L'AFFACCIARSI AL PANORAMA EUROPEO DEL REGIME SPAGNOLO
DEL DOPOGUERRA.
Risale al 9 febbraio 1962 la prima negoziazione della Spagna per entrare a far
parte dell'allora Comunità Economica Europea, idea già espressa nel 1956 dal
dittatore Francisco Franco al Consiglio della Falange, al quale egli dichiarava la
sua aspirazione al raggiungimento di una “situazione economica che avrebbe
permesso al Paese una buona libertà commerciale” 1
.
Il Ministro degli Affari Esteri Castiella si rivolgeva con una lettera al Presidente
del Consiglio dei Ministri della CEE, il francese Maurice Couve de Mourville
chiedendo ufficialmente l'apertura delle negoziazioni per l'integrazione della
Spagna alla comunità delle maggiori economie europee, corrispondenza che
sarebbe proseguita fino al 1970 prima di mostrare i risultati sperati. Il tentativo
del 1962 ebbe infatti esiti negativi a causa del carattere non democratico del
regime spagnolo.
Il Governo nel frattempo continuava ad esprimere la volontà di adesione di fronte
al popolo e ai Paesi europei in numerosi discorsi e presentazioni di progetti per lo
sviluppo economico:“La CEE costituisce il nucleo principale su cui si svilupperà
la collaborazione continentale” 2
.
Il 26 giugno 1970 il Ministro degli Affari Esteri don Gregorio Lòpez Bravo e
Jean Rey, presidente della Commissione della CEE, firmavano a Lussemburgo
un accordo commerciale preferenziale che concedeva notevoli vantaggi in
materia di esportazioni alla Spagna, non ancora considerata Paese
1
“Cronologia del Acuerdo España- CEE-Cronicas”, Antonio Sanchez Gijon 2
dichiarazione governativa del 31 ottobre 1969
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economicamente e politicamente sviluppato. Lo scopo dell'accordo era quello di
assistere la Spagna nella graduale apertura al mercato europeo e nel
raggiungimento del libero scambio dei prodotti all'interno del territorio europeo.
Il governo spagnolo esprimeva la sua soddisfazione nei risultati ottenuti, pur
conoscendo i limiti dell'accordo e continuava a riporre fiducia nella
partecipazione europea. “Il mio Paese appartiene all'Europa ed ha fiducia in essa,
ma l'interconnessione fra il popolo spagnolo e gli altri popoli europei sarà un
lavoro piuttosto lungo” 3
.
La dittatura franchista costituiva una valida ragione per i Paesi aderenti alla CEE
al rifiuto della piena integrazione spagnola alla loro comunità, in realtà il Paese
era considerato temibile dal punto di vista economico in quanto poteva proporre
prodotti agricoli decisamente migliori in termini di qualità e prezzo, inoltre il
giovane settore industriale godeva ancora di numerosi benefici in termini di costi
di produzione. In seguito alla caduta del regime franchista infatti sarebbero
passati ancora 10 anni prima che la Spagna potesse occupare un ruolo
significativo fra i protagonisti del Vecchio Continente con l'accettazione finale
nel giugno 1985 e la reale entrata il primo gennaio 1986. In questo decennio e
durante gli anni seguenti il progresso del Paese avanzava notevolmente, sia dal
punto di vista economico che politico, amministrativo, ma soprattutto culturale e
ogni segno d'apertura verso il mondo esterno era considerato positivo e
favorevole all'evoluzione democratica e veniva quindi accolto con grande
entusiasmo: “Oltre ad agevolare la nostra convergenza politica ed economica con
gli stati limitrofi, l'adesione della Spagna all'attuale Unione Europea rappresentò
3
don Gregorio Lòpez Bravo, Ministro degli Affari Esteri, durante il discorso che
accompagnò la cerimonia per la firma del suddetto accordo, da “Cronologìa
bàsica del acuerdo España-CEE. Cronicas” di Antonio Sanchez Gijon, pag 632
10
anche la possibilità di superare lunghi decenni di isolamento e irrilevanza
nazionale” 4
.
Finalmente nel 1999, anno in cui avvenne l'adesione della Spagna alla UEM
(Unione Economica e Monetaria) la Spagna otteneva il coinvolgimento totale in
Europa e conseguentemente la fine del suo status di eccezione nel contesto
europeo.
Il processo di adesione del Paese all'Unione Europea veniva appoggiato dalla
cittadinanza spagnola con molto più entusiasmo rispetto ai cittadini degli altri
Paesi aderenti. L'europeismo è sempre stato superiore alla media europea; il
processo di integrazione infatti era parallelo a quello di democratizzazione per gli
immediati benefici che esso comportava, ma anche a quello di evoluzione della
società (introduzione delle leggi di uguaglianza di genere, della copertura
sanitaria universale, innalzamento del tasso di occupazione, del livello di
istruzione,..) che si lasciava alle spalle gli anni della dittatura, durante i quali la
chiusura della Spagna nei confronti del mondo esterno aveva limitato l'accesso ai
progressi di cui gli altri stati beneficiavano in quel periodo.
Il popolo spagnolo ha sempre associato la partecipazione all'Unione Europea alla
buona riuscita del progetto democratico del Paese. “Molti di noi identificheranno
sempre la Comunità Europea non solamente alla modernità ed al progresso
economico, bensì anche alla democrazia e alla libertà” 5
. Nel rapporto “20 Años
de España en la Union Europea (1986-2006)”si evince che l'appoggio degli
spagnoli al sistema democratico si consolidò con l'adesione della Spagna
4
Gustavo Suàrez Pertierra, Presidente del Real Instituto Elcano in “20 Años de
España en la Union Europea (1986-2006)
5
Gustavo Suàrez Pertierra, Presidente del Real Instituto Elcano in “20 Años de
España en la Union Europea (1986-2006)” 11
all'Unione Europea. Negli stessi anni crebbe anche l'appoggio al decentramento
(18 % di aderenti in più in 20 anni) e il conseguente trasferimento della gestione
della spesa pubblica alle amministrazioni locali (dal 91% al 54% in mano
all'autorità centrale).
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LA DEFINIZIONE DELLO STATO DELLE AUTONOMIE E LO SPAZIO DI
AZIONE DELLE COMUNITA' AUTONOME .
Lo stato delle autonomie in Spagna ha compiuto dei passi avanti notevoli da
quando, nel 1975, il re Juan Carlos nel suo discorso d'incoronazione (il 22
novembre 1975) riconobbe la legittimità dei particolarismi locali.
Nell'elaborazione della Costituzione spagnola si è preferito non aderire ad un
modello standard di stato democratico (federale o regionale), bensì lasciare alla
giurisdizione e alla politica il compito di organizzare territorialmente il Paese.
La denominazione, frutto del compromesso fra territori e popoli che si
consideravano “nazionalità” e “regioni” è quella di “Comunità Autonome” (art.
137, Cost.) pur senza definire quali esse siano, né istituirle.
La Costituzione concede alle province esistenti di costituirsi in comunità con un
proprio governo, un proprio statuto e capacità normative proprie limitatamente
alle competenze.
La devoluzione dei poteri venne inizialmente pensata in modo differente fra le
diverse Comunità; alcune di esse (Catalogna, Paese Basco e Galizia),
considerando il loro passato, la loro formazione e posizione politica e
demografica, ottennero in tempi più brevi una forma di autonomia “speciale”,
estesa poi in diverse forme anche ad altre comunità fino a raggiungere la
situazione attuale di 17 Comunità Autonome. La distribuzione dei poteri e gli
status di autonomia ad oggi rimangono per certi aspetti ancora disomogenei, in
particolare dal punto di vista economico, nonostante i grandi passi avanti ottenuti
grazie proprio alla realizzazione delle autonomie e all'adesione del Paese all'UE.
Le Comunità Autonome godono del diritto ad essere informate sulle questioni di
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politica estera, inoltre nelle materie di loro competenza recepiscono direttamente
i trattati internazionali, nonostante ad oggi ambiscano a ruoli più attivi e a status
più forti.
Per quanto concerne il rapporto fra l'Unione Europea e le Comunità Autonome
spagnole nella storia, già nell'immediato periodo successivo all'entrata della
Spagna nell'UE sono emerse alcune questioni proprio in materia di competenze
nel recepimento del diritto internazionale.
La Costituzione spagnola, infatti, non si occupa di fornire un elenco con la
suddivisione delle competenze fra autorità centrale e locali in materia di politica
estera attribuendone la disciplina alla giurisprudenza costituzionale. Quest'ultima
durante le varie sentenze e di fronte alle varie casistiche ha sempre ribadito il
principio della non alterazione del sistema di distribuzione interna della
competenze. Com'è noto l'art. 189 del Trattato dell'Unione Europea offre la
possibilità agli stati membri di eleggere la forma e i mezzi per il raggiungimento
degli obbiettivi da conseguire. La Comunità quindi attribuisce alla normativa
nazionale la responsabilità di scegliere la modalità più indicata per la messa in
atto della direttiva.
Nel 1988 il Tribunale si trovò di fronte ad un ricorso sollevato dalla Comunità
Autonoma della Catalogna proprio per invasione delle competenze da parte dello
Stato. Era stata emanata infatti una direttiva comunitaria in materia di agricoltura,
di competenza quindi esclusiva delle Comunità Autonome la cui trasposizione
per la sua entrata in vigore doveva essere effettuata dall'autorità competente. Lo
Stato aveva approvato un decreto per l'applicazione della suddetta direttiva,
decreto che fu immediatamente impugnato dalla Comunità Autonoma di fronte al
Tribunale Costituzionale, il quale ribadì il principio secondo cui l'appartenenza
della Spagna all'UE non comportava la modifica dell'ordine interno di
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