivare dall’Inghilterra la fidanzata
Mabel Suffield, figlia colta ed istruita di un’antica famiglia di nobili decaduti
del Midland. Quando arrivò in Sud Africa Mabel aveva solo 21 anni mentre
Arthur era già trentaquattrenne. I due si sposarono presso la cattedrale di
Città del Capo e poco tempo dopo nacque il primogenito Ronald, seguito, a
due anni di distanza, dal fratello Hilary.
Ma il caldo clima africano costrinse Mabel a riportare Ronald, di soli tre anni,
e il fratellino in patria. I problemi di salute di Ronald andarono man mano
migliorando mentre il padre, che avrebbe dovuto raggiungerli, si ammalò
gravemente di febbre reumatica e morì. Per i primi tempi, i due bambini
vissero dai nonni materni, i Suffield, ai quali Ronald si affezionò molto e
dai quali assimilò la tipica mentalità borghese dell’epoca, nonché il fiero
attaccamento al paese d’origine.
All’età di quattro anni, Tolkien si trasferì, insieme alla mamma e al fratellino,
in un tranquillo borgo a sud di Birmingham, chiamato Sarehole. I due fratellini
12 J.R.R. Tolkien, La Realtà in Trasparenza. Lettere (1914-1973), a cura di Humphrey
Carpenter e Christopher Tolkien, trad. Cristina De Grandis, Rusconi, Milano, 1990. [J.R.R.
Tolkien, The letter of J.R.R. Tolkien: A Biography, Humpherey Carpenter, HarperCollins,
London 1999] Lettera n.153, p. 214
10
trascorsero l’estate liberi per le campagne, correndo tra i prati, affascinati
da un vecchio mulino sul torrente nonché da due burberi personaggi, un
contadino e un mugnaio da loro soprannominati rispettivamente l’Orco
Nero e l’Orco Bianco. I piccoli presero lezioni di disegno botanico che
fecero acquisire al giovane Ronald un rinnovato interesse per la natura e
l’ambiente circostante; lentamente iniziarono ad imparare i dialetti locali
e ad esprimersi come la gente del posto: nel loro vocabolario entrarono
termini come “gamgee”
13
destinati a riaffiorare a decenni di distanza ne Il
Signore Degli Anelli.
Quando Ronald e Hilary erano ancora piccoli, la madre si assunse
personalmente il compito di iniziare ad istruirli: a quattro anni Ronald sapeva
già leggere e scrivere ed era appassionato di favole. A sette anni scrisse il
suo primo racconto che parlava di un grande drago verde. Ma per permettere
ai bambini di continuare gli studi, la famiglia si trasferì dalla campagna
in uno squallido alloggio cittadino. La successiva conversione di Mabel al
cattolicesimo provocò una violenta reazione sia da parte dei Tolkien di fede
unitariana
14
, che dei Suffield di fede battista
15
. Da quel momento in poi,
le negarono qualsiasi contributo finanziario. Nel 104 la donna, affaticata
ed esasperata dalle difficoltà economiche si ammalò di diabete, trascorse
mesi in ospedale e morì lasciando Ronald orfano a 12 anni e affidandone
13 Venne inventato dal Dr. Joseph Sampson Gamgee a Birmingham, in Inghilterra, nel
1880. Rappresenta il primo uso del cotone idrofilo in un contesto medico come medicazione
chirurgica ed un grande passo avanti nella prevenzione delle infezioni delle ferite chirurgiche.
Gamgee divenne il nome colloquiale di ovatta, dal quale Tolkien ha ricavato il cognome di
Sam ne Il Signore degli Anelli. La connessione non è certa: nell’appendice F de Il Signore
degli Anelli, Tolkien menziona, ma al tempo stesso nega, la lettura di Gamgee come un
gioco di parole riguardanti il nome della moglie di Sam, Rosie Cotton.
14 L’unitarianesimo è una forma di cristianesimo che rifiuta l’idea di Trinità mettendo
in dubbio la divinità di Cristo e dello Spirito Santo in favore di un unico Dio. Tale dottrina si
diffuse in Inghilterra e in America del Nord a partire dal XVIII secolo
15 Il battismo è un movimento nato dal protestantesimo e affonda le proprie radici
storiche nel puritanesimo inglese del XVII secolo. Esso è così chiamato per la pratica del
battesimo dei credenti. I battisti sono una delle principali comunioni di chiese protestanti
del mondo.
11
la custodia a Padre Francis, che li domiciliò presso un parente che viveva
vicino all’Oratorio di Birmingham. A nove anni di distanza dalla morte di
Mabel Ronald scrisse:
‹‹Mia madre è stata davvero una martire, non a tutti Gesù concede
di percorrere una strada così facile, per arrivare ai suoi doni, come ha
concessi ad Hilary e a me, dandoci una madre che si uccise con la fatica
e le preoccupazioni per assicurarsi che crescessimo nella fede››
16
La fede di Tolkien venne da questo momento influenzata fortemente.
Infatti il cattolicesimo era inscindibilmente collegato al ricordo della madre
a lui tanto cara ma, al tempo stesso, era la causa della sua sofferenza e
conseguentemente della sua morte. Tolkien afferma ancora:
‹‹io sono cristiano e cattolico romano, quindi non mi aspetto che la
“storia” sia qualcosa di diverso da una “lunga sconfitta” benché contenga
alcuni esempi e intuizioni della vittoria finale››
17
Il mondo viene quindi visto come un luogo di sconfitta e delusione dove
l’uomo si trova naturalmente in mezzo ai problemi. Tutto questo costituisce
una prospettiva psicologica e al contempo religiosa rendendo difficile
scindere le due parti. La spinta negativa che echeggia nelle parole di
Tolkien nasce dal suo senso di perdita, ma si unisce all’accettazione della
condizione umana. L’alternanza tra la speranza e la disperazione crea
l’essenza stessa di Tolkien e delle sue opere. Gli studi umanistici assorbirono
totalmente Tolkien che rapidamente si appassionò alla letteratura greca.
Successivamente il professore di lettere George Brewerton risvegliò il suo
interesse per quella anglosassone con The Canterbury Tales di Geoffrey
Chaucer in volgare. Studiò filologia, approfondendo l’analisi dell’evoluzione
e dei rapporti tra le lingue, e apprese l’inglese antico, ossia la lingua in
16 Cit. Humphrey Carpenter, La vita di J.R.R. Tolkien, traduzione italiana con introduzione
e note di Gianfranco de Turris, Ares, Milano 1991. [Humpherey Carpenter, J.R.R. Tolkien:
A Biography, George Allen & Unwin, London 1977] p. 77
17 Cit. J.R.R. Tolkien, La Realtà in Trasparenza. Lettere (1914-1973), a cura di
Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, trad. Cristina De Grandis, Rusconi Libri
(Opere di Tolkien), Milano 10. [J.R.R. Tolkien, The letter of J.R.R. Tolkien: A Biography,
Humpherey Carpenter, HarperCollins, London 1999] Lettera n. 195 p. 293
12
cui sono narrate le gesta di Beowulf, mitico eroe che combatteva contro i
draghi. Lo appassionò la lettura di Sir Gawain And The Green Knight, opera
in versi scritta in volgare, e soprattutto la scoperta dei punti di contatto tra
la lingua di quest’opera e il dialetto del West Midland. Tolkien iniziò quindi a
studiare da autodidatta il norreno per poter leggere nella versione originale
alcuni tra i suoi testi preferiti, dimostrando di possedere uno straordinario
talento per le lingue. In questo periodo si cimentò per la prima volta in una
attività che avrebbe portato avanti per tutta la vita ovvero l’invenzione di
lingue e alfabeti nuovi. Compiuti i sedici anni, Tolkien fu trasferito insieme al
fratello nel collegio gestito da una certa Signora Faulkner, dove lo scrittore
conobbe e si innamorò di Edith Bratt, anch’essa orfana che, pur essendo
di tre anni più grande di lui, ricambiò il sentimento. Padre Francis trasferì
nuovamente Ronald temendo che il ragazzo, distratto dalla passione per
Edith, smettesse di studiare e non riuscisse a vincere la borsa di studio per
Oxford. Ma Tolkien non l’ottenne comunque anzi fu totalmente assorbito dai
nuovi impegni e affogò le sue pene d’amore nel rugby, nei dibattiti culturali e
nelle riunioni segrete del circolo TCBS, che riuniva giovani colti e intelligenti
che si dilettavano a recitare poesie. L’anno successivo Tolkien poté iscriversi
all’università, e rimase entusiasta dell’atmosfera di Oxford. Studiò la forma
medioevale del gallese e inventò una lingua ispirata al finnico che in seguito
avrebbe chiamato quenya, l’alto elfico de Il Signore degli Anelli.
Compiuti ventun’anni, Tolkien scrisse a Edith, chiedendola in sposa e,dopo
poco ottenne il consenso al matrimonio. La felicità personale rovinò la carriera
universitaria del giovane Tolkien che non riuscì ad ottenere il massimo dei
voti agli esami propedeutici alla laurea. Comunque, considerando la sua
bellissima tesi e le sue straordinarie doti di filologo, il rettore dell’Exeter
College gli consigliò di cambiare indirizzo di laurea. Passò quindi alla
facoltà di Lettere moderne e Linguistica dove finalmente Tolkien riuscì ad
approfondire il dialetto del Midland occidentale, per cui destava grande
interesse, studiando il Middle English, la lingua volgare parlata dai suoi
avi. Inoltre approfondì ancora lo studio della mitologia islandese leggendo
testi in norreno antico. Quando scoppiò la prima guerra mondiale, Tolkien,
13
appena laureato a pieni voti, si arruolò nei fucilieri del Lancashire. Nel marzo
del 116 sposò Edith, ma venne immediatamente spedito in Francia per
prendere parte ella battaglia della Somme
18
. La guerra uccise quasi tutti
i suoi amici e compagni universitari. Il 27 ottobre Tolkien contrasse una
malattia la quale gli consentì di essere rimandato in patria e riabbracciare
la moglie terminando così la sua esperienza in trincea. Fu in quel periodo
che scrisse una raccolta di leggende, più o meno correlate tra loro, dedicata
all’Inghilterra: nel 117 durante la convalescenza scrisse The Fall Of Gondolin,
primo racconto del Book Of Lost Tales, successivamente consegnato alla
stampa con il titolo Il Silmarillion. Nel novembre del 1917 nacque il suo
primo figlio, John Francis, e finita la guerra, Tolkien tornò ad Oxford e lì, nel
120, nacque il suo secondogenito Michael Hilary. Il terzo figlio, Christopher,
venne alla luce nel 1924. Poco dopo il suo più grande sogno accademico si
avverò: divenne titolare della cattedra di lingua Anglosassone all’Università
di Oxford. Per gran parte della sua vita, egli si dedicò principalmente alla
carriera universitaria diventando uno dei più accreditati esperti in questa
branca della filologia. Tolkien è riuscito a scrivere, avendo così poco tempo
a disposizione, grazie alla capacità di lavorare fino a notte fonda e grazie
all’entusiasmo e al sostegno di un gruppo di scrittori, nato nella cerchia
dei docenti di Oxford, denominati gli Inklings
19
che riuscirono a conquistarsi
un posto di tutto riguardo in ambito letterario. Lo Hobbit, venne mandato
in stampa nel settembre del 1937 e, a Natale, erano già esaurite le copie
della ristampa. Dato il successo venne la richiesta di un seguito, ma Tolkien
desiderava prima portare a termine Il Silmarillion, ma fu molto deluso dallo
scarso entusiasmo suscitato nell’editore dal suo progetto. Così lo scrittore
18 La battaglia della Somme del 1916, fu una delle più grandi battaglie della prima
guerra mondiale con più di un milione fra morti, feriti e dispersi. Fu il primo teatro bellico
a vedere l’utilizzo del carro armato.
19 Gli Inklings erano un circolo letterario informale formato da soli uomini, un gruppetto
di amici riunitosi attorno alla figura gioviale di Lewis sin dai primi anni Trenta, che si
incontravano per leggere insieme le opere che andavano scrivendo. I membri più famosi di
questo circolo furono Lewis, Tolkien, Williams, un filologo esperto di Chaucer di nome Nevill
Coghill e un medico cattolico, R.H. Havard.
1
si lasciò assorbire completamente dal racconto delle guerre dell’anello,
mettendo da parte Il Silmarillion. Ne venne fuori un’opera monumentale
che, per motivazioni di ordine economico e pratico, fu suddivisa dagli editori
in tre parti: i primi due volumi della trilogia vennero pubblicati nel 154,
mentre il terzo uscì ad un anno di distanza. La critica si divise tra quelli che
lo osannavano (come C.S. Lewis) e quelli che lo condannavano. I lettori non
lo disdegnarono, ma ci volle un decennio perché Tolkien diventasse l’autore
numero uno di quell’epoca. La sua vita, fino a quel momenti piuttosto
convenzionale, fu completamente stravolta da giornalisti, spioni, ammiratori
e lettori di ogni età che gli telefonavano dall’altro capo del mondo per porgli
quesiti sul libro. Quando l’invadenza degli ammiratori si fece eccessiva, i
Tolkien decisero trasferirsi a Bournemouth dove Edith all’età di 82 anni morì.
Sulla sua lapide Tolkien fece incidere il nome elfico Lùthien. Nonostante il
calore dei famigliari e amici, Tolkien fu assalito dalla solitudine e accettò
quindi la cattedra ad honorem al Merton College dell’Università di Oxford, raro
privilegio concesso a pochi. Questo riconoscimento fu il primo di una lunga
serie di onorificenze e lauree honoris causa, culminanti nell’assegnazione
della medaglia di Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico da parte
della regina.
Tolkien si mise quindi a riordinare le infinite stesure del Silmarillion, opera
portata a termine e pubblicata dal figlio Christopher dopo la sua morte.
Infatti, durante un soggiorno presso amici a Bournemouth alla fine di agosto
del 1973, improvvisamente si ammalò e morì, a qualche giorno di distanza,
il 2 settembre, all’età di 81anni. Venne sepolto accanto alla moglie Edith nel
cimitero di Wolvercote alla periferia di Oxford e sulla sua lapide, accanto a
J.R.R. Tolkien, fu inciso il nome elfico di Beren.
1
2.2 J.R.R. TOLKIEN: IL SUB-CREATORE
DELLA TERRA DI MEZZZO
“[...]Un intervistatore mi ha chiesto di che cosa trattasse il Signore degli
Anelli e se era un’allegoria. E io gli ho detto che era uno sforzo di creare
una situazione in cui il normale modo di salutarsi fosse elen sila lumenn
omentielmo, e che questa frase era nata molto prima del libro.[...]”
20
Tolkien parla di “sub-creazione”, perché il mondo che prende forma nel
racconto deve essere compreso dal lettore e per renderlo possibile l’autore
deve far riferimento ad un substrato comune ovvero al mondo reale. Una
fiaba genuina, per essere definita tale deve presentarsi come vera.
La fantasia è un’attività naturale dell’uomo che ”non distrugge e neppure
offende la Ragione”
21
. La fiaba tratta di meraviglia e per questo non può
contenere meccanismi che facciano sospettare che la vicenda narrata sia
finzione o illusione. In un secolo in cui si alternavano positivismi scientifici,
decadenze artistiche e ideologie materialiste, Tolkien contrappone la poesia
del sub-creatore, ovvero l’arte di partorire un mondo fantastico cercando
di rivelare all’uomo la vera essenza del creato. Lo scrittore è consapevole
che il mondo primario, quello reale ha già un Creatore mentre l’artista è
colui che ri-crea il mondo rendendo la fantasia un mezzo fondamentale per
manifestare la verità allontanandosi dalla malvagità ma non rifuggendo il
reale.
Con questa evasione, l’uomo si libera dalla schiavitù degli oggetti giungendo
ad una visione chiara della cose, ad un ingresso intellettuale, emotivo e
20 Cit. J.R.R. Tolkien, La Realtà in Trasparenza. Lettere (1914-1973), a cura di
Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, trad. Cristina De Grandis, Rusconi Libri
(Opere di Tolkien), Milano, 10. [J.R.R. Tolkien, The letter of J.R.R. Tolkien: A Biography,
Humpherey Carpenter, HarperCollins, London 1999] p. 298
21 Cit. Christoper Tolkien (a cura di), Sulle fiabe, in Il medioevo e il fantastico, trad.
Gianfranco de Turris, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000. [Christoper Tolkien, The monsters
and the critics and the othersessays, George Allen & Unwin, London, 1983] p. 213
1
spirituale nella realtà.
Il supremo fine del sub-creatore deve essere l’”eucatastrofe”
22
ovvero
[...]“l’improvviso lieto fine di una storia che ti trafigge con una gioia da
farti venire le lacrime agli occhi.”
23
[…] Un finale che ribalta improvvisamente
il corso negativo degli eventi, il rovesciamento del destino, la vittoria della
vita sulla morte. Quella di Tolkien è una fantasia che attraverso la via delle
lacrime ci porta al sorriso facendoci ritenere che quella strada impervia
fosse la più giusta da percorrere. L’attrazione per il lato oscuro deriva
probabilmente dal forte senso di perdita dato dalla morte della madre, ma si
unisce alla sua accettazione della solitudine. “L’alternanza tra la visione della
speranza e dell’esperienza della disperazione, tra luce ed ombra, è l’essenza
di Tolkien”
24
. Queste due forze sono in contrasto ma il peso emotivo pende
dalla parte oscura, la sua visione di luce dipende dal suo opposto e senza di
esso non esisterebbe.
La repulsione e l’attrazione mantengono in tensione le due forze
interdipendenti. Tutto questo non significa che il mondo del romanzo debba
22 “Eucatastrofe”: l’improvviso lieto fine di una storia che ti trafigge con una gioia da
farti venire le lacrime agli occhi (che io argomentavo essere il sommo risultato che una fiaba
possa produrre). E nel saggio esprimo l’opinione che produce questo effetto particolare
perché è un’improvvisa visione della Verità, il tuo intero essere legato dalla catena di causa
ed effetto, la catena della morte, prova un sollievo improvviso come se un anello di quella
catena saltasse. Si intuisce che così è fatto il Grande Mondo per il quale è fatta la nostra
natura. E concludevo dicendo che la Resurrezione è la più grande “eucatastrofe” possibile
nella più grande Fiaba [...]. Naturalmente non voglio dire che i Vangeli raccontano solo
fiabe; ma sostengo con forza che raccontano una fiaba: la più grande. L’uomo, narratore,
deve essere redento in modo consono alla sua natura: da una storia commovente. Ma dato
che il suo autore è l’artista supremo e l’autore di tutta la realtà, questa storia è fatta per
essere vera anche al primo livello.
Cit. J.R.R. Tolkien, La Realtà in Trasparenza. Lettere (1914-1973), a cura di Humphrey
Carpenter e Christopher Tolkien, trad. Cristina De Grandis, Rusconi Libri (Opere di Tolkien),
Milano, 1990. [J.R.R. Tolkien, The letter of J.R.R. Tolkien: A Biography, Humpherey
Carpenter, HarperCollins, London 1999] p. 116
23 Ibidem
24 Cit. Verlyn Flieger, Schegge di luce, logos e linguaggio nel mondo di Tolkien, trad.
Giacomo Bencistà, Marietti, Genova-Milano, 2007 [Verlyn Flieger, Splintered light: logos
and language and Tolkien’s world, The Kent State University Press, Kent, Ohio] p. 31
1
totalmente reale, anzi la Terra di Mezzo è molto diversa dal nostro mondo.
Quello a cui Tolkien tiene è che la Terra di Mezzo sia riconducibile alla
realtà, nel senso che sia plausibile, e che ci siano delle regole che devono
garantirne il funzionamento e la credibilità. Ne Il Silmarillion
25
, Lo Hobbit
26
e Il Signore degli Anelli Tolkien crea un mondo, il medesimo in tutti e tre i
libri, che evolve e la cui trasformazione avviene nel corso di Tre Ere nelle
quali si fondono elementi di verità morale e religiosa. Lo scrittore aveva in
mente di creare un gruppo di semplici storie, e, in un secondo momento, si
crearono quasi naturalmente i profondi legami che portarono all’ambizioso
progetto de Il Signore degli Anelli.
2.3 TOLKIEN E LE INFLUENZE DEL XX SECOLO
Riprendendo alcuni tratti della biografia di Tolkien è possibile comprendere
quanto alcune esperienze della sua vita abbiano influenzato la creazione
dell’universo de Il Signore degli Anelli. Tolkien nella creazione della sua
opera ha preso spunto da ogni aspetto della sua vita, da ogni esperienza
che potesse rendere più veritiero e realistico il racconto.
Grazie a questo lavoro di introspezione e di ricerca Tolkien è riuscito a dare
veramente vita ad ogni suo personaggio e a far trasudare realtà dai luoghi
narrati nel suo libro. Nulla lascia credere al lettore che quei paesaggi non
esistano poichè vengono totalmente circondati dalla magia de Il Signore
degli Anelli.
Analizziamo ora i passaggi fondamentali della vita dell’autore che risultano
più significativi.
25 Cfr. appendice (1)
26 Ivi, (2)
1
2.3.1 Sarehole
Il primo luogo fondamentale è senza ombra di dubbio Sarehole
27
, piccolo
villaggio del Warwickshire, nel quale visse con la madre e il fratello in
una piccola casa di mattoni. Infatti l’area influenzò la verde e pacifica
descrizione de La Contea nei suoi lavori. Il vicino parco Moseley Bog,
divenuto recentemente una riserva naturale, fu probabilmente ispirazione
per la Vecchia Foresta, il fiume Cole divenne il Brandivino (Baranduin), la
collina dove c’è lo Spring Hill College è stata facilmente ispirazione per Casa
Baggins. Sarehole risultava un paese pre-moderno il cui mulino era azionato
ancora dalla ruota ad acqua, dove le automobili erano “oggetti rari”
28
, nel
quale la vita scorreva lenta, a contatto con la natura circostante essendo
ancora una piccola contea agricola.
Sulle mappe disegnate da Tolkien la Contea è situata più o meno nella stessa
posizione dell’Inghilterra nelle moderne mappe europee con la differenza che
l’Inghilterra è un’isola mentre la Contea si trova all’interno del continente.
Inoltre, molto significativo è il nome che viene dato dall’autore a questa
terra ovvero “The Shire”, ovvero un termine specifico per indicare le contee
britanniche, piuttosto che il più comune sinonimo country.
2.3.2 Le figure femminili: un omaggio alla madre
La morte della madre fu un altro punto fondamentale nella vita di Tolkien
che certamente influenzò l’immaginario delle figure femminili delle sue
opere. La madre morì, secondo l’autore, come una “martire”, sopportando
le ostilità del resto della famiglia che non condivideva la sua fede cattolica.
Il contrasto tra l’immagine “santificata” della madre e il dolore per la sua
27 Cfr. immagini nell’appendice (3)
28 Cit. Prefazione alla seconda edizione de “Il Signore degli Anelli” Traduzione: Lorenzo
Gammarelli. Tratta da http://www.soronel.it/TS0001.html che a sua volta cita il numero 10
di Minas Tirith, rivista della Società Tolkieniana Italiana. [data di ultima visualizzazione 20
novembre 2010]
1
perdita si trovano frequentemente ne Il Signore degli anelli in molte delle sue
protagoniste. Una delle figure femminili principali dell’opera è certamente
Éowyn, la valorosa nipote del re Théoden di Rohan la quale ha una
personalità articolata, forse addirittura la più complessa di tutto il romanzo.
Inizialmente il suo scopo era la gloria per la propria casata: per questo
contava di sposare Aragorn e diventare una guerriera. Quando Vermilinguo
29
aveva stregato Re Théoden con le sue malevoli parole, ne aveva destinate
alcune anche alle orecchie di Éowyn con lo scopo di sminuire ancora di più
il valore della Casata di Rohan agli occhi della giovane, sperando così di
riuscire poi a rapirla. Sconfitto il maleficio del consigliere, Re Théoden partì
per andare in aiuto di Gondor. Éowyn capendo che egli stava probabilmente
andando incontro alla morte, si aggregò segretamente all’armata portando
con sé Merry, anch’egli escluso dagli altri guerrieri. Ella sotto mentite spoglie
partecipò alla battaglia dei Campi di Palennor riuscendo ad uccidere il Signore
dei Naz-gûl vendicando la morte del suo Re. Ma in realtà quello di Éowyn era
un desiderio di morte: infatti voleva morire ed essere ricordata come eroe,
credendo oramai che la casa di Eorl fosse giunta alla fine. Aragorn riuscì
a salvarla e dopo averla curata non la svegliò personalmente, ma la fece
chiamare dal fratello, affinché ella non ricordasse per prima cosa il proprio
amore impossibile. Ripresi i sensi la fanciulla capì di poter continuare a
vivere. La seconda figura rilevante è La Dama Galadriel: una nobile elfa
della Terra di Mezzo, che regnò insieme al suo sposo Sire Celeborn sui
reami di Eregion e Lórien. Il suo nome paterno era Artanis (“nobile donna”)
e quello materno Nerwen (“ragazza-uomo”) ma il nome che preferì fra tutti
fu quello di Galadriel che significa “donna coronata con una ghirlanda di
luce brillante”, in riferimento ai suoi capelli. Anch’ella, come Eowyn viene
presentata come esile, dolce, rassicurante, come una figura materna ma
allo stesso tempo divinizzata, forte, coraggiosa, degli “angeli” portatori di
vita e di morte allo stesso tempo. Queste figure eteree si scontrano con il
dolore della perdita, la paura dell’ombra e della morte proprio come Mabel
29 Gríma Vermilinguo è il consigliere di Re Théoden ma in realtà rispetta gli ordini
impartitigli da Saruman. Viene smascherato da Gandalf e scacciato dal regno di Rohan.
20