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CAPITOLO PRIMO
Evoluzione della funzione Logistica
La logistica e le sue attività hanno sempre accompagnato la storia dell’umanità in
tutte le fasi della sua evoluzione. Nelle economie basate sull’auto-consumo, la
logistica si configurava come mezzo necessario per il superamento della distanza
temporale tra il momento della raccolta/produzione dei prodotti agricoli e quello
del loro consumo permettendo, attraverso la costituzione di scorte, la sussistenza.
Con lo sviluppo, poi, delle prime forme di commercio e la conseguente destina-
zione di una parte della produzione a mercati diversi da quello locale, si aggiunge
alle attività logistiche la dimensione spaziale che si affianca a quella temporale.
Col passare dei secoli e con l’affinamento delle tecniche di trasporto, la logistica
svolge un ruolo fondamentale nel trasferimento dei beni dai luoghi di produzione
a mercati sempre piø vasti e lontani.
Agli inizi del ‘900, caratterizzati da un forte processo di industrializzazione e dal-
lo sviluppo della produzione di massa, l’obiettivo prioritario era quello di produr-
re su vasta scala per rispondere ad un’ampia domanda. In questo periodo, caratte-
rizzato da una fiorente economia, la logistica viene semplicemente identificata in
una delle componenti del marketing, la distribuzione fisica, ed incorporata
all’interno di tale disciplina scientifica.
Con la crisi degli anni ’30 ed il susseguente calo della domanda, le aziende ten-
dono a ricercare una maggiore efficienza attraverso la riduzione dei costi di ge-
stione. La distribuzione fisica rappresenta l’area operativa piø attrattiva in tal
senso dato l’elevato contributo della stessa al costo unitario del prodotto; è in
questo scenario che la logistica comincia a suscitare l’interesse accademico ed
aziendale. Obiettivo di questo capitolo è, quindi, quello di ripercorre gli studi sul-
la logistica che nel corso degli anni si sono evoluti e che sono diventati sempre
piø importanti. La logistica, oggi piø che mai, contribuisce alla determinazione
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del valore aggiunto per le imprese che si trovano ad operare in un mercato che
richiede sempre di piø flessibilità e velocità.
1.1 Il primo periodo dello sviluppo della logistica: gli anni Cinquanta e Sessan-
ta
I primi studi importanti sulla logistica si svolgono negli anni ’50 e ’60
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durante i
quali, nonostante l’attenzione si focalizzi esclusivamente sulla gestione del flusso
fisico a valle del processo produttivo, si gettano le basi del concetto di logistica
integrata attraverso l’individuazione dei suoi elementi caratterizzanti
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:
- lo sviluppo dell’analisi del costo totale;
- l’utilizzo di un approccio orientato ai sistemi;
- la valenza competitiva del servizio ai clienti;
- l’analisi dei canali distributivi.
1.1.1 Lo sviluppo dell’analisi del costo totale
La visione della distribuzione fisica come sistema integrato nelle sue componenti
presenti nel flusso dei prodotti dalla fabbrica all’utente finale e correlato con le
altre funzioni aziendali secondo un rapporto di reciproca influenza, permette di
cogliere nella loro essenza i costi ad essa attribuibili. La considerazione congiun-
ta delle interrelazioni tra le voci di costo direttamente e indirettamente ascrivibili
alla distribuzione fisica consente quindi di stabilire il modello logistico che mi-
nimizza i costi totali cogliendo le opportunità di profitto correlate. L’esistenza di
costi “sommersi” della distribuzione fisica è dovuta alla dispersione delle respon-
sabilità logistiche tra le diverse funzioni aziendali . La via del cambiamento or-
ganizzativo attraverso la creazione di una funzione aziendale alla quale facciano
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Studi che rinnovano l’interesse nei confronti della distribuzione fisica. Si comincia dunque a scoprire
il “ continente nero dell’economia”, metafora di Peter Ducker in “ The economy’s dark continent”, Fortu-
ne, vol.65, April 1962.
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Luceri Beatrice “La logistica Integrata”- Milano Dott. A Giuffrè Editore 1996- pag.9-10
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capo le attività della distribuzione (trasporto, magazzino, gestione scorte) interre-
late con il marketing e la produzione è l’unica in grado di consentire
l’applicazione del concetto di costo totale.
L’applicazione del concetto di costo totale all’attività di distribuzione fisica è sta-
ta possibile a seguito dello sviluppo delle nuove tecnologie dell’informatica del-
le tecniche operative che hanno consentito la costruzione dei modelli matematici
complessi a supporto del processo decisionale del management per la valutazione
quantitativa delle attività logistiche.
1.1.2 L’utilizzo di un approccio orientato ai sistemi
La necessità di ricomporre le diverse attività logistiche in un’unica funzione a-
ziendale è enfatizzata dall’utilizzo dell’approccio orientato ai sistemi.
Per comprendere a fondo la distribuzione fisica occorre quindi considerarla come
un sistema, cioè come un complesso di elementi variamente collegati e tra loro
interdipendenti che funziona come un tutt’uno ed avente un determinato obietti-
vo.
Ciascuna delle sue componenti costituisce dunque un sottosistema avente un
proprio obiettivo ed il cui output costituisce l’input per gli altri sottosistemi. Ne
consegue quindi l’impossibilità di considerare ciascun sottosistema singolarmen-
te dagli altri. L’eventuale conflittualità degli obiettivi dei diversi sottosistemi de-
ve essere ricomposta per permettere il raggiungimento dell’obiettivo del sistema
nel suo complesso.
Solo un approccio sistemico permette di valutare l’effetto della riduzione dei co-
sti in una delle attività di distribuzione fisica sulla performance complessiva.
1.1.3 La valenza competitiva del servizio ai clienti
L’analisi del costo totale del sistema della distribuzione fisica e la conseguente
quantificazione dei costi di manutenzione delle giacenze focalizzano l’attenzione
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sul controllo delle scorte al fine di ricercare una maggiore efficienza gestionale
che conduce ad un incremento della redditività aziendale. L’enfasi posta sul con-
trollo delle scorte si traduce nella diminuzione della durata del ciclo d’ordine e
conseguentemente della quantità acquistata da parte della clientela commerciale.
Ciò porta inevitabilmente ad una redistribuzione all’interno dei canali distributivi
dell’ammontare delle scorte gestito ai vari livelli che, spostandosi a monte, pena-
lizza i fornitori industriali. Il cambiamento dei rapporti all’interno del canale di-
stributivo fa quindi emergere l’importanza del servizio offerto ai clienti. La di-
stribuzione fisica deve, quindi, essere considerata come un sistema di “ingranag-
gi” identificabili in attività interrelate che si sviluppano attorno alla funzione cen-
trale della gestione delle scorte ed avente come obiettivo il servizio alla clientela.
A fronte di una domanda sempre piø esigente e problematica, la capacità di assi-
curare alla clientela l’utilizzo nei tempi e luoghi richiesti può permettere la con-
cretizzazione di un vantaggio competitivo.
La determinazione del livello ottimale di servizio alla clientela non può tuttavia
prescindere da valutazioni di costo. L’obiettivo è infatti quello di pianificare ed
implementare un sistema logistico in grado di garantire un predefinito livello di
servizio alla clientela al piø basso costo totale possibile.
1.1.4 L’analisi dei canali distributivi
La ricerca di una maggiore efficienza e efficacia del processo di distribuzione fi-
sica e l’enfasi posta sull’importanza del servizio alla clientela allargano
l’orizzonte temporale dalla singola impresa al canale distributivo.
Diventa estremamente importante l’interazione dei sistemi logistici delle imprese
operanti ai diversi livelli del canale, dove il tempo viene considerato la variabile
critica per l’armonizzazione dei flussi fisici ed informativi per un piø tempestivo
e coerente adattamento della produzione alle variazioni nella domanda. Eventuali
ritardi nella diffusione delle informazioni relative ad aumenti/riduzioni della do-
manda generati dalla eccessiva lunghezza del ciclo d’ordine, che può essere piø o
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meno consistente a seconda del numero di livelli di intermediazione presenti nel
canale, conducono ad adattamenti tardivi della produzione e non coordinanti con
le esigenze del mercato.
Il tempo si aggiunge quindi alle problematiche tradizionalmente considerate quali
la localizzazione degli impianti e dei magazzini.
Quindi, se negli anni Cinquanta la logistica era identificata con la distribuzione
fisica (physical distribution)
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e i responsabili di tale area non avevano la respon-
sabilità della gestione delle scorte, negli anni Sessanta si pose maggiore attenzio-
ne al problema del corretto bilanciamento tra i costi di trasporto e i costi che le
imprese che dovevano sostenere per il fatto di detenere scorte di materie prime e
di prodotti finiti. La logistica assume quindi un nuovo significato, quello di inte-
grazione delle attività classificate come phisycal distribution e materials
management
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.In particolare le definizioni
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facevano riferimento:
- ai flussi di materiali e di informazioni “in entrata” ed “in uscita” dagli im-
pianti di produzione;
- alle operazioni di movimentazioni delle merci all’interno dei magazzini
dell’impresa e agli spostamenti di materiali in transito tra aziende diverse;
- all’importanza di un piø stretto coordinamento tra le operazioni collegate
allo stoccaggio e quelle relative all’attività di movimentazione in senso la-
to.
In funzione di che cosa viene movimentato e dove, la logistica può provvedere ad
attività quali: i trasporti, il trattamento degli ordini, la gestione delle scorte,
l’approvvigionamento delle materie prime, la produzione e la gestione dei servizi
alla clientela. Sebbene, in teoria, l’ambito di operatività fosse cosi’ vasto, nella
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Alessandro Gandolfo “L’evoluzione dei processi logistici tra “Old” e “New” Economy”- G. Giappic-
chelli Editore-Torino,2000- Pg 15-17
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Bowersox ha descritto il periodo a partire dal 1965 come “ the years of maturità for phisical distribu-
tion and materials management” ( Bowersox, 1985)
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Tra queste, ricordiamo quella proposta dal Council of logitics Management “ Logistics is the process
of planning, implemention and controlling the efficient, cost- effective flow and storage of raw materials,
in process inventory, finished goods and related information from point of origin to point of consumption
for the purpose of conforming to customer requirements” ( Council of Logistics Management, 1969)
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pratica il nucleo principale delle attività direttamente controllate dalla logistica
variava molto tra le diverse realtà aziendali.
Oltre al maggior coinvolgimento nelle decisioni relative alla politica delle scorte
di coloro che si occupavano della gestione del trasporto dei materiali e dei pro-
dotti finiti, le imprese presero atto che attraverso una gestione dei processi logi-
stici piø efficiente, poteva essere sensibilmente ridotta la lunghezza del ciclo
dell’ordine, con importanti effetti finanziari positivi in termini di flusso di cassa.
In particolare, il riconoscimento dei vantaggi legati ad un atteggiamento pro-
attivo alle decisioni di natura logistica portò al superamento del precedente ap-
proccio reattivo, tipico degli inizi anni ’50.
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L’integrazione delle responsabilità operative della distribuzione fisica con quelle
proprie della gestione dei materiali, richiesta dalla necessità di coordinamento tra
i flussi fisici e quelli informativi “in ingresso”, diretti alle unità di produzione
(inbound logistics), e “in uscita”, verso i luoghi di distribuzione (outbound logi-
stics) ha determinato un netto miglioramento della capacità reattiva della struttu-
ra logistica delle imprese.
E’ proprio di questa fase il riconoscimento che lo scopo finale delle attività svolte
nell’ambito della logistica è quello di contribuire a soddisfare le esigenze del
consumatore in senso lato.
In conclusione, possiamo individuare in questa fase della logistica denominata
“old logistics”
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quattro stadi di sviluppo della funzione ciascuno caratterizzato da
un differente livello di complessità (Fig.1)
Al primo stadio corrisponde una visione parziale e semplificata delle attività lo-
gistiche. L’aspetto che prevale è quello relativo al controllo dei costi e il processo
di affrancamento dalla distribuzione fisica non è ancora definitivamente compiu-
to. Le imprese ferme a questo stadio non considerano il problema logistico tra le
loro priorità strategiche.
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Alessandro Gandolfo “L’evoluzione dei processi logistici tra “Old” e “New” Economy”- G. Giappic-
chelli Editore,Torino, 2000 - Pag. 17
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Alessandro Gandolfo “L’evoluzione dei processi logistici tra “Old” e “New” Economy”- G. Giappic-
chelli Editore- Pg. 17-18
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Al secondo stadio appartengono le imprese consapevoli degli effetti che le attivi-
tà logistiche possono determinare sul loro risultato economico, e quindi, conside-
rano tale funzione come un centro di profitto.
Al terzo livello, invece, corrispondono le imprese che sono andate oltre il concet-
to di “centro profitto” e che considerano la logistica un fattore chiave attraverso il
quale l’impresa può differenziare in modo significativo la propria offerta e co-
struire un vantaggio compe-
titivo nei confronti della
concorrenza.
Il quarto ed ultimo stadio,
riguarda le imprese che col-
locano il problema logistico
al centro della propria rifles-
sione strategica e assegnano
alla logistica il massimo li-
vello di importanza
nell’ambito dell’attività ge-
stionale. Le imprese del
quarto livello riconoscono
alla logistica un ruolo strate-
gico definito. In particolare,
tale funzione, viene attiva-
mente coinvolta nella costru-
zione del vantaggio competitivo, sia quando si tratta di cercare tale vantaggio
nella riduzione dei costi di gestione dell’impresa, sia quando l’obiettivo priorita-
rio diventa quello di individuare elementi di differenziazione rispetto ai competi-
tor. Le aziende di questo gruppo hanno aspettative piø elevate nei confronti della
logistica rispetto a quelle appartenenti ai gruppi precedenti. Inoltre,
l’articolazione dei compiti e dei ruoli assegnati è molto piø ampia e ricca di con-
tenuti.
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1.2 La seconda fase: gli anni Settanta
Gli anni Settanta sono caratterizzati da profondi mutamenti ambientali ed eco-
nomici; l’aumento del costo del denaro, dell’inflazione e conseguentemente delle
materie prime pongono enfasi sulla gestione dei materiali. E’ proprio in questi
anni che si sviluppa un nuovo approccio sistemico del processo produttivo che
trova concretizzazione nel just-in-time (JIT).
La filosofia del JIT è di matrice giapponese e il suo obiettivo è quello di elimina-
re qualsiasi attività che non genera valore aggiunto lungo tutto il ciclo che, par-
tendo dalla progettazione del prodotto si conclude, attraverso la produzione, con
la distribuzione fisica migliorando al contempo la qualità. Tale obiettivo è rag-
giunto con una produzione orientata al mercato che funge da motore primario per
tutta l’attività aziendale. Il JIT contrappone dunque all’efficienza produttiva ri-
cercata con le economia di scala, la flessibilità produttiva realizzata attraverso il
cambiamento gestionale dell’intero processo. La qualità nel JIT è intesa come
qualità totale e deve informare l’intera catena produttiva ovverosia la triade costi-
tuita dalla progettazione del prodotto e del processo nonchØ dalla selezione dei
fornitori. Lo sviluppo di un nuovo prodotto deve quindi avvenire avendo come
unici e imprescindibili punti di riferimento i bisogni dei consumatori, evitando
l’aggiunta di caratteristiche non richieste che rispondono al desiderio aziendale di
rendere piø performante il prodotto e che si traducono in un consumo inutile di
risorse. A ciò si aggiunge l’esigenza di semplificazione del processo produttivo
raggiunta anche attraverso nuove tecniche di selezione/ gestione del personale
unitamente ad un layout di fabbrica e ad un controllo/manutenzione degli impian-
ti che rendono scorrevole la produzione.
Per ultimo, ma non per importanza, la qualità dei materiali e componenti in entra-
ta è salvaguardata con un’accurata selezione dei fornitori considerati parte inte-
grante dell’attività aziendale. Si instaura dunque un rapporto di partnership con
un numero ristretto di fornitori capaci di assicurare forniture frequenti e in piccoli
quantitativi.
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La flessibilità produttiva riposa nella flessibilità della manodopera necessaria per
permettere il passaggio veloce e semplice dalla produzione di un articolo a quella
di un altro. Il coinvolgimento della forza lavoro nel controllo della qualità per-
mette inoltre di garantire gli standard stabiliti e di eliminare prontamente even-
tuali inefficienze del sistema prima che si amplifichino e coinvolgano l’intera ca-
tena.
Il JIT supera inoltre il tradizionale approccio della produzione a lotti che ha come
obiettivo primario la massimizzazione dell’efficienza nell’utilizzo degli impianti
(logica push), con la strutturazione del flusso produttivo in funzione
dell’andamento della domanda (logica pull). Le scorte rappresentano infatti uno
spreco di risorse in termini di spazio, capitale immobilizzato e relativa obsole-
scenza. Il lotto economico di produzione viene sostituito da ordini di produzione
“pezzo per pezzo” aventi per oggetto solo i semilavorati necessari per la lavora-
zione dei prodotti richiesti dal mercato.
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L’approccio del JIT permette quindi di coniugare flessibilità produttiva e ridu-
zione dei costi unitamente ad un orientamento della produzione al mercato.
La tecnica del Material Requirement Planning (MRP) è stata la risposta del
mondo occidentale all’accresciuta concorrenza internazionale e soprattutto giap-
ponese.
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L’MRP investe l’area degli approvvigionamenti con l’obiettivo di eliminare le
scorte fornendo i materiali alla produzione nella quantità e nei tempi richiesti.
Tale tecnica si basa sulla programmazione della produzione che partendo dalla
domanda dei prodotti finiti si ribalta a cascata sulle attività a monte ripercorrendo
dal basso verso l’alto il flusso dei materiali fino ad impattare sugli approvvigio-
namenti. Si nota subito la differenza tra i due approcci, MRP e JIT; se il primo è
concentrato su considerazioni meramente finanziarie il secondo rappresenta una
nuova filosofia di gestione attorno alla quale ruota l’intera azienda. Di fatto, co-
munque, si è di fronte all’inizio dell’integrazione tra la distribuzione fisica e la
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B. Luceri “La logistica Integrata”, Milano Dott. A Giuffrè Editore 1996,pp. 16-18
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G. Merli, “ Total manufacturing management- L’organizzazione industriale degli anni ‘90”, Isedi,
Torino, 1987.