Governabilità e stabilità degli Enti locali
La legge 25 marzo 1993, n. 81, ha colmato la lacuna, introducendo
un nuovo sistema per l’elezione degli organi comunali e provinciali, ma oltre
a individuare nuove forme di elezione, essa ha riconsiderato diversi aspetti
del governo locale, incidendo in modo significativo sull’assetto già definito
dalla legge n. 142/1990.
Si trattava, invero, di corrispondere all’esigenza sempre più
pressante di rinnovamento e alla richiesta parimenti impellente di porre su
nuove basi il rapporto tra corpo elettorale ed amministratori. Si trattava,
sostanzialmente, di modificare “le regole del gioco” per ridefinirle secondo
metodi capaci di assegnare agli elettori il compito di fare essi direttamente la
scelta del Sindaco anziché rimetterla a mediazioni partitiche non
controllabili.
In un periodo di emergenza morale e di forte caduta di credibilità
delle istituzioni, il problema era quello di individuare una soluzione adeguata
tra due contrapposte tendenze: quella di chi auspicava una marcata
evoluzione in senso uninominalistico del sistema disciplinato dal D.P.R. 16
maggio 1960, n. 570, e quella di chi invece, pur convenendo sulla necessità
di accelerare le riforme strutturali attraverso una rivisitazione della
normativa, intendeva rimanere ancorato alle regole della democrazia
rappresentativa.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
Evitando barricate e oltranzismi, occorreva trovare un punto di
equilibrio tra chi proponeva l’elezione del Sindaco connessa a quella del
Consiglio e chi puntava ad un primo cittadino completamente sganciato dai
partiti, eletto per le sue qualità personali e non perché legato ad una certa
lista di candidati.
In tutti, però, era presente la volontà di creare nuove condizioni di
effettiva stabilità per gli esecutivi; da tutti era avvertita la necessità di
assicurare la governabilità degli Enti ponendo fine al ribaltamento disinvolto
delle maggioranze e alle crisi interminabili.
Sotto l’imperversare degli eventi, andava maturando la
consapevolezza della necessità di restituire i partiti politici alla loro funzione
costituzionalmente garantita di proposta politica e di conferire maggiore
effettività all’esercizio delle funzioni degli organi elettivi del governo locale.
La legge n. 81/1993, contemperando le tesi contrapposte, attraverso
un meccanismo abbastanza articolato, ha previsto per tutti i centri l’elezione
diretta del Sindaco, recependo altresì in buona misura le istanze
maggioritarie.
Sostanzialmente, questa riforma rappresenta il risultato della spinta
che il corpo elettorale ha compiuto negli ultimi tempi affinché le istituzioni
fossero governate da esponenti che lo rappresentassero direttamente. Per
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tali considerazioni la riforma dell’elezione diretta del Sindaco è stata accolta
con grande favore. Si ritiene che essa abbia aperto una stagione
amministrativa caratterizzata da nuove regole il cui scopo principale è quello
di sanzionare la fine del “consociativismo” e di garantire maggiore stabilità e
governabilità. La nuova regola è: chi vince deve governare, chi perde deve
controllare l’operato della maggioranza.
In questo contesto è comunque necessario distinguere la posizione
di chi, in dottrina, ritiene che le disposizioni contenute nella legge n. 81/1993
siano una garanzia di stabilità e governabilità per gli esecutivi locali, e chi,
invece, assume una posizione critica nei confronti della citata legge.
Per quanto riguarda la prima posizione c’è chi
1
sostiene che la legge
n. 81/1993 oltre ad aver modificato il sistema elettorale per l’elezione del
Sindaco, prevedendo meccanismi differenti a seconda che i Comuni si
pongano al di sotto oppure al di sopra del limite dei 15.000 abitanti, ha
introdotto delle importantissime riforme che riguardano i poteri degli organi
comunali al fine di conferire maggiore incisività e stabilità agli esecutivi.
1
A. Colagrande, La legge n. 81/1993: garanzia di governabilità e di stabilità, Nuova
Rassegna 1996, pag. 152.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
Infatti, pur senza stravolgere l’assetto delle competenze definito
dalla legge n. 142/1990, la legge n. 81/1993 si è sforzata di rendere più
stabile l’assetto complessivo delle amministrazioni, eliminando fenomeni
negativi come le lungaggini per la formazione delle nuove Giunte dopo le
elezioni che in passato avevano fortemente limitato il normale svolgimento
dell’attività amministrativa.
Tra le novità, che secondo una parte della dottrina attribuiscono un
migliore assetto agli organi delle amministrazioni locali, troviamo l’art. 36
nella parte in cui sancisce la piena responsabilità del Sindaco per
l’amministrazione dell’Ente e l’art. 25 che stabilisce l’incompatibilità tra la
carica di assessore e quella di consigliere.
Una modifica certamente significativa è rilevabile nell’art. 34, nel
quale si dispone che i componenti della Giunta sono nominati dal Sindaco, il
quale può revocare uno o più assessori dandone sollecita e motivata
comunicazione al Consiglio. L’Assemblea, dunque, non vota sui nomi, bensì
discute ed approva in apposito documento gli indirizzi generali di governo.
Ma forse il vero nocciolo del mutamento va ricercato nell’istituto della
mozione di sfiducia che ha sostanzialmente svuotato o, meglio, sostituito il
principio della sfiducia costruttiva. In virtù del nuovo istituto, in caso di crisi
politica, ovvero di approvazione della mozione da parte della maggioranza
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assoluta dei membri del Consiglio, non vi saranno più automatici cambi di
guardia al governo dell’Ente bensì lo scioglimento anticipato dell’Assemblea
e il conseguente ricorso alle urne.
Sarebbe, dunque, l’istituto della mozione di sfiducia nella sua nuova
configurazione, per cui Sindaco e Consiglio “simul stabunt aut simul
cadent”, che garantirebbe un deterrente utile a contrastare comportamenti
irresponsabili tendenti a provocare le cadute delle maggioranze.
Questo strumento sarebbe, secondo i sostenitori di questa tesi, il
congegno più efficace per assicurare la tanto auspicata stabilità degli Enti
locali, in quanto per le opposizioni è decisamente più difficile mettere in crisi
la maggioranza vincente “premiata” dalla riforma.
Per quanto riguarda invece la seconda posizione, cioè quella di
coloro che esprimono valutazioni negative sulla riforma, c’è una parte della
dottrina la quale sostiene che la legge n. 81/1993, in base alle prime
esperienze vissute, non ha soddisfatto tutte le aspettative per ragioni di
natura sia tecnico – operativa sia di carattere più nettamente politico.
Per quanto riguarda le prime c’è chi
2
sostiene che la profonda
innovazione dell’elezione diretta del Sindaco non è stata accompagnata dal
2
G. Rizzi, L’elezione diretta del Sindaco, 1996, pag. 7.
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riconoscimento, per il Sindaco, di nuovi e diversi poteri decisionali e
operativi che lo mettano in grado di rispondere effettivamente alle
aspettative createsi nell’elettorato. A ciò si deve aggiungere il fatto che la
macchina burocratica degli Enti locali non ha l’elasticità necessaria per
garantire al primo cittadino l’attuazione sollecita e puntuale del suo
programma. Non basta, dunque, attribuire poteri sulla carta se poi non ci
sono gli strumenti per esercitarli
3
.
Relativamente agli ostacoli di carattere politico è opportuno
sottolineare che la riforma non è riuscita a ridurre la difficoltà di convivenza
tra le forze politiche; anzi, l’eterogeneità delle coalizioni, accentuatasi negli
ultimi tempi con la scomparsa o il ridimensionamento dei partiti tradizionali e
la comparsa sullo scenario politico di nuovi movimenti, costituisce
certamente il fatto nuovo che contraddistingue l’attuale fase della vita
politica italiana soprattutto a livello locale. Abbiamo assistito, infatti, al
moltiplicarsi dei simboli anche se aggregati in gruppi o in “poli” come adesso
si usa dire.
Tale situazione di estrema frammentazione e di proliferazione di
partiti e liste elettorali è dovuta a diversi fattori di diversa natura. In primo
3
A. Carioti, Ancora scarsi i poteri dei nuovi Sindaci, Rivista Anci 1998, pag. 25.
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luogo, ci sono dei fattori imputabili alle stesse previsioni contenute nella
legge n. 81/1993, che consente collegamenti con lo stesso candidato
Sindaco anche a numerose liste, suddividendo proporzionalmente tra
queste i seggi, nell’ambito di ciascuna coalizione. A ciò si deve aggiungere il
fatto che mentre alla lista o al gruppo di liste collegate al Sindaco viene
attribuito il 60% dei seggi, alle liste di minoranza i seggi vengono ancora
attribuiti con il metodo proporzionale, sicché, in definitiva, può essere
sufficiente anche una percentuale assai bassa per assicurarsi quanto meno
un seggio in Consiglio. C’è chi
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dunque sostiene che è il sistema dei
collegamenti che, permettendo ai partiti di presentare liste separate, ma di
sommare i voti, finisce inevitabilmente per incentivare la frammentazione.
Alcune forze politiche, prendendo in considerazione il problema della
frammentazione, hanno promosso un referendum per estendere a tutti i
Comuni l’elezione diretta del Sindaco mediante sistema elettorale
maggioritario a turno unico, abolendo il sistema proporzionale con premio di
maggioranza ed eventuale doppio turno.
Secondo coloro che hanno sostenuto il referendum, il turno unico
semplificherebbe ulteriormente il sistema elettorale favorendo la nascita di
4
A. Barbera, Elezione diretta del Sindaco. Commento alla legge 25 marzo 1993, n. 81, 1994.
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coalizioni più omogenee e migliorando nettamente gli aspetti riformatori
della legge n. 81/1993. Anziché avere un gran numero di candidati a
Sindaco, collegati ciascuno ad una molteplicità di liste, si avrebbero
pochissimi candidati collegati ciascuno ad una sola lista.
Peraltro, il sistema maggioritario secco esteso anche ai Comuni più
grandi rafforzerebbe l’autonomia del Sindaco rispetto ai partiti a tutto
vantaggio della governabilità e stabilità degli Enti.
Se, infatti, si prendono in considerazione i numerosi casi di
scioglimento dei Consigli comunali verificatisi dal 1993 ad oggi, non è
azzardato domandarsi se la stabilità dei governi locali sia un risultato
davvero conseguito, dopo l’elezione diretta del Sindaco, o se, invece, non
siamo in presenza di un effetto limitato ad un certo numero di casi di
particolarissimo rilievo, ma ben lontani dal rappresentare una situazione
ormai generalizzata e consolidata nella gran massa dei Comuni italiani.
Così, il cambiamento realizzatosi in città come Roma, Napoli, Torino,
Catania, Venezia, ecc., con il passaggio da esecutivi effimeri e
permanentemente instabili a Sindaci in grado di assicurare una continuità di
gestione per l’intera durata del mandato, è un fenomeno di grande
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importanza, ma questo stesso fenomeno rimane ancora, in un numero
eccessivo di Comuni, un obiettivo da perseguire, o forse un mito
5
.
Certamente, il problema dell’instabilità determinata da maggioranze
rissose ed instabili può trovare radici nella stessa legge n. 81/1993, anche
se è arduo, in realtà, stabilire in che misura le disfunzioni del sistema
politico siano imputabili a regole stabilite dal legislatore. Si ritiene che la
riforma del 1993 avrebbe potuto costituire un’occasione centrale per
perseguire assetti autorevoli e stabili dei governi locali, e che, se l’obiettivo
non è stato raggiunto nella generalità dei casi, le ragioni stiano negli
atteggiamenti degli attori istituzionali e dei partiti politici, i quali di fronte ad
un meccanismo utilizzabile in varie direzioni, si sono indirizzati verso i
comportamenti meno innovativi.
La stabilità e la governabilità degli Enti locali sono degli obiettivi che
è possibile raggiungere non solo attraverso la previsione di disposizioni
legislative adeguate, ma anche attraverso elementi come l’unione tra i
soggetti elettorali e il rapporto di fiducia tra il corpo elettorale e il governo
locale.
5
L. Vandelli, Sindaci e miti, Il Mulino editore 1997, pag. 24.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
Per quanto riguarda il primo aspetto è opportuno dire che i soggetti
momentaneamente apparentati dalla composizione del voto, devono essere
sempre uniti e compatti dal di dentro, sia nei programmi sia negli obiettivi, o
comunque, devono impegnarsi ad esserlo nell’arco del mandato elettorale
(che è di cinque anni) entro il quale sono chiamati a governare.
La divisione sugli obiettivi di fondo, cioè sulla “rotta” dell’Ente, è
sicura causa di lacerazioni e di contrasti specie quando si verifica durante il
percorso. La litigiosità degli amministratori pubblici, non le divergenze di
opinione e di valutazione, rappresenta in definitiva l’esatto contrario della
governabilità; non può essere “vietata” da una norma, ma deve essere
evitata oltre che con l’impegno dei singoli soggetti anche attraverso la
previsione di strutture corrette ed adeguate
6
.
Fondamentale risulta anche il rapporto di fiducia tra il corpo
elettorale ed il governo locale, il quale si costituisce con la scelta del
Sindaco, dei consiglieri e del relativo programma politico. La matrice della
governabilità di qualsiasi amministrazione pubblica locale è proprio nel
rapporto di fiducia. Iniziato all’atto delle elezioni, tale rapporto deve
6
G. Sorge, Aspetti di governabilità e di stabilità degli Enti locali, Nuova Rassegna 1998,
pag. 1046.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
continuare per tutto il mandato, alimentato dai risultati dell’attività
quotidiana.
Inoltre, gli organi istituzionali (elettivi o meno), cioè Sindaco, Consiglio
comunale e Giunta, da un lato, ed anche Segretario generale, Direttore e
dirigenti, dall’altro, non devono essere divisi da ruoli antagonisti, ma devono
operare in uniformità di indirizzi, obiettivi e risultati. A ciò si deve
aggiungere che la diversità dei ruoli che a ciascuno compete, maggioranza
e opposizione comprese, deve integrarsi non dividere. Anche questo può
essere considerato un segno concreto del rapporto di fiducia sostanziale fra
i vari soggetti che formano e rappresentano l’Ente locale.
Tornando al discorso sulla mancata realizzazione degli obiettivi della
governabilità e stabilità degli Enti locali, è opportuno sottolineare che il
legislatore con la legge 15 maggio 1997, n. 127
7
, riguardante misure urgenti
per lo snellimento dell’attività amministrativa, ha apportato alcune modifiche
inerenti il funzionamento e le attribuzioni del Consiglio comunale, del
Sindaco e della Giunta, senza risolvere però i problemi e le contraddizioni
esistenti.
7
Riforma Bassanini, Legge n. 127/1997, Ordinamento delle autonomie locali.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
Questi problemi si potrebbero risolvere solo attraverso degli
interventi legislativi che permettano di realizzare una piena identificazione
tra Sindaco e popolazione attraverso una limitazione dell’influenza
dei partiti. I Sindaci, dunque, dovrebbero puntare a una politica rivolta più
agli elettori che ai partiti. La strada da percorrere è, quindi, quella di una
seria riforma delle regole sulla formazione della rappresentanza
democratica che deve, necessariamente, passare prima all’interno dei
partiti e poi attraverso la modificazione di alcuni meccanismi elettorali, per
mezzo dei quali sarà possibile determinare una maggiore competenza, un
maggior dinamismo, ma anche una maggiore stabilità degli organi di
governo locali.
In questo contesto si inserisce la recentissima iniziativa di alcuni
Sindaci tra cui Rutelli, Sindaco di Roma, Cacciari, Sindaco di Venezia,
Bianco, Sindaco di Catania, i quali si sono riuniti per creare il cosiddetto
“Partito dei Sindaci” battezzato anche come “Movimento delle Centocittà”,
oggi confluito nel movimento politico “I Democratici” il cui leader è R. Prodi.
Questo movimento si pone in una posizione critica nei confronti dei
partiti politici considerati “dei quartieri generali vuoti di truppe”
8
del tutto
8
Repubblica del 14/02/1999, La sfida di Centocittà, il nuovo polo siamo noi, intervista al
Sindaco di Venezia Cacciari.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
incapaci di rappresentare in senso e modo effettivi e compiuti, sia le porzioni
che le istanze dell’elettorato, e di realizzare le tanto auspicate riforme di cui
le strutture istituzionali italiane, sia a livello centrale che a livello locale,
hanno tanto bisogno. I sostenitori di questo movimento ritengono che
l’incapacità dei partiti sia dovuta, principalmente, a due fattori e cioè: il
modo in cui essi sono strutturati e organizzati all’interno e le logiche
mediante le quali operano, che non si basano sulla tutela di interessi
collettivi, ma bensì sulla difesa di interessi settoriali e particolari.
I Sindaci si fanno portavoce di un progetto politico alquanto originale
e ambizioso cioè quello di costituire un grande polo italiano per le riforme
che parta dalle città e dai cittadini. Alla base di questo progetto politico ci
sono diverse proposte che riguardano il rafforzamento del bipolarismo,
mediante la riforma elettorale in senso maggioritario, il presidenzialismo,
l’elezione diretta del premier, la riforma federalista ecc.
Per quanto riguarda in particolare la riforma federalista, i creatori del
Movimento Centocittà ritengono che “per andare avanti in Italia ci vuole più
federalismo, più poteri e responsabilità locali, è necessario eleggere chi
governa a tutti i livelli”
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.
9
Repubblica del 23/11/1998, Cartello dei Sindaci: legge elettorale subito, intervista al
Sindaco di Roma Rutelli.
Governabilità e stabilità degli Enti locali
I Sindaci, sostanzialmente, auspicano una riforma in senso
federalista che “non si limiti alla riorganizzazione dello Stato in una pluralità
di poteri autonomi, ma si basi anche sulle capacità delle persone di
valutare, decidere e organizzarsi responsabilmente per il perseguimento di
fini sociali, solidali, pubblici”
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.
Relativamente alle autonomie locali i Sindaci ritengono che la
riforma debba passare per due strade e cioè: l’attribuzione di maggiori
poteri e risorse finanziarie agli organismi locali, in maniera tale che questi
possano meglio affrontare e risolvere i problemi, e la revisione dell’assetto
dei poteri lungo l’asse Consiglio, Sindaco e Giunta, al fine di garantire una
effettiva e concreta stabilità degli Enti locali e al fine di evitare una
pericolosa divaricazione tra piena capacità di raccogliere le domande della
società e limitata possibilità di soddisfarle direttamente.
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Manifesto del Movimento Centocittà, in Corriere della Sera del 26/11/1998.