3
Introduzione
Misurare la portata psichica del senso di colpa inconscio nei processi psichici
che accompagnano lo sviluppo della personalità, è l‟obiettivo eminente del presente
lavoro. A tal fine, esaminando le questioni teoriche di maggior rilievo, si è cercato
di seguire Freud nei suoi tentativi di elaborare una descrizione ed una spiegazione
metapsicologica del senso di colpa così come egli l‟ha incontrata nel corso della sua
esperienza clinica.
La colpa si muove lungo complicati percorsi sia nell‟interiorità di ognuno, sia
nei suoi itinerari sociali, giuridici e religiosi. L‟essere umano è l‟unico capace di
creare simboli, ma è anche il solo animale che possa affermare di sentirsi in colpa.
L‟azione perturbante della psicoanalisi consiste nell‟aver infranto i codici costituiti
per addentrarsi nel complesso articolarsi della nostra natura animale, con le sue
pulsioni, i suoi bisogni e desideri, e con la sua impotenza e fragilità di fondo,
nell‟articolarsi di tutto questo con la capacità che gli individui hanno di prendere
decisioni, con le risposte della famiglia, della cultura e della società che tutti
incontriamo sin dall‟inizio della vita.
1
La scoperta dell‟inconscio dinamico, grazie
alla quale Freud poteva affermare che il nostro Io non è così libero come tutti noi
vorremmo credere, sembra aderire alla prospettiva secondo la quale il clinico non
può „giudicare‟ il paziente. Il giudizio è incompatibile con il desiderio di
comprenderlo e curarlo. Dunque, che la colpa non debba essere oggetto di giudizio
è un principio che può essere colto anche nell‟idea che fa della colpa un „errore‟.
Ma parlare di „errore‟ non implica sempre una visione deterministica degli atti
umani. La colpa, potremmo dire, ha acquistato la forza della categoria mentale.
Entrato ormai nel lessico familiare, nella struttura stessa del linguaggio, per altri
1
F. Petrella, “Polisemia clinica e strutturale dei sentimenti di colpa” (1990), in Turbamenti affettivi e
alterazioni dell‟esperienza, Cortina, Milano 1993, pp. 316 sg.
4
versi, il concetto di colpa ha sostituito per molti l‟idea di „peccato‟ e,
paradossalmente, di „causa‟. È ciò che constatiamo quando, per un probabile
residuo animistico, diciamo ad esempio che „è colpa dello straripamento di un
fiume se qualcuno è annegato‟.
Fin dai tempi più remoti, staccarsi dall‟ottica tradizionale della colpa, dalla
necessità di trovare un colpevole, dal bisogno di punire o di essere puniti e dalla
speranza di redenzione, sembra susciti per lo più angoscia e panico: si teme la
ritorsione, l‟ingovernabilità degli impulsi distruttivi, l‟annientamento. Questi timori
hanno una loro ragion d‟essere: sulla logica della colpa-responsabilità si è andata
creando l‟intera nostra civiltà.
A questo punto tanto ovvia quanto importante, è rammentare che la nozione di
colpa non è stata creata dalla psicoanalisi, essa è inscritta nei miti, nella religione,
nella letteratura, nella filosofia e nell‟arte, ma non fa parte dei concetti
fondamentali della psicoanalisi. Nella Enciclopedia della psicoanalisi di Laplanche
e Pontalis, si ha una voce per il senso di colpa cui viene riconosciuta una accezione
molto ampia. Accanto alla definizione di „colpa‟ che allude ad una condizione
oggettiva (l‟aver commesso un fatto, il fatto stesso), indipendentemente dalle
emozioni che suscita nel colpevole, abbiamo una definizione di „senso di colpa‟ che
allude al vissuto emotivo che prova chi ritiene, a torto o a ragione, di essere
colpevole.
2
Tuttavia anche in psicoanalisi non sembra si possa misconoscere l‟importanza
di un tale concetto. Secondo lo stesso Freud, l‟universo della malattia mentale è
caratterizzato dai sentimenti dolorosi connessi ad una colpa ed all‟attesa di un
castigo. Egli è giunto a paragonare la psicoanalisi ad un procedimento giudiziario
nel corso del quale occorre cercare il colpevole e, in qualche modo costringerlo a
confessare.
3
2
J. Laplanche, J. B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, ed. C.D.E (su licenza Laterza 1968),
Milano 1983, p. 553.
3
S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (1917), Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino 1976, p. 231.
In proposito si segnalano gli studi di Theodor Reik, il quale, rilevando come sia proprio il bisogno
di confessare unito alla impossibilità di farlo che rende malati, ha dedicato a questo problema
un‟opera dal titolo L‟impulso a confessare, ed. Feltrinelli, Milano 1967.
5
Familiare ed estraneo al contempo, anche al senso di colpa si potrebbe forse
estendere l‟osservazione pronunciata da Freud in merito alle pulsioni che egli definì
come “grandiose nella loro indeterminatezza.”
4
Che si abbia sempre una motivo per sentirsi colpevoli è una affermazione
fondamentale della scoperta psicoanalitica che nel corso del presente lavoro
ritroveremo in Freud come in Klein.
Il sospetto di Freud è che siano proprio i sentimenti di colpa inconsci a creare
quel clima di disagio ed angoscia in cui si imbatte la clinica: “Nel corso del lavoro
analitico, abbiamo scoperto con nostra sorpresa che forse ogni nevrosi cela un
ammontare di senso di colpa inconscio [...].”
5
Eppure, per una sorta di paradosso, se da un lato la colpevolezza è sempre
presente nella teoria e nella clinica, gli autori di cui ci occuperemo non sembra le
abbiano attribuito alcuno statuto epistemologico particolare: Freud non ha dedicato
al problema della colpevolezza né un libro né un saggio, la Klein ha scritto un
articolo sull‟argomento nel quale però è l‟angoscia ad essere in primo piano.
6
La scoperta di Freud riguarda una colpa inconscia. Tutto si gioca su una scena
diversa da quella sulla quale il discorso ha una presa logica. Sembra che non si
possa affrontare esaurientemente la colpa né come concetto appartenente al
linguaggio comune, né come oggetto fornito di un suo contenuto specifico: ogni
atto può essere colpevolizzato e ad un tempo una colpa reale può benissimo non
accompagnarsi ad un sentimento di colpevolezza. Nel corso del presente lavoro
vedremo come Freud tenterà di spiegare la colpa considerandola talvolta dal punto
di vista del suo oggetto: l‟omicidio del padre; talaltra dal punto di vista del
concetto: la pulsione di morte che definisce un modo di funzionamento della
pulsione.
7
L‟approccio di Melanie Klein è assai più lineare e non implica alcun
riferimento al mito: restando sempre all‟interno di una prospettiva intrapsichica, è
l‟angoscia il dato di partenza delle sue riflessioni sul complesso rapporto che
4
Scrive Freud, Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni) (1932), Opere, vol. XI,
Boringhieri, Torino 1979, p. 204.
5
S. Freud, Il disagio della civiltà (1929), Opere, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, p. 624.
6
M. Klein, Sulla teoria dell‟angoscia e del senso di colpa (1948), in Scritti (1921-1958),
Boringhieri, Torino 1978, pp. 435-453.
7
Siamo di fronte a due livelli di indagine circa l‟origine del senso di colpa: un livello filogenetico ed
un livello ontogenetico.
6
intercorre tra i più precoci ed inconsci sentimenti di colpa e lo sviluppo della
personalità.
8
Altro obiettivo del presente lavoro consisterà nel limitare con maggior
precisione la nozione di colpevolezza. Va ricordato che la colpevolezza è ad un
tempo una rappresentazione ed un affetto.
La colpa come rappresentazione va ricondotta a tutto ciò che appartiene
all‟ordine della colpa o, più propriamente, ad un „giudizio‟ di colpevolezza relativa
ad una esperienza informulabile: omicidio del padre, incesto con la madre, ogni
forma di trasgressione, di inadeguatezza, di insufficienza in cui entrano in gioco
componenti libidiche ed aggressive.
9
La colpevolezza, nell‟ottica freudiana, rientra
nell‟ordine del „debito‟, esprime l‟imperativo di un rapporto formale, un rapporto
che obbliga categoricamente, ma i cui termini di soluzione restano indeterminati.
Poiché secondo ogni logica si dovrebbe avere presunzione di colpa solo in caso di
trasgressione di un interdetto posto dalla legge, la difficoltà consiste proprio nel
pronunciarsi sull‟origine dell‟„interdetto‟ (dalla cui trasgressione sorge un „debito‟
insolvibile) e sulla natura della „legge‟.
Dal punto di vista psicoanalitico, ciò che la pratica analitica incontra non è la
colpevolezza, ma un nodo di affetti che si esprime nella „forma‟ di un diffuso
sentimento di colpa. Come ha precisato Jacques Goldberg: “Si parla di sentimento
di colpevolezza, ma un sentimento è già una elaborazione, una forma di legame di
ciò che sorge in primo luogo allo stato selvaggio. E‟ già un lavoro sull‟angoscia
primordiale.”
10
8
Mentre Freud ha qualche incertezza sull‟origine e la natura dell‟angoscia, per la Klein essa deriva
decisamente da fonti intrapsichiche, interne. Come vedremo nel corso di questo lavoro, il pericolo
che minaccia l‟Io non è un pericolo proveniente dall‟esterno (la minaccia di castrazione
individuata da Freud), bensì un pericolo che viene dal lavoro “interno della pulsione di morte”, ed
è questa “la causa primaria dell‟angoscia”. M. Klein, Sulla teoria dell‟angoscia e del senso di
colpa (1948), op. cit., p. 438.
Un prezioso lavoro di sintesi ed esposizione logica dei principali concetti del pensiero kleiniano ci
viene offerto da Hanna Segal, Introduzione all‟opera di Melanie Klein, Martinelli, Firenze 1968.
9
La colpevolezza in cerca di una rappresentazione è ciò cui si trova di fronte l‟ossessivo: c‟è
qualcosa che deve fare e che egli solo può fare per venire a capo di un debito che non solo è
informulabile ma non può neppure essere saldato, anche se sul piano empirico egli ne potrebbe
venire a capo in maniera più semplice ed ovvia. “L‟uomo dei topi” ha sempre saputo che era alla
“signorina della posta che doveva restituire il denaro degli occhiali”. S. Freud, Osservazioni su un
caso clinico di nevrosi ossessiva (caso clinico dell‟uomo dei topi) (1909), Opere, vol. VI,
Boringhieri, Torino 1974, pp. 7-76.
10
J. Goldberg, La colpa. Un assioma della psicoanalisi (1985), Feltrinelli, Milano 1988, p. 86.
7
Sigmund Freud e Melanie Klein, descrivono il sentimento di colpa
essenzialmente come „angoscia‟.
Per comprendere meglio la complessità del sentimento di colpa, Freud, in
Inibizione, sintomo e angoscia (1925), individua le diverse connotazioni che in esso
l‟angoscia può assumere distinguendo tra angoscia morale (di fronte al Super-io),
angoscia sociale (o angoscia reale), angoscia di castrazione (o pulsionale):
11
egli fa
del sentimento di colpa “una specie topica di angoscia.”
12
La Klein dal canto suo, a proposito del rapporto tra angoscia e senso di colpa,
scrive: “Il senso di colpa è inestricabilmente legato all‟angoscia (più esattamente,
con una forma specifica di angoscia, quella depressiva).”
13
Nel corso della sua
riflessione giungerà a distinguere una angoscia persecutoria ed una angoscia
depressiva, ma solo a quest‟ultima ricondurrà il senso di colpa caratterizzato dalla
valenza riparativa. Sarà invece un autore come Leòn Grinberg, noto psicoanalista
argentino, a postulare l‟esistenza di una colpa persecutoria, riconducibile alla prima
forma di angoscia descritta dalla Klein, molto distante dal comune concetto che
abbiamo di „colpa‟: a differenza della „colpa depressiva‟ accompagnata da un
sentimento di rimorso, preoccupazione e desiderio di riparare l‟oggetto danneggiato
(la persona amata ed odiata), il sentimento che accompagna la colpa persecutoria è
incentrato essenzialmente sulla preoccupazione per la propria incolumità.
14
Se la colpevolezza è angoscia, si capiscono meglio tanto la ricchezza quanto
l‟imprecisione di qualsiasi riferimento alla colpevolezza che finisce con lo
smarrirsi, confondersi e soprattutto informare la realtà stessa del nostro essere
psichico.
L‟ipotesi che sosterremo è che la colpevolezza teorizzata dai nostri autori, non
è un mito o un semplice significante, ma una realtà che fa tutt‟uno con l‟angoscia
inerente all‟ordine pulsionale, all‟ordine del desiderio ed alla divisione dell‟Io.
15
11
S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia (1925), Opere, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, pp. 237-
322.
12
S. Freud, Il disagio della civiltà (1929), Opere, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, p. 621.
13
M. Klein, Sulla teoria dell‟angoscia e del senso di colpa (1948), op. cit. p. 449.
14
L. Grinberg, Colpa e depressione (1971), Astrolabio, Roma 1990, p. 77.
15
Tanto Sigmund Freud quanto Melanie Klein, riconoscendo all‟angoscia la funzione di „segnale‟,
hanno sviluppato una concezione che fa di essa un elemento base ed irriducibile di qualsiasi
orientamento evolutivo.
8
Nel corso della nostra indagine abbiamo ritenuto opportuno chiarire il
problema della scoperta e del significato metapsicologico del senso di colpa come
„sentimento inconscio di colpa‟. Si è poi affrontato l‟interrogativo circa l‟origine
del senso di colpa nella duplice prospettiva, filogenetica ed ontogenetica, tracciata
da Freud, nonché il rapporto tra senso di colpa e moralità. Abbiamo cercato di
definire con maggiore precisione gli stretti rapporti che intercorrono fra il senso di
colpa e le principali manifestazioni pulsioni implicate nell‟ambivalenza affettiva.
Riguardo al problema dell‟aggressività, dopo un percorso che prende in esame non
solo le dinamiche dell‟impasto e del disimpasto pulsionale, ma anche i fenomeni
del sadismo e del masochismo, abbiamo potuto approdare ad una più chiara
definizione del nesso tra aggressività e senso di colpa; nesso che si rivela nel
masochismo morale, nel bisogno di punizione e nel narcisismo morale. Altro tema
fondamentale che ci ha permesso di valutare meglio il peso del senso di colpa nella
metapsicologia freudiana è il problema dell‟angoscia. Ne abbiamo quindi
ricostruito le tappe di pensiero per giungere alla formulazione dell‟ipotesi di una
angoscia come realtà di fondo di cui lo colpa costituisce una prima forma, per
quanto vaga e oscura, di interpretazione. L‟ultimo capitolo, esprime in un certo
senso la sintesi degli fenomeni trattati, aspetti psicodinamici che convergono nella
definizione del rapporto tra Io e Super-io.
A titolo di aggiornamento degli studi freudiani, sotto certi aspetti forse un poco
datati, abbiamo ritenuto opportuno integrare ogni capitolo del presente lavoro con
alcuni fondamentali apporti teorici tratti dal lavoro di Melanie Klein, precorritrice
della psicoanalisi moderna. Allieva e seguace dello stesso Freud, vedremo come le
sue formulazioni costituiscano per certi versi uno sviluppo delle idee del maestro e
per altri uno scostamento.
9
CAPITOLO I
I.1 Descrizione metapsicologica del sentimento di colpa inconscio
L‟espressione „sentimento di colpa inconscio‟ appare paradossale: come si
possa definire „inconscio‟ un sentimento non appare subito chiaro. L‟esperienza
stessa del „sentire‟ significa che già siamo in presenza di una percezione
consapevole. Ciò che è caratteristico del sentimento è proprio l‟essere percepito
dalla coscienza. La formulazione dell‟esistenza di un „sentimento inconscio‟
sembra implicare, almeno di primo acchito, una contraddizione.
Il paradosso inerente all‟idea di un sentimento di colpa inconscio non è
sfuggito a Freud che al riguardo osserva in Metapsicologia (1915): “Sembra
innegabile che sia condizione essenziale di una emozione esserne consapevoli, che
venga cioè conosciuto dalla coscienza. Così la possibilità dell‟attributo di
incoscienza sarebbe completamente esclusa per quanto riguarda emozioni,
sentimenti ed affetti. Ma nella pratica psicoanalitica siamo soliti parlare di amore,
odio, ira, ecc., inconsci, e troviamo impossibile evitare persino la strana unione
„coscienza di colpa inconscia‟ o una paradossale „angoscia inconscia‟.”
1
Un impulso affettivo può essere percepito ma mal compreso, restare cioè
sconosciuto nelle sue vere origini, questo è quanto osserva Freud a proposito delle
emozioni inconsce. “Sappiamo anche che il vero scopo della rimozione è la
repressione dello sviluppo dell‟affetto, e che il lavoro resta incompleto se non viene
raggiunto tale scopo. Chiamiamo „inconsci‟ quegli affetti che ristabiliamo dopo
aver disfatto l‟opera di rimozione, in tutti i casi in cui la rimozione è riuscita ad
inibirne lo sviluppo.”
2
1
S. Freud, Metapsicologia (1915), Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino 1976, p. 61.
2
Ibidem, p. 61.
Per “repressione” qui Freud intende l‟operazione volta ad impedire qualsiasi sviluppo dell‟affetto.
10
Un moto affettivo può allora definirsi inconscio quando, nonostante l‟originaria
rappresentazione abbia subito le sorti della rimozione, lo stesso affetto giunge
ugualmente a manifestarsi grazie alla formazione di nuovi legami con una
rappresentazione sostitutiva. E` quest‟ultima rappresentazione che viene
solitamente assunta dal soggetto come realmente connessa all‟affetto in questione:
“[...] a causa della rimozione del suo rappresentante, [l‟affetto] è costretto a legarsi
ad un‟altra idea, ed ora viene considerato dalla coscienza come la manifestazione di
quell‟idea.”
3
Jacques Goldberg ritiene che in questo senso si possa ammettere che vi sia una
parte di menzogna in ogni sentimento, ma a mentire non è il „sentito‟, così come
non sarebbe corretto affermare che i sensi ci ingannino: l‟inganno si pone dalla
parte del „giudizio‟. E‟ la spiegazione che attingiamo dalla rappresentazione
sostitutiva che fa discorso in quanto un discorso fa legame.
4
Secondo Freud, dunque, siamo autorizzati a qualificare come „inconscio‟ un
sentimento ogni qualvolta la coscienza si inganni nel ricondurlo ad una certa
rappresentazione. Sostenitore del determinismo inconscio, il nostro autore ritiene
che un affetto sia sempre profondamente motivato e che il lavoro dell‟analisi
consista nel portare alla luce quelle rappresentazioni perdute che sole possono
rendere ragione dell‟affetto fino a quel momento apparentemente ingiustificato. “Se
ristabiliamo il vero legame, chiamiamo „inconscio‟ l‟originario impulso affettivo.
Tuttavia il suo affetto non è stato mai inconscio: è accaduto solo che la sua idea è
stata rimossa.”
5
Nella stessa pagina egli osserva che una pulsione non può mai diventare
oggetto di coscienza, ma solo l‟idea che la rappresenta può diventarlo.
6
Poiché
nell‟inconscio, la pulsione non può essere rappresentata se non da un‟idea, la
rimozione inciderà non sulla pulsione ma sugli aspetti ideativi ed affettivi di essa
determinandone la separazione. Il fattore quantitativo del moto pulsionale può
3
Ibidem, p. 61.
4
J. Golberg, La colpa, un assioma della psicoanalisi, Feltrinelli, Milano 1986, p. 86.
Ogni rappresentazione, venendo a stabilire un quadro di relazioni significative, è già una
interpretazione, una attribuzione di valori. Nel caso delle rappresentazioni sostitutive allora non
sembra azzardato parlare di forme ideativo-affettive di pre-giudizio.
5
S. Freud, Metapsicologia (1915), op. cit., p. 61.
6
Rammentiamo che l‟opposizione conscio-inconscio non si applica alla pulsione, concetto limite tra
il somatico e lo psichico.
11
subire tre sorti: può essere represso, trasformato in angoscia, oppure restare
pressoché intatto.
7
La rimozione può dirsi riuscita nella misura in cui la manifestazione dell‟affetto
resta compromessa. Tuttavia non riesce, per tutta la vita del soggetto, ad impedire
completamente lo sviluppo dell‟affetto: troverà una via di scarica non appena venga
a stabilirsi un nuovo legame associativo con una rappresentazione sostitutiva che
sia tollerata dalla coscienza. Lo sviluppo dell‟affetto è reso possibile grazie a questo
sostituto cosciente ed è la natura di quest‟ultimo che determina il carattere
qualitativo dell‟affetto stesso.
8
Freud prende in considerazione i casi di misconoscimento dell‟affetto, con lo
staccarsi del rappresentante pulsionale che ne è investito e la sostituzione di un altro
rappresentante al suo posto, quale causa di questo misconoscimento. Lo stabilirsi di
un legame tra l‟affetto e la nuova rappresentazione fa passare un sentimento dallo
stato inconscio allo stato conscio nel senso comune del termine. In tali condizioni,
pur essendo la scarica emozionale assicurata, il soggetto non si riconosce poiché
ignora il legame tra la rappresentazione rimossa e la rappresentazione sostitutiva. E‟
il caso che si incontra più frequentemente nella nevrosi ossessiva caratterizzata
dalla consapevolezza da parte del soggetto della profonda discrepanza tra
l‟abnormità (apparente) dell‟affetto vissuto e la „ragione‟ che adduce al riguardo, di
cui peraltro non riesce a cogliere il nesso con l‟ideazione originaria.
9
E‟ la presa di
coscienza del rapporto tra le due rappresentazioni che gli permette di comprendere
M. Klein, in un breve passo dedicato specificatamente al “Senso di colpa inconscio”, osserva, in
accordo con Freud, che anche l‟indagine psicoanalitica ha ormai mostrato come i sentimenti di
indegnità, inferiorità, insoddisfazione, mancanza di autostima, ecc., hanno radici più profonde di
quanto abitualmente non si creda, e quanto siano “spesso in rapporto con sentimenti di colpa
inconsci”. Secondo l‟autrice, il sentimento di colpa nasce dalla paura inconscia di essere incapaci
di amare sufficientemente e sinceramente gli altri, e in particolar modo di non essere in grado di
dominare gli impulsi aggressivi verso gli altri: “è il timore di costituire un pericolo per le persone
amate”. Sicché alcune persone avrebbero tanto bisogno della lode e dell‟approvazione degli altri
proprio perché necessitano di prove che confermino che non sono cattive, ma, al contrario, amabili
e degne di amore. M. Klein, “Amore colpa e riparazione” in Amore, odio e riparazione,
Astrolabio, Roma 1969, p. 62-63.
7
Al riguardo Freud osserva che l‟affetto, una volta disgiunto dalla originaria rappresentazione, può
conoscere tre vicissitudini: a) può conservarsi, in tutto o in parte, così com‟è; b) può convertirsi in
un importo di affettività qualitativamente diversa, più frequentemente si tratta di angoscia; c) può
essere represso, restare inibito, cioè non arrivare ad alcuna manifestazione. S. Freud,
Metapsicologia (1915), op. cit., p. 62.
8
Ibidem, p. 63.
9
Con il termine „ragione‟ ci si riferisce a quella serie di surrogati discorsivi di carattere
giustificativo che ruotano attorno alla nuova rappresentazione, o gruppo di rappresentazioni
sostitutive.
12
il motivo per cui la nuova rappresentazione abbia scatenato in lui un sentimento che
non sembra convenire con essa.
10
Sempre in Metapsicologia (1915), Freud descrive gli affetti come il “fattore
quantitativo dell‟impulso.”
11
Si tratta di una formulazione che ripropone, seppure in
una nuova veste, una concezione già enunciata venti anni prima, nello scritto
Progetto di una psicologia (1895), in cui l‟autore parla di neuroni e di quantità di
energia che circola e si scarica.
12
Tornando al 1915, nel passo in cui cerca di
spiegare la differenza tra rappresentazione e affetto, egli così si pronuncia: “Tutta la
differenza consiste nel fatto che le idee sono cariche (fondamentalmente di tracce
mnestiche) mentre gli affetti e le emozioni corrispondono ai processi di scarica, le
manifestazioni finali dei quali sono percepite come sentimenti.”
13
In tutti i casi in cui la rimozione riesce ad inibire lo sviluppo dell‟affetto,
chiamiamo „inconsci‟ gli affetti che ripristiniamo nel correggere il lavoro della
rimozione. Pertanto l‟espressione „sentimento inconscio‟ implica una
contraddizione di carattere puramente logico ma non psicologico.
Riconosciuto il carattere non gratuito del concetto di „sentimento inconscio‟,
possiamo ora far nostra la motivazione che induce Freud ad ammettere, in L‟Io e
l‟Es (1922), l‟esistenza di „sentimenti inconsci di colpa‟: “Si può avanzare l‟ipotesi
che una gran parte del sentimento di colpa debba essere normalmente inconscio,
poiché l‟apparizione della „coscienza morale‟ è intimamente legata al complesso di
Edipo, il quale appartiene all‟inconscio”.
14
10
Se ad esempio ci riferiamo all‟„uomo dei topi‟, diremo che il suo sentimento di colpa è inconscio
fino al momento in cui egli scopre, grazie all‟indagine psicoanalitica, l‟odio e i desideri di morte
che nutre verso il padre. In quel momento i suoi sintomi ed i suoi fantasmi ruotano attorno alla
rappresentazione della morte del padre, ma i suoi desideri sono occultati. Tant‟è che le sue
condotte autopunitive, la sua incapacità di risolvere il piccolo debito contratto con la “signorina
della posta”, gli appare incomprensibile. S. Freud, Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva.
(Caso clinico dell‟uomo dei topi) (1909), Opere, vol. VI, Boringhieri, Torino 1974, pp. 7-75.
11
Scrive Freud: “Le espressioni „affetto inconscio‟ ed „emozione inconscia‟ si riferiscono alle
vicissitudini subite, a causa della rimozione, dal fattore quantitativo dell‟impulso pulsionale”. S.
Freud, Metapsicologia (1915), op. cit., p. 61.
12
S. Freud, Progetto di una psicologia (1895), Opere, vol. II, Boringhieri, Torino 1968, pp. 201-
213.
13
S. Freud, Metapsicologia (1915),op. cit., p. 61.
14
S. Freud, L‟Io e l‟Es (1922), Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977 p. 513.
Circa il rapporto tra senso di colpa, coscienza morale e vicende edipiche, riserviamo una trattazione
più approfondita del problema in un apposito capitolo dedicato alla Origine del senso di colpa, in
cui oltre a Freud, prenderemo in esame la posizione di M. Klein.
13
Chiarito il significato metapsicologico dell‟espressione „sentimento inconscio
di colpa‟ è d‟obbligo concludere con una breve considerazione sul rapporto tra
rimosso e inconscio e, di conseguenza, tra inconscio e affetto.
Sempre nella stessa opera, Metapsicologia (1915), dopo aver posto il problema
della pluralità dei significati del termine „inconscio‟ e isolato quello che si accorda
con il punto di vista topico, ovvero dell‟inconscio come sistema, Freud apre un
articolo dal titolo Topografia e dinamica della rimozione, nel quale,
paradossalmente, non cessa di prendere in considerazione il destino
dell‟investimento energetico: l‟ipotesi topica viene in un certo senso sostituita con
l‟ipotesi economica.
15
Riprendendo quanto già esposto, la pulsione non può divenire direttamente
oggetto della coscienza: la rappresentazione e l‟affetto sono i mediatori necessari
che le permettono di giungere alla coscienza. Successivamente Freud prende in
considerazione le sorti dell‟affetto dopo che, grazie alla rimozione, sia stato
separato dall‟idea cui apparteneva. Il caso della „repressione‟ del fattore
quantitativo ci spinge a riflettere sul rapporto non sempre chiaro tra rimozione e
repressione.
Nella premessa al capitolo dedicato all‟Inconscio, Freud afferma che l‟essenza
della rimozione non consiste nel sopprimere, nell‟annientare una idea che
rappresenta una pulsione, bensì nell‟impedirle di diventare conscia.
16
La rimozione
risparmia l‟esistenza del rappresentante ideativo della pulsione, a condizione che
esso resti inconscio, ovvero assente, latente, reso irriconoscibile dalle deformazioni
e dalle associazioni. Al contrario, la repressione mira a sopprimere il fattore
quantitativo, vale a dire la carica energetica che deve essere, per quanto possibile,
annientata.
17
Ciò significa che nel senso economico, è l‟affetto che deve essere reso
irriconoscibile, descrittivamente inconscio; nel senso topico e dinamico, lo è la
rappresentazione. Il termine „inconscio‟, assume un significato diverso
dipendentemente dal fatto che venga attribuito ad un affetto o all‟aspetto ideativo
del moto pulsionale: “Non si può negare quindi che l‟uso del termine (inconscio)
15
S. Freud, Metapsicologia (1915), op. cit., §. 4, p. 63.
16
Ibidem, p. 50.
17
Cfr. n. 2.
14
sia logico, ma rispetto alle idee inconsce esiste l‟importante differenza che queste
ultime continuano ad esistere dopo la rimozione come strutture reali del sistema
Inc., mentre la sola cosa che in questo sistema corrisponde agli affetti inconsci è
una forza potenziale a cui viene impedito lo sviluppo.”
18
La repressione appare dunque come uno dei procedimenti a disposizione della
rimozione per mantenere l‟affetto doloroso lontano dalla coscienza trasformandolo
in un altro affetto, o sopprimendolo. La repressione può essere intesa come lo
„scopo specifico‟ della rimozione, il mezzo con cui la rimozione opera sull‟affetto.
18
Ibidem, p. 61.
15
CAPITOLO II
II.1 Origine del senso di colpa: prospettiva filogenetica e prospettiva
ontogenetica
Nel 1919, in un saggio dal titolo Un bambino viene picchiato, Freud ammette
che neppure il lavoro analitico è riuscito a dare una risposta alla domanda
sull‟origine del sentimento di colpa.
1
Quasi dieci anni più tardi, in uno studio su Dostoevskij (1927), egli ribadisce
che “le ricerche non sono ancora riuscite a definire con sicurezza l‟origine psichica
del senso di colpa e del bisogno di espiazione.”
2
Di nuovo in Il disagio della civiltà (1929), Freud si scusa con i suoi lettori “per
non esser stato una guida più abile, capace di risparmiare loro l‟esperienza di tratti
aridi e faticosi giri traversi” su un argomento tanto contorto.
3
Esaminando la modalità con la quale Freud si è accostato al problema della
colpa nell‟arco della sua opera, ci si accorge che il percorso seguito è tutt‟altro che
lineare. Circa la sua origine, emerge la compenetrazione di due vicende
riconducibili, come in ogni organismo vivente, ai due grandi livelli dell‟esperienza:
un livello filogenetico ed un livello ontogenetico.
All‟interno della prospettiva ontogenetica, la difficoltà maggiore sembra potersi
ascrivere al tentativo di esaurire il problema della colpa ricostruendone l‟origine in
rapporto all‟angoscia descritta secondo un approccio che privilegia ora fonti di
natura endogena, ora fonti di natura esogena. Egli infatti riconduce la colpevolezza
ad una pluralità di fattori (biologici, psicologici, socio-culturali), senza mai
pronunciarsi a favore di una teorizzazione capace di unificarli.
1
S. Freud, Un bambino viene picchiato (1919), Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977, p. 56.
2
S. Freud, Dostoevskij e il parricidio (1927), Opere, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, p. 527.
3
S. Freud, Il disagio della civiltà, (1929), Opere, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, p. 620.
16
E mentre Freud esprime qualche incertezza sull‟origine e sulla natura
dell‟angoscia, per la Klein essa deriva decisamente da fonti intrapsichiche, interne.
Il pericolo che minaccia l‟Io non è un pericolo proveniente dall‟esterno (una
minaccia di castrazione) bensì un pericolo che viene dal “lavoro della pulsione di
morte”, ed è questa “la causa primaria dell‟angoscia.”
4
4
M. Klein, “Sulla teoria dell‟angoscia e del senso di colpa” (1948), in Scritti (1921-1958),
Boringhieri, Torino 1978, p. 438.