Introduzione
Introduzione
“Migliore e più sicura è una pace certa di una vittoria solo sperata”
Annibale
Il conflitto israelo-palestinese ricopre da, ormai, molti anni un ruolo preponderante sullo sce-
nario politico internazionale. In quella striscia di terra, di superficie poco superiore ai 28mila
chilometri quadrati, per più di sessant’anni il popolo israeliano ha combattuto contro i suoi
vicini arabi, per più di sessant’anni la Terra Santa è stata bagnata dal sangue dei vincitori e dei
vinti. Migliaia di vite sono state spezzate per ideali così differenti tra loro; milioni e milioni di
dollari sono stati spesi per quella terra, sia per la pace che per la guerra. Il conflitto più con-
troverso e tuttora irrisolto è certamente quello israelo-palestinese che vede contrapposte due
culture e religioni che trovano nella medesima terra la loro culla della civiltà. Per anni ed anni
gran parte delle diplomazie hanno tentato di affrontare il problema, hanno tentato di risolvere
il conflitto nato da due promesse, fatte da parte inglese a due popoli diversi, per la stessa me-
desima terra, e per anni hanno fallito. Tuttora, l’Occidente ed i paesi dell’area lavorano per
raggiungere l’obiettivo più ambito, una pace stabile che possa garantire sicurezza, serenità,
crescita e benessere alle popolazioni che abitano questa terra.
In molti si chiederanno perché scrivere una tesi di laurea sul ruolo dell’Unione Europea nel
conflitto in questione. La mancanza di dibattito in Italia, la mancanza di fonti e/o libri scritti
in italiano, l’importanza per l’Europa stessa di questo conflitto, i molti fallimenti dei processi
di pace mi hanno spinto a cercare di capire meglio il ruolo svolto – e che tuttora svolge – dal-
l’Europa nel conflitto e capire se questa può davvero dare quella marcia in più per la risolu-
zione di una guerra che non si è mai realmente fermata da qui a sessanta anni or sono.
Per l’Unione Europea, il conflitto in questione ha una grande importanza. Il Medio Oriente
è sempre stata la principale area d’azione della politica estera degli stati europei. Sin dai tempi
d’Alessandro Magno le genti europee sono sempre intervenute sull’area in questione. Riman-
gono difficili da dimenticare eventi quali il dominio romano sulla Giudea, la distruzione del
tempio di Gerusalemme, la diaspora causata dagli stessi romani ai danni degli ebrei, le crocia-
te portate avanti nel Medioevo da parte dell’intera Europa ed il mandato britannico sulla Pale-
stina. Inoltre, come dimenticare la responsabilità storica europea nei confronti di palestinesi
ed israeliani? Non possiamo certo scordarci l’Olocausto perpetrato nei confronti del popolo
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ebraico e neanche gli anni del mandato britannico per la Palestina (1920-1948) che – di fatto –
tradì le promesse fatte al popolo palestinese.
La storia dimostra che per vari e diversi motivi, quella striscia di terra è sempre stata al
centro degli interessi europei e la storia non si smentisce neanche oggi. La risoluzione del
conflitto e la pacificazione dell’area sono obiettivi importanti per tutti i paesi facenti parte
l’Unione Europea. L’estrema vicinanza fa sì che l’argomento debba essere trattato con estre-
mo rigore e con impegno costante da parte dell’UE affinché si riesca a raggiungere una solu-
zione duratura e che possa soddisfare gli obiettivi ed i bisogni, non solo israeliani e palestine-
si, ma anche, possibilmente, quelli europei.
Alcune delle motivazioni dell’impegno dell’Unione nel conflitto israelo-palestinese sono
ben espresse da ciò che è sostenuto nella Relazione sull’attuazione della strategia europea in
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materia di sicurezza in cui si sostiene che “in Medio Oriente e altrove nel mondo vi sono an-
cora conflitti irrisolti […]. Il fallimento dello Stato mina la nostra sicurezza attraverso la cri-
minalità, l’immigrazione illegale […]. Il terrorismo e la criminalità organizzata si sono evoluti
e presentano nuove minacce, anche all’interno delle nostre stesse società”.
Inoltre, il Trattato di Maastricht del 1991 specifica chiaramente gli obiettivi della politica
estera europea nel (1) conflict resolution, (2) rafforzamento della sicurezza internazionale, (3)
promozione della cooperazione regionale, (4) lotta al crimine internazionale, (5) promozione
democrazia e (6) supremazia della legge e dei diritti umani. Tutti obiettivi riscontrabili nell’in-
tervento europeo nel conflitto israelo-palestinese. Criminalità, immigrazione illegale sono so-
lo alcuni dei motivi per cui l’UE interviene all’interno del conflitto, a questi vanno aggiunti la
sicurezza energetica dell’Unione e lo sradicamento delle violenze politiche. Affinché questi
interessi siano difesi, è necessaria in Medio Oriente la stabilità, poiché solo attraverso questa
tutti gli obiettivi sopraelencati diventeranno raggiungibili ed attuabili.
Infine, ma non certo per importanza, si deve sottolineare come il conflitto israelo-palesti-
nese sia una voce importante della “transatlantic agenda”. Gli attori europei considerano la
convergenza e la cooperazione con gli Stati Uniti d’estrema importanza. In termini geostrate-
gici, il conflitto israelo-palestinese ed Israele stesso rappresentano un maggior dossier sul-
l’agenda transatlantica di primario interesse per l’Europa. Questo perché, i conflitti etno-poli-
tici, che siano congelati o meno, possono complicare o danneggiare le relazioni europee con
gli Stati Uniti.
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Bruxelles, 11 dicembre 2008 S407/08
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Introduzione
Per tutto questo ritengo che si debba prestare molta attenzione ed approfondire come l’UE
opera nel conflitto israelo-palestinese. Nei capitoli che seguiranno quest’introduzione cerche-
rò di esporre e capire meglio quale sia il ruolo che l’Unione ha all’interno del conflitto. L’UE
è un payer ma anche un player?; Il suo intervento è davvero fondamentale per la risoluzione
del conflitto o no? I soldi di tutti i cittadini europei dove e come sono spesi?
Per poter dare una risposta a queste domande la tesi sarà strutturata nel seguente modo. Nel
Capitolo 1 verrà analizzato come l’UE intervenga nella risoluzione dei conflitti in generale.
Attraverso l’introduzione di concetti teorici come l’ancoraggio, la condizionalità e la socializ-
zazione porremo le basi per gli altri capitoli della tesi.
Nel Capitolo 2 il conflitto israelo-palestinese verrà trattato dal punto di vista storico attra-
verso quattro suddivisioni principali, ovvero l’origine del conflitto, l’escalation e la de-escala-
tion del conflitto, l’internazionalizzazione di questo ed infine la sua europeizzazione. In que-
sto modo, suddividendo tutte le fasi storiche in aree specifiche comunicanti tra loro, avremo
un’idea più chiara di come si sia evoluto il conflitto e l’intervento sia internazionale che euro-
peo. In quest’ultimo caso prenderemo in considerazione le più importanti dichiarazioni del
Consiglio europeo dalle quali sono scaturite posizioni che hanno posto basi importanti per gli
sviluppi del processo di pace.
Nel Capitolo 3 – il cuore di tutta la tesi – sarà descritto l’intervento europeo attraverso le
lenti dell’ancoraggio condizionato (vd Capitolo 1). Analizzeremo i legami politici ed istitu-
zionali tra UE, da una parte, ed Israele e Palestina dall’altra. Porremo attenzione sull’assisten-
za economica europea soprattutto nei confronti del popolo palestinese, analizzeremo il mec-
canismo PEGASE e gli ambiti in cui opera, indagheremo come l’UE sostiene e finanzia le
ONG che operano all’interno del conflitto mettendo in evidenza anche le deficienze di questo
intervento. Nel capitolo si prevede di analizzare il commercio che l’Europa ha instaurato sia
con Israele che con i Territori Occupati Palestinesi. Il commercio sarà esaminato attraverso
alcuni grafici che porranno in evidenza export, import, bilancia commerciale e merci più
scambiate. Grazie a quest’analisi prenderemo in considerazione la fattibilità d’eventuali san-
zioni economiche nei confronti di ambo le parti. Nel paragrafo 4 del capitolo, attraverso l’ana-
lisi dei relativi Action Plan e delle relative dichiarazioni europee, saranno esposte le condizio-
ni europee sul conflitto su ambo le parti. Infine, il paragrafo 5 è interamente dedicato alle due
missioni civili europee nei territori palestinesi, ovvero EUBAM Rafah ed EUPOL COPPS, le
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Introduzione
quali saranno esposte e descritte partendo dagli obiettivi che si sono poste fino ad arrivare a
ciò che hanno fatto e stanno facendo tuttora.
Infine, il quarto ed ultimo capitolo analizzerà come l’approccio europeo sia percepito da-
gl’israeliani e dai palestinesi. Verificheremo le percezioni delle due popolazioni tramite arti-
coli di giornali, dichiarazioni ufficiali da parte di esponenti politici di ambo gli schieramenti,
interviste – effettuate personalmente e non – ad ONG finanziate dai fondi europei che operano
sul campo. Tutto questo per capire com’è percepito l’intervento europeo nel conflitto da ambo
le opinioni pubbliche della diade conflittuale. Capiremo se l’UE viene considerata un attore
terzo e un mediatore terzo credibile sia dagli israeliani che dai palestinesi oppure no. Capire-
mo se il suo intervento è gradito o sgradito ed esporremo chi auspica un intervento europeo e
lo ritiene opportuno e chi, invece, auspica il contrario.
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L’UE e la risoluzione dei conflitti
Capitolo 1
L’UE e la risoluzione dei conflitti
Per poter analizzare al meglio il ruolo dell’UE nel conflitto utilizzeremo due strumenti teorici,
la condizionalità e la socializzazione, concetti utili per spiegare eventuali cambiamenti nelle
posizioni delle parti principali al conflitto ed uno strumento analitico per descrivere l’impegno
europeo nella risoluzione dei conflitti, ovvero l’ancoraggio.
1.1 Condizionalità
L’UE, non avendo a disposizione un forte potere coercitivo di tipo tradizionale come può es-
sere lo strumento militare, deve basare la sua coercizione su ben altri campi (economico, so-
ciale, giudiziario) affinché i propri interessi o i propri obiettivi siano conseguiti. Per far questo
utilizza lo strumento della condizionalità che, nel breve e/o medio periodo, si è rilevato molto
utile per risolvere e vincere le sfide che si è trovata ad affrontare e che può essere di tipo eco-
nomico, politico, legale, istituzionale, tecnico.
Il meccanismo in questione muove da un comportamento umano semplice che sta alla base
delle principali decisioni sociali, vale a dire l’analisi dei costi benefici (Morlino e Magen
2008: 31 e Tocci 2007: 14). L’Unione modifica la somma totale della controparte mettendo
sul piatto della bilancia gli eventuali benefici (se una certa determinata condizione dovesse
essere realizzata) o gli eventuali svantaggi (se l’obiettivo richiesto non dovesse essere rag-
giunto). In questo tipo di rapporto devono essere indicati sia gli obblighi che le ricompense
per poter avere ben chiare le eventuali sanzioni/premi cui andrà incontro un’eventuale contro-
parte inadempiente/adempiente dei propri doveri. Per questo possiamo sostenere che la condi-
zionalità può essere definita come “una strategia attraverso la quale una ricompensa è garanti-
ta o rifiutata secondo l’attuazione di una condizione assegnata” (Tocci 2007: 10).
La condizionalità può avere due caratteri, può essere positiva o negativa. La condizionalità
positiva prevede l’elargizione di un “premio” se una determinata condizione verrà soddisfatta.
Il “premio” in questione può essere di qualsiasi tipo, economico, politico, monetario, militare,
purché sia percepito come un vantaggio dal ricevente. Chiaro esempio della condizionalità
positiva è sicuramente la membership all’UE. Qualora certe determinate condizioni, in questo
caso i criteri di Copenhagen, siano rispettate, lo stato che vi si atterrà potrà entrare nell’UE.
La condizionalità positiva può comportare vantaggi per entrambe le parti, ovvero sia per il
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L’UE e la risoluzione dei conflitti
ricevente che per il donatore. In questo caso, la promessa avrà un grado di credibilità più ele-
vato e comporterà una probabilità di consegna del “premio” più alta (Tocci 2007: 10).
Il discorso si capovolge se la volontà del donatore è quella di consegnare assolutamente il
“premio”, anche qualora il ricevente non abbia adempiuto i suoi obblighi. In questo caso la
credibilità dell’onere, indirizzato al ricevente, sarà direttamente colpita da questa assoluta vo-
lontà di elargire il premio. La condizionalità positiva - ovvero la “carota” - ha sicuramente
una natura asimettrica (Veebel 2009: 210) visto che richiede ad uno delle due parti di iniziare
a adempiere al contratto per primo. Ciononostante, diversi studi hanno dimostrato una insuffi-
ciente relazione sistematica tra la condizionalità positiva ed i cambiamenti politici, ciò sta a
significare che l’utilizzo di questo tipo di condizionalità non ha sempre portato ai risultati spe-
rati negli stati da questa colpiti (Morlino e Magen 2008: 32). Tuttavia, diversi studi hanno di-
mostrato un’insufficiente sistematica relazione, anche se non totalmente trascurabile, tra la
condizionalità positiva ex ante ed i cambiamenti politici negli stati colpiti (Morlino e Magen
2008: 32). Tutto ciò renderebbe tale tipo di condizionalità poco capace di far raggiungere gli
scopi prefissati dall’UE.
Per quel che concerne la condizionalità negativa - ossia il “bastone” - possiamo sostenere
che prevede l’utilizzo di strumenti politici, non militari, diplomatici, economici, miranti ad un
cambiamento nello stato obiettivo (Morlino e Magen 2008: 31). Ha lo scopo di far cambiare
la bilancia dei costi-benefici pesando sul piatto dei primi visto che l’Unione può decidere di
punire gli stati inadempienti su certe tematiche o richieste. Principalmente è utilizzata per
sanzionare comportamenti contrari ai principi democratici; in questo caso, chiari esempi pos-
sono essere le sanzioni diplomatiche ed economiche decise dall’Unione ai danni di Serbia
(1991-200), Siria (1987-1994), Libia (1987-1992/1999-2003) e Bielorussia (1998-1999).
L’utilizzo della condizionalità negativa non dipende soltanto dall’Unione stessa, bensì anche
dalle relazioni con altri attori internazionali da parte dello stato terzo con cui l’Unione ha a
che fare. Infatti, mentre gli incentivi ed i benefici possono essere elargiti anche unilateralmen-
te, per quanto concerne eventuali decisioni riguardo punizioni, queste devono essere prese in
un quadro multilaterale, a meno che il ricevente non abbia altri sostenitori all’infuori del-
l’Unione stessa. Questo perché se il ricevente riesce a trovare un altro soggetto disposto ad
aiutarlo al posto dell’Unione, l’eventuale punizione di quest’ultima perderà in credibilità. Tut-
tavia, se l’UE è sicura della mancanza, per il ricevente, d’altri soggetti internazionali capaci di
aiutarlo che possano sostituirla, può minacciare l’utilizzo della condizionalità negativa nei
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L’UE e la risoluzione dei conflitti
confronti del destinatario. Nonostante ciò, l’utilizzo di questo tipo di condizionalità può avere
effetti negativi sulle relazioni delle due parti dato che potrebbe comportare contraccolpi psico-
logici controproducenti sul ricevente: crescente sensazione di uno stato d’assedio, maggior
irrigidimento delle élites politiche e dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione, possono
essere due delle tante conseguenze che la condizionalità negativa può comportare (Tocci
2007: 11).
Altra caratteristica fondamentale della condizionalità è, sicuramente, la sua natura ex post
o ex ante (Tocci 2007, Morlino e Magen 2008, Veebel 2009). Siamo di fronte ad una condi-
zionalità ex post “quando un attore impone condizioni all’interno di una struttura di una rela-
zione bilaterale. Il continuo della relazione diventa, fino ad un certo punto, dipendente dall’at-
tuazione di queste condizioni” (Fierro 2003: 211). Quindi, qualora lo stato ricevente non rag-
giunga gli obiettivi richiesti dall’Unione e fallisca nel tentativo di completare le richieste della
stessa, non sarebbe più ricompensato e ne dovrebbe sostenere i costi (per esempio esclusione
dall’UE o da eventuali aiuti economici o da trattamenti commerciali preferenziali o da accordi
d’associazione ecc…). Esempio tipico della condizionalità ex post è sicuramente la “clausola
dei diritti umani” negli accordi d’associazione dell’UE (Tocci 2007: 11 e Fierro 2003: 131).
La condizionalità ex ante, al contrario dell’ex post, è utilizzata prima della conclusione di
un certo accordo, che sia un’adesione o un accordo d’associazione o un accordo di coopera-
zione (Fierro 2003: 131).
Adesso che sono stati presentati i vari tipi di condizionalità approfondiremo quali tra questi
sia il metodo più utilizzato dall’UE per capire come questa agisce con gli stati terzi. Tutte e
quattro le possibilità hanno dalla loro sia pro che contro. L’Unione fino ad oggi si è dimostrata
abbastanza riluttante nell’utilizzare la condizionalità negativa ex post. Le sanzioni sono utiliz-
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zate, per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani, della pace e dello stato di diritto, ai
danni di stati piccoli, lontani e con parsimonia. Le poche volte in cui provvedimenti sanziona-
tori sono stati attuati contro nazioni più vicine ai confini europei, avevano come fondamento
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gravi minacce ai danni della sicurezza europea. Soltanto una volta, ovvero con le sanzioni del
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Per l’elenco di tutte le sanzioni si consiglia di consultare l’elenco ufficiale dell’UE disponibile su:
http://ec.europa.eu/external_relations/cfsp/sanctions/docs/measures_en.pdf
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Esempi lampanti sono le sanzioni ai danni di Siria e Libia per aver sponsorizzato il terrorismo, le sanzioni ai
danni dell’ex Iugoslavia per i crimini di guerra e l’instabilità regionale, le sanzioni contro la Bielorussia per il
trattamento utilizzato nei confronti dei diplomatici dell’UE e dell’OSCE (Tocci 2007: 11), le sanzioni ai danni
della Repubblica islamica dell’Iran per il suo programma nucleare ecc…
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L’UE e la risoluzione dei conflitti
2003 sul divieto di visto alla leadership transnistriana, sono stati presi provvedimenti negativi
per mancanza di cooperazione nella risoluzione di conflitti. L’Unione ha anche riluttanza nel
sospendere unilateralmente accordi con stati terzi per la loro condotta in conflitto o la loro
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violazione dei diritti umani, tranne poche ed importanti eccezioni.
Infatti, l’UE preferisce utilizzare la condizionalità positiva di natura ex ante, dietro questa
decisione vi sono varie motivazioni di fondo, sia politiche che legali (Tocci 2007: 12). Per
quanto riguarda queste ultime sottolineiamo la difficoltà nell’applicare una condizionalità ne-
gativa o ex post. Per poter attuare embarghi o sanzioni l’Unione ha bisogno dell’unanimità
che, in molti casi, è difficile da ottenere. In più, un’eventuale sanzione in risposta di una vio-
lazione dei diritti umani sarebbe giustificata soltanto se rappresentasse una violazione mate-
riale dell’accordo, ovvero se impedisse di portare a termine un obiettivo o uno scopo dell’ac-
cordo, o intralciasse il leit motiv dell’accordo stesso. In più, dal punto di vista politico l’UE
preferisce la condizionalità positiva ex ante poiché non alimenta l’antagonismo della popola-
zione dello stato terzo e risulta essere una prova più lieve per l’élite politica che dovrà affron-
tare il cambiamento, e per la sovranità stessa dello stato in questione.
Per quanto concerne la forza della condizionalità, quest’ultima può variare secondo diversi
fattori chiave come sottolineato da Morlino e Magen. (1) Il potere di contrattazione degli atto-
ri (incluse le alternative all’UE), ovvero se è l’unico attore disponibile o se è “uno dei tanti” e
su quali tematiche è possibile contrattare. (2) La misura delle ricompense, ossia quanto “val-
gono” le ricompense, se sono molto desiderate o se in realtà non sono così ricercate dal rice-
vente e non vengono percepite come benefici davvero importanti. (3) La velocità d’elargizio-
ne delle ricompense, in altre parole se la ricompensa verrà elargita nel breve periodo o, al con-
trario, i suoi benefici verranno percepiti soltanto nel lungo periodo. (4) La credibilità della
condizionalità stessa, vale a dire quanto gli obblighi ed i relativi benefici conseguenti sono
credibili, se il ricevente sa già che anche non rispettando un determinato obbligo non avrà le
conseguenze contrattuali previste la condizionalità perde in credibilità e viceversa. (5) La
grandezza e la distribuzione dei costi – per l’attuazione degli obblighi – da parte dello stato
terzo, in pratica dove e quanto i costi andranno ad incidere. (6) La determinazione delle con-
dizioni applicate, ovvero la chiarezza e la formalità delle regole imposte, anche conosciuta
come “densità delle norme” (Morlino e Magen 2008: 33).
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Bielorussia nel 1997, Croazia nel 1995-6 e Russia 1995.
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