Il Sé cognitivo e il sé affettivo. Processi
d’identità
Introduzione
Il presente lavoro si propone di affrontare la complessa esperienza di
trasformazione identitaria della coppia da coniugale in genitoriale, ovvero
di analizzare la vasta ristrutturazione del campo intersoggettivo e
intrapsichico sia della neo-mamma che del neo-papà.
Nella prima parte del testo, verranno quindi trattati sia i processi e le
dinamiche identitarie che ogni individuo affronta nella propria vita, nella
costruzione e nella ricerca di sé, che i vissuti trasformativi inerenti la
transizione alla genitorialità.
Trattare l’identità dell’individuo significa analizzare i possibili
percorsi che l’individuo attraversa quotidianamente, in una società
complessa che accelera le richieste di cambiamento, complica la vita,
moltiplicando le scelte, ma schiude anche nuove occasioni di sviluppo. La
crisi è il prezzo che si paga per la crescita. La ricerca di identità esprime ora
esigenze difensive e talora conflittuali di differenziazione dal contesto
sociale e culturale di appartenenza, ma insieme, esigenza di mantenimento
di una relativa unità interna. La costruzione dell’identità personale è
vissuta, quindi, come un processo per cui l’individuo unifica ciò che è con
ciò che non è ancora, in un incessante divenire.
In tale contesto è la relazione con l’Altro che può consentire al
soggetto di entrare in contatto con se stesso e costituire una possibilità
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inedita di rafforzamento dell’io: l’aspettativa d’identità come luogo in cui
l’Altro diventa specchio opaco, consentendo al soggetto di rispecchiarsi e di
percepirsi reale, nonostante i continui cambiamenti che lo attraversano.
Trattare l’identità genitoriale significa pertanto intenderla come un
processo di riposizionamento dei due coniugi, sia sull’asse orizzontale, in
termini di un nuova tappa della vita familiare, che porta con sé una
importante riflessione sullo stile di parenting da adottare, sia sull’asse
verticale, in termini di rapporti e ruoli con le rispettive famiglie d’origine.
In tale analisi, si terrà ovviamente conto delle differenze che l’essere
padre dall’essere madre comporta; innanzitutto, la diversa concezione del
tempo interno, laddove se le donne organizzano i loro comportamenti
secondo una logica della “contemporaneità”, gli uomini, invece, agiscono
seguendo dei tempi cronologici.
In secondo luogo, le differenze di investimento emotivo, che
vengono determinate dalle diverse mappe cognitive dei due coniugi,
durante il passaggio evolutivo alla genitorialità, è che contribuiscono a
comporre diversamente le rappresentazioni sul figlio atteso. In particolare,
il figlio per i padri sarà quasi sempre proiettato nel futuro (si parla della sua
crescita o di quando sarà adulto); per le madri, invece tutto sarà vissuto in
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maniera più immediata, laddove la donna è più concentrata sul presente.
Nella seconda parte, invece, è contenuta la ricerca sul campo, che ha
visto come protagonisti 50 coppie genitoriali, i quali hanno vissuto da poco
l’esperienza della nascita di un figlio.
E’ un indagine descrittiva che mira a carpire le intricate dinamiche
identitarie dei due genitori che, essendosi preparati all’arrivo di una nuova
creatura, possono sperimentare particolari vissuti proiettivi e identificatori.
La possibile rappresentazione del figlio come estensione di sé, gli
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1. Salerno A. e Di vita A.M. (2004), Genitorialità a rischio, FrancoAngeli, Milano, p. 51.
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approssimativi e indefiniti confini tra la coppia in trasformazione e il
neonato, la variabile intensità delle aspettative che l’arrivo di una nuova
vita può scaturire, ci spingono ad esplorare questi processi, con un test di
facile somministrazione e consolidata attendibilità: il test sulle lettere
d’amor proprio ideato da J. M. Nuttin Jr.
Con questo strumento è possibile tentare di delineare i confini di
appartenenza del sé affettivo del soggetto, il quale, seppur
inconsapevolmente, considererà come più attraente ciò che fa parte di sé,
piuttosto che quello che non sente di appartenergli.
Partendo da questa premessa, si tenterà di scoprire quindi se la
tendenza “nuttiniana” degli individui di prediligere, dinnanzi ad una lista
che contiene tutti gli elementi dell’alfabeto, le lettere del proprio nome
possa subire delle variazioni, a favore delle lettere- nome dei propri figli.
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PARTE I
I. Processi d’identità
1.1 I percorsi dell’identità
Attorno al concetto d’identità si sono sedimentati storicamente una
moltitudine di significati, non sempre compatibili, che lo rendono
suggestivo ma insieme equivoco. Nel corso della storia della metafisica,
tale nozione ha indicato per lo più l’uguaglianza di ciascun essere con se
stesso, e in particolare, come qualità di soggetti, la replicazione da parte di
ciascuno di uno schema dato. Ma, nel progressivo prevalere della sua
valenza psicologica, entro società moderne, sembra piuttosto alludere ad un
incessante percorso in cui l’individuo unifica in sé ciò che è, ad un dato
momento, con ciò che ancora non è, in un incessante divenire.
Nonostante i possibili fraintendimenti che la nozione d’identità
comporta, essa è comunque molto utilizzata, sia nel linguaggio comune che
in quello scientifico, e associata sovente a quella del Sé che, a seguito della
pervasiva diffusione del termine inglese Self, si è trasformato da pronome
riflessivo a sostantivo, quindi utilizzato come equivalente della
terminologia inglese. Tuttavia, al di là di ogni questione linguistico-
grammaticale, una certa distinzione viene fatta, talvolta tra le due nozioni,
individuando nel Sé componenti più specificatamente intrapsichiche e
individuali e nell’identità componenti più particolarmente sociali.
Più precisamente, riportando Amerio nel suo Fondamenti di
Psicologia sociale, si afferma:
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[…] utilizzando la nozione di sé si fa maggior riferimento ai processi psicologici
implicati in generale nella concezione di sé, e quindi all’autoriconoscimento personale, o
alla rappresentazione di sé in prima persona; mentre la nozione di identità implica con
maggiore evidenza un’autoriconoscimento basato sull’appartenenza sociale variamente
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intesa e anche un eteroriconoscimento da parte altrui.
Al di là di queste specificazioni, ritornando all’utilizzo della nozione
identità oggi sembra essere connessa ad alcuni problemi di carattere
strutturale che ne stravolgerebbero lo stesso fondamento.
La crescita dell’individuo, nella considerazione comune, non si
arresta più agli anni dello sviluppo, ma investe l’intera età adulta, concepita
come un ininterrotto processo formativo. Gli adulti s’interrogano sulla
maggiore o minore rigidità della propria struttura caratteriale per misurare
meglio le loro chances di cambiamento. Un intero dominio teorico si
dischiude al di là dei classici studi sull’adolescenza, a cui la stessa categoria
di identità è stata inizialmente riferita.
D’altra parte i sostegni sociali di questo processo di crescita sono
divenuti quanto mai precari.
Gli individui di moderne società pluralistiche lo avvertono, in misura
crescente, come un compito affidato a loro stessi. Ciò può dar luogo ad
aspettative esaltanti oppure a timori e nostalgie, ma rende comunque
gravido di problemi il terreno dell’identità personale.
Dal punto di vista ideologico, le rassicuranti certezze di visioni del
mondo religioso e metafisico e i solidi orientamenti, che potevano essere
derivati da ambiziose filosofie della storia o da progetti di rigenerazione
sociale, sembrano appartenere a un’epoca lontana. Per molti la posta in
gioco non è più il destino dell’anima o del mondo, ma una decente
sopravvivenza.
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1. Amerio P. (2007), Fondamenti di Psicologia sociale, Il mulino, Bologna, p. 259.
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Se queste osservazioni hanno qualche plausibilità, si potrà capire
come il termine identità esprima nel complesso, entro queste coordinate, un
senso quasi opposto a quello che possedeva in origine, quando indicava il
mantenimento di un modello di sé socialmente attribuito, e magari fornito
di una consacrazione religiosa.
In un primo piano affiora l’esigenza di farsi valere come individui in
rapporto, ma eventualmente, anche in opposizione ad altri individui e alla
struttura sociale di riferimento. Potrebbe sembrare opportuno parlare
senz’altro di individualità.
Riprendendo Andolfi, in Figure d’identità, affermiamo che:
[…] non mancano ragioni per conservare la categoria identità. Il bisogno di
stabilità e continuità, a cui l’identità nel suo significato allude, può invero essere
soddisfatto anche mediante strategie diverse dalla ripetizione di un’essenza esemplare o
dall’adattamento passivo alle richieste sociali. Il percorso dell’identità definito dal
“pensiero identificante” non è l’unico possibile. Quel bisogno rappresenta un momento
interno dello stesso processo di costruzione dell’individualità come differenza. La
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polivalenza del termine riesce quindi opportuna.
L’identità quindi come percorso possibile nella scoperta della propria
individualità, come momento interno al processo di differenziazione, come
bisogno di stabilità ma anche di ricerca.
1.2 La costruzione dell’identità: appartenenza e individuazione
Nella letteratura psicologica la formazione dell’identità personale viene
presentata come il prodotto di un duplice e contrastante movimento di
identificazione e di differenziazione dal contesto di appartenenza.
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2. Andolfi F. (1988), Figure d’identità: ricerche sul soggetto moderno, Franco Angeli,
Milano, p. 10.
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