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INTRODUZIONE
Dalle analisi di mercato che ogni giorno arricchiscono i nostri quotidiani e i reportage dei mass media,
possiamo comprendere sempre più, le infinite e complesse componenti che caratterizzano e rendono la
crisi attuale una delle più difficili da affrontare e soprattutto dalle quali uscire.
Nonostante i dati raccolti e gli studi condotti fino ad oggi, infatti, il continuo mutamento degli eventi e
delle condizioni economico politiche dei diversi paesi del mondo complicano sempre più la ricerca di
una soluzione efficiente.
Operando in tale contesto storico le aziende di vecchia e nuova data si ritrovano a fare i conti con le
loro scelte strategiche. Da qui il bisogno d’innovazione per il lancio di nuovi prodotti e per ridurre il
più possibile gli scarti, ma anche di flessibilità, data la sempre più forte competizione nei mercati con
la globalizzazione e di espansione della clientela, attraverso l’ingresso nei mercati esteri.
Il tutto finalizzato ad una priorità ben più alta e condivisa da tutte le aziende: la sopravvivenza nel
mercato.
Al di fuori delle strategie commerciali e pubblicitarie, oggi le più sfruttate dalle aziende come
temporaneo “antidoto” alla crisi finanziaria, rimane un contesto poco trattato e soprattutto poco
considerato dalle stesse imprese: il welfare aziendale.
Per la maggior parte delle organizzazioni (in special modo quelle di piccole dimensioni)
l’investimento nelle politiche organizzative finalizzate allo sviluppo di un buon clima aziendale, ricade
tra le scelte di minore rilevanza, data rispetto al passato l’ulteriore problematica che i contesti
aziendali si ritrovano ad affrontare.
Pur giustificati i tagli in quest’ambito a causa delle scarsità di risorse monetarie a disposizione, non vi
è da dimenticare che per favorire la motivazione e il coinvolgimento dell’organico nell’attività
condotta non è sempre necessario l’utilizzo d’investimenti rilevanti o ancor più di un sistema
retributivo e di benefit sostanzioso, ma sono sufficienti alcuni semplici accorgimenti molto spesso
legati alla condivisione di valori e successi.
Attraverso questa tesi, divisa in tre parti, si cercherà di comprendere più nello specifico il ruolo che
attualmente la motivazione ricopre all’interno delle società, ma soprattutto quali possono essere i
benefici e le conseguenze derivanti dal suo raggiungimento o meno attraverso l’utilizzo di uno dei
tanti strumenti utilizzabili a tal proposito: la cultura aziendale.
Nel dettaglio, nel primo capitolo verrà introdotta una sostanziosa analisi della motivazione in generale,
con la rilevazione in principio di alcune delle numerose problematiche che potrebbero essere in parte
risolte attraverso una maggiore attenzione da parte della stessa organizzazione al tema trattato e poi a
seguire un approfondimento relativo alle variabili influenzanti il livello di EEI (Employee Engagement
Index). A termine della prima parte vi sarà infine un paragrafo volto ad evidenziare quello che
abbiamo in parte già preannunciato essere il ruolo della motivazione all’interno dell’azienda e
soprattutto quelli che sono le opportunità o le conseguenze derivanti dalla introduzione di politiche
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organizzative corrette o sbagliate, con una elencazione al termine di quelle che potrebbero poi risultare
soluzioni concrete per le aziende che a causa del mancato interessamento in passato per l’argomento si
trovano ad affrontare oggi alcune problematiche sia economiche sia di trattenimento del personale.
Sviluppato il primo capitolo con la finalità di cambiare alcune errate credenze tra le imprese
riguardanti il trade off tra investimenti nella gestione delle risorse umane e benefici economici da
questi derivanti, all’interno della seconda parte sono poi stati introdotti alcuni esempi concreti di
culture aziendali che, a seguito di un’attenta analisi da parte dei responsabili, hanno consentito alle
società appartenenti la possibilità di diventare leader nei rispettivi settori e soprattutto di avere fama e
successo a livello internazionale.
Tutti distinti tra loro, gli esempi, puntano principalmente a dimostrare che il settore e l’ambito
d’intervento non debbono essere considerati come ostacoli o limiti ma bensì come semplici caratteri
distintivi tra le diverse politiche organizzative introdotte.
Con la medesima struttura il terzo capitolo riporta però alcune testimonianze, raccolte tramite
intervista face-to-face con i direttori di funzione, di alcune realtà locali, che pur distanti dagli esempi
riportati nel capitolo precedente hanno la finalità di comprovare la possibilità di integrare l’obiettivo
dell’EE anche in contesti aziendali di piccole dimensioni.
Attraverso la seguente segmentazione si è cercato così di creare un percorso logico attraverso il quale
si è tentato di avvicinare il più possibile il concetto in principio solamente astratto della motivazione e
delle sue caratteristiche a qualcosa di più tangibile, più vicino a noi o meglio alla realtà delle aziende.
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CAPITOLO 1 La motivazione sotto indagine
1.1 Problematiche aziendali: mancanza di motivazione
Il susseguirsi nell’ultimo decennio di fenomeni di compressione ed espansione, quali crisi
economiche, pressioni finanziarie, tensioni politiche e crescenti rapporti di concorrenza tra i diversi
paesi del globo, hanno reso incerta e difficoltosa la vita delle imprese. Quest’ultime, nella maggior
parte dei casi per poter sopravvivere e non uscire dal mercato devono avviare procedure di riduzione
dei costi e degli investimenti: nella tecnologia, nella R&S e nel personale, poiché rispetto agli altri
ambiti sono quelli caratterizzati da maggiore discrezionalità.
A tal proposito, nell’edizione di gennaio-febbraio 2012 della rivista Harvard Business Review, una tra
le più diffuse testate che ruotano attorno all’argomento del management delle imprese, è stato rilevato,
come risultato di un’indagine durata dieci anni svolta da Zeynep Ton, che buona parte dei dettaglianti
americani (e non solo questa specifica categoria secondo lui) siano convinti esista un trade-off
negativo tra investimenti nel fattore lavoro e prezzi concorrenziali. Zeypen (2012) afferma infatti che i
rivenditori al dettaglio sostengano: “If retailers invest more in employees, customers will have to pay
more, the assumption goes.”
Un contesto economico di questo tipo non rende poi così sorprendente, di conseguenza, il problema
del disengagement dei lavoratori nei posti di lavoro, dovuto ad un sempre più basso livello
motivazionale da parte degli stessi.
Innumerevoli ricerche cercano di comprendere le principali cause e le possibili soluzioni di un
fenomeno di questo calibro, molto spesso sottovalutato, tra le quali quelle sviluppate da Towers
Watson e Aon Hewitt, società specializzate nella consulenza e nell’affiancamento alle aziende nelle
problematiche relative la gestione delle risorse umane.
Nonostante il campione preso a riferimento dalle due società sia differente, entrambe mettono in
evidenza dati davvero non troppo rassicuranti.
Nell’indagine “Global Workforce Study 2012” della Towers Watson, sviluppata intervistando circa
32.000 lavoratori di 28 paesi del mondo
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, è risultato che poco più di un terzo dei dipendenti (35%)
sono fortemente engaged, un fatto particolarmente allarmante data la forte relazione che esiste tra
sustained engagement e risultati finanziari delle imprese.
Dall’altro lato Aon Hewitt con “2013-Trends Global Engagement Report”, suddivisi gli intervistati in
quattro aree (Asia, Europa, America Latina e America del Nord), rivela che l’andamento
dell’Employee Engagement Index a livello globale e delle singole aree dal 2008 al 2012 è aumentato
in media del 2.5% rispetto al 2008. Sottolineando che l’aumento più rilevante è stato proprio quello
europeo, con un Engagement Score passato dal 52% nel 2008 al 57% nel 2012, è bene analizzare più
nello specifico cosa in realtà rappresenta il 57% o il 60%, se consideriamo la media globale.
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Respondent Profile Global Workforce 2012
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Come dichiara Aon Hewitt nel suo report l’Employee Engagement Index, sia a livello globale che a
livello locale, rappresenta sì la percentuale di popolazione lavorativa engaged (ossia impegnata e
coinvolta nel contesto aziendale), ma evidenzia inoltre come il livello di coinvolgimento dei lavoratori
appartenenti a questa categoria non è equamente distribuito.
Analizzando con attenzione i dati del 2012 noteremo, che della percentuale di lavoratori engaged a
livello globale (60%), solamente una piccola parte (20%) è definita Highly Engaged e quindi
fortemente motivata, mentre la parte restante (40%) è considerata Moderately Engaged e di
conseguenza decisamente meno coinvolta e impegnata. Lo stesso, come possiamo notare nella Figura
1.1.1, vale per i casi specifici delle quattro aree demografiche interessate dall’indagine.
Per comprendere cosa contraddistingue un lavoratore fortemente engaged dal resto della popolazione
attiva, possiamo ricorrere alla spiegazione fornitaci da Towers Watson in Global Workforce Study
2012, secondo cui esistono tre fattori cruciali da tenere in considerazione nell’individuazione delle
diverse categorie di lavoratori:
Engagement Tradizionale, rappresentato dalla spontanea volontà dei singoli individui di fare
più di ciò che gli è richiesto;
Figura 1.1.1: 2012 Engagement Distribution
Fonte: Aon Hewitt, 2013