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unitariamente dal Titolo V indipendentemente dalla loro natura, pubblica o
privata, ed enti che svolgevano similare attività a medio e lungo termine,
denominati istituti di credito e disciplinati dal Titolo VI. Venne rafforzata la
tutela del pubblico risparmio considerato, non più solo come deposito
bancario ma anche come strumento per l’acquisto di azioni, di obbligazioni,
e di valori mobiliari di ogni natura. La raccolta del risparmio pubblico, sotto
ogni forma, verrà, d’allora, definita “funzione di interesse pubblico”.
Appariva chiaro l’intento di sottoporre tutto il sistema creditizio ad un
accurato e diretto controllo, nello stesso tempo elastico, per avere una
migliore articolazione dei poteri di intervento. Infatti, vennero istituiti: un
Comitato di ministri presieduto dallo stesso Capo del Governo al quale era
attribuito un generale compito di direttiva politico-amministrativa del
credito e, un nuovo organo dello Stato, l’Ispettorato, per la difesa del
risparmio e per l’esercizio del credito, con ampi poteri di vigilanza sugli
enti e sull’attività bancaria, posto alle dipendenze del Comitato.
La vigilanza bancaria fu sottratta, formalmente, alla Banca d’Italia per
essere esercitata direttamente dallo Stato mediante apposito organo, ma a
questo slittamento di poteri fu notevolmente temperato con il porre a capo
dell’Ispettorato lo stesso governatore della Banca Centrale.
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La legge bancaria del 1936 eliminava ogni dubbio sulla natura pubblicistica
della Banca d’Italia, dichiarata dall’art. 20 “Istituto di diritto pubblico”.
Interveniva poi sulla struttura del capitale della Banca stabilendo che le
quote di partecipazione non potessero appartenere che ad istituti ed enti
pubblici dotati di particolare solidità e qualificazione nei settori bancario,
assicurativo e previdenziale. Con la nuova legge bancaria la Banca d’Italia
vedeva rafforzato il suo ruolo di Banca centrale divenendo erogatrice di
credito di ultima istanza nei confronti del sistema bancario e vedendosi
attribuito dal Titolo III della legge, come propria funzione istituzionale, il
potere di emettere biglietti.
La nuova dottrina, pur lasciando integri alcuni elementi (separazione tra
banca e industria, la specializzazione temporale), ha dato un’evoluzione
radicale: si è passato da un mercato protetto, oligopolistico, piramidale e
segmentato ad un mercato internazionalmente integrato e aperto alla
concorrenza, sia al proprio interno sia nei confronti di una intermediazione
finanziaria non bancaria in forte sviluppo.
Infatti uno dei tratti che contraddistingue la Legge bancaria è quello di
essere una normativa che, più che disciplinare materialmente i soggetti e
l’attività, attribuisce poteri e competenze alle autorità creditizie, alle quali
viene rimessa un’amplissima discrezionalità nella scelta dei contenuti.
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Proprio questa caratteristica di flessibilità consente di aggiustare
continuamente il modello del sistema bancario, adeguandolo all’evolversi
delle situazioni ed esigenze economiche.
Il crollo del regime fascista non potrò ad uno stravolgimento della legge
bancaria del 1936, anche se incise in modo notevole sulla struttura degli
organi di controllo bancario. Con il D.L.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691 l’alta
vigilanza politico-amministrativa in materia di tutela del risparmio e di
esercizio del credito fu affidata ad un nuovo collegio dei ministri,
denominato Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio,
presieduto dal Ministro del Tesoro. La vigilanza tecnico-amministrativa fu
definitivamente attribuita alla Banca d’Italia, a cui restano trasferiti tutti i
poteri dell’ispettorato ed, inoltre, venne attribuito il compito di dare
esecuzione alle delibere del Comitato e al suo Governatore il potere di
partecipare alle sue sedute. Nel frattempo, pochi mesi prima che si fosse
provveduto alla completa ristrutturazione degli organi di vigilanza bancaria,
venne introdotta una nuova forma di vigilanza ibrida ed inconsueta anche
nel settore del credito speciale, con il D.L.C.P.S. 23 agosto 1946, n. 370 per
estendere a tutti gli istituti di credito a medio lungo termine non annoverati
nell’art. 41 della legge bancaria la generale normativa prevista per le
aziende di credito.
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In questi anni ci furono altre importanti modificazioni che intervennero nei
rapporti tra Banca d’Italia e Tesoro e nell’organizzazione dei cambi. Il
D.Lgs. 7 maggio 1948, n. 544 pose un limite alla facoltà del Tesoro di
ottenere anticipazioni dalla Banca d’Italia, precisando che le stesse
avrebbero potuto essere concesse solo se autorizzate dal Parlamento. Per
quanto concerne il mercato dei cambi, l’alta vigilanza del settore venne
attribuita al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, mentre
le funzioni di controllo e di “contraente necessario” nel commercio delle
valute furono affidate all’Ufficio italiano dei cambi, ente dotato di
personalità giuridica ma istituzionalmente collegato alla Banca d’Italia e
sottoposto alla vigilanza del Ministro del Tesoro.
Con l’entrata in vigore, dal 1° gennaio del 1948, della Carta Costituzionale
le linee di fondo dell’orientamento amministrativo del credito non subirono
modifiche, al contrario, ricevettero solenne conferma dalle nuove statuizioni
costituzionali, tanto da conseguire un rafforzamento ed un rilievo normativo
del tutto peculiare. In particolare è stata enfatizzata l’esclusione della
materia creditizia, espressamente contemplata nell’art. 47, 1° comma, dalla
generale riserva di legge in materia economica prevista dall’ultimo comma
dell’art. 41 e se ne è dedotto che l’art. 47 conferì dignità di norma
costituzionale alla normativa della Legge bancaria. Particolare attenzione e
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stata dedicata alla distinzione tra governo del credito e vigilanza bancaria:
questa fa da premessa alla configurazione di un sistema di vertice
dualistico, politico e tecnico, di costante coordinamento degli atti di
direzione del credito con la politica economica generale dello Stato
assicurando, così, l’assunzione di idonei criteri di controllo caratterizzati da
snellezza e rapidità di visione e di azione.
L’ordinamento creditizio consolidatosi in questi ultimi anni rimase
sostanzialmente immutato per un lungo periodo, l’intermediazione
finanziaria rimase nella massima parte riserva del sistema bancario, anche
l’ordinamento del mercato mobiliare resta nella condizione nella quale
l’aveva costretto il regime fascista: un ordinamento che prende in
considerazione soltanto la Borsa e che riserva a quest’ultima uno statuto
pubblicistico imperniato sull’attività di una categoria di professionisti, gli
agenti di cambio, ai quali era riservata l’attività di negoziazione.
I primi profondi mutamenti si verificarono nella metà degli anni settanta, e
più esattamente con la legge del 7 giugno 1974, n. 216, dove fu istituita la
Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob) e detta una
disciplina speciale per le società con azioni quotate in Borsa. Alla Consob
venivano attribuiti compiti di vigilanza sia sull’organizzazione della Borsa
sia sullo svolgimento delle relative negoziazioni ed il D.P.R. 31 marzo
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1975, n. 138 trasferiva ad essa delle funzioni delle quali erano
precedentemente titolari degli organi locali di Borsa (la Deputazione di
Borsa e il Comitato degli agenti di cambio). Di grande rilievo era anche
l’introduzione di una disciplina speciale per le società con azioni quotate in
Borsa, in particolare, si introdusse a carico delle società quotate obblighi di
trasparenza più accentuati sia nei confronti della Consob sia nei confronti
del mercato, ponendo i risparmiatori in condizioni di accrescere la
conoscenza delle società delle quali avessero acquisito azioni. Quindi si
avvia, così, un processo di separazione della disciplina delle società con
azioni quotate in Borsa dal diritto comune delle società per azioni.
L’ambito del diritto speciale del mercato mobiliare si ampliò con la legge
23 febbraio 1977, n. 49, che disciplinò il Mercato ristretto dei titoli non
quotati in Borsa, un mercato parallelo a quello di Borsa sul quale venivano
negoziati i titoli delle società di dimensioni minore o che non erano pronti
per la quotazione al mercato di Borsa.
Le lacune del nostro ordinamento del mercato mobiliare rimanevano ancora
clamorose, ma vennero relativamente colmate con la legge 23 marzo 1983,
n. 77 dove prevedeva una disciplina generale dell’appello al pubblico
risparmio e introdusse anche nel nostro paese i fondi comuni di
investimento mobiliare aperti.
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Il momento di svolta verso il nuovo ordinamento bancario può essere
individuato nell’emanazione del D.P.R. 27 giugno 1985, n. 350, che dava
attuazione nel nostro ordinamento alla prima direttiva comunitaria in
materia creditizia. La scelta innovativa contenuta in quel provvedimento è
rappresentata dal riconoscimento del diritto all’ingresso sul mercato
bancario a favore di qualunque soggetto che presenti le qualità oggettive
richieste dalla legge per poter esercitare la relativa attività e all’apertura, nel
territorio dello Stato, di succursali ed enti creditizi aventi sede legale in
altro Stato membro. Infatti dopo il 1985 ci fu un nuovo stile della vigilanza
sull’esercizio dell’attività bancaria dove le autorità di vigilanza lavorano in
un’ottica di mera polizia del settore e non anche di governo dello stesso.
In questi ultimi anni gli enti creditizi italiani erano entrati in misura molto
rilevante nel settore della finanza non bancaria e nel mercato mobiliare
acquisendo partecipazioni di controllo di società di leasing, di factoring, di
gestione dei fondi comuni, di fiduciarie, di commissionarie e di società di
gestione, partecipazione e di negoziazione di valori mobiliari. Si era
affermato così il modello del gruppo bancario polifunzionale dove al vertice
c’erano gli enti creditizi seguite da altre società partecipate che sfuggivano
alla vigilanza bancaria e che erano sottratte a qualsiasi altro tipo di
vigilanza. Allo scopo di impedire che la crisi di queste ultime ponesse in
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pericolo la stabilità dello stesso ente, la legge 17 aprile 1986, n. 114, attribuì
alle autorità di vigilanza sugli enti creditizi il potere di conoscere le
situazioni economiche e finanziarie delle società controllate.
Nelle riforme della seconda metà degli anni ottanta bisogna ricordare due
istituzioni particolari destinate ad incidere profondamente sulla morfologia
del nostro mercato: la nascita della Monte titoli s.p.a. e l’istituzione del
mercato secondario dei titoli di stato. La prima fu istituita con la legge 19
giugno 1986, n. 289 riservando l’attività di organizzazione del servizio di
gestione accentrato dei titoli nel nostro paese alla Monte titoli s.p.a.
costituita da intermediari e sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia e
della Consob, e con decreto 8 febbraio 1988 il Ministro del Tesoro
disciplinava il Mercato secondario dei titoli pubblici, costituendolo come un
mercato all’ingrosso, non aperto al pubblico ma riservato ad operatori
finanziari particolarmente qualificati.
Ma è soltanto nei primi anni novanta, e soprattutto per impulso delle
direttive comunitarie, che l’ordinamento italiano raggiunge un grado di
compiutezza sostanzialmente analogo a quello degli ordinamenti finanziari
degli altri paesi ad economia avanzata.