7
Oggi Schelling va considerato non solo un filosofo che appartiene pienamente
alla storia dell’Idealismo tedesco e, della quale rappresenta una delle stelle più
fulgide, ma è l’unico pensatore moderno che ha il merito di essere chiamato,
nonostante la sua collocazione storica, secondo un’accezione pareysoniana,
posthegeliano e addirittura postheideggeriano
3
.
Schelling è senza dubbio la figura più emblematica e simbolica dell’epoca ed
è stato colui che meglio di tutti ha dato voce alle inquietudini romantiche, a quello
“Streben”, ossia a quel tendere senza sosta e senza riposo, a quel continuo
sorpassarsi, a quel continuo andare oltre, affrontando sempre nuove imprese
filosofiche, cimentandosi in un incessante e continuo approfondimento nei diversi
campi: dalla mitologia alla religione, dal diritto alla scienza, dalla filosofia all’arte,
dalla storia alla filologia.
Al di sotto dei suoi innumerevoli interessi e delle sue apparenti contraddizioni
è tuttavia possibile scoprire una profonda unità di atteggiamenti e di posizioni, là
dove le sue inquietudini, la sua enigmaticità, le sue apparenti involuzioni
testimoniano, invece, un’altissima originalità e una straordinaria capacità di
rinnovamento.
3
ID., Ontologia della libertà: il male e la sofferenza, Einaudi, Torino 1995, p. 9.
8
I. Il metodo della ricerca
Per indagare il pensiero di un filosofo è necessario individuare il metodo di
analisi e discussione più appropriato. Nel caso di Schelling, come già ricordato, ci
troviamo di fronte ad un gran numero di scritti, i quali hanno dato origine nel corso
del tempo ad una serie di complessi problemi per la loro non facile interpretazione.
Ai grandi critici ed interpreti è ben noto il procedere schellinghiano: da un lato
vigore speculativo, dall’altro immaginazione filosofica, ed è altrettanto manifesto
l’uso di un linguaggio particolare.
Naturalmente Schelling non è solo dotato di una fervida immaginazione, ma è
un geniale e brillante studioso, capace di associare un acuto pensiero speculativo ad
un’anima piena di entusiasmo e vigore poetico. Le immagini suggestive che
Schelling utilizza non sono né espedienti, né metafore superflue, al contrario in esse
si incarna la fantasia speculativa che è propria del suo pensiero
4
. Questa caratteristica
si riscontra in gran parte delle sue opere ed è legata indissolubilmente al suo stile e al
modo di presentare la sua filosofia.
A tal proposito mantiene tutta la sua rilevanza l’osservazione con la quale
Giuseppe Semerari, nel 1958, tratteggiava il compito ermeneutico di chi intendesse
affrontare il pensiero schellinghiano: «ritrovare i nessi reali tra momento e momento,
scoprirli e portarli alla luce ove si nascondano e, infine, definire gli effettivi punti di
intersezione e sutura dei problemi gli uni con gli altri»
5
. Quindi è compito
dell’interprete saper valutare le rielaborazioni, i capovolgimenti e gli slittamenti di
significato del pensiero schellinghiano, determinandoli però in una prospettiva
4
Cfr. ib., p. 385.
5
G.SEMERARI, Interpretazione di Schelling, Libreria Scientifica, Napoli 1958, p. XXV.
9
coerente, perché Schelling è stato un «vero artigiano di concetti»
6
e il suo dramma,
per molto tempo, è stato quello di essere stato giudicato dalle apparenze, sebbene
proprio queste stesse apparenze rivelassero invece parecchi aspetti veri e costanti.
6
X.TILLIETTE, Attualità di Schelling, cit., p. 20.
10
II. L’argomento della ricerca
Analizzare oggi le opere di Schelling significa analizzare la figura di un
pensatore che all’interno dell’Idealismo tedesco è diventato il celebre “filosofo della
libertà” ed a questa dedicò, nel 1809, una breve ma densa e profonda trattazione
intitolata Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi.
La grande importanza di questo scritto dipende non tanto dall’acutezza delle
critiche o dal linguaggio vivido e grandioso che in esso viene utilizzato, quanto dal
fatto che Schelling, con questo trattato, ha messo in discussione uno dei più grandi
problemi filosofici ancora oggi di viva attualità: il tema della libertà. Che il trattato
occupi un posto considerevole nella storia del pensiero schellinghiano è cosa nota,
ma la nostra attenzione non si rivolgerà direttamente a quest’opera. Il richiamo ad
essa, infatti, è ciò che ci permette, di tracciare il primo obiettivo di questo lavoro:
mostrare che il tema della libertà non è limitato all’opera del 1809, ma rappresenta
l’elemento costante nel pensiero schellinghiano, il leit-motiv che ha accompagnato
indissolubilmente gran parte delle sue opere.
Giustamente si può dire, con un espressione di Karl Jaspers, che la libertà «è
dal principio alla fine il grande tema di Schelling. Essa è il motivo comprensivo, che
tutto muove del suo pensiero. Appena un solo filosofo ha parlato con tanto
entusiasmo e con tanta continuità della libertà»
7
.
7
K.JASPERS, Schelling in G.SEMERARI, Interpretazione di Schelling, cit., p. 253.
11
Dati questi presupposti il compito principale che questo lavoro si propone di
assolvere è quello di chiarire il significato che la libertà ha assunto nella riflessione
filosofica del primo Schelling (1794-1800), tenendo presente che essa è strettamente
intrecciata alla questione dell’Assoluto. Si mostrerà, infatti, come l’intero sforzo
speculativo del filosofo tedesco sia tutto volto a trovare, sin dai suoi esordi filosofici,
il modo di tenere insieme senza farli collidere, la libertà finita dell’ io empirico e la
libertà infinita propria dell’Assoluto. Il pensiero schellinghiano, infatti, è una
continua ricerca incentrata sul problema della libertà, compiuta all’interno di un
percorso di sempre ulteriore e radicale approfondimento, che porta Schelling a
considerare la libertà sin dai suoi esordi filosofici non solo «alfa e omega della
filosofia»
8
, ma anche «principio ed essenza dell’uomo»
9
.
Del resto, come vedremo, dal “primo carteggio con Hegel” (capitolo I) e dal
saggio Dell’Io come principio della filosofia (capitolo II), alle Lettere filosofiche su
dommatismo e criticismo (capitolo III), Schelling si è sforzato di fondare la filosofia
nella libertà e di fornire a quest’ultima un fondamento filosofico.
8
Lettera di Schelling a Hegel del 4 febbraio 1795 in G.W.F.HEGEL, Epistolario, trad. it. a cura di
P.Manganaro, Guida, Napoli 1983, p. 115.
9
F.W.J. SCHELLING, Dell’Io come principio della filosofia ovvero sull’incondizionato nel sapere
umano, trad. it. a cura di Antonella Moscati, Edizioni Cronopio, Napoli 1991, p. 24.
12
Capitolo I: L’importanza del carteggio con Hegel
13
I.I La rivendicazione del principio di libertà
La vigilia di Natale del 1794, Hegel da Berna, scrive una lettera all’amico
Schelling, complimentandosi tra l’altro per un saggio (Über Mythen, historische
Sagen und Philosopheme der ältesten Welt: Sui miti, le leggende storiche e i
filosofemi del mondo antico)
10
, che il giovanissimo autore non esita a definire «già
vecchiotto»
11
. Hegel inoltre, chiede all’amico notizie sulla situazione della filosofia a
Tubinga
12
, sede del seminario teologico dove insieme avevano studiato e dove
Schelling ancora soggiornava
13
. Schelling risponde il 6 gennaio del 1795:
«Vuoi sapere come si sta da noi? Mio Dio, si è abbattuto un auxmos
[siccità] che presto farà di nuovo crescere la vecchia erbaccia. E chi la
sarchierà? ─ Ci aspettavamo tutto dalla filosofia e credevamo che la scossa
che essa aveva impresso anche sugli spiriti di Tübingen non si sarebbe
attuita così presto. Purtroppo è così! Lo spirito filosofico ha già raggiunto il
suo meridiano ─ forse per un lungo tempo esso ruoterà ancora in alto per
declinare quindi con moto accellerato»
14
.
10
Scrive Hegel a Schelling: «Già da tempo avrei voluto rinnovare in qualche modo l’amichevole
legame in cui una volta l’un l’altro stavamo. Questa esigenza si è ridestata in me non molto tempo fa,
quando (proprio da poco) ho letto l’annuncio di un tuo articolo nei “Memorabilien” di Paulus, ed è così
che ti ho ritrovato nella tua vecchia via, intento a rischiarare importanti concetti teologici e a dare
mano a raschiare a poco a poco la vecchia muffa. Non posso far altro che testimoniare con
soddisfazione la mia partecipazione» (G.W.F.HEGEL, Epistolario, cit., p. 102-103).
11
Scrive Schelling a Hegel: «Tu scrivi del mio saggio nei “Memorabilien” di Paulus. Esso è gia
vecchiotto, scritto in fretta, ma forse non del tutto invano» (ib., p. 107).
12
Hegel, rivolgendosi a Schelling scrive: «Come vanno le cose a Tübingen? Se prima non vi siede in
cattedra qualcuno come Reinhold o Fichte, non succederà niente di serio» (ib., p. 103).
13
Schelling dopo aver compiuto i suoi studi prima a Bebenhausen, poi a Nürtingen viene ammesso,
nella famosa Fondazione Teologica di Tübingen, il cosiddetto Stift, dove vi rimase per cinque anni,
dal 1790 al 1795. Tra i compagni con cui Schelling intrattenne rapporti amichevoli spiccano due
grandi nomi: Hölderlin e Hegel. Per le indicazioni biografiche sull’Autore, cfr. L.PAREYSON, Federico
Guglielmo Giuseppe Schellling, in Grande Antologia Filosofica, cit., pp. 2-57.
14
G.W.F.HEGEL, Epistolario, cit., p. 106.
14
Nella «siccità» che Schelling lamenta, non vede solo un segnale di
stagnazione e la riproduzione fedele del vecchio sistema ma intravede un processo
destinato ad una vera e propria “involuzione filosofica”. La preoccupazione
schellinghiana si riferisce chiaramente alla situazione che si era creata intorno al
criticismo kantiano che stava sprofondando nelle secche del dogmatismo di Tübingen
e la lettera ad Hegel dei primi mesi del 1795 esprime la complessità di questa
situazione:
I teologi «hanno estratto alcuni ingradienti del sistema kantiano (della
superficie, s’intende), da cui ora tamque ex machina vengono apprestati
intorno a quemconque locum theologicum, decotti filosofici tanto vigorosi
che la teologia che già cominciava ad intisichire, presto si levarà più sana e
forte che mai»
15
.
A questa situazione equivoca e abbastanza compromettente per lo sviluppo
coerente della filosofia kantiana si riferisce Schelling, quando, dice all’amico Hegel:
«Tutti i possibili dogmi sono ora già qualificati come postulati della ragion
pratica ─ e prosegue Schelling ─ dove le dimostrazioni storiche–teoretiche
non si rivelano più bastevoli, lì la ragione pratica (tubinghese) recide il
nodo. È un diletto assistere al trionfo di questi eroi filosofici»
16
.
Nel cercare di contrastare la “semifilosofia” di Tubinga, Schelling mira alla
salvezza del criticismo e dell’intera opera kantiana dalle infiltrazioni dogmaticistiche
appunto perché questa salvezza era strettamente connessa con la rivendicazione del
15
Ibidem.
16
Ibidem.
15
principo di libertà
17
. Il precoce filosofo tra l’altro, come gran parte dell’ambiente
intellettuale tedesco del tempo, assimilava appassionatamente l’eco suscitata in
Germania dalla Rivoluzione Francese con il connesso messaggio di libertà sia
politica quanto religiosa. Gli intellettuali, gli uomini di cultura della borghesia
europea guardano all’evento della Rivoluzione Francese come ad un evento epocale,
che porta un’enorme possibilità di liberazione dell’uomo. In quel momento, in cui la
storia si innalza su un’onda che permette di vedere approdi più lontani, i grandi
filosofi, soprattutto tedeschi, riescono a scorgere possibilità decisive di liberazione e
di progresso dell’umanità. Lo stesso Schelling, vive lo spirito della Rivoluzione,
assumendolo come stimolo per una rivoluzione dello spirito: l’esigenza capitale,
infatti, è quella di una rivoluzione nel modo di pensare e di sentire dell’uomo, di una
vera e propria rinascita spirituale
18
.
17
La dura condanna nei confronti dei teologi tubinghesi proseguirà anche nelle Lettere Filosofiche,
dove, infatti, si legge: «Si è in procinto di edificare con i trofei del criticismo un nuovo sistema del
dogmatismo»; e ancora: «A ciò che non siete in grado di dimostrare voi imprimete il marchio della
ragione pratica, con la certa sicurezza che la vostra moneta circolerà ovunque domini ancora la
ragione umana» (F.W.J.SCHELLING, Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo, trad. it a cura di
G.Semerari, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 3; p. 15). Ma, il sarcasmo e l’ironia con il quale il giovane
filosofo denuncia i teologi tubinghesi non impedisce a Schelling di riconoscere l’incompiutezza della
filosofia kantiana, la quale esige tuttavia, al di là della “lettera” ed in conformità con lo “spirito”, di
essere superata. Nella già citata lettera del 6 gennaio 1795, Schelling rivolgendosi a Hegel, scrive:
«Kant ha dato i risultati; mancano ancora le premesse. E chi può comprendere i risultati senza le
premesse?» (G.W.F.HEGEL, Epistolario, cit., p. 107). Per evitare ulteriori equivoci e fraintedimenti, il
primo passo da compiere non è quello di tacere le premesse, ma è quello di offrire una chiave di
lettura univoca dei risultati della filosofia critica. Nella lettera del 4 febbraio 1795, Schelling con una
metafora sorprendente esprime a Hegel, la sua visione della dottrina kantiana: «Con Kant spuntò
l’aurora […], ma una volta che l’aurora è spuntata, deve seguire il sole, e allora perfino nell’angolo
più fondo luce e vita si irradieranno, disperderanno la nebbia delle paludi» (ib., p. 114). La portata
della filosofia kantiana era stata agli occhi di Schelling straordinaria: Kant aveva restituito alla
filosofia la sua dignità, ma numerose rimanevano le lacune del suo pensiero.
18
Secondo la tradizione biografica, nei primi mesi del 1793, Schelling manifestò apertamente il suo
interesse e il suo entusiasmo per la Rivoluzione: insieme a Hegel e ad altri compagni avrebbe
innalzato un albero della libertà; avrebbe tradotto la Marsigliese, attirando le ire del principe Carlo
Eugenio; ed avrebbe fatto parte, infine, di una società segreta sotto la copertura di un circolo di lettura
che si era creata all’interno dello Stift (cfr. C.CESA, La filosofia politica di Schelling, Laterza, Bari
1969, p. 57).
16
I.II Il passaggio dalla teologia alla filosofia e “l’ispirazione fichtiana”
Almeno fino ai primi mesi del 1794 gli interessi e gli studi del giovane
Schelling sono rivolti alla teologia, per diventare poi esclusivamente, o quasi
filosofici
19
. Un’importante testimonianza di questo cambiamento di prospettiva è
rappresentata dalla celebre lettera inviata ad Hegel, la sera dell’epifania del 1795,
dove Schelling comunica all’amico di aver abbandonato quasi completamente gli
studi teologici:
«Dei miei lavori teologici non ho molto da dirti. Quasi da un anno circa
essi sono diventati per me secondari. L’unica cosa che ancora mi
interessava, erano le ricerche storiche sull’Antico e sul Nuovo
Testamento e sullo spirito dei primi secoli cristiani, ─ qui c’è ancora
parecchio da fare ─ da qualche tempo però anche questo interesse è
scemato. Chi si vuole sotterrare nella polvere dell’antichità, quando il
corso del suo tempo ad ogni istante lo avvolge e con sé lo trascina?»
20
.
L’enorme impatto della filosofia kantiana e i primi contatti letterari e
personali con Fichte non fanno altro che favorire i cambiamenti e le scelte del
giovane Schelling. L’adesione ai nuovi movimenti culturali, infatti, sono sinonimo di
rottura con le resistenze del vecchio mondo e non fanno che attestare il coraggio
intellettuale e l’intraprendenza culturale del nascente astro filosofico.
19
Una prima risposta convicente che spieghi l’abbandono degli studi teologici e l’abbraccio alla
filosofia, si può trovare proprio negli scritti di questo periodo. Lo stesso Schelling, probabilmente si
rese «conto abbastanza presto che il metodo storico-critico poteva essere idoneo a dissolvere, di fatto,
tutto il racconto storico, del Vecchio come del Nuovo Testamento; non dava però risultati di fronte a
idee come quella di Dio e dell’immortalità dell’anima» (ib., p. 63).
20
G.W.F.HEGEL, Epistolario, cit., p. 107.