13 
 
condotti verso le gioie del cielo, la gloria, la pace, il riposo e la luce 
perpetua». Alla sinistra del Cristo si sviluppa in un intreccio di sculture 
la rappresentazione dei dannati all’Inferno, dove una fila di diavoli 
armati di scudi, balestre, lance, martelli percuote i dannati piegandoli nel 
loro dolore. Al di sopra delle sculture infernali un cartiglio recita: «Gli 
uomini perversi sono in questo modo immersi nel Tartaro». Il Cristo si 
presenta dunque come severo punitore e i demoni, raffigurati nel loro 
aspetto più spaventoso, infliggono raccapriccianti punizioni ai dannati, 
tratte dal repertorio della crudeli ingiustizie del tempo. Da queste 
immagini si evince la volontà di suscitare nell’osservatore un senso di 
terrore, inducendo a meditare che le torture della realtà, azzerate almeno 
dalla morte, all’inferno perpetueranno senza fine.
13
 
 
1.2  L’UOMO DA V ANTI ALLA MORTE 
 
L’immagine della morte che prendiamo come punto di partenza è quella 
dell’Alto Medioevo e in particolare la morte di Orlando, narrata ne La 
Chanson de Roland. L’originalità del tema sta nel fatto che l’aristocrazia 
cavalleresca ha imposto l’iconografia delle culture popolari alla società di 
chierici letterati, unici eredi e restauratori dell’antichità dotta. La morte 
di Orlando è così diventata la morte del santo dal momento che i chierici 
letterati hanno, appunto, fatto propria questa immagine dalla cultura 
profana e cavalleresca, che ha a sua volta origini folcloristiche. 
L’interesse per questa letteratura e quest’epoca sta nel fatto che ci 
restituisce chiaramente, attraverso testi accessibili, l’atteggiamento 
comune di fronte alla morte. Alla luce di ciò ci si domanda: come 
muoiono i cavalieri nella Chanson de Roland o nei romanzi della Tavola 
                                                           
13
 Chiara Frugoni, op. cit.
14 
 
Rotonda? La risposta è che non muoiono come capita, vi è ritualità e 
compiacimento nella gestione della morte. La sua caratteristica 
essenziale è infatti quella di annunciare per tempo il suo arrivo: «Lo sente 
Orlando che la morte l’afferra, giù dalla testa fin sul cuore gli scende. 
[…] Lo sente Orlando che il suo tempo è finito»
14
. Anche Tristano, ferito 
da un’arma avvelenata, sente che la sua vita sta venendo meno e capisce 
che sta per morire.  
Per quanto riguarda i monaci, come accade ai cavalieri, capita di sentire 
la morte arrivare, come accade al venerabile Hervé che, dopo quattro 
anni di clausura a Saint- Martin de Tours, sente che sta per andarsene e 
numerosi pellegrini accorrono nella speranza di ottenere un qualche 
miracolo. 
Certi presentimenti hanno quindi del prodigioso; ce n’è uno in particolare 
che non inganna: l’apparizione di un fantasma, anche solo in sogno. La 
vedova del re Ban
15
 una sera vede in sogno il figlio e i nipoti, che si 
ritengono essere morti, in un bel giardino: «Allora capì che nostro 
Signore l’aveva esaudita e che stava per morire». È degno di nota come, 
per lo più, i segni per annunciare una morte prossima sono nel Medioevo 
segni che oggi chiameremo naturali: una banale constatazione che cade 
sotto il giudizio dei sensi, fatti comuni della vita quotidiana. Accade pure 
che la premonizione si spinga più in là dell’avvenimento e che, fino alla 
fine, tutto si svolga secondo un calendario previsto dallo stesso morituro. 
Soltanto in epoca moderna e contemporanea i presentimenti di una 
morte annunciata saranno considerati come superstiziosi popolari, 
accentuandone l’aspetto prodigioso.  
È però da considerare che, perché la morte sia così annunciata e possa 
essere degnamente celebrata con tutte le sue cerimonie, è necessario che 
                                                           
14
 La Chanson de Roland CLXXIII-CCLXXV . 
15
 Les Romans de la Table ronde, adattati da Jacques Boulenger, Plon, Paris 1941,
15 
 
non sia improvvisa: quando non preavvisa il suo arrivo si trasforma nello 
strumento di un caso spesso mascherato da collera divina, squarciando 
l’ordine del mondo in cui ognuno crede. Perciò la morte improvvisa è 
ritenuta infame e vergognosa: la mancanza di un rituale come viatico 
porterebbe l’uomo dritto all’Inferno senza potersi liberare dal peso dei 
peccati. D’altro canto, in un mondo come quello medievale, che ha tanta 
familiarità con la morte, una morte improvvisa fa paura, in quanto è così 
strana e mostruosa che non si osa parlarne.  
Occorre considerare che la morte brutta e spregevole non è solo quella 
improvvisa, ma anche quella clandestina, quella senza testimoni e 
cerimonia, quella del viandante in cammino, dell’annegato, del folgorato 
o del cadavere sconosciuto rinvenuto sul limite di un campo: non ha 
importanza se è innocente, la morte improvvisa bolla l’uomo col marchio 
di maledetto.  
Certo il cristianesimo si è sforzato di combattere questa credenza sulla 
morte improvvisa, anche se in modo reticente. Il morto non deve, infatti, 
essere considerato come maledetto, bisogna concedergli il beneficio del 
dubbio e dargli sepoltura cristiana, come sostiene Guillaume Durand 
vescovo di Mende: «Dove si trovi un morto lo si seppellisca per via del 
dubbio che sussiste circa la causa della sua morte» dal momento che: «il 
giusto, in qualunque momento esca di vita, è salvo».  
Chi sa di dover morire sentendo prossima la sua fine, prende le sue 
disposizioni, compiendo gli ultimi atti del cerimoniere tradizionale. Il 
primo atto è quello del rimpianto della vita: un triste ma discreto 
richiamo agli esseri e alle cose amate, una breve storia della sua vita, 
ridotta a immagini essenziali. Orlando in punto di morte ricorda molte 
cose: le terre conquistate, la Francia di Carlo Magno suo signore e i suoi 
compagni.
16 
 
Senza dubbio il morente s’intenerisce sulla sua vita, sui beni posseduti e 
sugli esseri amati, ma il suo rimpianto non oltrepassa mai un’intensità 
minima, dal momento che la familiarità che ha con la morte lo porta ad 
accettarne la vicinanza. Dopo il lamento del rimpianto alla vita avviene 
il perdono degli astanti che circondano, sempre numerosi, il letto del 
moribondo. La preghiera per il perdono è composta di due parti: l’atto di 
contrizione, il “mea culpa”, e la “commendatio animae”, una antichissima 
preghiera della Chiesa primitiva che durerà attraverso i secoli. A questo 
punto interviene l’unico atto religioso vero e proprio, l’assoluzione, che è 
impartita dal prete che legge i salmi, incensa il corpo del morente e lo 
asperge di acqua benedetta.  
La morte si trasforma così in una cerimonia pubblica, organizzata dallo 
stesso moribondo che la presiede e ne conosce il protocollo, facendo 
diventare la sua camera un luogo pubblico, dove si entra liberamente e si 
celebrano i riti mortuari con semplicità, accettandoli e compiendoli in 
modo certamente cerimonioso, ma senza carattere drammatico o 
eccessiva emozione.
16
 
All’inizio del XV secolo, al fine di placare le inquietudini di una morte 
repentina, solitaria e non in grazia di Dio, iniziano a diffondersi degli 
opuscoli, composti da teologi e religiosi, che offrono al fedele cristiano gli 
strumenti per affrontare la morte con dignità. Questi testi sono allo 
stesso tempo rivolti a coloro che prestano cure agli infermi, affinché 
possano ottenere la morte nel rispetto dei sacramenti e della dottrina 
cristiana. Una di queste opere è conosciuta col nome di Ars moriendi o 
Tractatus artis bene moriendi. 
L’Ars moriendi è una sorta di manuale su come morire bene: illustra le 
pratiche, i comportamenti e le preghiere che devono adottare l’infermo e 
                                                           
16
 Philippe Ariès, L’uomo e la morte dal medioevo a oggi, op. cit.
17 
 
coloro che presiedono al fatidico transito in modo che il morente dimostri 
sincero pentimento, ribadisca la propria fede e venga accolto nel regno 
dei cieli, salvando la propria anima. Il trattato, che può essere inteso 
anche come una sorta di esercizio preparatorio per affrontare la propria 
morte, dopo una breve introduzione si sviluppa in sei capitoli dove il 
primo è un elogio alla morte, il secondo affronta le cinque tentazioni 
(mancanza di fede, disperazione, impazienza, orgoglio spirituale e 
avidità) che affliggono il morente e spiega come superarle, il terzo elenca 
le domande da porgli in modo da riaffermare la propria fede, il quarto 
elenca le preghiere e i comportamenti che deve adottare il morente, il 
quinto illustra i comportamenti che devono tenere le persone che 
l’accompagnano e il sesto contiene le orazioni che devono recitare i 
presenti a beneficio del morituro.  
Dell’opera esiste una versione ridotta, che si sviluppa a partire dal 
secondo capitolo, che illustra la battaglia tra i peccati e le virtù, 
percepita come uno scontro tra demoni e angeli, dove i primi cercano con 
le loro tentazioni di assalire l’uomo e i secondi, al contrario, offrono al 
fedele il modo per rifiutarle.  
La versione abbreviata è quella che generalmente viene illustrata, 
mediante miniature o incisioni che accentuano la drammaticità 
dell’opera. Il testo, accompagnato da illustrazioni, rende il libro 
accessibile anche a un pubblico meno colto, dal momento che l’arte 
visuale offre una comprensione più agevole dei principi dottrinali 
espressi. Le immagini, sottoforma di xilografie, sono tutte caratterizzate 
dallo stesso schema compositivo: l’infermo è steso sul suo letto, nella sua 
camera, che diventa il teatro del dramma del suo destino.  Il morente è 
circondato da varie figure: nella tentazione è assediato da esseri diabolici 
che tentano di persuaderlo, nelle buone ispirazioni invece le figure 
angeliche gli indicano il sentiero per la salvezza, presentandogli i modelli
18 
 
di vita da seguire, mentre i demoni, sentendosi sconfitti, cercano di 
nascondersi sotto il letto o di scappare. I diavoli sono rappresentati in 
maniera grottesca, gli angeli invece, con le loro forme allungate, sono 
caratterizzati da un’eleganza estrema. Nella scena inoltre sono presenti 
altre persone, amici o parenti che assistono l’infermo.
17
 
 
1.3  CONCEZIONE DEL CORPO NEL MEDIOEVO 
 
La concezione del corpo e il suo spazio nella società, nell’immaginario e 
nella realtà della vita quotidiana, hanno subìto mutamenti in tutte le 
società storiche. Basti pensare a quale trasformazione è intercorsa dalla 
ginnastica e dallo sport dell’antichità greco-romana, all’ascetismo 
monastico e allo spirito cavalleresco del Medioevo.  
La dinamica della società e della civiltà medievale è il risultato di diverse 
tensioni: tra Dio e l’uomo, ragione e fede, ricchezza e povertà, violenza e 
pace; ma una delle tensioni principali è quella che si instaura tra corpo e 
anima. Da un lato, infatti, il corpo è disprezzato, condannato, umiliato in 
quanto la salvezza passa attraverso la penitenza corporale. Il monaco, 
modello umano della società dell’Alto Medievale, mortifica regolarmente 
il proprio corpo, indossando cilicio come segno di alta spiritualità. Papa 
Gregorio Magno, agli albori del medioevo, definisce il corpo come 
«abominevole rivestimento dell’anima».
18
  
D’altro canto, nel cristianesimo medievale si assiste a una glorificazione 
del corpo. L’evento decisivo della storia, ossia l’Incarnazione di Gesù 
Cristo, è da considerarsi come il riscatto dell’umanità attraverso il gesto 
salvifico del figlio di Dio che, assumendo un corpo di uomo e vincendo la 
                                                           
17
 Luca Vargiu e Alberto Virdis (a cura di),Esperienze e interpretazioni della morte tra Medioevo e 
Rinascimento,Ancona, 2020, saggio in volume Valentina Pili Ars moriendi (XV secolo): decori e 
illustrazioni (pp 95-114) 
18
 Jacques Le Goff, L’uomo medievale, op. cit.
19 
 
morte, ha fondato il dogma della resurrezione dei corpi. Una volta giunti 
nell’Aldilà, infatti, uomini e donne ritroveranno un corpo, per soffrire 
all’Inferno, o per gioire legittimamente grazie a un corpo glorioso in 
Paradiso, dove i cinque sensi saranno appagati al massimo grado.  
Nel Duecento l’arte gotica ha rappresentato l’atteggiamento parossistico 
dei cristiani nei confronti del corpo, attraverso due personaggi 
emblematici: re Luigi IX e san Francesco D’Assisi. Il primo umilia il 
corpo in un estremo sforzo devozionale per meritare la salvezza eterna, il 
secondo, seppur non si astenga dal dominare il corpo nella 
mortificazione, predicando la gioia e il riso, venera il corpo e in questo 
viene ricompensato ricevendo le stigmate, segno dell’identificazione con il 
Cristo sofferente.  
Il corpo cristiano medievale è perciò attraversato da questa altalenante 
oscillazione tra rimozione e esaltazione, umiliazione e venerazione.  
Il cadavere, ad esempio, è considerato putrida materia ripugnante, 
immagine della morte causata dal peccato originale, ma al tempo stesso è 
materia da onorare, come accade, ad esempio, per i resti venerabili dei 
santi che compiono miracoli nelle loro tombe attraverso le loro reliquie 
corporali. 
È chiaro quindi come durante il Medioevo il corpo sia vittima di un 
paradosso che vuole da una parte mortificarlo, dall’altro esaltarlo. 
Questa alternanza è riscontrabile anche nello svolgersi della vita 
quotidiana, che oscilla tra Quaresima e Carnevale, tra digiuno e crapula, 
tra astinenza e bagordi. Un’oscillazione che è senz’altro correlata al ruolo 
centrale occupato dal corpo nell’immaginario e nella realtà del Medioevo. 
Le espressioni più manifeste di socialità, al pari dei grandi godimenti del 
corpo, sono in questo periodo largamente represse portando alla 
scomparsa dello sport, le terme e il teatro, eredità dall’antichità greco-
romana. La donna inizia ad essere demonizzata, il lavoro manuale viene