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INTRODUZIONE
«Roma, incline alla dissolutezza, non ha mai approvato
l’amore in coloro che regnano: ne hanno saputo
qualcosa Marc’Antonio e Tito.»
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano
(trad. di Lidia Storoni Mazzolani, Torino 2002)
Il primo secolo avanti Cristo vede l’epilogo dell’esperienza repubblicana nella storia di
Roma. Messo in crisi dalle accresciute dimensioni dell’impero, l’ordine costituito era stato
sovvertito da alcuni avvenimenti che avevano rappresentato i prodromi della “rivoluzione
romana”: l’impoverimento della piccola proprietà terriera e l’accentramento dei terreni
nelle mani di pochi grandi possidenti; la trasformazione dell’esercito, voluta da Caio
Mario, ora composto non più da cittadini divisi a seconda del censo, ma da soldati di
professione; le contese con le popolazioni italiche, desiderose di acquisire i privilegi legati
alla cittadinanza, sfociate nella guerra sociale.
A causa delle notevoli sollecitazioni a cui la repubblica fu sottoposta emersero i limiti
dell’ordinamento statale, ancorato alla vecchia concezione aristocratica e all’autorità degli
optimates. Alcuni homines novi, fra tutti lo stesso Mario, iniziarono a comparire sulla
scena politica, ad acquistare potere e a modificare gli equilibri in gioco. Al gruppo degli
aristocratici, difensori della supremazia dell'oligarchia, si contrappose un multiforme
raggruppamento identificabile con il nome di populares con il quale si schierarono, di volta
in volta, sia esponenti della nobiltà sia cavalieri.
Giulio Cesare seppe sfruttare la situazione e le proprie doti di stratego per acquistare
prestigio tra i soldati, ricchezza personale e una notevole rete di clientele. Al momento
della resa dei conti con la fazione degli ottimati e con Pompeo, l’antico alleato ora
divenuto avversario, Cesare si avvalse, per la conquista del potere assoluto, della
collaborazione di alcuni personaggi cresciuti, militarmente e politicamente, durante la
campagna di Gallia. Marco Antonio fu sicuramente il più importante fra questi
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luogotenenti e, all’indomani delle Idi di marzo, colui che si presentò come principale erede
politico di Cesare.
Morto il dittatore, la repubblica sembrò in balia di fazioni armate che più volte si
contesero il predominio: i cesaricidi ottennero l’appoggio di Cicerone e di parte del Senato,
ma la legittimazione istituzionale delle loro posizioni di comando non fu sufficiente a
garantire il successo contro i cesariani: Antonio, Ottaviano, Lepido e gli altri generali,
dopo essersi fronteggiati per cercare di stabilire una gerarchia di potere fra gli eredi del
dittatore, preferirono fare fronte comune per porre le basi di un potere più stabile: il
cosiddetto "secondo triumvirato" segnò il destino della repubblica e della classe dirigente
che fino ad allora l’aveva governata. Le proscrizioni decise dai triumviri servirono a
eliminare i principali avversari e, con essi, gli eventuali focolai di opposizione al nuovo
regime; nel contempo la confisca dei beni dei proscritti, associata ad una pesante
tassazione che non risparmiò neppure le matrone romane più facoltose, permise ai
triumviri di fare cassa per pagare la campagna finale contro le forze repubblicane,
raccoltesi attorno a Marco Bruto e Cassio Longino.
Eliminati i principali avversari interni ed esterni, Antonio, Ottaviano e Lepido si
spartirono il controllo dell’impero, e con esso la gestione di conflitti e alleanze. Antonio,
dopo la battaglia di Filippi che sancì la vittoria dei triumviri, godeva di una notevole
posizione di vantaggio che gli permise di scegliere di occuparsi dell’Oriente, che da
sempre lo affascinava e che rappresentava un enorme fonte di ricchezza. Ottaviano, dal
canto suo, iniziò un lento ma fortunato lavoro di costruzione della propria fortuna, a partire
dall'incarico che aveva dovuto accettare, ovvero il controllo dell’Italia e delle
preoccupazioni che l’affliggevano: l’assegnazione di terre alla grande massa di veterani
congedati dopo la conclusione della guerra civile; l’approvvigionamento di derrate
alimentari per la capitale, reso difficile dal controllo sulla navigazione nel mediterraneo
che Sesto Pompeo e altri repubblicani sopravvissuti detenevano; la costruzione di una rete
di alleanze politiche in grado di garantirgli un potere sempre maggiore.
La scelta dell’Oriente rappresentò probabilmente per Antonio un grave errore, anche se
non del tutto prevedibile: il triumviro si trovò per lungo tempo lontano da Roma e riuscì
quindi a seguire i propri interessi in patria con maggiore difficoltà rispetto al rivale; la
campagna contro i Parti, essenziale per la stabilizzazione dell’area ma anche eredità del
disegno di Cesare, fu un insuccesso quasi totale e un ulteriore argomento per i detrattori del
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triumviro; il legame con Cleopatra segnò forse definitivamente il destino di Antonio, non
tanto per ciò che la propaganda augustea tramandò in seguito - un vincolo nefasto, un
uomo divenuto schiavo della strega egiziana, l'asservimento di Roma alla volontà di un
monarca straniero - ma per il ruolo che la regina ebbe nell’allontanamento dei soldati dal
proprio condottiero, cosa che segnò probabilmente il destino della battaglia di Azio,
battaglia combattuta, e persa, per mare e non sulla terraferma, campo sul quale Antonio
aveva dimostrato più volte la propria supremazia di stratego. I motivi di questa sconfitta
sono da sempre oggetto di attenzione degli studiosi e si cercherà, in questo lavoro, di
approfondire la materia alla luce degli studi più recenti.
La sconfitta segnò il destino del signore dell’Oriente: più volte aveva avuto l'occasione
di affondare il colpo di grazia a Ottaviano, quando questi si era dimostrato vulnerabile,
senza però mai riuscire a eliminare l’avversario e permettendogli così di acquisire il potere
e la supremazia necessari a costringerlo a una disperata difesa e infine al suicidio.
La propaganda di Ottaviano non si accontentò di aver privato l’ex collega del consenso
popolare, del potere e infine della vita: il futuro Augusto fece decretare la cancellazione
delle tracce di Antonio nei documenti ufficiali, una damnatio memoriae (misura che fu
ripetuta più volte nella storia di Roma imperiale) che eliminò per sempre importantissime
informazioni utili agli storici per ricostruire gli avvenimenti di quel periodo tormentato e
cruciale per il futuro di Roma. Gli intellettuali raccolti attorno al princeps fecero la loro
parte di lavoro, contrassegnando il defunto rivale con ogni possibile simbolo di
depravazione e decadenza. Leggendo tuttavia tra le righe dei resoconti degli storici del
periodo imperiale, è possibile scorgere la figura di un uomo di grandi capacità, dalla
predilezione per la bella vita ma dalle chiare aspirazioni, di un Romano forse troppo
attaccato alla tradizione dei valori del mondo a cui apparteneva, e anche per questo
inferiore a Ottaviano in scaltrezza politica e spietatezza; è possibile scorgere la figura di un
uomo probabilmente mai schiavo delle donne, neanche della seducente Cleopatra, ma il cui
destino si intrecciò inscindibilmente con quello delle molte mogli e concubine.
Un discorso importante meritano le fonti.
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Su tutte, in maniera più o meno intensa, ha
influito la propaganda di Augusto, ovvero del vincitore dello scontro, anche perché,
escludendo Cicerone, che narra ampliamente la propria versione dei fatti nell’epistolario e
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Per un sintetico ma completo elenco delle fonti su Antonio cf. TRAINA 2003, 117-119.
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nelle Filippiche, e Cesare,che descrive molto concisamente l’operato di Antonio come suo
ufficiale, tutti gli autori che parlano del triumviro, pur rifacendosi frequentemente a fonti a
lui contemporanee, sono vissuti in epoca imperiale e scrivono quindi almeno un secolo
dopo la morte di Antonio. Abbiamo però anche traccia di alcune memorie redatte da
personaggi contemporanei e anche vicini ad Antonio: Valerio Messalla Corvino, divenuto
alleato del triumviro dopo la battaglia di Filippi, quindi passato alla parte avversa alla
quale prestò la sua opera di libellista; Quinto Dellio, che seguì Antonio nella campagna
contro i Parti e da cui attinse Plutarco, il cui racconto della sfortunata spedizione
rispecchia, per alcuni passi favorevoli ad Antonio, una fonte a questi vicina. Altro
importante narratore degli eventi di quegli anni fu G. Asinio Pollione, a cui sembra abbia
attinto Appiano;
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ultima fonte contemporanea è proprio il vincitore di Azio, Ottaviano
Augusto, che lasciò un’autobiografia (Res Gestae Divi Augusti) in cui diversi fatti, quali
l’uccisione del figlio di Antonio, Antillo, e di molti partigiani antoniani, sono negati
dall'affermazione di quella clementia che rappresenterà una delle principali basi della
propaganda politica del princeps.
Molti degli storici di epoche successive hanno quindi risentito degli effetti della
propaganda antiantoniana e fornito una versione dei fatti e un’immagine di Antonio
completamente deformate: tra questi Tito Livio, di cui possediamo pochi frammenti,
Velleio Patercolo, che narra molto concisamente i fatti del periodo in questione senza
alcuna critica alla versione ufficiale, e Dione Cassio, la cui Storia romana rappresenta
l’opera più completa a noi pervenuta sul tema ma che mostra gli stessi limiti degli autori
appena citati, delineando un ritratto di Antonio in cui la parte razionale lascia totalmente il
passo alla passione per Cleopatra.
Diverso è invece l’apporto di altre fonti alla ricostruzione della vicenda politica e
umana del triumviro: Appiano racconta la storia delle guerre civili dai Gracchi fino alla
morte di Sesto Pompeo, mostrando un maggior senso critico che si concretizza
frequentemente con passaggi favorevoli ad Antonio. Ma l’opera che meglio di tutte
rappresenta la storia del triumviro è la Vita di Antonio che Plutarco scrive in parallelo a
quella di Demetrio: si tratta della presentazione di due vite “deterrenti”, atte cioè a
mostrare un esempio negativo da cui discostarsi. Plutarco però, fine e attento psicologo,
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Per un approfondimento su Asinio Pollione quale fonte di Appiano cf. ZECCHINI 1982.
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riesce, accostando più fonti, a individuare la complessità del personaggio - un condottiero
astuto e pronto a reagire con forza alle avversità – di cui tenta di comprendere e spiegare i
motivi del fallimento e della caduta; motivi che tuttavia finiscono per essere riassunti nella
passione per Cleopatra, come sosteneva la propaganda ufficiale.
Pur non costituendo una fonte storica, è impossibile non citare i drammi di Shakespeare
che parlano di Marco Antonio: Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra. Nella prima tragedia,
a dispetto del titolo, Antonio ha un ruolo fondamentale: famoso è il monologo che
riassume, nell’interpretazione dell’autore, l’elogio funebre al dittatore defunto; nella
seconda, invece, in cui Shakespeare segue Plutarco come fonte primaria, la figura di
Antonio, per essere contrassegnata da un’assoluta sottomissione all’amore verso Cleopatra,
è più vicina a ciò che la propaganda augustea ha tramandato del triumviro sconfitto.
L'obiettivo di questo lavoro, che non vuole essere una trattazione esaustiva ma una
traccia per eventuali approfondimenti, è di presentare la figura di Marco Antonio
confrontandola con i personaggi che incrociarono la sua strada e che segnarono, nel bene e
nel male, il suo destino: l'amico e patrono Giulio Cesare, a cui Antonio dovette gran parte
della propria fortuna; l'acerrimo avversario Marco Tullio Cicerone, che legò il proprio
destino a quello dell'uomo che fu fatto bersaglio delle celeberrime Filippiche; Ottaviano, la
cui tyche, per usare l’espressione di Plutarco, fu la sola in grado di sconfiggere l'abilità e la
fortuna di Antonio. Una trattazione a parte meriterebbe invece la relazione con Cleopatra,
alleata e amante, additata come avversaria di Roma e causa della rovina del proprio
compagno.
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Segnalo le ultime pubblicazioni sulla regina d’Egitto: Diana E. E. Kleiner, Cleopatra and Rome, Cambridge
2005, trattazione di una studiosa di storia dell’arte; Prudence J. Jones, Cleopatra. A Sourcebook. Oklahoma
Series in Classical Culture, 31, Norman, 2006, che analizza la storia dell’Egitto ellenistico, il ruolo dei
Tolemei e la vita di Cleopatra, approfondendo le modalità con cui la figura della regina è stata presentata
dall’antichità ai nostri giorni; Susan Walker, Sally-Ann Ashton, Cleopatra. Ancients in Action, London 2006,
una biografia della regina che affronta l’immagine che ne presentano gli storici greci e romani; S. M.
Burstein, The Reign of Cleopatra, Norman 2007, che analizza principalmente il regno d’Egitto sotto
Cleopatra; Sally-Ann Ashton, Cleopatra and Egypt. Blackwell Ancient Lives, Malden 2008, che espone le
fonti e i reperti archeologici in base ai quali conosciamo la vita di Cleopatra.
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ANTONIO E CESARE
«Beare with me,
My heart is in the Coffin there with Caesar,
And I must pawse, till it come backe to me»
William Shakespeare, Julius Caesar,
atto III, scena 2.
Iniziando da Giulio Cesare questa breve rassegna di personaggi legati alla fortuna di
Antonio, appare subito chiaro come fu proprio lui il principale fautore dell'ascesa di
Antonio ai massimi livelli di potere. Inaugurando una prassi politica che sarà adottata
anche dai suoi successori, Cesare favorì l'accesso del proprio legato al cursus honorum:
percorrendone le tappe come questore, augure, tribuno della plebe e forse anche pretore,
Antonio divenne infine console al fianco di Cesare nel 44 a.C. Prima di lasciare la penisola
per inseguire Pompeo, Cesare affidò ad Antonio il controllo dell'esercito e dell'Italia
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e,
una volta ottenuta la nomina a dittatore, fece di lui, attraverso la nomina a magister
equitum, il proprio vice.
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Antonio ricambiò la generosità del proprio patrono offrendogli i
migliori servigi e un'obbedienza quasi totale, principalmente con l’incarico di legato
militare, in Gallia e durante la guerra civile, quindi in veste di magistrato al fianco di
Cesare o in sua assenza. Sulla condotta di Antonio in guerra non ci sono tracce di critiche
negative, anzi gli furono assegnati compiti di responsabilità in autonomia, ai quali seppe
assolvere usando anche diplomazia e intelligenza politica. Cesare ebbe invece motivo di
insoddisfazione nel comando dell'Italia assegnato ad Antonio in sua assenza e lo destituì
dalla carica, anche se questo episodio, foriero di notevoli ripercussioni, sarà oggetto di
interpretazioni storiche notevolmente distanti fra loro sulle quali ci si soffermerà.
Non si conosce l’esatto inizio del rapporto fra il dittatore e il suo “comandante della
cavalleria”. Erano lontani parenti, poiché la madre di Antonio apparteneva alla gens Iulia,
ma sembra che Cesare non abbia avuto un ruolo preciso nell’adolescenza, alquanto
turbolenta, di Antonio. Il futuro dittatore fu però coinvolto in alcuni fatti politici e
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Plut. Ant. 6.
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App. B.C. 2, 92; Dio Cass. 42, 12; Plut. Ant. 8.