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Introduzione
Nel presente elaborato è stato indagato il settore tessile-abbigliamento, in particolare
con riferimento ai comportamenti ed alle scelte adottate dalle imprese italiane in termini
di internazionalizzazione e di innovazione dei prodotti e/o dei processi produttivi.
Tale comparto ha stimolato la curiosità del candidato per l’importanza che assume
ancora oggi per l’economia del nostro paese, il cui “brand” (made in Italy), che identifica
la capacità delle imprese nostrane di realizzare e offrire al consumatore finale prodotti
di alta qualità e che racchiudono la tradizione manifatturiera nazionale, è frutto, tra gli
altri, delle produzioni realizzate proprio dall’industria di cui si sta discutendo.
L’aspetto che più di tutti ha attirato l’interesse dell’autore è l’innovazione tecnologica
rapportata al comparto del tessile-abbigliamento, un argomento che non è mai stato
veramente trattato dalla letteratura in virtù del fatto che l’attività innovativa non
costituisce, com’è comprensibile, uno degli elementi cardine del settore analizzato.
Proprio per questo è stata condotta un’indagine sulla capacità brevettuale delle imprese
italiane, per verificare in che misura l’industria nazionale possa definirsi innovativa
nonostante, appunto, la componente innovativa non sia quella che più di altre
contraddistingue il prodotto finale della filiera, famoso per l’elevato livello qualitativo.
Prima di focalizzare l’attenzione sull’innovazione si è ritenuto opportuno investigare le
dinamiche dell’internazionalizzazione, un aspetto che ha permeato l’evoluzione
dell’economia e di tutti i settori produttivi nel passaggio all’era dei mercati globalizzati.
L’internazionalizzazione, sia produttiva che commerciale, rappresenta un punto di
arrivo nel percorso che ha segnato il graduale cambiamento delle scelte e dei
comportamenti delle imprese, che viene illustrato nel Capitolo 1 partendo dalla strategia
di integrazione verticale, che prevede che la singola impresa “accentri” presso le sue
unità produttive un elevato numero di attività della filiera in cui opera. Dal punto di vista
temporale tale strategia, tuttora adottata anche se in misura minore, ha segnato una
precedente era economica, quella delle big corporations, che tendevano a svolgere al
loro interno un gran numero di fasi produttive. Nel passaggio da questa strategia alla
frammentazione internazionale della produzione e, quindi, alle catene globali di valore,
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viene considerato anche il ruolo giocato dai distretti industriali, che caratterizzano il
tessuto economico italiano, e le loro modalità di internazionalizzazione prevalenti.
Il Capitolo 2 si concentra sul settore del tessile-abbigliamento, del quale vengono
illustrate innanzitutto le dinamiche che lo hanno caratterizzato, sia a livello
internazionale che a livello europeo. Nel medesimo capitolo vengono analizzate le
dinamiche dell’industria nazionale illustrando tre delle quattro strategie che le imprese
del comparto utilizzano per confrontarsi con i nuovi competitors, il cui vantaggio
principale è costituito dalla disponibilità di manodopera a basso costo.
Il Capitolo 3 introduce il tema dell’innovazione tecnologica come una delle strategie
che le imprese del settore hanno a disposizione per competere con i nuovi concorrenti
internazionali, che possono contare su condizioni produttive molto più convenienti.
Vengono quindi proposte le tendenze dell’innovazione tecnologica: ciò è stato realizzato
adottando una prospettiva sempre più ravvicinata, passando dalla dinamica mondiale a
quella europea e, infine, a quella italiana. Viene poi illustrato il rapporto tra l’attività
innovativa e l’industria del tessile-abbigliamento, sottolineando tra l’altro il ruolo del
settore meccanotessile ai fini dell’innovazione nel settore analizzato e mostrando alcuni
casi aziendali di imprese italiane e progetti nel Tessile e Abbigliamento.
Il Capitolo 4 concerne lo svolgimento della ricerca empirica realizzata e i risultati
ottenuti. In particolare, è stata condotta un’indagine avente ad oggetto i brevetti registrati
presso l’Ufficio Statunitense dei Marchi e Brevetti (USPTO) senza limiti temporali, il
cui assegnatario fosse italiano e il cui uso fosse destinato all’industria del tessile-
abbigliamento. Gli aspetti analizzati sono la dinamica temporale e la localizzazione
dell’attività innovativa, nonché la natura dei brevetti registrati.
Prima di illustrare le conclusioni vengono presentati degli approfondimenti relativi a
tutti i sopracitati elementi, mettendo inoltre in relazione tra loro i dati sulla
localizzazione e sulla natura delle innovazioni brevettate per ottenere informazioni con
un maggior livello di dettaglio, fino a calcolare un indice di capacità brevettuale delle
industrie italiane del tessile-abbigliamento e del meccano-tessile.
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Capitolo 1
L’evoluzione recente dell’industria manifatturiera e la
frammentazione internazionale della produzione
1.1 L’integrazione verticale della produzione
L’analisi dell’evoluzione della struttura industriale e dei processi di
internazionalizzazione (nelle due fattispecie commerciale e produttiva) si snoda lungo
un percorso composto da tappe caratterizzate ognuna da una strategia prevalente che ne
costituisce, dunque, il tratto distintivo. In tal senso, la seconda metà del XX secolo può
essere suddivisa in tre periodi ideali in relazione alle forme che l’internazionalizzazione
può assumere (scambi con l’estero, accordi e investimenti diretti esteri):
a) l’era delle imprese multinazionali (’50-’70), nel corso della quale le imprese
decidono di spostarsi da modalità semplici e soft di internazionalizzazione
(come le esportazioni) ad altre più complesse (come gli investimenti diretti
esteri) che favoriscono la grande dimensione e, quindi, il ricorso
all’integrazione verticale;
b) l’era della de-verticalizzazione (anni ’70), caratterizzata dalla crisi della big
corporation a favore di forme di decentramento produttivo e di soluzioni
organizzative maggiormente in grado di aderire al mercato, ossia piccole e
medie imprese specializzate in determinate fasi del ciclo produttivo;
c) l’era della globalizzazione (’80-oggi), che potrebbe essere a sua volta
scomposta in diverse fasi (almeno tre) e che ha mostrato sempre più la
tendenza dell’economia ad assumere una dimensione sovra-nazionale. Si
tratta di un processo di omogeneizzazione dei consumi, un continuo processo
di integrazione fra economie di paesi diversi caratterizzato dal fatto che una
quota crescente dell’attività economica mondiale viene svolta da attori
dislocati in tutto il mondo.
Sulla base di questa premessa si è ritenuto opportuno approfondire, inizialmente, il tratto
principale della prima fase sopra illustrata ossia la strategia di integrazione verticale, per
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poi verificare nel Capitolo 2 i fattori che hanno indotto le imprese ad utilizzare, nel
settore tessile-abbigliamento, soluzioni organizzative alternative.
Nell’alveo della letteratura economico-manageriale al concetto di integrazione sono
stati associati molteplici significati. In maniera intuitiva, l’integrazione configura un
processo di internalizzazione, nell’impresa, di funzioni, processi, attività e capacità
produttive che in precedenza venivano svolte o erano collocate all’esterno della stessa.
Questo concetto abbraccia, come accennato, diverse interpretazioni, le quali fanno
riferimento a differenti ragioni strategiche. Per questo appare utile individuare quattro
diverse forme di integrazione (Panati e Golinelli, 1991):
a) Integrazione orizzontale: corrisponde al fenomeno di crescita orizzontale
dell’impresa e si ha a seguito dell’espansione dell’attività, da parte di
quest’ultima, a prodotti, processi e know-how affini alla filiera tecnologico-
produttiva attuale. In questo caso, tra le produzioni integrate sussistono vincoli
tecnologici e di mercato. I vincoli tecnologici sono connessi ad una matrice
produttiva comune, che si riflette nella presenza di fasi comuni di lavorazione o
nell’utilizzo di tecnologie similari, mentre i vincoli di mercato derivano da una
comune impostazione delle politiche di mercato (quindi di promozione,
distribuzione, ecc.). Si assiste, dunque, ad un processo di integrazione orizzontale
quando, nell’ambito di un ciclo produttivo, imprese che operano nello stesso
stadio della produzione si uniscono tramite operazioni di acquisizione. Un
esempio è rappresentato dall’acquisizione dell’azienda americana Chrysler
tramite un’escalation perfezionata ad inizio 2014 da parte del gruppo
automobilistico FIAT (ora FCA). Fondamentalmente, quindi, la logica sottesa ad
una strategia di crescita orizzontale è lo sviluppo interno al settore in cui
l’impresa opera. L’integrazione orizzontale è stata approfondita sia sotto il
profilo organizzativo che dell’economia industriale. Gli studi di management
strategico ne hanno evidenziato le implicazioni organizzative sottolineando
come, tra le strategie di crescita, quelle di sviluppo interno siano tra le più
praticabili in quanto coerenti con il patrimonio di risorse e competenze
posseduto. Non a caso, i vantaggi competitivi di queste strategie sono spesso
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connessi all’exploitation di risorse interne legate all’attività di R&S, marketing e
tecnologica, comunque di tipo industry specific. Dal punto di vista dell’economia
industriale, invece, è stato rilevato come le strategie di crescita orizzontale
possano incidere sulla competizione tra imprese, andando a modificare i rapporti
di forza in termini di potere di mercato. E’ plausibile, infatti, che nel momento in
cui il processo di crescita di un’impresa all’interno di un certo business diventi
particolarmente consistente rispetto alla dimensione totale del mercato attuale
l’impresa in questione ottenga una posizione dominante. Per questo motivo, dati
i suoi potenziali effetti anti-concorrenziali, numerosi economisti industriali
hanno messo in luce i rischi per il benessere di una collettività derivanti dalla
concentrazione settoriale (Utton; Townsend, 1970; Sylos Labini, 1967).
b) Integrazione laterale: indica un processo di crescita a latere rispetto alla filiera
manifatturiera caratteristica (Ferrucci, 2000) e conduce, quindi, ad una strategia
di diversificazione produttiva. Questo processo di integrazione si concretizza
nell’inserimento, nell’attuale gamma di prodotti dell’impresa, di altri manufatti
ad essi correlati sotto il profilo delle tecnologie impiegate (l’impresa, partendo
dal medesimo input di base, arriva a realizzare prodotti diversificati) o del
mercato di sbocco.
c) Integrazione diagonale: comporta processi di internalizzazione di servizi
industriali (progettazione, engineering, ecc.) e di fasi di attività che non
appartengono al medesimo ciclo produttivo ma sono ad esso collegate, in modo
trasversale (o, appunto, diagonale), da stretti legami funzionali. In genere, questa
strategia di crescita comporta quindi la collaborazione con imprese di servizi la
cui attività principale consente all’impresa che si integra di beneficiare di una
maggiore fruibilità e di una riduzione dei costi del servizio principale. Parliamo,
quindi, di attività “ausiliarie” rispetto a quella dell’impresa principale, ad
esempio manutenzione, logistica, telecomunicazioni e così via. Le politiche di
integrazione diagonale, in definitiva, non comportano necessariamente
l’acquisizione della proprietà di altre imprese, poiché permettono di raggiungere
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validi obiettivi strategici attraverso semplici forme di alleanze o collaborazioni
tra attori che non modificano l’assetto proprietario (Invernizzi, 2006).
d) Integrazione verticale: concerne processi di internalizzazione di fasi e attività
relative alla filiera che caratterizza un determinato prodotto.
L’integrazione verticale, cui finora abbiamo soltanto accennato, può essere definita
come l’ampiezza con la quale i vari cicli produttivi, manifatturieri e commerciali,
consecutivi o sequenziali, della filiera produttiva complessiva, sono effettuati dentro una
stessa impresa (Panati e Golinelli, 1991). In altre parole, la strategia di integrazione
verticale consiste in un processo di internalizzazione sequenziale o verticale delle fasi
della filiera tecnologico-produttiva direttamente collegate a quelle già svolte
dall’impresa. L’industria chimica e quella petrolifera rappresentano due esempi di
settori in cui le imprese sono caratterizzate da un elevato grado di integrazione verticale
in quanto svolgono al loro interno molte delle fasi della filiera produttiva complessiva.
Per converso i distretti industriali, che caratterizzano il nostro tessuto economico-sociale
e che saranno trattati più avanti, rientrano tra i modelli di impresa con un grado di
integrazione verticale palesemente contenuto in virtù del fatto che le imprese che
operano al loro interno sono specializzate nello svolgimento di singole attività.
In base all’orientamento adottato dall’impresa si ha l’integrazione verticale a monte, o
ascendente (o backward integration), e a valle, o discendente (o forward integration).
Con l’integrazione verticale a monte, o ascendente, l’impresa internalizza nel processo
produttivo produzioni di base o intermedie rispetto al processo terminale. Questo
significa che, con la backward integration, l’impresa incorpora al suo interno la
realizzazione di input che in precedenza venivano acquistati all’esterno e ciò può
avvenire anche tramite l’acquisizione di imprese fornitrici. Ad esempio l’acquisizione,
da parte del gruppo Ferrero, del gruppo turco Oltan (attivo a livello mondiale
nell’acquisto, la trasformazione e la commercializzazione di nocciole), configura
un’integrazione verticale a monte poiché finalizzata ad ottenere il controllo di un input,
come le nocciole, di cui Ferrero necessita per l’ottenimento di diversi prodotti.
Con l’integrazione verticale a valle, o discendente, l’impresa modifica il suo mercato di
sbocco e lo fa incorporando uno stadio di produzione caratterizzato da una maggiore