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Introduzione
Fino a non molte decadi fa parlare di anziani, invecchiamento o terza età non
rappresentava una delle preoccupazioni centrali nel dibattito comune, politico e
scientifico del nostro Paese: non si è infatti così lontani dalla generazione dei baby
boomers e fino al 1992 il saldo naturale (differenza tra persone nate e morte durante
l'anno) è sempre stato positivo. Oggi però il rapporto annuale 2019 dell'ISTA T relativo
ai dati demografici del 2018 fotografa una situazione molto diversa: nascono sempre
meno bambini, aumenta sempre più la speranza di vita alla nascita (oggi è di circa 81
anni per un bambino e di circa 85 per una bambina, era di 35 anni nel 1880 e di 65 alla
fine degli anni '50) e non è più sufficiente l'apporto della popolazione straniera
residente sul territorio per mitigare la generale tendenza all'invecchiamento. In una
situazione come questa, in cui le persone vivono più a lungo e la presenza di anziani
nel territorio è sempre più alta, parlare di invecchiamento è diventato necessario: non è
infatti possibile ignorare caratteristiche, necessità e desideri di una parte di
popolazione che oggi comprende quasi un italiano su quattro.
Proprio per questa ragione è oggi necessario comprendere appieno cosa significhi
invecchiare, quali cambiamenti si verifichino durante il processo di invecchiamento a
livello fisico, mentale e sociale, quali siano le problematiche più comuni alle quali si
può andare incontro ma anche e soprattutto quali possibilità si aprano durante questa
fase di vita e come sia possibile viverla al meglio. All'interno di queste possibilità
occupa un posto rilevante l'apprendimento permanente: sempre più anziani desiderano
trascorrere quest'ultimo periodo della loro vita, in cui dispongono di molto più tempo
libero grazie al pensionamento, mantenendosi attivi mentalmente, imparando nuove
cose o approfondendo argomenti dei quali si sono sempre interessati e coltivando
relazioni sociali ed amicali. L'apprendimento permanente è una grande risorsa per gli
anziani stessi e per le comunità locali nelle quali vivono e proprio per questa ragione è
promosso e sostenuto dall'Unione Europea, dallo Stato Italiano, dalle Regioni e dagli
altri enti locali. Sebbene tale apprendimento si possa verificare in tutti i contesti di vita
delle persone, rivestono un ruolo fondamentale le occasioni di apprendimento formale
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(quelle realizzate in contesti intenzionalmente educativi e strutturati a tale scopo); tra
questi contesti i più conosciuti sono quelli delle Università per la Terza Età, soggetti
che pur differenziandosi a livello geografico, di denominazione e di forma giuridica,
condividono le finalità di promozione di un invecchiamento attivo e di successo, di
sviluppo cognitivo-intellettuale e di mantenimento e valorizzazione delle abilità
residue e della costruzione e mantenimento di relazioni sociali positive.
All'interno di questo elaborato si tratterà del processo di invecchiamento, dei rischi ad
esso collegati, del valore dell'educazione permanente e delle Università per la Terza
Età in modo specifico.
Nel primo capitolo si affronteranno le differenti definizioni del termine vecchiaia,
eterogenee sia per quanto concerne l'uso comune che l'uso scientifico, le diverse
prospettive di studio della vecchiaia stessa e le teorie che cercano di spiegare come la
vecchiaia si collochi all'interno del ciclo di vita. Verranno inoltre trattati i cambiamenti
relativi all'aspetto fisico, psicologico, emotivo e sociale che intervengono in questa
fase di vita e alcuni modelli presenti in letteratura che definiscono possibili strade per
l'invecchiamento di successo.
Nel secondo capitolo saranno analizzati alcuni dei principali rischi ai quali gli anziani
possono essere soggetti nella società contemporanea: la depressione, la perdita di
autonomia e il raggiungimento di una condizione di dipendenza, la solitudine e
l'isolamento sociale. Si presenterà inoltre il concetto di educazione permanente nei
suoi aspetti generali e nella declinazione specifica relativa alla popolazione anziana,
cercando di cogliere quelli che sono i benefici che l'educazione permanente può
apportare a questa utenza.
Nel terzo capitolo verrà analizzata la storia delle Università per la Terza Età a livello
generale, cogliendone le differenze geografiche, e nello specifico a livello italiano.
Saranno inoltre analizzate le motivazioni che spingono gli anziani a frequentarle, i
benefici che esse possono apportare ai discenti stessi e alle comunità locali nelle quali
sono inserite e alcuni elementi di criticità, ai quali è necessario prestare attenzione per
proporre un'educazione permanente di qualità.
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Nel quarto capitolo, infine, saranno presentati i risultati di una ricerca qualitativa
condotta nel 2019 all'Università Popolare "Natalia Ginzburg" di Vignola. Questa
ricerca, durante la quale sono stati intervistati 20 soggetti con più di 65 anni, mira a
comprendere come le evidenze scientifiche relative alle Università per la Terza Età si
declinino in un contesto specifico e nelle esperienze di vita di tali soggetti. L'utilizzo
della metodologia dell'intervista narrativa semistrutturata ha permesso di cogliere
appieno l'esperienza soggettiva attraverso le parole stesse delle persone che la hanno
vissuta.
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CAPITOLO I
La vecchiaia
Attualmente la vecchiaia nella nostra società è un oggetto di studio centrale, questo
perché il processo di modernizzazione sociale e il progresso medico-scientifico degli
ultimi decenni hanno influito profondamente sulla fecondità e sulla mortalità, rendendo
l'Italia uno dei Paesi con il più alto indice di vecchiaia al mondo (l'indice di vecchiaia è
un indicatore statistico che stima il grado di invecchiamento di una popolazione ed è
definito come rapporto di coesistenza tra popolazione con più di 65 anni e popolazione
con meno di 14); questo indice nel 2015 si attestava su un livello di 157,7 con una
crescita percentuale del 14,2 rispetto al decennio precedente (Istituto Nazionale di
Statistica [ISTA T], 2016). Questa tendenza non sembra destinata a fermarsi nei prossimi
anni: l'ISTA T (2011 b) prevede infatti che nel 2056 gli anziani costituiranno il 33,2%
della popolazione.
Ciò che rende l'Italia particolarmente interessante riguardo al fenomeno è il fatto che
questo invecchiamento sia avvenuto in modo non uniforme con riferimento allo spazio
e al tempo; nel 2014 a fronte di un Nord Italia con 160 over 65 per 100 under 14 (ma
con differenze interne dai 240 di Savona e Trieste ai 120 di Bergamo e Bolzano)
abbiamo un Sud Italia in cui questo rapporto è di 130 a 100. Analizzando la struttura
demografica della popolazione delle varie provincie tra il 2002 e il 2014 emerge che
strutture simili e assimilabili modificazioni temporali dell'indice di vecchiaia si possono
ritrovare nelle provincie che appartengono alla medesima zona socioeconomica delle 5
individuate (Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud e Isole): nel 2002 le zone più giovani
d'Italia erano il Sud e le Isole, ma queste sono state anche le zone in cui l'indice di
vecchiaia nel periodo preso in esame è cresciuto maggiormente, a fronte di nessun
incremento significativo nelle altre zone ma anzi di un lieve decremento. Nonostante
queste differenze, legate a differenti tassi di natalità, di immigrazione e differenti
aspettative di vita nelle varie zone, nel nostro Paese l'invecchiamento è una tendenza
generale in cui siamo secondi solo al Giappone e che non può più essere sottovalutato
(Reynaud, Miccoli e Lagona, 2018).
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1.1 Cosa si intende per vecchiaia
L'enciclopedia Treccani definisce la vecchiaia come "l’età più avanzata nella vita
dell’uomo, nella quale si ha un progressivo decadimento e indebolimento
dell’organismo, con caratteri morfologici e organici propri ... oltre all’idea dell’età,
[include] quella del peso degli anni, e degli incomodi che la senilità porta con sé"
("Vecchiaia", n.d.). Quando però inizi questa fase nella vita di un individuo non è così
semplice da definire, anche se convenzionalmente nelle società occidentali si è stabilito
il sessantacinquesimo anno di età, in quanto momento in cui normalmente ci si ritira
dalla vita lavorativa e si inizia a godere dei benefici sociali legati a questa fase di vita.
Il fenomeno è talmente complesso e la categoria degli anziani così variegata al proprio
interno che si parla oggi di giovani-anziani e di anziani-anziani, di terza età (coloro che
superano i 65 anni), quarta età (coloro che superano i 75 anni) e quinta età (coloro che
superano i 90 anni) e di vecchiaia-attiva in contrapposizione alla vecchiaia-vecchiaia;
un'indagine CENSIS sulla condizione anziana parla di cinque gruppi di anziani diversi,
con caratteristiche peculiari e assimilabili a cinque tipologie di alberi: arbusti, anziani
malati e deboli, salici, anziani in buona salute ma insoddisfatti e sfiduciati, ulivi, anziani
che si prendono poco cura della propria persona e non usufruiscono di servizi
socioassistenziali o ricreativi ma sono ben radicati nella propria comunità, palme,
anziani sereni e soddisfatti che usufruiscono dei servizi disponibili e li ritengono
adeguati e rampicanti, anziani in buona salute che conducono una vita attiva e non si
considerano anziani, giudicano efficienti i servizi sanitari, socioassistenziali e ricreativi
dei quali dispongono (Luppi, 2014).
La letteratura storica e crossculturale sull'invecchiamento evidenzia infatti non solo che
la definizione di vecchiaia è variabile tra cultura e cultura e nel tempo all'interno della
medesima cultura e che società diverse utilizzano criteri diversi per operare la
distinzione tra adulti ed anziani, ma anche che lo status di "anziano" comporta
conseguenze nel modo in cui la società si rapporta con l'individuo e nelle aspettative che
ha del suo comportamento; l'età di inizio della vecchiaia può essere differente ma quello
di anziano si conferma come status di grande significato nelle varie epoche e culture
(Uhlenberg, 1987).