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CAPITOLO 1
FIDUCIA COME ASSET
1.1: Definizione del concetto di fiducia
La fiducia è un elemento essenziale e fondamentale in un gran numero di attività umane e sociali:
nelle transazioni economiche e nei rapporti di coppia; nelle strategie militari e in quelle di borsa; nelle
alleanze politiche e in quelle basilari della vita inter-personale (amicizia). In particolare, in ogni
rapporto di cooperazione tra due o più soggetti è necessario quel collante, che è appunto la fiducia
reciproca. Difatti in un determinato accordo, al di là delle motivazioni personali che inducono una
persona a contrarre con un‟altra, occorre anche pensare al fatto che quel determinato accordo venga
rispettato da entrambi: fidarsi. Questo ci dice che esiste una regola scritta che impone l‟obbligo della
fiducia, esiste al contrario una regola di convenienza nel porre fiducia in qualcun altro – anche – per la
serie valori che da essa dipendono: rafforzamento di amicizia, la creazione di una ottima reputazione e
il rafforzamento di una cultura cognitiva forte e omogenea. La fiducia è il sedimento di molti fattori,
che vanno dalle contingenze, ai valori morali ed etici, alle esperienze di accordi passati; di
conseguenza è allo stesso tempo un valore e una risorsa preziosa nonostante la difficoltà intrinseca da
accumularla. La letteratura ha studiato tale concetto in ambiti estremamente eterogenei: antropologico,
psicologico, economico, politico e militare. Questo ci dice che non esiste una definizione univoca del
concetto, ad esempio Margaret Levi(1996) ha scritto: “la fiducia non è una singola cosa e non ha una
sola sorgente; essa ha una varietà di forme e cause”. Invece M. Deutsch(1958) ritiene che “ la fiducia è
una scelta non razionale di una persona di fronte ad un evento incerto, in cui la perdita attesa è
maggiore del guadagno atteso”. Analizzando le parole dell‟autore, si evince che se fosse stato il
contrario, la fiducia sarebbe stata semplice razionalità economica. Riprendendo il pensiero di Deutsch,
si potrebbe dire che, se io ho fiducia in x e, quest‟ultimo fosse messo alla prova, agirebbe in modo a
me favorevole, anche se tale agire non fosse razionalmente vantaggioso per lui. La domanda che
consegue è immediata: qual è il fondamento di questa fiducia? Perché? Gli antropologi in merito
formulano tre congetture: 1) si fonda sull‟esistenza di un legame di famiglia o di clan; 2) sull‟esistenza
di una relazione elettiva, di amicizia, tra me e x; 3) sul fatto che – io so che – x è una persona onesta e
affidabile, ergo merita fiducia. In tutte le ipotesi si evince che, io so che, x è per così dire vincolato, da
un precetto non scritto, che gli ordina di tener conto del mio benessere. Nella prima ipotesi, tale
“precetto” è quello che prescrive l‟assolvimento di determinati doveri, tra membri del gruppo. Nella
seconda, il “precetto”, scaturisce da quel contratto informale di comportamento reciprocamente
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vantaggioso, che è un aspetto dell‟amicizia. Infine nella terza, il “precetto” è di carattere universale,
ossia gli impegni presi vanno mantenuti con tutti, amici o sconosciuti – all‟interno del gruppo – perché
è – percepito come – giusto così. Come si può vedere, il concetto di fiducia elaborato da una
prospettiva (antropologica-sociologica), è ben distante, ad esempio dalla prospettiva economica o
politica. In tali ambiti, soprattutto quello economico, le cose sono un po‟ diverse; in essi, l‟attenzione
si sposta dalla fonte della fiducia alla natura del comportamento del soggetto agente connesso al tema
della razionalità di scelta. L‟homo economicus agisce e compie scelte per proprio tornaconto, perciò,
dare fiducia a un altro soggetto può essere rischioso, in quanto in tal caso non vi è quel “precetto” che
obbliga il fiduciario a tenere un comportamento a vantaggio del fiduciante. In seguito saranno offerte
delucidazioni a riguardo. La definizione di fiducia, data dall‟Oxford English Dictionary è la seguente:
“confidare o fare affidamento su una qualità o attributo di una persona o cosa, o sulla verità di una
affermazione”. Mentre un‟accezione economica recita: “confidare nella capacità e intenzione di un
acquirente di pagare in data futura beni forniti senza il pagamento immediato”
(D. Good ,1988) Come
si può osservare da queste definizioni, la fiducia fa riferimento ad una concezione o teoria che una
persona elabora, circa il modo in cui un altro si comporterà in una occasione futura, in funzione delle
affermazioni presenti e passate, implicite o esplicite, di quella persona. La semantica della fiducia
sarebbe vastissima, ciò che è certo è che una tale varietà di contributi fa emergere chiaramente quanto
il concetto di fiducia è molto pervasivo nella società; dalle società primordiali a quelle più moderne.
Essa ha rappresentato una sorta di filo rosso, in quanto è aspetto che riguarda le persone, le relazioni
fra loro e, visto che quest‟ultime sono infinite nel nostro vivere quotidiano, la fiducia ci ha
accompagnato, ci accompagna e accompagnerà ancora. La pervasità della fiducia è chiarita al meglio
da una citazione: “ Senza fiducia la gente non potrebbe nemmeno alzarsi dal letto la mattina. Verrebbe
assalita da una paura indeterminata, da un panico paralizzante”(N. Luhman, 1980). L‟autore vuole
dirci che senza fiducia, la vita sociale che diamo per scontata, sarebbe semplicemente impossibile.
Forse le sue parole sono un po‟ troppe nefaste o provocatorie, pur tuttavia ci fanno pensare al fatto che
se tra due o più individui non ci fosse un briciolo di fiducia reciproca, allora molte relazioni non
avrebbero possibilità di successo, da quelle che prevedono uno scambio economico, per passare a
quelle amicali e fino ad arrivare alle scelte più elementari. La fiducia è, in sintesi, un valore e una
risorsa da costruire, mantenere e incentivare nelle relazioni umane, poiché non può che apportare solo
vantaggi.
1.2.: Fiducia e cooperazione
Molti autori indicano la fiducia come pre-condizione per la cooperazione. Ma cosa è veramente la
cooperazione? Quando la si attua? E perché? La fiducia è stata un tempo definita come
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“comportamento cooperativo nel gioco del dilemma del prigioniero”(Das T. K - Teng B. S., 1998).
Tale gioco, utilizzato in studi economici, ma non solo, mette in evidenza il ruolo della fiducia e della
cooperazione in determinate contingenze nella vita umana. Il punto di partenza è la natura dell‟essere
umano, votata al soddisfacimento dell‟interesse personale. Quello che conta veramente per l‟individuo
è massimizzare la sua utilità, trascurando quella altrui. È il cuore della razionalità, della natura
dell‟agente. Quando gli agenti sono chiamati a “giocare” nel cosiddetto dilemma del prigioniero, si
assiste a un risultato non immediato dal punto di vista della razionalità, difatti la loro scelta migliore –
che massimizza la loro utilità – molte volte non è quella migliore. Difatti perseguendo un
comportamento opportunistico ed egoistico, si precludono la possibilità di scelte migliori; solo
cooperando ciò non accade. Ma che significa cooperare? Una possibile risposta può essere: “
iniziativa comune fra due o più agenti, per il cui buon esito sono necessarie le azioni di entrambi e, in
cui un‟azione necessaria di almeno uno di loro non è direttamente controllabile dall‟altro” (B.
Williams, 1988). Tale definizione si ricollega alla fiducia, in quanto necessariamente uno dei due
dipende dall‟altro; è una relazione asimmetrica, in quanto non è detto che il non dipendente dipenda
dal dipendente. Una possibile spiegazione del comportamento (volontario) del dipendente ad accettare
di cooperare, può ad esempio essere quella per cui, quest‟ultimo ripone – per svariati motivi – fiducia
nell‟altro. Il dipendente ha motivi di credere che l‟altro si comporterà come lui. Ovviamente non ne
avrà mai la certezza – anche quando come contromisura vi saranno delle sanzioni – ma preferisce
confidare in lui, perché sa che dare fiducia induce a riceverla. Tuttavia i motivi che inducono gli
individui a cooperare nelle diverse situazioni della vita, non producono tutti i medesimi risultati.
Difatti alcuni motivi consentiranno di essere la parte dipendente in talune situazioni cooperative, altri
indurranno l‟individuo a parteciparvi solo se non è la parte dipendente. Tutto questo ci dice che per
mantenere relazioni cooperative continuative, gli individui in un modo o nell‟altro devono essere
spinti da motivazioni ad assumere posizioni dipendenti. Ne discendono due considerazioni: 1)in
generale una persona non assumerà tali posizioni se non ha qualche forma di garanzia che l‟altra parte
– non dipendente – non defezionerà. Ed è proprio qui che si colloca il concetto di fiducia: la
cooperazione esige fiducia. Gli agenti danno per scontato che la controparte coopererà anch‟essa. Se
non avessero fiducia nell‟altro, allora dovranno cautelarsi. Questo però, ci dice che, vero è che la
fiducia è una sorta di trampolino di lancio per la cooperazione, ma è anche vero che ci può essere
cooperazione senza fiducia. Nella vita di tutti i giorni, le persone nelle loro relazioni non possono
confidare continuamente negli altri, altrimenti non ci sarebbero alcune controversie, perciò
preferiranno ricorrere a forme di garanzie che escludono la fiducia. Esse comporteranno dei costi e,
tali costi non sono altro che i prezzi del riporre fiducia. Anche la fiducia ha un suo prezzo. 2) in
generale è anche vero che le persone non avranno negli altri fiducia sufficiente per produrre
cooperazione se la garanzia non è ben fondata. Avranno solidi motivi a cooperare, ossia a essere la
parte dipendente di una relazione, solo se riporranno una fiducia forte nell‟altro. A questo punto è
doveroso indicare i motivi per i quali cooperare. E‟ possibile distinguere macro-motivazioni e micro-
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motivazioni. Le prime stanno a indicare che l‟individuo ha di per sé un‟inclinazione generale a farlo.
Non ha bisogno di motivazioni precise, lo fa e basta; è una sua volontà o desiderio. Tali motivazioni si
dividono in altruistiche ed egoistiche. In quest‟ultimo caso, le motivazioni a cooperare discendono dal
fatto che non facendolo, si incorre in punizioni o sanzioni. Invece quelle non egoistiche discendono
dal fatto che l‟individuo ha sedimentato nel corso della sua vita una cultura cognitiva orientata a
disposizioni morali o etiche, le quali inducono l‟agente a comportarsi in modo cooperativo. Per quanto
riguarda, invece, le micro-motivazioni; sono quelle che si attivano in determinate occasioni, le quali
non comportano delle spinte generali a farlo. Esempio di micro-motivazioni non egoistiche sono
quelle che scaturiscono da un rapporto di amicizia con una certa persona; che, dunque, non indica una
generale indole cooperativa. Quelle egoistiche si spiegano da sole: si coopererà in tale occasione
perché si ha un tornaconto personale indipendentemente dal fatto che esiste una disposizione generale
a cooperare. Se in una determinata occasione si riterrà di non farlo – perché non è conveniente – non
lo si farà. Concludendo si può dire che il problema della cooperazione non è risolvibile,
riconducendolo solo a livello di pura teoria decisionale o di psicologia sociale. Certo, tali aspetti
giocano il proprio ruolo nella decisione di cooperare, ma molte volte si fa perché è utile farlo,
indipendentemente dal fatto che un soggetto confidi nell‟altro.
1.3.: La fiducia come bene economico
Il titolo del paragrafo prende il nome dal saggio di Partha Dasgupta(1988) L‟autore, nell‟esaminare il
ruolo giocato dagli scambi – transazioni – nel sistema economico, afferma che raramente gli
economisti parlano di fiducia e che, generalmente affibbiano alla nozione un ruolo di lubrificante
dello scambio ogni volta che le contingenze lo rendano necessario. Difatti nello stesso paradigma
classico dell‟economia di mercato, niente ci dice sul comportamento degli agenti – siano essi
produttori o consumatori – ma si occupa solo del modo in cui essi agiscono (come attuano le loro
scelte). Non ci si preoccupa di analizzare il comportamento dal punto di vista dell‟etica, della morale,
ecc… . L‟autore innanzitutto argomenta la fiducia dal punto di vista del controllo; difatti senza un
controllo, ossia una sanzione o punizione credibile da infliggere a chi defeziona in un contratto, gli
agenti si comporteranno da free-riding. Costoro non avranno dei deterrenti adatti per rispettare i patti
e, visto che in generale la gente ne sarà consapevole, non vorrà entrare in affari con nessuno. Così
facendo, si precluderebbe tutta una serie di transazioni potenzialmente vantaggiose. Inoltre, affinché
un controllo vi sia, esso deve essere quanto più credibile possibile; anche per gli aspetti connessi alla
punizione legata a un controllo efficiente. Essa infatti deve essere messa in atto sia da un‟autorità e sia
da un agente; entrambi devono essere degni di fiducia, perché legittimati: l‟eventuale comportamento
inadempiente deve essere punito e, una forma di punizione è ad esempio quello di smettere di fare
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affari con un agente. È intuibile che in tale contesto si vada a collocare il concetto di reputazione di cui
si parlerà in seguito. Altro punto riguarda il fatto che la promessa di un comportamento fiduciario non
si basi solo ed esclusivamente sulla parola data: si ha fiducia in quella persona, perché si è indotti da
altri motivi. Ad esempio conoscendo in generale le sue intenzioni, le sue capacità, il suo modo di
operare, prevedo che egli deciderà di fare o no quella determinata azione. La sua promessa deve essere
credibile. Infine, sempre Dasgupta, definisce il concetto di fiducia quale aspettativa corretta circa le
azioni di altri che influenzano il nostro corso d‟azione, questo quando esso – corso d‟azione – deve
essere deciso prima che si possano controllare le azioni degli altri. Come si può osservare,
l‟impossibilità di poter “controllare” le azioni altrui, rappresenta il postulato, il fondamento sul quale
si costituisce il concetto stesso di fiducia; difatti se si potesse “controllare” il comportamento altrui
prima di agire, il concetto di fiducia non avrebbe ragion d‟essere. Siamo quotidianamente alle prese
con transazioni economiche e relazioni di varia natura e, in moltissime situazioni, accade che una
parte si trova in una situazione di “svantaggio informativo”. Il mio agire dipende sostanzialmente dal
livello della mia ignoranza della contingenza. Le domande che si formulano intorno ad un possibile
scambio riguardano: le persone che hanno tale vantaggio, saranno oneste con me? Devo fidarmi? Gli
esempi in tal caso abbondano. Quando si vuol fare un regalo a una persona cara, in linea di massima ci
possiamo fidare del desiderio espresso dalla persona interrogata. Quando invece, vogliamo comprare
un‟auto, ci possiamo fidare del venditore? Questi esempi ci mostrano come il concetto di fiducia, è
importante, in quanto la sua presenza o assenza in determinati contesti della nostra vita, può avere un
peso notevole su ciò che decidiamo di fare. Inoltre essa va contestualizzata: si ha fiducia della persona
cara perché si sa a priori che non tradirebbe mai e, tale convinzione deriva dal fatto che esiste un
legame affettivo, relazionale, di gruppo, di cultura cognitiva forte, che non lascia spazio a dubbi.
Invece, in altri contesti dove tutto questo manca, la fiducia è messa in discussione: per fidarsi si deve
pagare un prezzo mentre nell‟altro caso no. La fiducia attiene ai segnali, ai messaggi che gli altri ci
invieranno in circostanze apposite, sia quando è previsto un prezzo e, sia quando non lo è. Tutto
questo riporta alla definizione di Dasgupta, per cui la fiducia come aspettativa circa la scelta altrui che
andrà a influenzare il nostro agire.
E‟necessario a questo punto soffermarsi sull‟aspetto psicologico-motivazionale che sottende la scelta
altrui. Come già detto in precedenza, riconoscere all‟homo economicus un atteggiamento da egoista,
non esclude, al contempo, un atteggiamento altruistico. Tutti abbiamo una coscienza cui rispondere e,
può capitare che in una determinata circostanza agiamo in modo da anteporre al nostro personale
interesse quello altrui; guai se non fosse così: saremmo tutti egoisti. Inoltre il semplice fatto che
qualcuno abbia riposto in noi la sua fiducia, genera spesso in noi una sorta di obbligo morale a
comportarsi in modo da non tradire quella fiducia. Appare evidente che il concetto e la questione
inerente alla fiducia non esisterebbero se tutti fossimo degli individui virtuosi, ovvero degni di
ricevere fiducia. La presenza di una minima discrepanza tra valori razionali, materiali e morali
dall‟altra deve esserci: se così non fosse la fiducia non genererebbe nessun tipo di problema. Tuttavia