3
INTRODUZIONE
“Qui veggonsi larghissimi campi e prati per nodrigare gli armenti, dai quali
se ne trae tanto cacio quanto in nessun altro luogo d’Italia”, così Leandro
Alberti, storico e filosofo, descrive il lodigiano nella sua “Descrizione di
tutta l’Italia” del XVI secolo.
Una descrizione esaustiva a rappresentare una terra da sempre deputata
all’attività agricola, all’allevamento del bestiame, alla produzione del latte,
alla sua lavorazione ed alla conseguente trasformazione, in cui ha avuto
sede una delle più importanti industrie di trasformazione del latte e dei
suoi derivati, quale fu la Polenghi Lombardo, che qui insediò il più grande
stabilimento lattiero-caseario d’Europa.
Oggi la fisionomia economica del Lodigiano è profondamente mutata. La
Polenghi Lombardo in quanto tale, non esiste più e ciò che ne residuava è
stato incorporato nella New Lat. Il territorio è costellato da insediamenti
destinati alle logistiche. Fioriscono i supermercati e le aziende chiudono.
Nonostante tutto però continuano comunque a persistere realtà di
dimensione piccole o medio - grandi a spiccata vocazione lattiero-casearia
4
che hanno il pregio non solo di conservare e tramandare l’individualità di
questa terra, ma anche di rappresentare ancora una valida alternativa
economica al di là dell’attuale crisi congiunturale.
La tipica cascina lodigiana per tanto seppur tra difficoltà crescenti, fra cui
la proporzionale diminuzione dei terreni ad uso agricolo, la crisi del
mercato suinicolo e lattiero-caseario, resiste e continua a produrre, a
creare ricchezza e posti di lavoro.
Le quote latte, le difficoltà di accesso al credito create da Basilea 2, i
provvedimenti dell’Unione Europea in termini di produzioni alimentari, le
crescenti difficoltà di reperibilità della manodopera non sono bastate per
frenare e ridurre, la volontà operativa e produttiva degli operatori
lodigiani rimasti ancora sul mercato.
Obbiettivo di questo lavoro è quindi quello di analizzare il ruolo e
l’importanza economica del settore lattiero-caseario nel Lodigiano.
Per fare questo è opportuno iniziare con un breve, ma -a parere di chi
scrive- indispensabile excursus storico che consenta di collocare l’attuale
realtà, quale frutto degli eventi e delle situazioni geografiche,
economiche-ambientali che l’hanno preceduta.
5
Partendo in particolare dal XVI secolo che rappresenta il periodo da cui si
dispone di fonti più attendibili e sotto il profilo aziendale più fattive a
spiegare l’evoluzione sino ai giorni nostri.
Questo lavoro vuole quindi esaminare la situazione delle imprese operanti
sul mercato, analizzare i livelli produttivi, quelli occupazionali e le
prospettive future.
L’enunciato si propone di iniziare dalla descrizione dei prodotti
caratteristici del settore lattiero-caseario lodigiano, della loro valenza
economica a supporto della gestione aziendale senza dimenticare
l’incidenza e l’onere politico-finanziario delle quote latte, valutare il
fenomeno cooperativo e risultati raggiunti, comparare i risultati delle
aziende locali con quelli nazionali operanti nello stesso settore e
concludere cercando di capire quali prospettive il futuro può riservare a
un’attività economica nota nel passato, ma che non vuole arrendersi al
futuro.
6
1 CENNI STORICI E
GEOGRAFICI
Il territorio lodigiano si trova al centro della pianura Padana, ponte
naturale tra l’Europa di mezzo e l’Europa mediterranea che da Milano
declina dolcemente verso l’Emilia in direzione sud-est. È delimitato
naturalmente a nord dal canale Muzza Adda (o Addetta), nord-est dal
fiume Adda, a nord-ovest dal Lambro e a sud dal Po e si estende tra le
provincie di Cremona, Piacenza e Pavia. Rimangono esterni a questi
confini, ma fanno comunque parte del Lodigiano una striscia di terra sulla
sponda destra del Lambro settentrionale, confinante con la provincia di
Pavia, ed un’area sulla sponda sinistra della Adda, confinante con la
provincia di Cremona.
Questa parte di pianura che interessa una superficie di 81.597 ettari, per
una larghezza massima da nord a sud di circa settanta chilometri ed una
larghezza massima di circa venticinque chilometri tra le foci del Lambro e
dell’Adda nel Po, si presenta alla vista di chi la percorre come un
susseguirsi di campi, rogge, alberature e strade, all’interno dei quali si
7
collocano gli insediamenti abitativi: un territorio dove l’uomo e la sua
opera sono stati protagonisti, sfruttando la particolarità della posizione
geografica e i caratteri costitutivi dell’ambiente naturale. La posizione
geografica, oltre a favorire il passaggio delle vie di comunicazione, ha
determinato il carattere del clima che , di tipo continentale, come nel
resto della pianura Padana, non è però influenzato dall’imminenza di
massicci montuosi e dalla vicinanza del mare. Da ciò deriva una assenza di
forti scarti stagionali nelle temperature che sarebbero poco tollerabili
dalle colture.
La disponibilità d’acqua del Lodigiano è molto elevata sia in superficie,
dove esiste una fitta rete di rogge e canali artificiali, che in profondità,
dove presenta numerose falde. I suoi terreni agrari presentano una
notevole uniformità e possiedono proprietà agronomiche che permettono
abbondanti produzioni.
Questa peculiarità è frutto delle continue bonifiche iniziate già
nell’antichità. Gli Etruschi dapprima e i Galli successivamente, insediandosi
in questo luogo ricco non solo di boschi, foreste, laghi, acquitrini e paludi
(dovute alle continue esondazioni di vari fiumi), ma anche di terre fertili,
8
iniziarono le prime migliorie con opere di bonifica di idraulica ed
impiantarono un’agricoltura stabile ed intensiva.
Questo tipo di agricoltura permise lo stanziamento del bestiame e delle
attività ad esso collegate: la produzione del latte e la sua lavorazione. Qui
infatti si svolgevano arcaiche attività di caseificazione, diverse da quelle
importate dalla successiva dominazione romana, specializzata nella
fabbricazione del formaggio di pecora e capra.
A riguardo celebre è la vicenda accaduta a Giulio Cesare che al tempo del
suo governatorato nella Gallia Cisalpina assaggiò, durante una cena tra
cittadini locali e romani, asparagi conditi con uno strano unguento
sconosciuto a questi ultimi che veniva chiamato burro.
Le migliorie continuarono con i Romani, ma si interruppero con le
successive dominazioni. Le continue guerre portarono ad una
retrocessione in campo agricolo: le zone bonificate ritornarono al loro
stato paludoso o ad essere inghiottite dalle foreste.
Dal X secolo, ai monaci, dapprima ai Benedettini e successivamente ai
Cistercensi, si deve la nuova e ritrovata iniziativa di bonifica. Stabilitisi in
mezzo alle selve ad alle paludi, diradarono foreste, asciugarono e
9
dissodarono terreni, incanalarono le acque e fecero lavori agricoli che
nessun privato avrebbe ardito intraprendere. Coltivavano il lino, il
frumento, la segale, il miglio, più il prato ed il pascolo, allevarono quantità
di pecore, maiali e bovini, ritiravano ad un prezzo equo i prodotti agricoli
ed il latte che i contadini non utilizzavano all’interno delle loro realtà
agricole; dal latte facevano cacio (“caseus de malga o formagia vacea”).
È in questo periodo che si ritrova la prima definizione di formaggio:
Muratori afferma che nell’anno 937 trova la definizione di “formatico
1
”.
Altre citazioni di questo “formagis” ci sono pervenute da un manoscritto
dell’archivio vescovile di Lodi del 1207 e nell’istrumento d’investitura fatta
da monsignor Egidio Dell’Acqua a certi De Populo nel 1308. Quando si
parla di “formagis” si intende per l'appunto quel formaggio lodigiano
ottenuto da latte bovino, che poi si definirà “Granone
2
”.
Il 1220, con l’escavazione del canale Muzza, segnò un grande balzo
evolutivo che intensificò l’attività agricola.
Questo permise uno sfruttamento più intensivo dei prati: da quel
momento era possibile ottenere anche 4-5 sfalci all’anno. La conseguente
1
Nell’ANTIQUITATES MEDI AEVI, Tomo 3° dissertazione X-LI, pag. 717.
2
Granone, grana lodigiano, parmigiano o formaggio termini che si riferivano nel passato a quel cacio a pasta dura
caratterizzato da una struttura granulare, tipica produzione di zona.
10
abbondanza di foraggi, base per aumentare le produzioni e ottenere un
latte di qualità migliore per la caseificazione, creò le condizioni per passare
definitivamente all’allevamento “intensivo” di bovini da latte. Per la
produzione di quel “granone lodigiano” infatti si doveva disporre di una
notevole quantità di latte, di stalle con dimensioni apprezzabili e di
territori, con produzioni di grandi quantità e qualità di foraggi, che sono
possibili solo in zone con un alto grado di irrigabilità.
È in questo periodo pertanto che il Lodigiano diventa famoso per i
prodotti dell’industria casearia e per il lino.
Col tempo, attirati dalle produzioni di foraggi (erbatici), molti bergamini,
che transumavano con le loro mandrie a cadenze stagionali dal
Bergamasco in queste zone, finirono per risiedere stabilmente in pianura
avvalendosi del vantaggio dell’allevamento stabulare: nacque così “quella
numerosa classe di capitalisti campagnoli che costituisce la parte più
industriosa e più utile dei nostri fittabili, quella cioè che dedicandosi di
preferenza al governo delle mandre, ed alla fabbricazione del formaggio,
dovette, pel suo proprio interesse, preferire la coltura de’ prati,
11
potentissimo e fors’unico mezzo atto a promuovere la fertilizzazione di
qualunque terreno”
3
.
La presenza di queste grandi mandrie transumanti ha favorito la
produzione di “cascio
4
” su vasta scala ed avrebbe assicurato fama e
ricchezza al territorio definito “caseifero” compreso tra le province di
Milano, Pavia e Lodi.
L’allevamento di vacche e la produzione casearia diventarono infatti, da
quel momento, elementi di integrazione al sistema agricolo della Bassa, di
quello del Lodigiano in particolare, rappresentando per le numerosissime
cascine da “casello” (o casone
5
), la più importante fonte di reddito fino al
primo novecento.
Non stupisce che verso la fine del XV secolo l’agro lodigiano contasse di
circa 150 cascine, ed il suo formaggio sotto il nome di Parmigiano (Parma
era il fulcro del commercio di questo prodotto) figurava già come una
delle più importanti derrate che la Lombardia inviava in quei tempi ad
Anversa.
3
C. Cattaneo, Dell’agricoltura inglese paragonata alla nostra (1857), in Id., Saggi di economia rurale, a cura di L.
Einaudi, Einaudi, Torino 1975, p.237. Ripreso dal libro P. Battilani – G. Bigatti, “Oro bianco”
4
P. Battilani - G. Bigatti, ORO BIANCO, pag. 21.
5
Parte di cascina adibita alla lavorazione del latte
12
Nel casone delle varie cascine avveniva la produzione del Granone che era
sovrintesa dal casaro. Questa figura emblematica (probabilmente nata
dalla classe dei bergamini), alla quali i fittabili delegavano con estrema
fiducia la trasformazione, teneva segreto questo processo e lo tramandava
soltanto di padre in figlio. Altri fittabili invece cedevano il latte e tutta la
successiva fase ai lattai, che, precursori delle latterie nate a cavallo tra
ottocento e novecento, in modo autonomo lo lavoravano.
Come già evidenziato, nel contado di Lodi era concentrata la maggior
parte della produzione di formaggio Grana, ovverosia del solo formaggio
che raggiunse i mercati esteri. Questo territori fu l’area che diede impulso
alla crescita e trainò per un primo momento il settore lattiero-caseario,
che tra la metà del settecento fino all’unità d’Italia vide crescere le
produzioni di Parmigiano e le sue esportazioni.
La leadership non era detenuta soltanto nelle produzioni del famoso
granone: “il solo contado di lodigiano nella seconda metà del
[diciottesimo] secolo era così in grado di garantire una produzione di
burro sufficiente a coprire il proprio fabbisogno, assicurare la copertura di
quello della capitale e sostenere una florida esportazione
6
”.
6
P. Battilani – G. Bigatti, “Oro bianco”, pag. 281.
13
Questi risultati si erano potuti raggiungere per il numero di capi presenti
sul territorio: “nel secondo settecento nello Stato milanese di circa 50000
vacche da latte, di cui la metà nel solo contado lodigiano
7
”.
Per esemplificare riportiamo le produzioni del 1753 stimate da Pietro
Verri
8
e rapportate con quelle del ducato di Milano ed del principato di
Pavia ed uno studio
9
successivo compiuto nel 1828.
Tabella 1 Consistenza e produzioni nel 1753
casoni % vacche % forme
annue
%
Ducato di Milano 97 26,43 5333 25,84 25124 24,49
Principato di Pavia 76 20,7 4115 19,71 21201 20,66
Contado di Lodi 194 52,87 11428 54,74 56248 54,83
Totale 367 100 20876 100,3 102573 99,98
7
P. Battilani – G. Bigatti, “Oro bianco”, pagg. 284-285.
8
Pietro Verri, conte, (Milano 12 dicembre 1728 – Ornago, 28 giugno 1797) un filosofo, economista, storico e scrittore.
9
J. Burger, Agriculture du royame Lombardo-Vénetien, ouvrage traduit da l’Allemand, Librairie Bonuchard-Huzard,
Paris 1842, p.299.
14
Tabella 2 Consistenza e produzioni nel 1768
casoni vacche forme annue
1753 1768 %
10
1753 1768 % 1753 1768 %
Ducato di
Milano 97 179 36,46 5333 9189 24,36 25124 40926 32,65
Principato
di Pavia 76 102 20,77 4115 6912 18,32 21201 24992 19,93
Contado
di Lodi 194 210 42,77 11428 21615 57,31 56248 59422 47,4
Totale 367 491 100 20876 37716 99,99 102573 125340 99,98
La seconda tabella mostra comunque il miglioramento delle produzioni del
ducato di Milano che, come vedremo, negli anni successivi surclasserà il
Lodigiano.
Non solo nella produzione, ma anche nella commercializzazione il primato
era del Lodigiano.
Prima di procedere è doveroso spendere qualche parola sul commercio
del formaggio lodigiano. Questo era praticato dagli “Incettanti” (o
commercianti) che ritiravano le partite del casello o dei lattai, troppo
deboli per poter aspettare la fruttuosa vendita ad avvenuta stagionatura
o per poter affrontare il rischi di grossi difetti di lavorazione che non le
avrebbero portate a maturazione. Le forme venivano così immagazzinate
nelle grandi casere per essere commercializzate ad avvenuta maturazione.
10
Percentuali riferite al solo 1768.
15
Nel corso del settecento Casalpusterlengo e Codogno detenevano questo
primato, da un lato per la vicinanza ai luoghi di produzione, dall’altro per
la vicinanza a Parma (il polo commerciale più importante del settore, dal
quale il formaggio veniva esportato in diversi paesi).
La dominazione Napoleonica modificò i vertici di tale commercio con
l’annessione di Parma all’impero francese e la costituzione della
Repubblica del Regno d’Italia, a cui venne ad appartenere il Lodigiano “gli
abitanti di Lodi cercarono di vendere i loro formaggi senza ricorrere ad
intermediari di Parma, divenuti troppo molesti e troppo complicati
11
”.
Ben presto Milano riuscì ad attrarre su di sé buona parte del commercio
caseario e nel 1840 a Milano e nei sobborghi si concentravano per la
stagionatura e la commercializzazione una quantità di formaggi pari alla
complessiva di Codogno, Lodi e Pavia (valutata in 200000 forme e del
valore di 10-12 milioni di lire).
L’analisi del numero di casoni esistenti nella provincia di Milano e di Lodi è
da questo punto di vista indicativo dello spostamento degli assi
commerciali. Se negli anni cinquanta del XVIII secolo, il rapporto casoni-
vacche-forme era equilibrato, già nel 1768 si assistette nel Milanese a una
11
E. V. Tarle, “la vita economica dell’Italia nell’età napoleonica”, pag. 128. Ripreso dal libro P. Battilani – G. Bigatti,
“Oro bianco”
16
iperproliferazione dei casoni rispetto a una produzione che cresce a ritmi
di poco superiori a quelli Lodigiani. Nel corso degli anni quaranta
dell’ottocento poi il numero dei casoni esistenti nel milanese (243) superò
decisamente quello lodigiano (225, di cui però 9 cremaschi), il cui sviluppo
pare quasi essersi bloccato dopo il boom degli anni sessanta del
settecento allorché aveva raggiunto le 210 unità.
Nel periodo dell’unità d’Italia diversi fattori portarono un cambiamento
profondo: primo fra tutti l’unificazione del mercato nazionale ed
un’omogenea legislazione; secondo i miglioramenti, portati sempre
dall’unificazione, delle reti di comunicazione, in particolare quelle
ferroviarie; terzo un netto miglioramento nelle tecnologie agrarie; quarto
l’influenza delle innovazioni casearie del nord Europa sull’imprenditoria
lombarda; quinto un nuovo gruppo di imprenditori,che seppero cogliere le
opportunità offerte dai nuovi mercati europei che si aprivano alla
conquista dei prodotti lattiero-casearii italiani.
Nel Lodigiano la culla dell’industria lattiero casearia fu senza dubbio
Codogno. Qui si concentrava da tempo il maggior numero di commercianti
di burro e formaggio dell’intero territorio ed erano presenti 28 centri di