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Una delle conseguenze della nascita di Internet è lo sviluppo del
commercio elettronico. Con tale espressione, come approfondiremo, ci si
riferisce all’insieme delle transazioni commerciali che avvengono tramite
la rete. Il fenomeno in questione può essere analizzato da diversi punti di
vista: legale, fiscale, sociale, ecc. Negli ultimi anni è stata prodotta
moltissima letteratura sull’argomento, che è stato ampiamente sviscerato
nei suoi diversi aspetti. Si nota però una produzione letteraria molto ridotta
per ciò che concerne gli aspetti logistici dell’e-commerce. Come risulterà
chiaro nel seguito, nelle iniziative di commercio elettronico che hanno per
oggetto prodotti che richiedono la consegna fisica al cliente (prodotti non
digitalizzabili), non si può assolutamente prescindere da un’accurata
progettazione logistica. Molti sono i lavori scientifici che accennano
all’importanza di questa questione, limitandosi però proprio ad un accenno.
Con questa tesi si intende inserirsi in questo spazio ancora non
approfondito al meglio; si intende cioè dare un contributo all’analisi degli
aspetti logistici del commercio elettronico. Per studiare nel modo migliore
il problema, si ritiene opportuno focalizzare l’attenzione sul commercio
elettronico B2C, che è quello rivolto al consumatore finale, e sui prodotti
non digitalizzabili, che sono quelli in relazione ai quali si pone il problema
logistico. Prodotti da consegnare fisicamente al cliente, iniziative rivolte al
cliente finale e aspetti logistici della gestione segnano i confini dell’area
analizzata in questa tesi.
Per elaborare questo lavoro si è, innanzitutto, esaminata l’ampia letteratura
sul commercio elettronico in generale; si è poi esaminata la letteratura
(molto meno ampia) sugli aspetti logistici dell’e-commerce; sono stati
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analizzati i risultati di diverse ricerche empiriche pubblicate recentemente;
posto l’argomento, tra gli strumenti utilizzati non poteva mancare Internet,
che è stata importante su due piani: da un lato, per il reperimento di dati,
cifre, articoli pubblicati on-line, ecc.; dall’altro, per studiare direttamente le
iniziative di commercio elettronico, cercando di capire, con un esame
diretto, quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’e-commerce, i punti di
forza e di debolezza delle singole iniziative, se c’è spazio per dei
miglioramenti e così via.
Per quanto riguarda il layout del lavoro, innanzitutto si inquadra il
problema nel suo contesto, facendo riferimento, per sommi capi, alla storia
di Internet e alla cosiddetta New Economy.
Nel Capitolo I viene esaminato il commercio elettronico in generale. Si fa
riferimento alle diverse definizioni del concetto, alle dimensioni che
caratterizzano il fenomeno e al funzionamento degli acquisti on-line; si
cerca poi di capire quali sono i vantaggi dell’e-commerce per i consumatori
e quali sono le opportunità e minacce che ne derivano per le imprese, con
un riferimento particolare alle imprese commerciali. Si cerca poi di
spiegare quali sono gli svantaggi e quali sono gli ostacoli allo sviluppo di
questa particolare realtà, sottolineando l’importanza del concetto di fiducia.
Nel Capitolo II si studiano le particolarità del commercio elettronico di
determinati prodotti: il libro, la calzatura e il mobile; ciascuno di questi
settori presenta delle peculiarità che derivano dalle specifiche
caratteristiche del prodotto; per ognuno, inoltre, vengono esaminate delle
iniziative presenti on-line. Nello stesso capitolo si fa riferimento ad una
parte del commercio elettronico che potrebbe, in un futuro non lontano,
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assumere un ruolo di primo piano: il mobile-commerce, cioè il commercio
elettronico che si avvale del telefono cellulare.
Il Capitolo III rappresenta il cuore di questa tesi. E’ in questa parte, infatti,
che vengono esaminati gli aspetti logistici dell’e-commerce. In primis,
viene inquadrato il problema e vengono individuati i punti di riferimento
della progettazione logistica, dopodiché si focalizza l’attenzione sul
nocciolo della questione, che è la consegna a domicilio, o più in generale il
problema del last mile; a tal proposito, vengono analizzate diverse possibili
soluzioni, ciascuna delle quali si adatta a situazioni e contesti diversi. Nel
corso del capitolo si fa riferimento a diverse esperienze empiriche, al ruolo
degli operatori postali e alle scelte di outsourcing della logistica. Si fa
anche riferimento al grande spazio che sembra esistere per le cosiddette
iniziative “bricks and clicks”, cioè le iniziative on-line avviate da parte di
operatori già presenti nel “mondo reale”.
Nel Capitolo IV vengono studiati alcuni casi aziendali che presentano
diverse caratteristiche in termini di natura del prodotto, di presenza solo on-
line o anche off-line, e così via. Questi casi consentono di riferire quanto
detto nei capitoli precedenti a situazioni reali. Per ciascuna di queste
iniziative si è cercato di individuare i punti di forza e di debolezza, gli
aspetti positivi e negativi della gestione, e anche di proporre qualche
possibile miglioramento.
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Breve storia di Internet
Nello sviluppo del commercio elettronico un ruolo fondamentale è svolto
dalla infrastruttura attraverso la quale hanno luogo i contatti tra i soggetti
coinvolti. Ovviamente si tratta di Internet, alle cui origini e caratteristiche
si ritiene opportuno fare qualche cenno.
Negli anni Sessanta, negli Stati Uniti, l’ARPA (Advanced Research Project
Agency), un’agenzia del Ministero della Difesa, fu incaricata di progettare
e realizzare una rete di comunicazione capace di resistere ad un attacco
nucleare, capace di operare in modo affidabile anche in caso di guerra. Il
risultato di questo sforzo di progettazione fu Arpanet, una rete ad
intelligenza distribuita attivata nel 1969 [Colombo 1997]. Originariamente
aveva solo quattro nodi: UCLA (Università della California di Los
Angeles), Università di Santa Barbara, Stanford Research Institute e
Università dello Utah. L’intento era quello di avere una rete che
continuasse a funzionare anche nella eventualità di interruzioni a carico di
una o più sezioni della stessa [sapere.it: voce Internet]; ma ben presto
Arpanet iniziò ad espandersi per l’adesione di enti e università che
vedevano la possibilità di scambiarsi informazioni scritte in tempo reale: è
l’inizio della posta elettronica. L’espansione della rete provocò problemi di
gestione che portarono al suo sdoppiamento nel ramo militare (Milnet) e
civile. Passaggio di rilievo è lo sviluppo del protocollo IP (Internet
Protocol) e di un software dedicato allo smistamento delle informazioni, il
TCP (Transmission Control Protocol); si parla di protocollo TCP/IP:
questo rende Internet quello che è, cioè la rete delle reti (INTERconnected
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NETworks) , in quanto fornisce uno standard di comunicazione tra reti che
usano protocolli locali diversi. All’epoca ve ne erano solo due, ma l’idea
era già quella di connettere migliaia di reti. Nel 1986 venne costituita, ad
opera della National Science Foundation, NSFnet, che consentiva il
collegamento a sei supercalcolatori per scopi di ricerca. Le possibilità
offerte da tale rete nel collegamento tra le reti regionali portò alla
disattivazione di Arpanet. La rete fu articolata su tre livelli: dorsale, reti
regionali, reti universitarie. L’aumento esponenziale del traffico, che
richiedeva ingenti investimenti per aumentare la capacità della rete, portò
all’apertura di quest’ultima ai privati, sia utenti, sia service providers.
Furono create nuove dorsali contestualmente all’intervento degli operatori
telefonici tradizionali.
Nel 1994 il Governo americano decise di procedere alla privatizzazione di
Nsfnet, e poco dopo cessarono i finanziamenti pubblici alla iniziativa.
Evidente quindi risulta il ruolo di primissimo piano della istituzioni USA
nella nascita e nello sviluppo di Internet.
La diffusione su larga scala di Internet, negli anni Novanta, è legata anche
allo sviluppo del World Wide Web e del software Mosaic. Talvolta si parla
di World Wide Web e di Internet come sinonimi, ma si tratta di realtà
distinte [Rossi, in Sciarelli Vona 2000]; il World Wide Web (grande
ragnatela mondiale), inventato da Tim Berners-Lee, scienziato del Cern di
Ginevra, è un insieme di browser e di server interconnessi, ed è ciò che
consente la navigazione ipertestuale in Internet, consente cioè di scambiare
dati, immagini, suoni, movendosi in rete secondo un percorso che non è
predefinito, ma costruito in modo originale e personale dallo stesso
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navigatore. Mosaic, inventato da Marc Andreesen dell’Università
dell’Illinois, nel 1993, è stato il primo browser, cioè il capostipite dei
software che consentono di accedere alla rete e di navigare (oggi i più
diffusi sono Microsoft Explorer e Netscape Navigator. Il Web e i browser
hanno semplificato notevolmente l’accesso alla rete, che non è più riservata
agli specialisti, ma accessibile a tutti anche in termini di facilità d’uso.
Una caratteristica peculiare di Internet è quella di essere una rete
application-blind (le altre, come la rete telefonica, sono application-
aware), in quanto fornisce un servizio generale di trasporto di bit; ciò
significa che diventa possibile l’interoperabilità tra diverse applicazioni e
varie infrastrutture tecnologiche, cioè non c’è più un legame necessario tra
una data infrastruttura fisica e un insieme limitato di operazioni. Questa
caratteristica facilita enormemente la dinamica evolutiva della rete e delle
applicazioni.
Altra caratteristica di Internet è quella di non avere padroni, il che, per certi
aspetti, può anche creare delle difficoltà.
La tecnologia su cui Internet si basa è la commutazione di pacchetto. Le
informazioni da comunicare vengono suddivise in gruppi di dati binari, i
pacchetti appunto, di dimensioni variabili, che vengono instradati nella rete
autonomamente, ciascuno con le istruzioni necessarie per giungere a
destinazione. A seconda dello stato della rete e di altre variabili, i vari
pacchetti vengono via via avvicinati alla destinazione attraverso i vari
routers; possono quindi seguire percorsi diversi. Il computer di
destinazione riassembla le informazioni riportandole allo stato originario.
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Questa tecnologia consente un utilizzo molto più efficiente della rete. In
realtà le ultime versioni dell’IP cercano di distinguere la natura dei
pacchetti, in quanto comunicazioni di tipo diverso potrebbero richiedere un
trattamento differenziato.
Il valore di Internet risiede essenzialmente nella molteplicità di servizi che
utilizzano la rete come veicolo di trasporto comune.
Indipendentemente dalle specifiche applicazioni, il risultato principale
dello sviluppo di Internet è l’annullamento delle distanze per quanto
riguarda la comunicazione. E’ cioè possibile comunicare in tempo reale a
qualsiasi distanza e a costi trascurabili. Da ciò discendono conseguenze in
ambito politico, sociale, culturale ed economico.
Qui ci riferiamo ad Internet come strumento indispensabile per lo sviluppo
del commercio elettronico.
New economy
Il 6 dicembre 1996, sulla copertina del settimanale statunitense Business
Week, si usa per la prima volta un’espressione poi divenuta di uso comune:
new economy. Si faceva riferimento innanzi tutto alla stupefacente crescita
dei mercati azionari, ma anche e ancor più all’ “emergere di una nuova
economia fondata sui mercati globali e sulla rivoluzione informatica”. La
seconda metà degli anni Novanta è stata un periodo di profondi
cambiamenti, ma ancor più profondi erano i cambiamenti che ci si
aspettava, che tutti si aspettavano. La diffusione delle nuove tecnologie ha
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fatto intravedere a tutti incredibili opportunità non solo per singoli soggetti,
ma per l’intera umanità. Si è diffusa l’idea di essere nel bel mezzo di un
cambiamento pervasivo e repentino come mai prima era accaduto. Le
imprese esistenti hanno visto la possibilità di rivoluzionare il loro modo di
operare, sia all’interno sia nei contatti con interlocutori esterni. Aspiranti
imprenditori hanno creduto (alcuni a ragione e molti a torto) di poter
realizzare iniziative ambiziose sfruttando le possibilità offerte dalle nuove
tecnologie. Sono nate nuove forme di comunicazione a basso costo. Sono
nate nuove forme di intrattenimento. La Borsa ha premiato in modo
impressionante le cosiddette dot.com, cioè le società nate per operare su
Internet, che in breve sono riuscite a raccogliere ingenti risorse sui mercati.
Come spesso accade nei sistemi economici, vi sono delle situazioni che si
autoalimentano [Demattè 2001]: le alte quotazioni hanno portato molti
imprenditori o aspiranti tali a creare imprese legate in qualche modo a
Internet e a portarle quanto prima alla quotazione; le performance dei
mercati di Borsa hanno attirato investitori vecchi e nuovi desiderosi di
partecipare alla festa dei facili guadagni. Si è creduto ad una economia
senza fenomeni ciclici, ad una crescita senza fine, magari addirittura in
accelerazione continua. Tutto sembrava bellissimo e perfetto; solo pochi
avanzavano dei dubbi, tra questi Alan Greespan, che invitava alla
prudenza, ritenendo eccessive le quotazioni di molti titoli, ma senza
successo; essere prudenti sembrava implicare la perdita un treno
importante.
Nel giro di un anno, poi, tutto è cambiato. Le quotazioni delle società
legate a Internet sono crollate. Molte imprese, anche quelle con progetti
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validi, si sono trovate a corto di risorse. Le società di venture capital si
sono bloccate, per le difficoltà delle partecipate e per l’impossibilità di
rientrare rapidamente dai loro investimenti. Sul campo sono rimasti milioni
di investitori, tuffatisi a capofitto in quello che sembrava un sogno. Tutto
ciò ha diffuso un clima di pessimismo, ha fatto calare i consumi, ha portato
ad una stagnazione a livello mondiale. Poi sono arrivati i tragici eventi
dell’11 settembre a dare il colpo di grazia.
A questo punto, è opportuno interrogarsi su ciò che è avvenuto, per capire
quali siano stati gli errori; non tanto per individuare delle responsabilità,
peraltro diffuse un po’ tra tutti i soggetti coinvolti, quanto per capire cosa
dobbiamo aspettarci dal futuro.
Bisogna capire se le idee alla base della ondata di nuove imprese avevano
validi fondamenti o meno. Nel fare questo tipo di ragionamento, bisogna
stare attenti a non cadere nell’errore, oggi diffuso, di ritenere che la new
economy sia stato solo un miraggio e nulla di più, che le ICT non vanno
incontro a nessun bisogno reale dell’umanità, per cui non hanno grandi
prospettive; si tratterebbe di un errore analogo, anche se di segno opposto,
a quello commesso negli anni scorsi da chi sovrastimava le potenzialità
delle nuove tecnologie [Demattè 2001].
Valdani individua un utile schema di riferimento per inquadrare il
problema [Valdani 2000]: indica infatti i quattro fondamenti
dell’economia digitale:
1. l’affermazione di un protocollo standard, universale ed aperto; a
differenza di altri casi, non c’è stata una guerra per l’affermazione
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dello standard; Internet è stato rapidamente riconosciuto e accettato
come riferimento per tutti;
2. l’interconnessione tra cose, persone, imprese, istituzioni e sistemi
Paese; tale interconnessione ha portato e porterà grandi cambiamenti
nelle modalità di svolgimento di diverse attività del genere umano;
3. la separazione dell’economia delle cose fisiche dall’economia della
conoscenza e dell’informazione; l’informazione non è più legata ai
suoi vettori tradizionali di natura fisica;
4. il superamento del trade-off tra reach e reachness; è oggi possibile,
cioè, scambiare informazione ricca e varia tra un gran numero di
soggetti interconnessi.
Questo è il contesto nel quale sono state intraviste le nuove opportunità di
business, che hanno portato l’ondata di nuova imprenditorialità cui si
faceva riferimento. Ma allora, qual è la verità? Per capire qual è il
potenziale delle nuove tecnologie, bisogna chiedersi, innanzi tutto, in che
modo queste possono consentire la sostituzione di prodotti e servizi
esistenti; bisogna poi cercare di prevedere i nuovi prodotti e servizi che
possono nascere dall’introduzione delle nuove tecnologie; è importante
inoltre capire che impatto possono avere sui processi di produzione,
distribuzione, gestione; infine, bisogna cercare di tradurre tutto in costi e
ricavi. Questo tipo di analisi porterà probabilmente a convincersi che le
potenzialità delle ICT sono innegabilmente forti, anche se fare stime è
difficile, oggi più che mai.
Bisogna quindi chiedersi, se il potenziale c’è ed è forte, perché la corsa
della new economy si è bruscamente interrotta? A parte la possibilità
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che il potenziale in discorso sia stato sovrastimato, l’errore principale che
hanno commesso i pionieri delle nuove tecnologie potrebbe essere stato
quello di sottostimare il tempo necessario a trasformare questo potenziale
in flussi di domanda e quindi in ricavi [Demattè 2001]. I pionieri si sono
cioè avventati sulla miniera d’oro senza tenere conto dei tempi necessari al
cambiamento delle abitudini, cambiamento che è necessario per portare i
consumatori a generare quei flussi di domanda che danno senso ad una
iniziativa economica; hanno creduto che la nascita del commercio
elettronico avrebbe, in maniera istantanea o quasi, spazzato via gli altri
canali, senza riuscire ad intravedere tutti gli ostacoli che si sarebbero
frapposti al raggiungimento di una simile meta, peraltro probabilmente non
desiderabile dal punto di vista sociale (si immagini un centro urbano privo
di qualsiasi iniziativa commerciale; la scena immaginata fa già capire
perché, a parte le questioni più tecniche, è opportuno che il commercio
elettronico sia un possibile canale per la compravendita di beni e servizi ma
non l’unico). Alcune scelte di gestione si sono rivelate palesemente errate:
posta la notevole rilevanza del raggiungimento rapido di una certa massa
critica, le imprese effettuavano fortissimi investimenti in pubblicità; nei
casi di successo, ciò portava al raggiungimento di un fatturato di tutto
rispetto; ma la crescita del fatturato non può far dimenticare il rapporto
costi-ricavi e entrate-uscite; invece molte imprese si sono trovate col conto
economico in una situazione spaventosa, che poteva però essere sostenuta
grazie al continuo apporto di risorse finanziarie; si tratta di un sistema che
può funzionare solo temporaneamente, fino cioè al raggiungimento di un
punto critico, oltre il quale c’è il collasso. Sono state quindi dimenticate
delle regole di base; si è pensato che potesse valere il percorso contatti-
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transazioni-profitti; invece non è detto che i contatti portino transazioni, ma
soprattutto non si possono dimenticare i costi, non si può pensare di basare
la gestione sul continuo afflusso di risorse finanziarie dai mercati.
Risulta chiaro che non sono stati solo gli imprenditori a commettere errori
ma anche, e forse ancor più, gli operatori finanziari che, invece di
introdurre un po’ di razionalità in un sistema che sembrava impazzito,
hanno agito guidati dalla paura di perdere delle occasioni. Si pensi alle
valutazioni delle società di rating, rivelatesi poi a dir poco sbagliate.
Quello attuale è il momento di avviare delle iniziative serie, che dovranno
fare un duro lavoro per convincere gli interlocutori della validità della
propria iniziativa, che dovranno essere più razionali, che dovranno contare
in misura maggiore sulle proprie forze, che dovranno tenere conto delle
regole di fondo della gestione, delle regole che sembravano appartenere
solo alla old economy e sono invece di ogni economy, come quella secondo
cui i ricavi devono essere superiori ai costi.
In definitiva Internet e la new economy non sono stati un sogno, non sono
stati un miraggio; semplicemente vi sono stati degli eccessi, di cui oggi il
sistema sconta le conseguenze.
A questo punto facciamo riferimento in maniera più specifica al commercio
elettronico.
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CAPITOLO I:
IL COMMERCIO ELETTRONICO
Definizioni
Internet si configura come un’enorme piazza virtuale [Mandelli 1997] dove
tutti possono stare, indipendentemente dalle distanze fisiche o temporali,
ma dove possono anche essere scambiate risorse di vario tipo. In questa
piazza ci si può parlare, ci si può divertire, possono essere scambiate
informazioni e servizi. Vi sono grandi opportunità di socializzazione, ma
anche grandi opportunità economiche.
Il commercio elettronico è un fenomeno legato ad Internet che ancora non
ha trovato una definizione universalmente accettata. Una definizione è
quella della Commissione Europea, contenuta nella Comunicazione
COM(97) 157 “Un’iniziativa europea in materia di commercio elettronico”
rivolta al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e
Sociale e al Comitato delle Regioni:
“Il commercio elettronico consiste nello svolgimento di attività
commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività
diverse quali la commercializzazione di beni e servizi, la distribuzione di
contenuti digitali, l’effettuazione di operazioni finanziarie e di Borsa, gli
appalti pubblici ed altre procedure di tipo transattivo delle Pubbliche
Amministrazioni. Non si esaurisce quindi nella semplice conduzione della
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transazione bensì può anche abbracciare altre fasi ed altri aspetti che
riguardano un rapporto commerciale: ricerca ed individuazione
dell’interlocutore-partner, trattativa e negoziazione, adempimenti e scritture
formali, pagamenti e consegna dei beni e servizi acquistati e venduti”.
Si tratta di una definizione estremamente ampia e generica, che non
consente di individuare con precisione il fenomeno. Più restrittiva è la
definizione che fa rientrare nel commercio elettronico solo le operazioni di
compravendita di beni e servizi, utilizzando l’espressione e-business per
indicare anche l’insieme delle altre attività on-line. La definizione
restrittiva comunque non è usata in maniera univoca: alcuni studi vi fanno
rientrare solo le transazioni iniziate e concluse in rete; altri studi, invece,
includono nel concetto anche le transazioni solo iniziate in rete, quelle cioè
che comprendono anche attività off-line, come ad esempio il pagamento
[Rossi, in Sciarelli Vona 2000]. Una distinzione importante è quella tra
commercio elettronico B2B (business to business), che riguarda i rapporti
tra aziende, o più in generale tra organizzazioni, e il commercio elettronico
B2C (business to consumer), che riguarda i rapporti che coinvolgono il
consumatore finale; e-commerce B2B e B2C si differenziano per modalità
di funzionamento, problemi specifici, successo e risultati raggiunti.