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La disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche si presenta come un
vero e proprio “tertium genus”, capace di unire modelli diversi e in grado di rompere con una
tradizione non più in grado di rispondere alle esigenze della società odierna: il nuovo
impianto, infatti, presenta molti connotati anche penali per le sanzioni punitive previste, pur
qualificandole come amministrative.
Capitolo 1: D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e le leggi collegate
L’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche per illeciti amministrativi
dipendenti da reato si inserisce nell’ambito dell’ampio movimento di lotta alla corruzione
internazionale, il quale prevede per tutti gli Stati aderenti l’omogeneizzazione dei mezzi di
repressione e prevenzione della criminalità in campo economico.
Il primo passo fatto dal Legislatore è stato il D. Lgs. n. 231/2001 in esecuzione della Legge 29
Settembre 2000, n. 300; quest’ultima conferiva la delega al Governo a dare piena attuazione
agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese.
Successivamente sono state fatte delle integrazioni allo stesso D. Lgs. n. 231/2001, ampliando
così le fattispecie di reato contemplate, attraverso specifiche disposizioni introdotte con l’art.
6 del Decreto Legge 25 settembre 2001, n. 350, in relazione alla commissione dei delitti
previsti dal Codice Penale in materia di <<falsità in monete, in carte di pubblico credito e in
valori bollati, connessi all’entrata in vigore dell’euro; e ancora, il D. Lgs. 11 aprile 2002, n.
61 recante la “Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società
commerciali” che, introducendo l’art. 25- ter, ha aperto la strada per il raggiungimento di
precisi obiettivi di politica criminale poiché ha dotato la Giustizia di un vero e proprio
strumento contro la corporate liability; e poi la Legge n. 7 del 2003, che ha inserito nel D.
Lgs n. 231/2001 un nuovo art. 25-quater sui “Delitti con finalità di terrorismo o di eversione
dell’ordine democratico”; infine è probabile che in un futuro non lontano venga approvata
l’introduzione nel D. Lgs. n. 231/2001 dell’art. 25 – quinquies, sui delitti contro la personalità
individuale, a seguito del lavoro del Senato della Repubblica riguardo alle ““Misure contro la
tratta di persone”.
Tutto l’impianto legislativo sin qui richiamato, prevede la responsabilità delle persone
giuridiche per i reati ascrivibili al comportamento di soggetti, persone fisiche, appartenenti,
però, a vario titolo alle aziende imputabili e che abbiano commesso illeciti a vantaggio o
nell’interesse delle società stesse.
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Punti qualificanti della disciplina disegnata dal legislatore delegato sono:
ξ La ricollegabilità del reato all’ente medesimo, sul piano soggettivo, in termini di
“colpevolezza”;
ξ La “colpa di organizzazione” identificabile con la mancata adozione o il mancato
rispetto di moduli organizzativi idonei ad evitare la perpetrazione di reati da parte
delle persone fisiche che operano in nome o per conto dell’ente;
ξ L’approntamento dei richiesti modelli organizzativi, vero e proprio dovere dell’ente
per essere esonerati dalla responsabilità;
ξ L’istituzione di un organismo dell’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di
controllo, cui viene conferito il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza
dei suddetti modelli, curandone l’aggiornamento e il mantenimento.
Gli enti, ovvero le società, destinatarie della nuova disciplina risultano: le Società di capitali,
le Società di persone, le Società cooperative, le Associazioni fornite di personalità giuridica,
le Associazioni prive di personalità giuridica, gli Enti pubblici economici e gli Enti privati
concessionari di un pubblico servizio.
Rimangono, invece, esclusi: le Pubbliche amministrazioni singole, gli Enti pubblici
territoriali, gli Enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, gli Enti pubblici non
economici.
Riguardo ai soggetti autori del reato va precisato quanto segue:
ξ coloro che sono definiti in “posizione apicale” sono identificati come chi esercita
funzioni di amministrazione, direzione e di rappresentanza dell’ente, anche se ognuna
delle suddette funzioni riguarda l’ambito di una unità organizzativa dell’ente dotata di
autonomia finanziaria e funzionale.
ξ I soggetti in posizione subordinata riguardano tutte la figure dei sottoposti alla
direzione o vigilanza dei soggetti in posizione apicale.
Le sanzioni irrogabili alle società, qualora esse vengano imputate e successivamente
condannate, si dividono in: sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive, quali l’interdizione
dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o
concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la pubblica
amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da
agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il
divieto di pubblicizzare beni o servizi.
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Ad ogni modo è sempre prevista la confisca dell’ingiusto profitto dell’ente, conseguito
attraverso gli illeciti commessi, anche se per essi non è imputabile l’azienda.
Il D. Lgs. n. 231/ 2001 prende poi in considerazione le vicende modificative dell’ente,
dispone riguardo a giurisdizione e competenza, prove, misure cautelari, indagini, giudizio,
esecuzione ed impugnazione.
Capitolo 2: Profili comparatistici
Negli ultimi anni stiamo forse assistendo ad un’accelerazione del dibattito e delle misure
adottate in materia di reati societari perché l’economia mondiale, che sta vivendo un periodo
di rallentamento, è più sensibile alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto grandi colossi
multinazionali, per il timore delle ricadute di tali crack sul sistema stesso.
Se da un lato gli Stati Uniti continuano con il loro ruolo da first mover, dall’altra la nascita
dell’ Unione Europea ha senza dubbio contribuito a coordinare gli sforzi dei paesi del vecchio
continente, obbligandoli quasi a prendere coscienza della necessità di dotarsi di un apparato
giuridico relativo ai reati societari e a seguire delle linee guida ben precise.
Proprio gli Usa, con un’esperienza già più che ventennale in materia, si sono dotati di alcuni
strumenti, come il “Foreign Corrupt Practices Act” del 1977, un atto legislativo del Congresso
statunitense che proibisce alle società americane di corrompere funzionari stranieri con
finalità di ottenere o mantenere affari. uno dei meriti del FCPA è stato sicuramente quello di
contribuire allo sviluppo dei così detti “compliance programs”, in quanto la stragrande
maggioranza delle aziende con sede legale negli Stati Uniti ha sviluppato volontariamente una
serie di procedure per adattare la propria struttura interna ai requisiti richiesti dall’atto
normativo, considerando i programmi interni di regolamentazione una vera e propria leva
strategica.
Ancor più marcato è stato l’impatto avuto sull’intero sistema economico americano delle
“Federal Sentencing Commission Guidelines for Organizations” .
Tali Guidelines, che stabiliscono 7 criteri chiave per verificare la buona condotta dell’azienda,
sono state introdotte dopo molte analisi con l'intento di prevenire i comportamenti illeciti
delle organizzazioni, prevedendo significative sanzioni e deterrenti, ma anche attenuanti per
tutte quelle aziende in grado di dimostrare che possono provare di aver fatto tutto il possibile
per evitare di incorrere in comportamenti illeciti, appunto attraverso l'adozione e
l'applicazione di uno specifico “Compliance Program”.
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Infine, il Sarbanes-Oxley Act of 2002 è l’ultimo sforzo in ordine di tempo, che
l’amministrazione americana ha posto in essere prevedendo numerose riforme normative ed
istituzionali, motivate dalla necessità di ridare fiducia al pubblico degli investitori a seguito
dei numerosi scandali quali Enron, Worldcom, AllFirst e altri ancora.
Alcuni dei punti qualificanti: pene più severe (sino a dieci anni di detenzione) per chi
commette frodi o certifica bilanci falsi, per chi ostacola la giustizia distruggendo documenti;
l’istituzione di una nuova “Corporate Fraud Task Force”; l’incremento dei poteri della SEC
relativamente al congelamento dei profitti illegittimamente ottenuti dai managers e dagli
amministratori; il divieto di erogare prestiti ai dirigenti della società; una più intensa
disclosure nelle transazioni e nelle operazioni di acquisto e di vendita delle azioni della
società da parte dei vertici aziendali; il rafforzamento della SEC tramite l’aumento dei fondi.
Vicina all’esperienza statunitense è quella inglese, che prevede espressamente la
responsabilità della persona giuridica per i reati commessi dai suoi dipendenti, differenziando
però tra “inferior servants” e “superior servants”.
Il diritto tedesco ha prevalso la tesi secondo cui gli enti collettivi sono capaci di azione solo
per mezzo dei loro organi e non sono assoggettabili ad una pena, perché incapaci di avvertire
la disapprovazione etico-sociale, che l’ordinamento esprime per mezzo della sanzione
criminale. Tuttavia sono in vigore interventi sanzionatori che colpiscono tanto l’azienda
quanto le persone che per lei agiscono in caso di commissione di fatti penalmente rilevanti.
Nei paesi di Civil Law, uno dei pochi codici penali contenente disposizioni che regolano
espressamente ipotesi di responsabilità penale delle “personnes morales” è quello francese,
entrato in vigore il 1 marzo 1995.
Il testo attuale del codice penale francese dispone che “le persone giuridiche, ad eccezione
dello Stato, sono penalmente responsabili […] dei reati commessi, per loro conto, dai propri
organi o rappresentanti.”.
Sul versante del diritto penale spagnolo, fino alla legge di riforma del 1983 si può sostenere
che il brocardo societas delinquere non potest era assai radicato nel tessuto giuridico-penale.
Il nuovo testo normativo - in vigore tuttoggi - prevede, a differenza della situazione
previgente, la responsabilità di chiunque agisca come amministratore “di fatto o di diritto” di
una persona giuridica o in nome o come rappresentante legale o volontario di altri e riguardo
ad ogni figura di delitto o contravvenzione.
Trasversalmente alle scelte di ogni singola nazione, si svolge il lavoro dell’Unione Europea,
che da parecchi anni con diversi Trattati e Protocolli cerca di uniformare e far convergere
sulle stesse posizioni tutti gli Stati membri.
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Vale solo la pena di ricordare la “Convenzione elaborata in base all’art. 31 (ex K.3) del
Trattato sull’Unione Europea, relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità
europee”, siglata a Bruxelles il 26 Luglio 1995, ovvero la matrice comunitaria
dell’innovazione del diritto italiano in materia di responsabilità delle persone giuridiche.
Infine anche l’OCSE ha apportato un contributo di grande rilievo con la “Convention on
Combating Bribery of Foreign Public Officials in International Business Transactions”.
Capitolo 3: Corporate Governance e illeciti societari: le strutture aziendali e il
mantenimento del valore
E’ possibile affermare che “la Corporate Governance, intesa come il sistema delle regole
secondo le quali le imprese sono gestite e controllate, è il risultato di norme, di tradizioni, di
comportamenti elaborati dai singoli sistemi economici e giuridici e non è certamente
riconducibile ad un modello unico, esportabile ed imitabile in tutti gli ordinamenti”.
Tra le molte teorie su di essa, una delle più interessanti è quella che espone le regole del gioco
del governo societario come l’interazione tra Legge e Mercato: coniugando espliciti vincoli
legali ed impliciti dettami della competizione economica, si ottiene l’effetto di controllare il
comportamento delle aziende, secondo il sistema di valori morali diffusi, riconosciuti ed
accettati dalla collettività sociale.
In questo modo, viene a mancare l’autonomia della specifica impresa nel contribuire alla
regolamentazione dell’attività con una disciplina “interna”.
Oltretutto, un’autodisciplina della Corporate Governance è ancor più opportuna in presenza di
vuoti legislativi o zone d’ombra nella normativa, poiché “l’etica chiede il meglio, la legge il
minimo”.
Considerando la Legge come la base da cui partire, rimane ancora tutto un lavoro da fare per
definire gli standard di comportamento attesi dall’impresa nello svolgimento della sua
performance. Il primo passo consiste nel procedere ad una profonda analisi degli assetti
societari, del funzionamento e dell’organizzazione interna, valutando così lo stato dell’arte.
L’esito non è affatto scontato e l’introduzione di un nuovo modello etico e gestionale interno
richiede che tale sforzo aiuti a realizzare una soddisfazione maggiormente diffusa, distribuita
ed equilibrata del sistema di valori degli stakeholders.
Le imprese, però, hanno un finalismo complesso: per sua concezione un’azienda è chiamata a
dare risalto alla dimensione economica, la produzione di ricchezza e di profitto occupa
giustamente un ruolo centrale nella visione aziendale; ma a questa dimensione istituzionale
vanno aggiunti altri fondamentali contributi, quali la soddisfazione delle attese di certi
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interlocutori sociali e le aspirazioni individuali degli attori chiave dell’impresa stessa, ossia la
proprietà e il management. Ciò si traduce operativamente nella ricerca di una redditività dalle
basi solide e durature, che alimenta e viene alimentata a sua volta da una forte competitività e
da un elevato grado di consenso sociale, per ottenere dei risultati rilevanti nel lungo periodo
grazie ai circoli virtuosi in cui risultati economici, risultati competitivi e risultati sociali si
inanellano sinergicamente gli uni in funzione degli altri.
In un modello così strutturato c’è senza dubbio la convergenza di valutazioni economico-
aziendali e di valutazioni etiche.
Un’importante fattore, che viene spesso tralasciato nelle analisi strategiche delle imprese, è
quello degli illeciti societari e della loro incidenza sul valore aziendale.
Il problema non è irrilevante e risulta complicato dalla difficile connotazione che si riesce a
darne, per la varietà di illeciti che possono vedere coinvolte le società.
Per poter parlare di frode e illeciti, devono sussistere in ogni caso:
l’attore e la vittima;
l’inganno: ovvero “artifici o raggiri” dell’attore ed errore della vittima; l’ingiusto
guadagno e/o il danno.
Sulla base della teoria di creazione del valore, secondo la quale creare valore significa
massimizzare quello dell’impresa intesa quale investimento, ovvero accrescere la dimensione
del capitale economico, è possibile analizzare i fattori-chiave determinanti del valore, le
politiche e le strategie che incidono su tali fattori, in modo da evidenziare come tanto il valore
odierno (W), quanto quello delle opportunità di crescita (∆W) risultino fortemente esposti al
rischio di commissione e/o omissione di certi atti, secondo quanto disciplinato dalla
normativa attuale.
Il risultato ci porta a considerare quanto necessario sia prevedere una efficace politica di
controllo dei rischi per ogni azienda che si ponga l’obiettivo di creare ed implementare una
valida strategia d’impresa volta a creare valore, a maggior ragione adesso sotto la spinta del
D. Lgs. n. 231/2001, poiché in mancanza di essa l’azienda si trova esposta ad una serie di
danni diretti per l’applicazione di eventuali sanzioni amministrative, indiretti per
l’impossibilità di perseguire il suo scopo primario di creazione del valore e consequenziali per
tutto quanto attiene il deterioramento dell’immagine aziendale e dei rapporti con gli
stakeholders.
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Un modello organizzativo chiaro e ben definito, con adeguate ripartizioni di responsabilità e
poteri, insieme ad un corretto equilibrio tra gestione e controllo è sicuramente alla base di un
governo societario evoluto ed in grado di far fronte agli interrogativi e alle sfide che
l’ambiente esterno, l’attività d’impresa e la gestione dei rischi richiedono.
L’affidabilità e l’efficacia del sistema di corporate governance sono il lasciapassare per poter
competere ed avere l’accesso ai mercati finanziari, in un quadro sempre più internazionale e
con una normativa sempre più stringente.
In tale contesto spicca il ruolo primario e fondamentale del Consiglio di Amministrazione, il
quale svolge una funzione di guida per assicurare il raggiungimento degli obiettivi preposti,
attraverso una strategia industriale, finanziaria e sociale, pianificata e approvata da esso
stesso, riguardante tutta la struttura societaria del gruppo cui fa capo.
Varie ed articolate sono le sue funzioni.
A garanzia ulteriore del corretto sistema di governo societario e per la tutela degli interessi di
tutti gli investitori c’è il Collegio Sindacale, organo peraltro obbligatorio nella compagine
societaria.
Perciò gli organi preposti alla guida dell’azienda sono chiamati a costituire un sistema di
controllo che faccia da barriera contro le minacce provenienti dall’ambiente esterno e,
contemporaneamente, che vigili su tutto quanto accade all’interno, rilevando le situazioni
anomale e i risultati che si scostano dagli standard di riferimento.
Istituire un sistema come questo significa in primo luogo completare l’articolata struttura di
corporate governance, perché senza il controllo su cosa si fa e su come lo si fa, ogni azione
indirizzata verso uno scopo perde di valore, visto che mancano i mezzi per valutarne l’impatto
e l’efficacia.
In base alla disciplina sulla responsabilità amministrativa, la previsione di un organismo di
controllo ad hoc, che verifichi le procedure interne, identifichi, prevenga e gestisca i rischi di
natura finanziaria, operativa e le frodi in danno alla società, si innesta sul progetto di
corporate governance sin qui delineato.
Una proposta più che plausibile, che risponda pienamente al dettato del legislatore, è quella di
far ricoprire un ruolo tanto delicato dalla Funzione Security; quest’ultima, sicuramente libera
da vincoli gestionali, dotata per sua natura di competenze necessarie e fondamentali per
diventare il punto di riferimento dell’azienda in un contesto di forte bisogno di protezione
dalle minacce o nel caso di un obbligo normativo, può venir collocata strategicamente
all’interno della struttura aziendale, cosa che le permette di godere di ampia indipendenza
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gerarchica e di raggiungere un elevato grado di pervasività all’interno dell’impresa, al fine di
vigilare e proteggere nel migliore dei modi le risorse aziendali.
Capitolo 4: I modelli di organizzazione, gestione e controllo
La scelta della Funzione Security come Organismo di vigilanza ex D. Lgs. n. 231/2001
permette di ottenere risultati rilevanti su più fronti, poiché essa è in grado di avere la perfetta
conoscenza delle dinamiche e dell’organizzazione aziendali, condivide (concorrendo, peraltro,
a formarli) la cultura etica e gli obiettivi strategici della società, garantisce la riservatezza ed il
trattamento adeguato alle informazioni a cui ha accesso.
Tutto ciò porta a considerare lo sforzo necessario in termini economici ed organizzativi di
tale progetto come un vero e proprio investimento strategico, che produce valore come le altre
Funzioni aziendali.
I requisiti principali che la Security dovrà mostrare di avere, possono essere così
schematizzati:
o Autonomia ed indipendenza: organizzativamente possono essere raggiunte collocando la
Security come Funzione di staff, ovviamente in una posizione gerarchica la più elevata
possibile e prevedendo un canale privilegiato per il dialogo con tutti gli organi e le unità
aziendali.
o Professionalità: questa caratteristica fa riferimento al bagaglio di strumenti e alle tecniche
che la Security deve possedere per sua conformazione naturale e, a maggior ragione, sotto
il dettato legislativo.
o Continuità di azione: caratteristica che le permette di svolgere le proprie mansioni senza
soluzione di continuità all’interno dell’azienda e ad ogni livello di essa.
Infine le specifiche funzioni, come da dettato normativo:
Vigilanza sulla congruità delle misure adottate: la Security vigila sul funzionamento
delle prescrizioni del modello. Essa è chiamata ad effettuare un’analisi comparativa sulle
norme adottate dalla società, sulla loro congruità ed attuabilità in considerazione della
concreta attività svolta.
Verifica dell’osservanza del modello: lo step successivo consiste nel passare alla verifica
dell’attuazione delle misure ritenute adeguate alla realtà aziendale.
Aggiornamento: tutto il lavoro già svolto precedentemente si rivela un feedback
preziosissimo, affinché sia possibile provvedere agli aggiornamenti più opportuni in
relazione ai mutamenti che abbiano interessato l’azienda.
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Attività di verifica dei risultati: trovandoci di fronte ad un processo dinamico, come in
ogni progetto di sicurezza aziendale, il monitoraggio continuo e le misure introdotte a
seguito delle proposte di aggiornamento, ci riportano nuovamente alla valutazione della
validità del modello in essere e all’analisi dell’ambiente. Solo così il patrimonio aziendale
risulta protetto con continuità ed efficacia.
Passo fondamentale per la realizzazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo
è il processo di Risk Management, che si compone di 3 fasi:
identificazione del rischio
valutazione del rischio
gestione del rischio.
Partendo dal concetto di “rischio accettabile”, cosa che nello specifico caso del D. Lgs. n.
231/2001 non può seguire unicamente una logica economica, l’analisi dovrà necessariamente
condurre alla realizzazione e, successivamente, alla implementazione di una soluzione idonea
a rispondere al dettato legislativo, ma anche in grado di venire incontro alle esigenze di
protezione dell’impresa per tutti i tipi di minacce.
Tutto ciò si risolve con la costruzione di un modello di organizzazione, gestione e controllo
tale da non poter essere aggirato se non INTENZIONALMENTE.
La soglia di accettabilità è, quindi, rappresentata da un sistema che possa:
escludere che chiunque, all’interno dell’azienda, possa giustificare la propria condotta
adducendo l’ignoranza delle direttive aziendali;
evitare che, normalmente, il reato si possa concretizzare grazie ad un errore umano nella
valutazione delle direttive emanate.
Nel momento dell’implementazione del modello la sua struttura dovrà prevedere affinché
l’attività di prevenzione degli illeciti risulti efficace: un sistema organizzativo adeguato alla
strategia e agli obiettivi aziendali; dei sistemi di comunicazione, da adottare per la diffusione
e l’accertamento dell’accettazione del modello di organizzazione, gestione e controllo da
parte di tutto il personale; un adeguato sistema di formazione con programmi differenziati in
base agli interlocutori; un sistema di procedure operative manuali ed informatiche al fine
di monitorare l’attività aziendale, scandagliando fino ai processi più elementari e traendo
importanti spunti per l’aggiornamento del modello nella prevenzione dei reati; sistema di
controllo e monitoraggio del modello, attività che più di ogni altra chiama in causa la
Security e il suo modo di operare; un sistema disciplinare e sanzionatorio, lo strumento che
anche il Decreto prevede al fine di garantire coattivamente l’osservanza della legalità e della
correttezza al suo interno.
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Tutte le componenti descritte finora devono integrarsi organicamente in un’architettura ben
bilanciata e che rispetti i fondamentali principi di controllo:
“Ogni operazione, transazione, azione deve essere: verificabile, documentata, coerente e
congrua”;
“Nessuno può gestire in autonomia un intero processo”;
“Documentazione dei controlli”.
Un discorso a parte merita senz’altro il codice etico, con cui un’ azienda dà voce a quelli che
sono i convincimenti forti e radicati della leadership aziendale, plasma la cultura stessa
dell’ambiente in cui opera, propone una guida basilare per la gestione e di tutto questo
informa i soggetti che vengono in contatto con essa.
Anche in questo caso l’esperienza italiana presenta dei ritardi rispetto a quella statunitense in
particolare, dove i codici di condotta sono ben più radicati nelle imprese.
Il codice viene generalmente introdotto per iniziativa dei vertici aziendali, successivamente
elaborato con la collaborazione di ogni soggetto impegnato in azienda e infine diffuso con
decisione dal management, affinché acquisti credibilità di fronte ai destinatari.
Esso, tuttavia, è un po’ un’arma a doppio taglio: una volta adottato risulta vincolante di fronte
alla comunità nella quale è inserita l’azienda, per questo sarebbe più che mai dannoso
adottarne uno e poi non impegnarsi in una sana e corretta gestione aziendale, ispirata da forti
principi.
Il fatto che la Legge abbia introdotto l’utilizzo del codice etico, quale strumento di
prevenzione dei reati, corrisponde ad una spinta forte al cambiamento per ogni azienda
italiana; il Decreto, però, indica solo i contenuti minimi: spetta ad ogni società optare per un
codice più completo ed elaborato in relazione alle proprie necessità e aspirazioni.
In conclusione, affidare il compito imposto dalla normativa alla Security significa investire
risorse in un’ottica di creazione del valore aziendale, sicuri che si avranno sempre gli
strumenti più adatti ed efficaci a rispondere alle richieste del Legislatore, pronti ad allargare il
raggio di azione quando indispensabile, soprattutto di fronte a nuove introduzioni legislative,
ma senza mai venir meno al bisogno di costruire un sistema così articolato tenendo presente la
struttura aziendale sottostante.
Porre la Security al controllo ed alla prevenzione dei reati che prevedono la responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche ha, il vantaggio di creare delle sinergie non
trascurabili a livello di costi e di competenze con tutte le altre aree di interesse della
protezione aziendale, in parte già disciplinate dalla normativa italiana.
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Per ogni azienda si tratta di creare la propria carta d’identità, che possa dimostrare la qualità a
360° delle attività svolte e che la faccia emergere dalla massa dei concorrenti.
La Security lavora in questa direzione e costituisce un’arma validissima che può sempre
essere diversamente strutturata per ogni azienda e che, quindi, porta il suo contributo alla
differenziazione rispetto ai competitors.