2
Il sistema dei partiti e del compromesso parlamentare non
poteva più assicurare l’equilibrio tra i due interessi citati in una
società divenuta complessa e molecolare, all’interno della quale
sono venute meno le tradizionali linee di divisione su cui erano
costruite le identità partitiche, soprattutto dopo la rivoluzione
dell’Est del 1989, che ha comportato la crisi delle ideologie.
La caduta capacità rappresentativa dei partiti e l’indebolimento
della risorsa ideologica hanno comportato: da un lato, la chiusura
oligarchica del sistema, accentuata dall’inamovibilità dei partiti di
governo alla presenza della celebre conventio ad excludendum, che
annullava la responsabilità politica; dall’altro, la ricerca del
consenso ha indotto i partiti a dare soddisfazione a tutti gli interessi
frazionali dotati di sufficiente forza di pressione.
Quanto forte fosse la pressione di questi interessi è evidenziato
dalla crescita della spesa pubblica finanziata mediante ricorso
all’indebitamento. Il rapporto tra debito e PIL, inferiore al 40% agli
inizi degli anni Settanta, si è triplicato raggiungendo il 118% nel
1994, contro il 70,7% medio dell’Unione Europea.
3
Questa politica clientelare è, tuttavia, destinata a cessare, poiché
l’approvazione del trattato di Maastricht ha imposto agli Stati che
faranno parte dell’Unione Economica e Monetaria il divieto di
disavanzi pubblici eccessivi. Ciò non poteva che comportare la fine
delle politiche d’indebitamento, ponendo una fondamentale
premessa per il crollo di un sistema e di una classe politica, che
aveva fondato la sua stabilità sui benefici erogabili ai più disparati
gruppi sociali.
La riforma costituzionale, quindi, risponde al bisogno di
radicare le istituzioni nella società e, al tempo stesso, di attenuare il
potere di ricatto e di veto degli interessi frazionali.
Quale riforma però? Se il parlamentarismo compromissorio non
è più in grado di assicurare né la legittimazione del sistema né il
perseguimento dell’interesse generale, allora quali finalità dovrebbe
perseguire la revisione della Costituzione?
I risultati da ottenere, emersi nel dibattito pubblico sulla riforma
istituzionale, sono: il rafforzamento della legittimazione delle
istituzioni politiche, la rivitalizzazione del circuito della
4
responsabilità politica, l’irrobustimento della capacità decisionale
del sistema (la c.d. governabilità).
In che modo raggiungere, dunque, questi obiettivi?
Si pensò di affidare il compito di redigere la riforma della
seconda parte della Costituzione ad una Commissione Bicamerale.
Precisamente, la legge costituzionale per “l’istituzione di una
commissione parlamentare per le riforme costituzionali”, approvata
il 22 Gennaio 1997, prevedeva una composizione paritaria (35 seggi
per ogni ramo del Parlamento) di una Commissione incaricata di
rivedere la forma dello Stato, la forma di governo, il bicameralismo,
il sistema delle garanzie.
Dopo i lavori della Bicamerale, ciascuna Camera avrebbe
adottato i progetti costituzionali con due successive deliberazioni ad
intervallo non minore di tre mesi. Era previsto un voto unico finale.
Entro tre mesi dalla pubblicazione, la revisione sarebbe stata
sottoposta a referendum unico.
In realtà questa procedura si differenziava in tre punti rispetto a
quella prevista dall’art.138 della Costituzione: l’affidamento ad un
organo interno al Parlamento del compito di definire un sistematico
5
progetto di riforma della seconda parte della Costituzione, la
previsione di un tempo per lo svolgimento dei lavori, la prescrizione
di un referendum popolare obbligatorio
2
.
Per ciò che ci riguarda nello specifico, vale a dire la revisione
della forma di governo, dobbiamo evidenziare che all’interno della
Commissione, si erano coagulate le due posizioni fondamentali che
dividevano l’opinione pubblica.
Da un lato c’era quella espressa dai rappresentanti della
coalizione di maggioranza al governo del paese, favorevoli alla
figura di un capo dell’esecutivo come emanazione del sistema dei
partiti e soggetto alla fiducia del Parlamento. Secondo tale
impostazione, il premier doveva essere legittimato, in qualche
modo, dal voto popolare e doveva disporre dei poteri necessari per
attuare un programma di legislatura.
Dall’altro le posizioni dei rappresentanti della coalizione di
minoranza all’opposizione esprimevano la loro preferenza per un
presidenzialismo forte e compiuto, avanzando la rivendicazione
irrinunciabile dell’elezione popolare diretta del capo dello Stato e
2
E. CHELI, La Stampa, 17 gennaio 1997.
6
proponendo di dotare questa figura del massimo dei poteri.
Sulla scelta tra le due posizioni, la Commissione bicamerale
rimase a lungo incerta, anche se fino al momento della votazione
sembrava dovesse prevalere la soluzione del “premierato”. E’ noto
che il 25 giugno 1997 i voti a sorpresa dei deputati e senatori della
Lega Nord, i quali avevano disertato sino a quel momento i lavori
della Commissione, spostarono la bilancia delle riforme a favore del
modello “semipresidenziale”, votando con la coalizione di
minoranza.
A seguito di tale scelta, la Commissione cominciò a costruire la
struttura della nuova forma di governo, che formalmente doveva
avere a modello l’esperienza francese. In realtà successe che i
parlamentari dell’opposizione, sull’onda dell’insperata vittoria,
presero a collaborare per dare forma ad un articolato per nulla
appiattito sul modello francese, dato che, come vedremo, prevedeva
un ruolo assai più consistente sia del Governo sia del Parlamento.
Nella relazione alla proposta della Commissione si sostiene la scelta
a favore di «un semipresidenzialismo “temperato”, innestato sulla
7
tradizione parlamentare italiana, dotato di un apprezzabile equilibrio
dei vari poteri».
Accadde, però, che le ragioni contingenti della politica
riprendessero il sopravvento. Passato all’esame di Montecitorio, in
un clima di rapporti tra maggioranza ed opposizione mutato
inaspettatamente e profondamente, il testo messo a punto dalla
Commissione bicamerale divenne ostaggio dei conflitti riaccesisi su
diversi terreni.
Il fallimento dell’esperimento riformatore, in realtà, è stato
determinato da uno scontro politico a freddo, che non nasceva da
motivi riconducibili alle vicende interne ai lavori della Bicamerale
3
.
Prima di intraprendere la trattazione del sistema
semipresidenziale francese, ed il suo raffronto con il progetto di
riforma elaborato dalla Commissione bicamerale, vorrei evidenziare
come l’odierna forma di governo italiana non sia dissimile dalla IV
Repubblica francese. In entrambi i casi si tratta di un
parlamentarismo non maggioritario, caratterizzato da governi di
coalizione instabili e scarsamente efficienti, in cui il Primo ministro
3
R. DI LEO, in AA.VV., Modelli Istituzionali e riforma della Costituzione, cit.,
pp.7 ss.
8
non svolge un ruolo di direzione, ma di mediazione tra le diverse
componenti politiche dell’esecutivo.
Tuttavia, a questa debolezza del Governo non corrisponde,
generalmente, un ruolo preponderante del Parlamento, bensì un suo
sostanziale e parallelo indebolimento; e ciò sia per l’assenza al suo
interno di una maggioranza stabile e coesa, sia per il ruolo
determinante svolto dai partiti politici nella formazione dei governi
e nella ricerca di ampi accordi sulle singole misure legislative
4
.
In definitiva i sistemi parlamentari non maggioritari
riconoscono ai partiti un ruolo determinante di mediazione post-
elettorale, che, attribuendo loro la libertà di spendere la rendita di
posizione garantita dal voto espresso dal corpo elettorale nel modo
ad essa più utile, li trasforma nei reali sovrani e ne facilita la
degenerazione in strutture verticistiche e di tipo oligarchico.
Proprio questo parallelo tra le due situazioni, quell’odierna
italiana e quella francese precedente, ci suggerisce di tentare
l’esame di un possibile adattamento della forma di governo della V
Repubblica in Italia.
4
M. VOLPI, Le forme di governo contemporanee tra modelli teorici ed esperienze
reali, in Quad. cost., 1997, pp.247 ss.
9
Nei primi due capitoli, saranno esaminate le figure del
Presidente della Repubblica, del Primo Ministro, del Governo e del
Parlamento, confrontandole con quelle previste dal progetto di
riforma della Commissione Bicamerale.
Il terzo, ed ultimo, capitolo sarà incentrato: sulla trattazione dei
rapporti intercorrenti tra gli organi costituzionali della V
Repubblica, ed il loro raffronto con quelli che si potrebbero
manifestare nella forma di governo prevista dal progetto di revisione
costituzionale redatto dalla Commissione Bicamerale; ed, in
conclusione, sulle cause che hanno comportato la riduzione del
numero dei partiti e sugli elementi che garantiscono la c.d.
“governabilità” del sistema francese.
10
Capitolo I
1. Il concetto di governo “Semipresidenziale”
Con l’espressione “ governo semipresidenziale” si indicano le
istituzioni di una democrazia in cui sussistano questi requisiti: 1)
un Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale e dotato
di importanti poteri propri; 2) un Primo Ministro ed un Governo
responsabili davanti ai deputati
5
.
La forma di governo così definita è in parte presidenziale, in
parte parlamentare; sicché alcuni pretendono che la denominazione
“governo semiparlamentare” sia altrettanto appropriata. Ma secondo
il Duverger
6
in questa osservazione è trascurato un dato importante.
Il governo parlamentare, a differenza di quello presidenziale, è
caratterizzato dall’esistenza di una sola espressione della volontà
5
M. DUVERGER, La nozione di regime “Semipresidenziale” e l’esperienza
Francese, in Quad. cost., 1983, pp.259 ss.
6
M. DUVERGER, La nozione di regime “Semipresidenziale”, cit., p.260.
11
popolare a suffragio universale: quella che si manifesta nelle
elezioni legislative. Nel governo presidenziale, invece, la volontà
popolare si esprime in due momenti diversi: le elezioni legislative e
le elezioni presidenziali, ciò comporta un problema al vertice del
potere, poiché deputati e Capo dello Stato hanno legittimazione
diversa ed equivalente. Il governo che l’autore chiama
“semipresidenziale” presenta questo stesso carattere, quindi, la
denominazione proposta è più esatta di quella “ semiparlamentare”.
Il concetto di “governo semipresidenziale” è stato elaborato
sulla base dell’esperienza istituzionale francese successiva al 1962,
comparata con quella di altri sei paesi: Portogallo, Finlandia,
Austria, Irlanda, Islanda e Germania del periodo di Weimar (1919-
1933), tendendo principalmente a spiegarle.
Il confronto tra i sette Paesi in cui il Presidente proviene da
un’elezione a suffragio universale, mostra che quest’ultima non
basta a conferire autorità politica, neanche quando si accompagna a
disposizioni costituzionali attributive d’importanti poteri all’eletto
del popolo. E’ vero che l’elezione popolare conferisce la
legittimazione, ma essa si può applicare tanto ad una funzione reale,
12
quanto ad una simbolica, secondo l’immagine che la cultura politica
ha formato nella coscienza dei cittadini.
Basandosi sulla esperienza pratica, possono essere individuati tre
sottotipi della forma di governo semipresidenziale
7
.
Il primo è rappresentato dagli ordinamenti di Austria, Irlanda e
Islanda, caratterizzati da un funzionamento di tipo parlamentare e
dalla netta preminenza nell’ambito del potere esecutivo del Primo
Ministro, che è il vero leader della maggioranza. Questo dimostra
che l’elezione diretta del Presidente e il riconoscimento a questi di
importanti poteri, non lo trasformano necessariamente in leader
politico ed in capo del Governo, qualora i partiti diano vita a
convenzioni al fine di neutralizzare il suo ruolo. Si pensi alla
possibilità di candidare alle elezioni presidenziali personalità
politiche di secondo piano.
Il secondo sottotipo comprende gli ordinamenti di Finlandia e
Portogallo nei quali c’è un’effettiva diarchia nell’ambito del potere
esecutivo, basata però non su di un rapporto gerarchico, bensì su una
separazione delle competenze, stabilita dalla Costituzione. Il
7
M. VOLPI, Le forme di governo contemporanee, cit., pp265 ss.
13
Presidente possiede, in questo modo, importanti poteri propri: in
Finlandia soprattutto in materia di politica estera; in Portogallo,
dopo la revisione del 1982, lo scioglimento del Parlamento, il veto
sulle leggi e sui decreti governativi, la revoca del Governo in casi
eccezionali.
Il terzo sottotipo è costituito dalla V Repubblica francese,
modello di cui ci occuperemo approfonditamente, in esso si
potrebbero, forse, includere l’esperienze dei paesi ex socialisti che
hanno imitato il suddetto sistema.
Il vantaggio principale del concetto di governo
semipresidenziale sta nell’aver permesso la costruzione di un
modello d’analisi attraverso cui è possibile spiegare in modo
appropriato i meccanismi del funzionamento di certi sistemi
istituzionali; fermo restando, naturalmente, che essi si riflettono
secondo le particolarità nazionali di ciascun paese, ossia secondo il
contesto culturale del modello. Per costruirlo, secondo il Duverger
8
,
bisogna considerare tre variabili: i poteri che la Costituzione
riconosce al Capo dello Stato, la presenza o l’assenza di una
8
M. DUVERGER, La nozione di regime “Semipresidenziale”, cit., p.266.
14
maggioranza parlamentare, la posizione del Presidente con riguardo
a tale maggioranza. Da ciò consegue che l’esistenza di una
maggioranza parlamentare, in un sistema semipresidenziale, può dar
luogo a tre situazioni differenti.
Se la maggioranza in questione è dello stesso colore del
presidente e lo riconosce come suo leader, si è molto vicini al
sistema maggioritario britannico, salvo che il Capo dello Stato
cumula il potere reale del Primo ministro inglese ed il potere
simbolico del Monarca. Alle sue prerogative costituzionali aggiunge
in tal caso il potere politico di un capo della maggioranza che gli
permette di guidare Governo e Parlamento.
Se, invece, esiste una maggioranza parlamentare a lui contraria,
il Presidente della Repubblica si trova confinato nelle sue
prerogative costituzionali, mentre Governo e maggioranza sono
controllati dal Primo Ministro che diventa il vero capo
dell’Esecutivo alla maniera inglese. Nei periodi di cohabitation,
infatti, il Presidente non dirige l’azione di governo, ma mantiene
l’esercizio di un domaine reservé in materia di politica estera e di
politica di difesa e soprattutto può svolgere la funzione arbitrale
15
attribuitagli dall’art.5 della Costituzione mediante atti che gli
consentono di bloccare o di ritardare l’attività di governo. Egli, in
definitiva, non si riduce in nessun caso ad un Capo dello Stato di
tipo parlamentare.
Si può anche verificare una terza ipotesi che porta ad un
maggiore depotenziamento del Capo dello Stato: quando la
maggioranza sia del suo stesso colore, ma non lo riconosca come
leader. In questo caso l’esercizio dei poteri costituzionali
presidenziali è in parte paralizzato dalla volontà del capo della
maggioranza, rispetto al quale il Presidente si trova in una posizione
politica subordinata.
L’assenza di maggioranza, in realtà, permette di aggiungere una
quarta ipotesi alle tre precedenti: quella di un Presidente che dispone
dei suoi poteri costituzionali nei confronti di un Parlamento diviso,
che non può sostenere un Governo stabile e forte
9
.
Per quanto riguarda, in generale, i poteri del Capo dello Stato, la
Costituzione determina il minimo delle sue prerogative, senza che il
Governo ed il Parlamento possano limitarne l’esercizio.
9
M. DUVERGER, La nozione di regime “Semipresidenziale”, cit., pp.268-269.