l’analisi delle strategie e delle attività delle ONG impegnate sul campo, riportando
anche i principali ostacoli da esse incontrati all’interno del processo di cooperazione.
4
Cap.1 Contestualizzazione storica
1.1 IL SIONISMO COME FORMA DI COLONIALISMO
Gli anni che caratterizzano la fine del XIX secolo, possono essere considerati come
uno dei punti stellari che segnano la tormentata genesi storica del conflitto
mediorientale, lungo la quale si articolano e si sviluppano le vicende di due popoli
che, d’ora in poi, intersecheranno in maniera indissolubile i propri destini, diventando
due facce della stessa medaglia, due popoli per un’unica terra.
Dal 1881, le comunità ebraiche residenti in Europa orientale fuggirono in massa verso
l’Europa occidentale, da cui in maggioranza raggiunsero gli Stati Uniti. Il flusso
3
migratorio fu provocato, oltre che dal rifiuto del nuovo stato romeno di concedere
l’eguaglianza agli ebrei nonostante gli impegni internazionali assunti, soprattutto da
quello che accadde in Russia, dove, dopo l’assassinio di Alessandro II, una paurosa
4 5
ondata di pogrom sommerse il paese, sfociando in veri e propri assalti dei ghetti e in
una serie di misure discriminatorie che portarono alla promulgazione della
6
legislazione temporanea riguardo agli ebrei.
I pogrom rappresentarono un forte trauma per la comunità ebraica, in modo
particolare per la minoranza di intellettuali ebrei che, seguendo gli influssi
7
dell’Haskalah, combattevano il tradizionalismo dichiarandosi per l’integrazione, ma
anche per quegli intellettuali che si erano impegnati nell’azione rivoluzionaria, nella
3
La Romania nacque quando il Principato di Moldavia e di Valacchia si unirono il 24 gennaio 1859
conferendo il principato unico a Alexandru Loan Cuza (già principe di Moldavia), diventando
indipendente nel 1877.
4
Violente persecuzioni.
5
« Linciaggi, stupri, saccheggi sistematici si verificarono a Elisabethgrad, Kiev, Odessa,
Ekaterinoslav, Potava. 20.000 ebrei vennero cacciati da Kiev, 14.000 da Mosca ». P. Maltese,
Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi, Mursia Editore, Milano
1992.
6
Comprendeva una serie di misure discriminatorie, come l’interdizione di risiedere al di fuori di certe
zone (zone di residenza in cui dal 1794 erano stati obbligati a vivere dalla zarina Caterina) e il numerus
clausus nei licei e nelle università.
7
Illuminismo ebraico.
5
speranza che gli ebrei avrebbero potuto avere in una Russia democratica un loro
8
posto.
Soltanto un ristretto numero delle persone coinvolte nel processo di emigrazione,
9
circa 30.000 su oltre due milioni, raggiunse la Palestina andando a costituire la prima
10
delle quattro aliyah, che tra quell’anno ed il 1939, porteranno a 460.000 il numero
degli ebrei all’interno della Palestina rispetto ad una maggioranza araba di 1.070.000
11 12
unità. La prima aliyah fu organizzata da movimenti che annoveravano tra le
proprie fila giovani studenti universitari, vittime delle persecuzioni e scoraggiati dal
numerus clausus introdotto nelle università; questi movimenti furono i primi ad
organizzare trasferimenti di famiglie in Palestina per creare una realtà ebraica
omogenea nell’ambito dell’Impero ottomano, ispirata a valori di autoriscatto ed
13
egualitarismo comunitario in ambito rurale; per realizzare ciò, grazie all’aiuto di
14
filantropi ebrei occidentali, iniziarono il processo di compravendita dei terreni sui
15 16
cui far insediare gli olim. Nel 1896, venne pubblicato, ad opera di Theodor Herzl,
17
Der Judenstaat, nel quale si propugnava l'idea di creare uno stato Ebraico in
Palestina, anzi, di convertire la Palestina in uno stato ebraico, dove gli ebrei
avrebbero rappresentato l'avamposto della civiltà europea contro la barbarie
8
P. Maltese, Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi, Mursia
Editore, Milano 1992, p.34.
9
« Nella Palestina ottomana viveva già una piccola comunità ebraica che negli anni ’80 dell’Ottocento
non comprendeva più di 24.000 persone (mentre gli arabi erano stimati in 470.000) ». M. Emiliani, La
terra di chi? Geografia del conflitto arabo-israeliano-palestinese, Casa editrice il Ponte, Bologna
2007, p.18
10
“Risalita” verso Sion.
11
Ibidem.
12
Quali Bilu (acronimo di Bet Yaakov Lekw ve-Nekan: “casa di Giacobbe vieni, camminiamo”, Isaia
2,5) e Chibbat Zion (amore per Sion). Ibidem.
13
Ibidem.
14
Tra cui troviamo Edmond James de Rothschold, influente banchiere, divenne uno dei principali
finanziatori del futuro movimento sionista e acquistò il primo sito ebraico in Palestina, l'attuale Rishon
Le Zion.
15
“Coloro che risalgono”, cioè coloro che tornavano al monte di Sion, che ai loro occhi rappresentava
il simbolo della terra promessa da Jawhé al popolo ebraico.
16
Giornalista ungherese e fondatore del sionismo. Esso affermò che « Bisogna incoraggiare questa
misera popolazione (i palestinesi) ad andarsene oltre confine procurando loro un lavoro e
negandoglielo nel nostro. Sia il processo di espropriazione che quello di allontanamento dei poveri
devono essere affrontati con discrezione e cautela ». E. W. Said, La questione palestinese: la tragedia
di essere vittima delle vittime, Gamberetti Editrice, Roma 2004, p.35.
17
Trad. “Lo stato Ebraico”.
6
musulmana, rendendo allo stesso tempo impossibile che venissero seriamente
18
considerate (o persino riconosciute) le proteste dei suoi abitanti originari; questa
opera sarà poi usata come manifesto programmatico dal Congresso Sionista di
19
Basilea del 1897 che sancì ufficialmente la nascita del sionismo. Tra le cause che
portarono alla nascita del movimento sionista, è sicuramente da annoverare l’eco che
ebbe presso l’opinione pubblica “l'affare Dreyfuss”: Theodor Herzl stesso, assistette
al processo dell'ufficiale francese di origini ebraiche, accusato di tradimento, ed alla
feroce campagna della stampa francese che riproponeva stereotipi antisemiti. Egli si
rese conto che l'assimilazione e l'integrazione degli Ebrei in Europa non aveva dato
frutti e che gli Ebrei avevano bisogno di un proprio stato, dove poter vivere in pace,
lontano da false accuse e pregiudizi.
Un fattore altrettanto importante, strettamente connesso alla nascita del sionismo,
riguarda la composizione politiconullsociale all’inn te or dell’impero austronullungarico: in
una compagine nazionale eterogenea, come si presentava a fine '800 l'impero
austriaco, cechi, serbi, polacchi galiziani, tedeschi di Boemia, avevano i propri
rappresentanti all’interno del Parlamento imperiale e potevano appellarsi a una
propria nazione ed a una terra che apparteneva loro, mentre la minoranza ebraica non
poteva nemmeno appellarsi ad una rappresentanza nazionale. Quindi, il problema
ebraico non era né sociale né religioso, bensì si trattava di una questione nazionale
che bisognava trattare nel suo insieme, ponendola al cospetto della coscienza
mondiale come un affare di politica internazionale, facendola discutere e regolare alle
20
nazioni.
18
Ibidem, p.41.
19
« Assai difficilmente si trovano, nei testi che parlano del congresso, più che accenni sulla
composizione dei delegati. Dei 264 delegati, che rappresentavano 69 comunità e organizzazioni
presenti in venti paesi, il gruppo più importante numericamente era originario della Russia; molti
provenivano dagli “Amanti di Sion”, il che spiega l’accanimento col quale insisteranno per far
accettare al congresso come unica ipotesi quella palestinese ». P. Maltese, Nazionalismo arabo e
nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi, Mursia Editore, Milano 1992, p. 52.
20
Ibidem, p. 51.
7
Il sionismo affiorò in uno dei periodi di più virulento antisemitismo in Occidente ma
anche nel periodo di massima espansione coloniale europea: il movimento sionista,
definendosi come movimento ebraico per la colonizzazione dell’Oriente, cercò
costantemente (ed ottenne) l’appoggio di potenze coloniali figlie (e madri) di una
cultura europea fortemente razzista nel suo insieme, anche se in misura variabile da
autore ad autore. Esempi di ciò possono essere riscontrati nell’uso della scienza,
manipolata per razionalizzare e giustificare le dominazioni coloniali; nell’idea di
differenziazione razziale secondo la quale l’umanità si divideva in stirpi superiori ed
inferiori; nell’influenza che Hume e Locke ebbero all’interno del pensiero filosofico
del XIX secolo e secondo cui era scontato che gli europei dovessero dominare i non
europei; infine, ma non meno importante, l’uso del concetto di “spazi vuoti” per
definire i territori occupati dagli indigeni. Tutti elementi che, secondo Edward Said,
sono lucidamente analizzati dall’ opera di Joseph Conrad, i cui romanzi e racconti,
che riflettono aspetti di un impero “globale”, colgono brillantemente questo
21
rapporto:
« La capacità di conquistare un territorio dipende solo in parte dalla forza fisica: vi è
piuttosto una forte componente intellettuale e morale che rende la conquista stessa
secondaria ad un’idea, che legittima (e quindi facilita) l’uso della forza con
argomentazioni prese dalla scienza, dalla morale, dall’etica e dalla filosofia ».
Joseph Conrad
21
E. W. Said, La questione palestinese: la tragedia di essere vittima delle vittime, Gamberetti Editrice,
Roma 2004, p.86.
8
Quindi, il sionismo, dalle prime fasi della sua evoluzione moderna sino alla creazione
dello Stato di Israele, fece sempre appello ad un’opinione pubblica europea, per la
quale la classificazione dei territori d’oltremare e degli indigeni in classi inferiori era
22 23
giusta e “naturale”. Inoltre, così come ebbe modo di ribadire Weizmann dopo la
fine del primo conflitto mondiale, il sionismo si alleò con le potenze imperiali del
tempo e non pensò affatto, se non in termini negativi, ai « nativi » che si supponeva
24
avrebbero accettato passivamente i piani fatti da altrui sul futuro della loro terra. In
breve, tutte le energie di fondo del sionismo si basavano sulla negazione di una
presenza, sull’assenza funzionale di un “popolo indigeno” in Palestina; le nuove
istituzioni vennero create escludendone deliberatamente i nativi e, dopo la nascita
dello Stato d’Israele, le sue leggi furono progettate in modo che i palestinesi
25
restassero sempre nel loro “nonnullluogo” .
Prima di arrivare ad ottenere l’appoggio della Gran Bretagna, Herzl e gli altri
dirigenti sionisti cercarono di accostarsi alla Germania di Guglielmo II, le cui
relazioni con l’Impero ottomano erano assai strette e cordiali. Tuttavia, il Kaiser
stesso, constatò il rifiuto del sultano di ogni ipotesi che potesse far temere un attentato
alla sovranità ottomana. La Germania, quindi, non volle rischiare di sconvolgere la
propria politica orientale, né di compromettere i rapporti con l’Impero ottomano per
26
proteggere un problematico protettorato ebraico in Palestina.
I rapporti con la Gran Bretagna, parvero andare più lontano rispetto a quelli con
l’imperatore tedesco. Infatti, Herzl venne invitato nel 1902 dalla Commissione reale
d’inchiesta, nominata dal governo per fare un rapporto sul problema
dell’immigrazione straniera in Gran Bretagna, dato che per l’aggravarsi delle
22
Ibidem, p. 79.
23
Chaim Weizmann (1874null 1952), politico e chimicor aie sliano, primo presidente della storia di
Israele.
24
Ibidem, p.88.
25
Ibidem, pp. 89null91.
26
P. Maltese, Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi, Mursia
Editore, Milano 1992, p. 54.
9
condizioni in Russia e in Romania, un continuo flusso di ebrei bussava alle porte
27
dell’Inghilterra. È da ricordare che tra il 1903 ed il 1906 una nuova e spaventosa
ondata di pogrom investì l’Europa orientale, dando origine ad un nuovo flusso di
profughi, di cui una parte andrà a costituire la seconda aliyah. È con questa nuova
ondata che si inizieranno ad intravedere in Palestina, i primi problemi di una
convivenza basata su due comunità parallele che avrebbero vissuto nello stesso paese
28
senza comprendersi, né conoscersi. Infatti, i nuovi coloni (tra i quali Ben Gurion),
constatarono che coloro che erano arrivati in precedenza utilizzavano quasi
completamente mano d’opera araba, limitandosi a dirigere o a soprintendere i lavori,
allontanandosi perciò dalla linea del sionismo, poiché da ciò ne derivava l’implicita
29
rinuncia a creare una economia ebrea con lavoratori ebrei. Per questo, i nuovi
arrivati, esercitarono con successo una maggiore pressione nei confronti dei
precedenti coloni affinché attribuissero loro la maggioranza o la totalità dei rapporti
dei campi; ciò causò l’allontanamento della mano d’opera araba ed il conseguente
30
risentimento, a cui si aggiungeva l’ostilità dei fellahin, scacciati dai campi che
coltivavano poiché i grandi proprietari terrieri arabi presero a vendere al Jewish
31 32
National Fund una parte (seppur minima) dei loro vasti possedimenti. L’ yishuv si
insediò soprattutto lungo la fascia costiera e nella piana del Lago di Tiberiade dando
vita nella campagne ad un tipo di colonizzazione basato su ideali socialisti, lavoro
33
collettivo della terra e strutturato sulle comunità dei kibbutzim e moshavot.
27
Ibidem, p.54.
28
Ibidem, p.61.
29
Ibidem, p.60.
30
Agricoltori arabi.
31
Istituito con il nome di Jewish Colonial Trust Limited nel 1898 a Basilea in occasione del II°
Congresso Sionista, nel 1903 diede vita a Jaffa all’AnglonullPalestine Company. Questo organismo, che
era autorizzato dal Congresso Sionista a comprare terra ed a gestirla per conto del popolo ebraico, nel
1905 compì il primo acquisto di una proprietà in Palestina. E. W. Said, La questione palestinese: la
tragedia di essere vittima delle vittime, Gamberetti Editrice, Roma 2004, pp. 100null102.
32
Come venne ribattezzata la comunità ebraica di Palestina.
33
M. Emiliani, La terra di chi? Geografia del conflitto arabo-israeliano-palestinese, Casa editrice Il
Ponte, Bologna 2007, p. 20.
10
Nel frattempo si verificò un avvenimento di capitale importanza, con la proposta da
parte del governo britannico di un territorio in Uganda: si trattò del primo
riconoscimento ufficiale del movimento sionista da parte di una grande potenza. Il
progetto verrà definitivamente abbandonato nel 1905 durante il settimo Congresso
34
Sionista, a conclusione delle indagini avviate su un possibile insediamento in
Uganda.
1.2 LA PALESTINA A RIDOSSO DELLE DUE GUERRE MONDIALI
1.2.1. L’ACCORDO SYKESnullPICOT (191 6)
Nel corso della prima guerra mondiale, la Palestina venne invasa dagli eserciti in lotta
e nel 1917, con l’entrata del generale Allenby a Gerusalemme, il territorio passò sotto
35
controllo inglese. Già nel 1916, Gran Bretagna e Francia avevano stipulato
l’accordo SykesnullPicot, grazie al quale le due pot ze en coloniali si sarebbero spartite la
Mezzaluna Fertile, ovvero le terre dall’Egitto all’Iraq, Persia esclusa, in caso di
36
sconfitta ottomana. Questo accordo fu il risultato della volontà delle due potenze
coloniali di assicurarsi lo scacchiere mediorientale, ma soprattutto ebbe una funzione
rassicurante per ambo le parti: da una parte, la Francia temeva che gli inglesi
volessero ritagliarsi a fine guerra una grande regno arabo sotto la propria influenza;
dall’altra, il governo britannico era preoccupato per un’ipotetica azione francese che
37
potesse far fallire gli sforzi compiuti verso gli arabi.
34
P. Maltese, Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi, Mursia
Editore, Milano 1992, p. 56.
35
M. Emiliani, La terra di chi? Geografia del conflitto arabo-israeliano-palestinese, Casa editrice il
Ponte, Bologna 2007, p. 20.
36
Ibidem.
37
P. Maltese, Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi, Mursia
Editore, Milano 1992, pp. 72null74.
11
1.2.2 LA DICHIARZIONE DI BALFOUR (1917)
Nel 1917 il ministero degli esteri inglese, lord Arthur James Balfour, si impegnò, con
la dichiarazione che porta il suo nome, a garantire la creazione di un “focolare
nazionale ebraico” in Palestina; Chaim Weizmann e Lord Rothschild ebbero il
compito di portare avanti i negoziati per conto del movimento sionista, internamente
lacerato dal conflitto internazionale che si rifletteva sull’eterogeneità del
38
movimento. Questa Dichiarazione può essere considerata emblematica per come
39
riflette lo spirito coloniale europeo dell’epoca ed il modus operandi delle potenze
“civilizzatrici”: venne formulata da una potenza europea nei confronti di un territorio
non europeo, in assoluto disprezzo della presenza e dei desideri della maggioranza dei
suoi abitanti, sotto forma di una promessa fatta a proposito dello stesso territorio ad
un altro gruppo straniero affinché questo potesse letteralmente fare di tale territorio la
40
patria per gli ebrei. In questo documento si legge:
« His Majesty's Government view with favour the establishment in Palestine of a
national home for the Jewish people, and will use their best endeavours to facilitate
the achievement of the object, it being clearly understood that nothing shall be done
38
« Oltre alle divisioni tra nazioni contrapposte (all’interno del movimento sionistanullnda), era forte
anche la divisione nei sentimenti, giacché la maggioranza degli ebrei russi odiava a tal punto quel
regime di discriminazioni e pogrom da desiderare ardentemente la vittoria degli imperi centrali;
sostenendo per di più, non senza qualche ragione, che se il movimento avesse preso partito per gli
Alleati avrebbe rischiato di mettere in grave pericolo la comunità ebraica della Palestina, che avrebbe
potuto avere la stessa sorte toccata in precedenza agli armeni. Solo una minoranza, che faceva capo a
Weizmann, si dichiarava invece convinta che il futuro del movimento sionista stava proprio nella
liquidazione dell’Impero ottomano, e che, di conseguenza, gli ebrei dovevano sostenere la causa degli
Alleati, senza pensare alla Russia, per contare sulla loro vittoria e raggiungere, così, gli scopi del
movimento ». P. Maltese, Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798-1992. Storia e problemi,
Mursia Editore, Milano 1992, p. 75.
39
Balfour, in un memorandum scrisse « [...] in Palestina non ci proponiamo nemmeno di passare
attraverso una forma di consultazione dei suoi attuali abitanti [...]. Le quattro grandi potenze sono
impegnate ad appoggiare il Sionismo, e il Sionismo, giusto o sbagliato che sia, buono o cattivo che sia,
affonda le sue radici in tradizioni secolari, necessità attuali e speranze future, di portata molto più
profonda e rilevante che i desideri ed i pregiudizi dei 700.000 arabi che abitano ora quella antica
terra ». N. Chomsky, Le illusioni del Medioriente. Dentro la Fabbrica dell’ipocrisia, Edizioni
Piemme, Milano 2006, p. 71.
40
E. W. Said, La questione palestinese: la tragedia di essere vittima delle vittime, Gamberetti Editrice,
Roma 2004, p.37.
12