Tesi di Laurea Magistrale in Giurisprudenza di Alessandro Martinuzzi
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INTRODUZIONE - La Fase Costituzionale dei Neo- Stati Uniti d’America.
Il Ventunesimo Secolo si è aperto con una fase nuova dell’assetto geopolitico e
dell’evoluzione giuridica mondiale. Nuovi sono i problemi, nuovi gli interessi, nuovi i
principali attori, ma la dotazione degli strumenti giuridici a disposizione nei vari
ordinamenti sembra sempre rimanere un passo indietro rispetto alle mutate esigenze.
Ecco allora l’opportunità di individuare quegli istituti che, sebbene retrodatino la
propria origine ad epoche diverse da questa, hanno dimostrato, negli anni, una
efficacia ed una utilità essenziali alla preservazione dell’ordinamento costituito. Tale,
senza dubbio, si è rivelato l’istituto di “judicial review” (o revisione giudiziale), ideato
circa duecento anni fa e adottato progressivamente da un gran numero di paesi.
L’ispirazione per questa tesi è venuta da una riflessione sul valore intrinseco di tale
istituto, nonché sull’uso che gli uomini hanno fatto e fanno di questo strumento di
straordinaria efficacia. Riflessione che si è imposta dopo uno studio comparativo dei
vari ordinamenti costituzionali adottati storicamente nel mondo. L’attenzione si è
spontaneamente orientata verso quei paesi che per primi hanno riflettuto
sull’opportunità di costruire una reale democrazia sulla base di un’ idea di “governo
limitato” o, in altre parole, sottoposto ad un potere che ne circoscriva la
discrezionalità. Inevitabile, quindi, è stato l’approfondimento dell’oggetto di questa
ricerca negli Stati Uniti d’America.
La grande attenzione che gli Americani dedicano alle questioni costituzionali ha
rivelato un terreno fertile per l’indagine, dove si scontrano le contrapposte tendenze
di un paese che, sebbene primo al mondo a dotarsi di una costituzione scritta
marcatamente garantista, è stato negli ultimi anni oggetto di forti critiche da parte
dell’opinione pubblica globale a causa di supposte violazioni di diritti umani e di libertà
fondamentali. Il testo redatto dai costituenti nel 1787 rappresenta il risultato di un
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percorso storico e di un contesto del tutto peculiari, che allontanano in parte da
un’ottica comparatista. La supposta perfezione di una costituzione breve dedicata
quasi esclusivamente alla previsione di un minuzioso meccanismo di poteri intrecciati
escluse a priori, in un primo momento, la necessità di indicare esplicitamente quali
fossero i diritti e le libertà protetti. Infatti la stessa costituzione, contrapponendo i
poteri dello stato, delineò un sistema di governo auto- limitante che si proponeva di
prevenire qualsiasi forma di abuso. E’ indubbio che, laddove i poteri dello stato fossero
stati esercitati entro i confini dei propri limiti e secondo gli scopi per i quali erano stati
attribuiti, i cittadini non avrebbero avuto di che temere. Ma si deve aggiungere che,
sebbene il governo degli Stati Uniti sia “un governo di leggi e non di uomini”
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, come
affermò una volta il Giudice Capo Marshall, gli individui che ricoprono i vari uffici
possono, talora, commettere errori ed abusi. E’ necessario allora predisporre
strumenti per la correzione degli errori e la repressione degli abusi.
Benché non sia esplicitamente previsto dalla costituzione degli Stati Uniti, l’istituto di
judicial review ebbe ad affermarsi definitivamente nel sistema giuridico americano
come principale strumento a disposizione della suprema Magistratura. Esso è inteso a
produrre interpretazioni autentiche della costituzione e ad applicare concretamente
quest’ultima ai casi concreti, ma deve evidenziarsene anche la funzione politico-
istituzionale. Attraverso il judicial review, infatti, la Corte Suprema è in grado di
limitare l’azione degli altri poteri dello stato e, quindi, di definire, talora, la direzione
verso la quale le politiche del governo si devono orientare. In questo senso è possibile
comprendere la reale importanza di questo istituto, soprattutto successivamente alla
precisa esplicitazione dei diritti e delle libertà fondamentali negli emendamenti alla
costituzione. Infatti, il successo dei concetti illuministi di diritti e libertà fondamentali
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Opinione della maggioranza della Corte Suprema redatta dal Giudice Capo Marshall nel caso Marbury
contro Madison, 1803.
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e la preminente funzione garantista della costituzione americana si sono, non di rado,
scontrati con il ruolo geopolitico strategico nonché con quello “ideologico” degli Stati
Uniti. L’esigenza essenziale di preservare ordine e sicurezza si è sempre manifestata
come un problema estremamente delicato per il governo di una nazione che, da un
lato, si proponeva di garantire all’individuo la massima ampiezza possibile dello spettro
delle libertà, mentre, dall’altro, si imponeva sullo scenario internazionale come
baluardo della democrazia, incentivando flussi migratori, raccogliendo e conciliando
diversità, talora incompatibili. Non poche sono state, infatti, le opportunità che la
“Casa Bianca” ha avuto di esercitare il potere esecutivo oltre i limiti costituzionali. Non
vi è dubbio che si tratti di un potere molto ampio e, talvolta, invasivo, nondimeno, si
trova oggi, alle soglie del 2011, controbilanciato da altri poteri c.d. “forti”, così come lo
era più di duecento anni fa. Per queste ragioni suscita interesse indagare se e come
l’esercizio del judicial review da parte della Corte Suprema abbia contribuito
effettivamente a preservare gli equilibri di un simile sistema. Il ruolo peculiare che
viene ad avere la Magistratura in un ordinamento di Common Law, dove il precedente
giudiziario ha, a tutti gli effetti, valore di legge, risulta, quindi, essere il punto focale di
questa tesi. I giudici americani, in fatto, svolgono un ruolo significativamente più
importante che nei paesi di Civil Law, in quanto, non solo possono sottoporre le leggi
approvate, siano esse statali o federali, a un concreto vaglio costituzionale, bloccando
eventualmente l’attuazione di una norma, ma contribuiscono attivamente a scrivere il
diritto vivente attraverso le motivazioni delle loro sentenze. Le dinamiche della Corte
Suprema federale sono state l’oggetto principale di questa analisi, che tuttavia non si è
limitata ad una fredda parafrasi delle singole sentenze, ma ha voluto tenere presente
tutti, o quasi, i fattori che hanno contribuito e che contribuiscono tutt’oggi all’esercizio
della funzione giudiziaria nella definizione dell’ordinamento costituzionale della
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nazione: dalla ingombrante personalità di alcuni giudici alla loro storia ed esperienza
personale, dal contesto socio- politico alle dinamiche decisionali della Casa Bianca, fino
alle relazioni personali tra il Presidente degli Stati Uniti e il Giudice Capo della Corte
Suprema. La vastità della giurisprudenza costituzionale impedisce di svolgere uno
studio a tutto campo sugli approcci via via adottati in riferimento alle varie questioni
costituzionali di primaria importanza. Una simile analisi difficilmente risulterebbe
esauriente in questa sede. Per questa ragione si è inteso circoscrivere l’argomento da
un punto di vista storico alle fasi in cui la tensione tra il Legislativo e l’Esecutivo, da una
parte, e la Magistratura, dall’altra, raggiunse un apice, tanto da determinare, talora,
crisi istituzionali. In questo senso è risultata indispensabile l’individuazione di quelle
fasi storiche nelle quali la Casa Bianca ebbe l’opportunità di esercitare il proprio potere
oltre i confini costituzionali sulla base di sollecitazioni di natura contingente e
straordinaria. I principali periodi di crisi della storia americana fornirono e continuano
a fornire tuttora tale opportunità. Nonostante questa delimitazione, il tema
risulterebbe comunque molto vasto e per questa ragione si è inteso circoscriverlo
anche da un punto di vista sistematico prendendo in analisi soltanto alcuni diritti e
libertà fondamentali. Il criterio di scelta si è basato su due parametri: a) la suscettibilità
del diritto o della libertà in questione ad essere violato in corrispondenza delle
esigenze di “problem solving” dovute allo stato di crisi e b) l’essenzialità del diritto o
della libertà in questione ai fini della protezione della dignità umana. E’ facile intuire
come a questi fini sia risultata di grande utilità la consultazione delle fonti
internazionali in materia di diritti umani. In breve, una logica diacronica e sincronica ha
mosso quest’analisi, attraverso la giurisprudenza costituzionale statunitense, alla
ricerca di un percorso che consentisse di valutare, con un certo grado di oggettività, il
ruolo svolto dalla Corte Suprema nella difesa delle garanzie fondamentali. In questo
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senso è stato interessante notare come si sia evoluta la giurisprudenza nella
interpretazione di un testo vecchio ormai più di duecento anni. Un diritto vivente ed
in continua evoluzione emanato da una corte di diritto composta da solo nove
membri, senza maggioranze qualificate, né potere rappresentativo, ma la cui
autorevolezza continua ad essere, dopo due secoli, assolutamente indiscutibile. Ecco
che si spiega la ragione per la quale la costituzione degli Stati Uniti del 1787 è più viva
ed attuale che mai oggi, alle soglie del 2011. Essa non è soltanto il testo scritto da
un’assemblea di uomini saggi, decisi ad emancipare le colonie britanniche dal giogo
della tirannia, ma è soprattutto quella “Supreme Law of the Land”, così come
determinata dalla giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel corso della
storia e, quindi, attualizzata fino ad oggi. Ne risulta, allora, un documento fissato nel
tempo molti anni or sono, ma, allo stesso tempo, caratterizzato da una connotazione
spiccatamente evolutiva che lo porta a trascendere le esigenze di adeguamento tipiche
delle leggi ordinarie e che contribuisce, pertanto, ad esplicare quella funzione
peculiare di carta fondamentale valida per i Padri Fondatori, per gli Americani di oggi e
per le generazioni a venire.
Prima di iniziare la trattazione è necessario fornire alcune precisazioni relativamente a
terminologie e concetti che non sempre è risultato agevole tradurre da fonti di lingua
inglese. In particolare la dottrina americana distingue il termine “judge” da quello di
“Justice”, riferendosi con il primo alla generalità dei giudici di primo grado e d’appello,
siano essi di giurisdizione statale o federale, e con il secondo esclusivamente ai giudici
della Corte Suprema degli Stati Uniti. Risulta evidente come si voglia attribuire una
sorta di reverenza linguistica verso una categoria di uffici giudicanti che si distingue
dalla generalità della Magistratura per carriera, funzioni e competenze, nonché per
l’onorabilità dell’ufficio ricoperto. Nella trattazione in lingua italiana si è ritenuto
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opportuno non trascurare questa differenza sottolineando con la lettera maiuscola la
parola “Giudice” nei casi in cui si riferisca al collegio della Corte Suprema federale.
Un’altra importante precisazione inerisce alla traduzione della parola “government”, la
quale non si può ridurre all’accezione comune della parola “governo”, in quanto
quest’ultima si riferisce esclusivamente agli organi dell’esecutivo. Nell’accezione
americana, “government” è inteso in senso più ampio, come amministrazione, autorità
governante, comprendente tutti gli organi dell’Esecutivo, del Potere Legislativo e della
Magistratura, incluse le agenzie indipendenti, i bureau e le autorità locali e decentrate.
Più precisamente, taluni studiosi americani hanno dato al concetto un’ampia
definizione che include tutti quegli individui e quelle istituzioni che contribuiscono in
vario modo alla composizione delle regole e delle norme per la società e che hanno
anche il potere e l’autorità di attuare queste norme
2
. Tradurre il termine
“government” con la parola italiana “stato” risulterebbe sviante a causa della struttura
federale americana, che si compone di cinquanta stati differenti. Nello svolgimento
della tesi si farà uso della parola italiana “governo”, ma che, tuttavia, dovrà ess ere
intesa nella sua accezione americana.
- La Dichiarazione di Indipendenza, il progetto costituente e i padri
fondatori.
Ai fini di una trattazione completa ed esauriente è necessario illustrare con la massima
chiarezza possibile ed in modo sintetico la fase costituente degli Stati Uniti d’America.
Il contesto storico nel quale essa si colloca è caratterizzato da peculiarità tali da non
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“Govt”, Edward Sidlow, Beth Henschen, WADSWORTH, Cengage Learning, (Eastern Michigan University,
2010)
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poterne prescindere. E’ possibile collocare i presupposti dell’affrancamento delle
colonie americane durante tutto il corso del diciottesimo secolo, benché alcune delle
basi logiche, giuridiche e storiche dei pilastri della democrazia americana possano
essere rinvenuti all’interno dell’evoluzione giuridica e politica inglese in epoche talora
molto risalenti. Si fa riferimento in particolare al concetto fondamentale di governo
dotato di poteri limitati (c.d. “limited government”), risultato dalla commistione tra gli
effetti della concessione reale della Magna Carta, lo scontro politico tra il re Charles I
Stuart e il celebre giurista Sir Edward Coke ed, infine, le teorie del filosofo John Locke
in materia di diritto naturale e di contratto sociale. Non trascurabile, da questo punto
di vista, risulta essere l’approvazione da parte del parlamento Inglese del primo “Bill of
Rights” (Carta dei Diritti), risalente al 1689, attraverso il quale, tra l’altro, vennero
introdotti il divieto per il monarca di interferire con le elezioni parlamentari, l’obbligo
di governare con il consenso dei rappresentanti del parlamento e il divieto di infliggere
pene crudeli o inusuali o di imporre pene pecuniarie eccessive. Un altro concetto
portante dell’eredità giuridica Britannica risulta, pertanto, essere quello di governo
rappresentativo (c.d. “representative government”), inteso come corpo di
rappresentanti legittimamente eletto dal popolo, dotato di poteri e di prerogative
sufficienti a contrastare l’autorità reale. I primi spiragli di democrazia risultano, quindi,
essere il risultato di una esigenza spontanea maturata già nel corso della storia inglese.
Tuttavia i coloni americani non si accontentarono di questi progressi. Il popolo
migrante che si metteva in viaggio verso le lontane terre coloniali quasi sempre era in
cerca di libertà, giustizia e di nuove opportunità economiche. Libertà religiosa, laddove
in Inghilterra la Chiesa di Stato si adoperava in feroci repressioni dei culti alternativi a
quello ufficiale; libertà personale e giustizia al fine di evitare la temuta giurisdizione
della Corte reale conosciuta come Star Chamber, vero emblema dell’assolutismo
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monarchico; libertà d’iniziativa economica in quanto la maggioranza della ricchezza
della madre patria era sotto il controllo della nobiltà.
La prima esigenza dei coloni fu quella di stabilire delle regole fondamentali attraverso
le quali poter definire una certa autonomia dal governo di Londra, rimanendo allo
stesso tempo sottoposti alla sua autorità. La conseguenza di questa esigenza primaria
fu la proliferazione di una serie di assemblee costituenti decise a redigere atti
costitutivi per le comunità che si andavano formando. Queste costituzioni (c.d.
compacts) inevitabilmente incarnarono i principali valori che i coloni desideravano
porre alla base della nuova società, talvolta significativamente divergenti dalla cultura
politica inglese. I pilastri comuni di queste piccole comunità risultarono essere: a)
l’uguaglianza nell’esercizio dei diritti civili e politici, implicante il valore della tolleranza
b) la libertà individuale, c) l’uguaglianza davanti alla legge, d) il governo della
maggioranza ed il rispetto dei diritti delle minoranze ed, infine, e) il libero consenso ad
essere governati. Questi principi fondamentali si esplicarono in vario modo ed in
diversa proporzione, talvolta anche attraverso la esplicita allegazione di Bill of Rights,
indubbiamente ispirati al modello inglese, ma, non di rado, molto più garantisti. Le
dure politiche economiche imposte dalla madrepatria esasperarono i coloni americani,
i quali non ritenevano di meritare un simile trattamento, soprattutto senza una
adeguata rappresentanza politica nel parlamento britannico. Inoltre, essi si resero
conto di divergere dai fratelli inglesi non soltanto da un punto di vista politico, ma
anche da un punto di vista culturale. Non per niente in questo periodo si cominciò ad
usare la parola “Americans” per definire una nuova popolazione diversa da quella
inglese. In seguito all’introduzione dello “Stamp Act” (in sostanza una tassa sulle carte
e sui documenti legali) nove delle tredici colonie decisero di inviare propri delegati ad
un congresso che si sarebbe tenuto a New York (Stamp Act Congress), durante il quale
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i suddetti delegati redassero un documento contenente una dichiarazione dei diritti,
delle pretese e dei torti subiti, da inviare direttamente a re George III. Una simile
iniziativa costituì il precedente per le successive opportunità di assumere decisioni
comuni, ma, soprattutto, costituì la prima volta in cui una maggioranza di colonie unì
gli sforzi per opporsi al controllo inglese. Sebbene lo Stamp Act fosse stato presto
abrogato, i rapporti con la Gran Bretagna non fecero che peggiorare. Il picco della crisi
istituzionale venne raggiunto con l’approvazione, da parte del parlamento inglese, dei
Coercive Acts (talora chiamati anche “Intolerable Acts”) attraverso i quali il porto di
Boston venne chiuso e il governo del Massachussetts posto sotto il diretto controllo
delle autorità di Londra. Attraverso questi eventi è possibile comprendere la radicale
contrapposizione che si venne progressivamente a creare tra gli Americani e gli Inglesi,
basata, ad un primo sguardo, su ragioni economiche, ma che celava, in realtà, una vera
e propria contrapposizione di natura politico- culturale. La vocazione liberale della
esordiente società americana risultò del tutto incompatibile con un governo che
faceva capo ad un’autorità monarchica, la quale, sebbene non più assolutista,
esercitava ancora un potere discrezionale e unilaterale inaccettabile per i coloni. In
risposta agli Intolerable Acts le colonie americane inviarono i propri delegati al Primo
Congresso Continentale, riunito al Carpenter Hall di Philadelphia. Durante tale
Congresso si stabilì di inviare una nuova petizione a re George III per spiegare le
ragioni delle pretese e la natura dei torti subiti. Venne confermato, inoltre, il
boicottaggio dei beni di importazione dall’Inghilterra e venne, infine, richiesto a tutte
le colonie di istituire un proprio esercito. Una volta ricevuta la petizione, il re non solo
condannò il Congresso come chiaro atto di ribellione, ma rispose adottando misure
ancora più dure e repressive. La crisi aveva ormai raggiunto uno stadio irreversibile. In
seguito ad alcuni scontri avvenuti presso le città di Lexington e Concord, nello stato del
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Massachusetts, gli Stati Uniti entrarono definitivamente in guerra per ottenere la
propria indipendenza. Le tredici colonie riunirono immediatamente i propri delegati in
Pennsylvania per un Secondo Congresso Continentale che assunse, in via straordinaria,
i poteri di un governo centrale. Nonostante la rottura dei rapporti tra gli Americani e
gli Inglesi, il legame costituito dalla comune origine stentava a cedere. Tanto è vero
che “di tutte le popolazioni coloniali del mondo, nessuna si ribellò con più riluttanza
degli Anglo- Americani nel 1776”
3
. Le petizioni presentate al monarca inglese ebbero
sempre un’intenzione conciliativa, nella speranza di poter risolvere le controversie con
i fratelli inglesi, ma le ambizioni di libertà alla fine prevalsero sui legami di sangue. La
rottura dei legami con la Gran Bretagna e le istanze indipendentiste erano argomenti
di dibattito molto comuni nelle taverne e nei luoghi di incontro. La libera circolazione
delle idee fu infatti il principale problema per l’amministrazione inglese. Infatti, uno
degli strumenti maggiormente efficaci nella promozione della causa indipendentista fu
senza dubbio il pamphlet scritto da Thomas Paine intitolato “Common Sense”.
Quest’opera trattò della crisi sociale ed istituzionale attraverso “semplici fatti, chiari
argomenti e buon senso (common sense)”, risultando, quindi, comprensibile per la
gran parte del popolo americano. Paine non era altro che un ex maestro di scuola
inglese, ma ebbe il coraggio di descrivere il re George III come un “reale bruto”, “un
indurito Faraone dal temperamento scontroso”
4
. Un simile linguaggio sarebbe
certamente caduto sotto la scure della censura inglese, qualora fosse stato pubblicato
nella madre patria, mentre nelle colonie il pamphlet diventò un best- seller,
raggiungendo lo straordinario numero di 100'000 copie vendute in pochi mesi. Lo
scritto di Paine andò ben oltre un attacco personale al re, argomentando sulla
3
“The Enduring Vision: A History of the American People”, Paul S. Boyer et al., D.C. HEATH, (Lexington,
1996)
4
“Common Sense”, Thomas Paine, Philadelphia, 1776.
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evidente capacità dell’America di sopravvivere economicamente e di sostenersi
autonomamente senza la necessità della protezione britannica. Ne derivò
l’opportunità di trasformare le colonie in un modello repubblicano che fosse di
esempio in un mondo dove gran parte delle nazioni erano oppresse da forti governi
centrali. Il successo dello scritto di Paine dà un‘idea dell’importanza della circolazione
delle idee per il sistema di valori americano. I dibattiti, gli scontri politici ed i confronti
delle opinioni tendono a formare quel “mercato delle idee”
5
che consente a tutti i
cittadini di interagire con il mondo delle istituzioni e, in ultima istanza, di contribuire
alla definizione delle politiche da seguire. Questo presupposto si collocò alla base della
cultura americana già in una fase anteriore a quella costituente. E’ possibile, in tal
modo, comprendere le ragioni per le quali i Padri Fondatori decisero di collocare la
libertà d’espressione nel I emendamento alla costituzione: i valori ed i principi fondanti
furono il risultato di un confronto di idee avvenuto al di fuori delle rigide restrizioni
della censura inglese. L’espressione più significativa di questo confronto può,
indubbiamente, essere individuata nei famosi Federalist e Antifederalist Papers, una
serie di saggi pubblicati sul New York Journal durante la fase costituente, attraverso i
quali i migliori e più autorevoli pensatori dell’epoca, opportunamente celati da
pseudonimi, si scontrarono sui principali temi costituzionali. L’ostacolo principale alla
formazione di una nazione americana risultava, tuttavia, essere ancora la
sottomissione all’autorità inglese. Il passo fondamentale da compiersi fu quello di
ottenere l’indipendenza da un punto di vista politico-istituzionale, nonché da un punto
di vista militare. Il Secondo Congresso Continentale pose le basi per questa nuova fase.
Un “Comitato dei Cinque” venne nominato al fine di redigere una dichiarazione
ufficiale d’indipendenza dall’autorità inglese. Di questo comitato faceva parte, tra gli
5
“First Amendment Law”, Gunther, Sullivan, FOUNDATION PRESS, New York, 2007.
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altri, Thomas Jefferson, il quale provvide a formare la prima bozza in meno di tre
settimane. Benjamin Franklin e John Adams apportarono alcune modifiche e per il 4
Luglio 1776 il documento era pronto per essere presentato agli Americani, alle autorità
inglesi e al resto del mondo. La storia antecedente la Dichiarazione risulta essenziale
alla comprensione di questo documento poiché con esso lo scontro tra l’Inghilterra e
le colonie americane venne elevato ad un livello universale. L’importanza di questa
dichiarazione deve anche essere letta nell’ottica di un fondamentale antecedente
politico-istituzionale alla successiva fase costituzionale. Sebbene lo scopo primo della
Dichiarazione fosse quello di denunciare gli abusi e i torti perpetrati dalla monarchia
britannica nei confronti dei coloni, la parte più importante risulta essere, da un punto
di vista costituzionale, il secondo paragrafo nel quale vengono indicati a chiare lettere i
diritti fondamentali che il popolo americano considerò “self- evident” (auto-evidenti)
in forza della loro essenzialità:
“Noi riteniamo che queste verità siano auto-evidenti: che tutti gli uomini siano creati
eguali, che essi siano titolari, per grazia del proprio Creatore, di alcuni Diritti
inalienabili, che tra questi ultimi siano, [in particolare,] il Diritto alla Vita, il Diritto alla
Libertà e il Diritto al perseguimento della Felicità. [Riteniamo inoltre auto- evidente]
che per assicurare questi diritti, tra gli Uomini siano istituite [forme di] Governo, le
quali derivino i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Riteniamo, infine, auto-
evidente che quando qualsiasi di queste Forme di Governo diventi distruttiva di questi
fini, sia Diritto del Popolo di alterarla o abolirla, e, quindi, di istituire un nuovo Governo,
che ponga le proprie fondamenta su tali principi e che organizzi i propri poteri in tal
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modo, da sembrare al [popolo] più appropriato al fine di realizzare la propria Sicurezza
e Felicità”.
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Questo breve paragrafo raccoglie in poche parole i principi fondamentali di diritto
costituzionale. Si rileva innanzitutto il principio di Eguaglianza, derivato da una storia di
soprusi da parte di un sistema monarchico-aristocratico che si intendeva abbandonare.
Tale principio, tuttavia, è esplicitato in termini tali da consentire una potenziale
declinazione meritocratica: “tutti gli uomini sono creati eguali” non equivale a “tutti gli
uomini sono eguali”. Con ciò si vuole sottolineare la lontananza (e la immanente
incompatibilità) della cultura americana dalle future ideologie e filosofie socialiste e
comuniste. Risulterà necessario interpretare anche con questa lente le reazioni del
sistema giuridico statunitense alle sollecitazioni delle istanze comuniste che si avranno
nella prima metà del XX Secolo.
Successivamente, si rileva l’affermazione secondo la quale tutti gli uomini sono titolari
di diritti inalienabili. E’ possibile inquadrare questo concetto come il risultato di diversi
fattori concorrenti: a) adesione alle teorie filosofiche giusnaturaliste, b) ricezione di
alcune filosofie giuridiche in materia di diritti fondamentali, elaborate, in particolare,
nella Francia pre-rivoluzionaria, che inquadravano il concetto di diritto inalienabile
come limite invalicabile per l’azione del governo, ed, infine, c) ricezione dall’evoluzione
politico-giuridica inglese dell’idea di diritti fondamentali concessi dall’autorità sovrana
come prerogativa per accorciare le distanze tra una classe governata ed una classe
governante (sistema dei writs).
E’ interessante notare come, per la cultura giuridica americana, i diritti inalienabili
degli individui trascendano l’istituzione ufficiale di una forma di governo, in quanto
6
Dichiarazione di Indipendenza, §2, Congresso del 4 Luglio 1776, Archivi del National Constitutional Center,
Philadelphia, Pennsylvania. Fonti tratte dal Sito Web www.constitutioncenter.org .