INTRODUZIONE
Il 17 dicembre 2010, un venditore ambulante abusivo di nome Mohamed
Buazizi si diede fuoco per protestare contro la propria situazione sociale, i soprusi e la
corruzione delle autorità tunisine. La protesta del venditore ambulante avvenne in
seguito alla confisca della sua merce a causa della mancanza dei permessi necessari e ai
maltrattamenti subiti dalla polizia tunisina.
1
Questo episodio causò lo scoppio della
protesta popolare nella città di Sidi Bouzid dove il venditore ambulante viveva, e
successivamente in tutto il resto del Paese, innescando la Rivoluzione dei Gelsomini.
2
Le proteste, che inizialmente furono duramente soffocate dalle forze armate tunisine,
iniziarono con le richieste di un miglioramento della situazione occupazionale e
successivamente domandarono delle riforme politiche. A causa di queste proteste, il
Presidente Zine El-Abidine Ben Ali, che governava in modo autoritario dal 1987, fu
costretto a fuggire in Arabia Saudita.
3
Proteste simili a quelle scoppiate in Tunisia si diffusero presto nei Paesi del Nord Africa
e in quelli del Medio Oriente, dando vita alla Primavera araba.
I Paesi attraversati da queste proteste furono l'Egitto, l'Iran, lo Yemen, l'Algeria, il
Bahrain, la Giordania, la Libia e la Siria.
4
Le proteste in questione hanno portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak in
Egitto l'11 febbraio 2011,
5
e di quello di Muammar Gheddafi in Libia nell'ottobre dello
stesso anno.
6
La diffusione delle immagini delle proteste e delle violenze commesse dalle forze
armate ha concentrato l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sul diritto dei popoli
di scegliere la propria forma di governo e i propri rappresentanti politici, e sul ruolo
della comunità internazionale nella realizzazione di questo diritto.
Questo elaborato analizza l'azione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel
1 K. FAHIM, Slap to a Man's Pride Set Off Tumult in Tunisia, in New York Times, 21 gennaio 2010, p.
3.
2 S. K. BERNARD, C'è anche la minaccia salafita nella “Rivoluzione dei Gelsomini”, in
L'Occidentale, http://www.loccidentale.it, 24 gennaio 2011.
3 Zine El-Abidine Ben Ali, http://www.nytimes.com, giugno 2011.
4 Rivolte M. O. e Nord Africa: dalla caduta di Ben Ali all'Iran, http://www.asca.it, 15/02/2011.
5 Mubarak si dimette, Cairo in festa Poteri passano in mano ai militari, http://www.adnkronos.com, 11
febbraio 2011.
6 Gheddafi, ucciso il dittatore. Libia in festa, http://www.unita.it, 20 ottobre 2011.
1
processo di promozione del diritto alla democrazia.
Il primo capitolo è dedicato all'analisi dell'esistenza del diritto alla democrazia nel
diritto internazionale.
La prima parte si sofferma sui cambiamenti nel diritto internazionale, sugli eventi storici
e sulle ragioni che sono alla base del progressivo emergere del diritto alla democrazia.
I cambiamenti del diritto internazionale sono l'affermazione dei diritti umani dopo la
fine della seconda Guerra Mondiale, la conseguente riduzione dell'ambito di
applicazione del principio di non intervento e la conseguente affermazione del concetto
di sovranità popolare.
Gli eventi storici sono la fine della Guerra fredda e il trionfo della democrazia liberale e
la sua proclamazione ad ideologia dominante.
Le ragioni sono il legame tra il diritto alla democrazia e gli altri diritti umani, la
concezione della democrazia come mezzo di prevenzione delle guerre civili e dei
conflitti interstatali, l'affermazione di norme di diritto internazionale che si basano sul
processo democratico per la loro attuazione.
La seconda parte del capitolo analizza le fonti del diritto alla democrazia, mentre la
terza parte si concentra sul contenuto del diritto in questione. Quest'ultimo si configura
come la somma del diritto all'autodeterminazione, dei diritti di partecipazione politica e
delle libertà di pensiero, di espressione, di assemblea e di associazione necessarie per la
realizzazione dei diritti appena menzionati.
L'ultima parte del capitolo si sofferma sul contenuto di questi diritti e di queste libertà
così come sono enunciati nel Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Il secondo capitolo è dedicato allo studio dei meccanismi universali di tutela del diritto
alla democrazia.
La prima parte del capitolo riguarda l'attività del Comitato dei diritti umani (Comitato),
e si concentra sull'interpretazione contenuta nei Commenti generali e sulla
giurisprudenza dell'organo in questione relative alle libertà e ai diritti politici previsti dal
Patto.
La seconda parte del capitolo si riferisce all'aspetto esortativo dell'azione dell'ONU in
sostegno della democrazia e studia l'attività della Commissione delle Nazioni Unite per
i diritti umani (Commissione), successivamente sostituita dal Consiglio delle Nazioni
2
Unite per i diritti umani (Consiglio). Questa parte del capitolo studia, mediante
l'interpretazione che i due organi in questione hanno fornito attraverso la propria
attività, degli aspetti particolari dei diritti e delle libertà che formano il diritto alla
democrazia.
In relazione ai diritti politici è studiata la questione della partecipazione delle minoranze
alla vita politica del proprio Paese.
In riferimento alla libertà di espressione è analizzato il diritto a ricevere e a ricercare le
informazioni detenute dagli organi politici; il ruolo dei mezzi di comunicazione durante
il periodo elettorale; il ricorso dei governi alle leggi sulla sicurezza e sulla diffamazione
per limitare la libertà di espressione degli individui.
In riferimento alla libertà di associazione e di assemblea, è affrontato il tema della
limitazione di queste libertà mediante l'uso della violenza, l'imposizione dello stato di
emergenza e il ricorso alle leggi contro il terrorismo.
Il terzo capitolo è dedicato alle azioni concrete svolte dall'ONU in sostegno del diritto
alla democrazia.
La prima parte del capitolo ha come oggetto di studio l'attività di assistenza elettorale
svolta dall'Organizzazione. Dopo l'iniziale distinzione tra l'assistenza elettorale fornita
dall'ONU durante la decolonizzazione e quella realizzata all'interno dei Paesi
indipendenti, l'attenzione è diretta al secondo tipo di attività e ai seguenti aspetti: i
cambiamenti del contesto internazionale che hanno portato all'affermazione
dell'assistenza elettorale nei Paesi indipendenti; i requisiti e la procedura per svolgere
l'assistenza elettorale; i diversi tipi di missioni compiute dall'ONU; le caratteristiche e i
limiti di queste missioni. La trattazione relativa all'assistenza elettorale si conclude con
due esempi di assistenza elettorale fornita dall'ONU su richiesta dello Stato interessato
(Tailandia e Mozambico) e un esempio di questa attività condotta nell'ambito di una
operazione di peace building (Cambogia).
La seconda parte del capitolo analizza l'intervento militare autorizzato dal Consiglio di
Sicurezza in sostegno della democrazia.
Dopo aver specificato in cosa consista l'intervento in sostegno della democrazia, la
trattazione prosegue affrontando i seguenti aspetti: l'esistenza del diritto degli Stati di
intervenire unilateralmente in sostegno della democrazia ai sensi degli articoli della
3
Carta delle Nazioni Unite relativi all'uso della forza; l'intervento multilaterale
autorizzato dal Consiglio di Sicurezza; i limiti di quest'ultimo tipo di intervento. Il
capitolo si conclude con l'analisi dei due casi in cui l'ONU è intervenuto in seguito al
rovesciamento del governo eletto democraticamente mediante un colpo di Stato: la crisi
haitiana del 1994 e la crisi sierraleonese del 1997.
4
CAPITOLO I
IL DIRITTO ALLA DEMOCRAZIA
1. Il diritto alla democrazia nel diritto internazionale
Prima del 1989-91, l'argomento 'democrazia' era poco trattato negli scritti di
diritto internazionale.
7
L'ostacolo maggiore allo sviluppo del diritto alla democrazia nel
diritto internazionale era rappresentato dalla sovranità dello Stato e dal dovere di non-
intervento. Il diritto internazionale si basava infatti sul principio consuetudinario di
uguaglianza degli Stati sovrani: il diritto esclusivo degli stessi Stati sovrani di esercitare
il proprio potere sui propri cittadini, territorio e risorse, e il divieto di qualsiasi
intervento esterno nei confronti di Stati indipendenti ed eguali.
8
La scelta dei dirigenti
politici e il rapporto tra governanti e governati erano materie tradizionalmente
considerate di competenza esclusivamente interna,
9
ovvero materie delle quali il diritto
internazionale si disinteressava e rispetto alle quali lo Stato era libero da obblighi
internazionali.
10
Questo punto è contenuto anche nella sentenza 'attività militari e
paramilitari contro il Nicaragua' della Corte Internazionale di Giustizia (CIG). La CIG
affermava che il principio di non intervento, corollario del principio di sovranità,
consisteva nel diritto di uno Stato sovrano di condurre i propri affari senza l'interferenza
esterna. Era proibito quindi l'intervento degli Stati negli affari in cui uno Stato aveva, in
base al principio di sovranità, il diritto di decidere liberamente. La scelta del proprio
sistema politico, economico, sociale e culturale rientrava in questi affari. La CIG negava
l'esistenza di un diritto degli Stati ad intervenire, direttamente o indirettamente, con o
senza l'uso della forza, in sostegno di una opposizione interna la cui causa risultava
sostenibile in base ai propri valori politici e morali. L'esistenza di tale diritto di
intervenire avrebbe richiesto infatti una modifica del principio consuetudinario di non
7 G.H. FOX, B.R. ROTH, Introduction: the spread of liberal democracy and its implications for
international law, in G.H. FOX, B.R. Roth (eds.), Democratic Governance and international Law,
Cambridge, 2000, p. 1.
8 S. V ARAYUDEJ, A right to democracy in international law: its implications for Asia, in Annual
Survey of International & Comparative, 2006, p. 2.
9 G.H. FOX, B.R. ROTH, Introduction: the spread of liberal democracy and its implications for
international law, cit., p. 6.
10 B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2006, p. 185.
5
intervento.
11
L'evoluzione del diritto internazionale moderno ha causato una
compressione della libertà degli Stati, nata come libertà assoluta
12
, e gli eventi del 1989-
90 hanno dimostrato che il rapporto tra il principio di sovranità e il dovere di non
intervento e i diritti umani -di cui il diritto alla democrazia fa parte- si è modificato.
L'affermazione dei diritti umani, in particolare i diritti di partecipazione politica, hanno
infatti comportato due conseguenze per il principio di sovranità. La prima è la riduzione
del tradizionale principio di sovranità
13
, ovvero la sovranità di chi detiene il potere
politico. L'introduzione dei diritti umani nei trattati internazionali ha imposto agli Stati
parti degli obblighi internazionali relativi al rispetto e alla promozione dei diritti umani,
estraendo queste materie dalla giurisdizione domestica. Il rispetto dei diritti politici,
contenuti nei trattati sui diritti umani, non appartiene più al dominio riservato degli
Stati, ma rende gli Stati stessi responsabili di fronte alla comunità internazionale e in
particolare di fronte all'organizzazione internazionale sotto i cui auspici è stato
preparato il trattato.
14
La seconda consiste in un cambiamento del principio stesso di
sovranità. Il diritto internazionale non ha cessato di proteggere o protegge meno il
principio di sovranità,
15
ma i diritti di partecipazione politica, in cui il diritto alla
democrazia affonda le proprie radici, hanno contribuito ad intendere la sovranità come
appartenente al popolo.
16
La fine della Guerra Fredda ha sancito la 'vittoria' della democrazia liberale nei
confronti del Comunismo e di qualsiasi altra forza antidemocratica, e la sua
proclamazione ad ideologia dominante. Questo ha portato molti giuristi a sostenere
l'esistenza di un emergente diritto alla democrazia nel diritto internazionale
17
, ovvero la
protezione del diritto alla democrazia non solo da parte delle costituzioni dei singoli
paesi, ma anche da parte del diritto internazionale.
18
Nell'articolo «The emerging right
11 Corte internazionale di giustizia, sentenza del 27 giugno 1986, Military and Paramilitary Activities in
and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America), in ICJ Reports, 1986, p. 86 ss.
12 B. CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 180.
13 T. M. FRANK, The Democratic Entitlement, in University of Richmond Law Review, 1994, pp. 7-8.
14 K. A. WAGNER, Identifying and Enforcing “Back-End” Electoral Rights in International Human
Rights Law, in Michigan Journal of International Law, 2010, p. 172.
15 W. M. REISMAN, Comment: Sovereignty and Human Rights in Contemporary International Law, in
American Journal of International Law, 1990, p. 869.
16 G. H. FOX, Chapter II. The right to political partecipation in international law, in G.H. FOX, B.R.
Roth (eds.), Democratic Governance and international Law, Cambridge, 2000, p. 48
17 S. V ARAYUDEJ, A right to democracy in international law: its implications for Asia, cit., p. 2 ss.
18 T. M. FRANK, The Democratic Entitlement, cit., p. 6.
6
to democratic governance», Thomas M. Frank affermava che il diritto alla democrazia si
stava gradualmente trasformando da prescrizione morale a obbligo giuridico
internazionale.
19
Il risultato di questo processo era l'emergere della democrazia come
forma di convalida e di legittimazione dei governi, ovvero come pratica degli Stati di
riconoscere gli altri governi se godono del consenso dei propri cittadini.
20
Secondo
Frank si stava creando, all'interno della comunità internazionale, l'aspettativa che i
governi esercitassero i propri poteri con il consenso dei cittadini. I destinatari del diritto
alla democrazia erano quindi due: i cittadini dei singoli Stati e gli Stati stessi. Tre
avvenimenti avevano indotto il giurista a queste considerazioni: il fallito colpo di stato
dell'agosto del 1991 nell'ex Unione Sovietica; la Risoluzione 46/7 dell'11 ottobre 1991
con cui l'Assemblea Generale dell'Onu condannava la sostituzione illegale del
Presidente eletto di Haiti, l'uso della violenza e la violazione dei diritti umani sull'isola e
chiedeva il ritorno alla carica di Presidente di Jean-Bertrand Aristide, l'applicazione
della Costituzione e il pieno rispetto dei diritti umani sull'isola; infine l'esistenza, nel
1991, di 110 Paesi impegnati a garantire elezioni aperte, multipartitiche e a voto segreto.
Secondo Frank il processo di affermazione della democrazia come forma di
legittimazione non era ancora giunto a compimento, ed era prematuro sostenere
l'esistenza di un obbligo degli Stati, derivante dall'appartenenza alla comunità
internazionale, di governarsi democraticamente. Attualmente questo obbligo è in fase di
affermazione, e si possono osservare i primi risultati. La presenza di istituzioni stabili
che garantiscano la democrazia è, per esempio, uno dei tre criteri fondamentali di
adesione all'Unione europea stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993.
21
L'avvento della democrazia ha consentito alla nozione di legittimazione democratica di
acquisire importanza, ma l'obbligo internazionale di non riconoscere uno Stato il cui
governo non è democratico non si è ancora affermato. L'esclusione della democrazia dai
fattori necessari al riconoscimento degli Stati è dovuta all'indeterminatezza della stessa.
Il riconoscimento di uno Stato si basa sui seguenti elementi: territorio definito,
19 T. M. FRANK, The Emerging Right to Democratic Governance, in American Journal of International
Law, 1992, pp. 46-47.
20 S. D. MURPHY , Chapter IV . Democratic legitimacy and the recognition of States and governments, in
G.H. FOX, B.R. ROTH (eds.), Democratic Governance and international Law, Cambridge, 2000, p.
123.
21 Consiglio europeo di Copenaghen, Conclusions of the Presidency, SN 180/1/93 REV 1, 21-22 giugno
1993, p. 5 ss.
7
popolazione permanente, governo effettivo, capacità di intraprendere relazioni con altri
Stati. Il fattore centrale in questo contesto è l'effettivo controllo esercitato dal governo di
uno Stato, misurato dal grado di obbedienza dei cittadini. Il consenso popolare non è
completamente ignorato, perché un alto grado di quest'ultimo è considerato come
indicatore del livello di controllo da parte del governo.
La nozione di legittimazione democratica è presente nella pratica contemporanea degli
Stati, ma le evidenze al riguardo non sono uniformi. Non vi sono evidenze decisive
riguardo al rifiuto degli Stati di riconoscere altri Stati semplicemente per il loro carattere
non democratico, specialmente se i governi di questi ultimi sono in carica da lungo
tempo.
22
Molti studi rivelano infatti che almeno il 25% degli Stati non sono democratici.
La comunità internazionale riconosce loro la protezione accordata dal diritto
internazionale e il diritto di fare parte di organizzazioni internazionali. L'esempio più
evidente è rappresentato dalla Cina: Stato con un governo non democratico e membro
permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La motivazione, in aggiunta
a considerazioni di carattere strategico, è data dalla convinzione della comunità
internazionale che la transizione verso la democrazia è meglio raggiunta intraprendendo
relazioni con i regimi non democratici e non isolando questi ultimi. Come nel caso di
Haiti, la legittimazione democratica risulta importante in situazioni in cui un governo
eletto democraticamente sia rovesciato da autorità non democratiche. Anche in questo
contesto è però difficile che si affermi una norma di diritto internazionale che vieti il
riconoscimento di autorità che hanno rovesciato governi democratici. La pratica degli
Stati è di mantenere le relazioni diplomatiche con tali Stati e di adottare politiche, come
l'interruzione degli aiuti economici o l'imposizione di sanzioni economiche, finalizzate
alla riaffermazione dello Stato democratico. Quando, al contrario, un regime non
democratico è rovesciato senza il coinvolgimento di soggetti esterni, gli Stati
solitamente accordano il riconoscimento al nuovo regime quando quest'ultimo promette
di organizzare le elezioni entro un periodo di tempo ragionevole. Questo dimostra come
molti Stati all'interno della comunità internazionale ritengano la democrazia la migliore
forma di governo.
Il tema della legittimità esterna si presenta in tre differenti situazioni.
22 J. D'ASPREMONT, Legitimacy of Governments in the Age of Democracy, in New York University
Journal of international Law and Politics, 2006, p. 888.
8
La prima si verifica quando il governo di un Paese muta in disaccordo con le procedure
costituzionali. I governi degli altri Paesi devono determinare chi riconosceranno come
rappresentanti del Paese il cui governo è cambiato. La pratica degli Stati dopo la fine
della Guerra Fredda dimostra che è stato negato il riconoscimento alla maggior parte dei
governi che hanno rovesciato un governo democraticamente eletto (Haiti, Sierra Leone).
Nel caso di rovesciamento di un governo autoritario (Pakistan, Togo, Costa d'Avorio), i
governi golpisti hanno spesso ottenuto il riconoscimento in seguito all'impegno di
organizzare le elezioni entro un periodo di tempo ragionevole.
La seconda risulta nel caso dell'accreditamento dei delegati all'interno delle
organizzazioni internazionali. Nonostante in due casi di governo non democratico, Sud
Africa e Ungheria, l'Assemblea Generale abbia rifiutato l'approvazione delle credenziali
dei delegati, l'elemento democratico non ha svolto un ruolo cruciale nella risoluzione
delle controversie relative all'accreditamento dei delegati in ambito ONU.
23
La terza rileva nei casi di intervento su invito, ovvero quando un governo minacciato da
una sollevazione popolare o da un gruppo di ribelli chiede agli alleati stranieri sostegno
militare. La pratica degli Stati evidenzia come molto spesso sia stata negata l'assistenza
militare a governi non democratici precedentemente riconosciuti come legittimi. Un
esempio è costituito dal rifiuto della Francia di assistere Hissène Habré in Ciad (1992),
Henri Konan Bedie (2000) e Laurent Gbagbo (2002) in Costa d'Avorio perché colpevoli
di violazioni dei diritti umani.
Quattro motivazioni rendono la democrazia un elemento di rilievo nell'ambito del diritto
internazionale.
La prima motivazione riguarda il legame percepito tra la democrazia e gli altri diritti
umani internazionalmente protetti. Il rispetto della prima è considerato essenziale per
assicurare la protezione degli altri diritti umani.
24
La seconda considera la democrazia come mezzo di prevenzione dei conflitti armati
interni, perché in assenza di istituzioni democratiche le differenze tra i diversi interessi
sociali vengono risolte attraverso il conflitto e non attraverso l'accomodamento
23 J. D'ASPREMONT, Legitimacy of Governments in the Age of Democracy, cit., p. 886 ss.
24 G. H. FOX, B. R. ROTH, Introduction: the spread of liberal democracy and its implications for
international law, cit., p. 7.
9
pacifico.
25
La terza evidenzia come la democrazia possa promuovere la pace e la sicurezza
internazionali. Il primo ad individuare un collegamento tra la pace e la democrazia è
stato Immanuel Kant. Il filosofo postula una correlazione tra il tipo di governo di uno
Stato e il suo comportamento nei confronti degli altri Stati. Il carattere non democratico
di un governo comporta delle conseguenze che minacciano la pace, poiché le dittature
tendono a creare nemici esterni contro i quali spesso vengono intraprese azioni militari,
mentre i regimi totalitari generano guerre civili e ondate di rifugiati.
26
L'unica soluzione
al problema della pace può derivare unicamente dalla trasformazione degli Stati assoluti
in Stati a sovranità popolare, definiti dal filosofo Stati repubblicani.
27
In questi Stati, la
decisione di intraprendere la guerra deve avvenire con il consenso dei cittadini, i quali
rifletteranno a lungo prima di optare per tale scelta che riverserà su loro stessi le proprie
conseguenze. Fare la guerra in Stati a costituzione non repubblicana risulta facile,
poiché dipende unicamente dall'arbitrio del Sovrano. Quest'ultimo non è cittadino, bensì
proprietario dello Stato, e deciderà di fare la guerra più facilmente, perché quest'ultima
non gli arreca danni diretti.
28
La tesi di Immanuel Kant è convalidata empiricamente.
Molti studi dimostrano infatti che gli Stati democratici non si fanno la guerra.
29
La quarta risulta dal fatto che alcune norme emergenti di diritto internazionale si basano
su processi democratici per la loro implementazione. Gli strumenti internazionali per
proteggere l'ambiente, per combattere la corruzione e per promuovere i diritti delle
popolazioni indigene prevedono la partecipazione popolare nella formulazione delle
strategie, processi decisionali trasparenti e accesso alle informazioni tipici di sistemi
democratici.
30
Nel diritto internazionale dell'ambiente, si sono infatti affermati i princìpi
di informazione e consultazione del pubblico (soggetti non-statali come individui,
organizzazioni non governative e gruppi) interessato da un attività di rilevanza
25 Consiglio di Sicurezza, Report of the Secretary-General on the United Nations Mission Observer in
Angola, S/1998/33, 16 aprile 1998, par. 77.
26 T. M. FRANK, The Democratic Entitlement, cit., p. 24.
27 M. RONCORONI, Saggio introduttivo, in I. KANT, Pace perpetua, Rusconi, Milano, 1997, p. 29.
28 I. KANT, Pace perpetua, Rusconi, Milano, 1997, p. 73.
29 F. ANDREATTA, M. CLEMENTI, A. COLOMBO, M. KOENIG-ARCHIBUGI, V . E. PARSI,
Relazioni Internazionali, Bologna, 2007, p. 158 ss.
30 G. H. FOX, B. R. ROTH, Introduction: the spread of liberal democracy and its implications for
international law, cit., pp. 7-8.
10
ambientale, al fine di permettere la sua partecipazione alle decisioni che lo riguardano.
31
Questi princìpi sono inclusi in molti strumenti, vincolanti e non, e il più rilevante è
rappresentato dalla Convenzione sull'accesso all'informazione, la partecipazione del
pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale
(Convenzione di Aarhus), firmata ad Aarhus il 25 giugno del 1998, entrata in vigore nel
2001 e vincolante 44 soggetti, inclusa l'Unione Europea.
32
La Convenzione di Aarhus
consta di tre pilastri.
Il primo, relativo all'accesso all'informazione, si compone di due obblighi. Il primo
prevede che le autorità pubbliche delle Parti contraenti in possesso di qualsiasi
informazione ambientale la mettano a disposizione di chiunque del pubblico ne faccia
richiesta, senza che questi debba dimostrare un particolare interesse (art. 4). Il secondo
prevede che le stesse autorità pubbliche debbano raccogliere alcune categorie di
informazioni ambientali e diffonderle in formati accessibili (art. 5).
33
Lo scopo di questi
due articoli è di assicurare che significative informazioni ambientali siano disponibili al
pubblico e alle agenzie rilevanti, in modo tale che il primo sia a conoscenza di sviluppi
che lo riguardano e i secondi possano stabilire l'impatto ambientale di determinate
attività.
34
Il secondo pilastro, relativo alla partecipazione del pubblico, è composto di tre articoli.
Il primo prevede il diritto del pubblico ad essere coinvolto nei procedimenti per
l'autorizzazione di progetti previsti dall'Allegato I alla Convenzione di Aarhus e di
quelli con un possibile e significativo impatto ambientale (art. 6).
35
Il secondo articolo
prevede la partecipazione del pubblico in relazione a piani, programmi e politiche
riguardanti l'ambiente (art. 7), mentre il terzo si riferisce alla partecipazione alla
preparazione di regolamentazioni esecutive e di atti normativi di portata vincolante (art.
8).
31 A. FODELLA, Capitolo V . I principi generali, in A. FODELLA e L. PINESCHI (a cura di), La
protezione dell'ambiente nel diritto internazionale, Torino, 2009, pp. 126-127.
32 http://treaties.un.org, dato aggiornato al 10/09/2011.
33 C. PITEA, Capitolo VI. Protezione dell'ambiente e tutela dei diritti umani, in A. FODELLA e L.
PINESCHI (a cura di), La protezione dell'ambiente nel diritto internazionale, Torino, 2009, p. 157.
34 B. TOTH, Public Partecipation and Democracy in Practice – Aarhus Convention Principles as
Democratic Institution Building in the Developing World, in Journal of Land, resources &
Enviromental Law, 2010, p. 299.
35 B. TOTH, Public Partecipation and Democracy in Practice – Aarhus Convention Principles as
Democratic Institution Building in the Developing World, cit., p. 303.
11
Il terzo pilastro, relativo all'accesso alla giustizia, prevede tre discipline differenti. La
prima obbliga le Parti contraenti ad assicurare l'accesso ad una procedura di ricorso,
davanti ad un tribunale o altro organo indipendente ed imparziale istituito per legge,
relativamente a controversie riguardanti l'accesso alle informazioni (art. 9 par. 1)). La
seconda prevede una procedura di ricorso, giurisdizionale o amministrativa, a cui
devono poter accedere i membri interessati del pubblico, con un interesse sufficiente o
che facciano valere la violazione di un diritto, per contestare la legittimità sostanziale o
procedurale di decisioni o atti il cui procedimento di approvazione è soggetto alle
disposizioni della Convenzione di Aarhus in materia di partecipazione del pubblico (art.
9 par. 2)). La terza riconosce ai membri del pubblico, che soddisfano i criteri previsti dal
diritto nazionale, la possibilità di ricorrere a procedimenti di natura giurisdizionale o
amministrativa al fine di impugnare atti o contestare omissioni, dei privati o delle
autorità pubbliche, compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale (art. 9 par.
3)).
36
2. Le fonti
2.1. Gli strumenti internazionali
Il diritto alla democrazia è espresso in strumenti multilaterali redatti dopo la
Seconda Guerra Mondiale che garantiscono il diritto alla partecipazione politica
principalmente attraverso la previsione di giuste elezioni a intervalli regolari.
37
2.1.1. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
Il primo strumento a pronunciarsi sul diritto alla democrazia è la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo (Dichiarazione Universale), adottata dall'Assemblea
Generale dell'Onu il 10 Dicembre 1948.
38
Generalmente non è attribuita forza
vincolante alle risoluzioni dell'Assemblea Generale
39
, ma il supporto universale
conseguito dalla Dichiarazione Universale costituisce l'opinio juris sufficiente per
considerare questa Risoluzione come norma vincolante del diritto internazionale
36 C. PITEA, Capitolo VI. Protezione dell'ambiente e tutela dei diritti umani, cit., p. 158.
37 G. H. FOX, Chapter II. The right to political partecipation in international law, cit., p. 53.
38 Assemblea generale, Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, A/RES/217 (III), 10 dicembre
1948.
39 B. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit., p. 131.
12
consuetudinario.
40
Molti articoli sono infatti riconosciuti come facenti parte del diritto
internazionale consuetudinario e quindi vincolanti per tutti gli Stati, mentre molte
disposizioni sono state incluse nelle costituzioni di molti paesi. La Dichiarazione
Universale è il primo strumento in materia di diritti umani, rappresenta lo standard
minimo comune a tutti i paesi e a tutti i popoli, e costituisce una evoluzione del diritto
internazionale. Prima della creazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite gli
individui erano infatti oggetti di diritto internazionale, in quanto quest'ultimo
disciplinava solo le relazioni tra Stati. Il trattamento riservato dalle nazioni ai propri
cittadini costituiva materia di risoluzione tra l'individuo e lo Stato. In seguito agli
avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale questo principio perde validità e con la
Dichiarazione Universale, considerata la Magna Carta del movimento internazionale dei
diritti umani, gli individui acquisiscono diritti tutelati dal diritto internazionale. Gli
individui non sono più oggetti ma soggetti di diritto internazionale, con diritti e
responsabilità.
41
Gli articoli 18-21 contengono i diritti politici e civili. In particolare prevedono i diritti
universali alla libertà di pensiero (Articolo 18), alla libertà di opinione e di espressione
(Art.19) e alla libertà di associazione (Articolo 20). Il diritto alla democrazia trova
conferma nell'art. 21:
1. Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del
proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentati
liberamente scelti.
2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di
eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese.
3. La volontà popolare è il fondamento dell'autorità del
governo; tale volontà deve essere espressa attraverso
periodiche e veritiere elezioni effettuate a suffragio
universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una
procedura equivalente di libera votazione.
42
2.1.2. Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici
Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (Patto), aperto alla firma nel
40 R. EZETAH, The Right to Democracy: A Qualitative Enquiry, in Brooklyn Journal of International
Law, 1997, p. 507.
41 E. F. DEFEIS, Universal Declaration of Human Rights: a Standard for States, in Seton Hall
Legislative Journal, 2004, pp. 161-164.
42 Risoluzione A/RES/217 (III), 10 dicembre 1948, artt. 18-21. Traduzione tratta da
http://www.interlex.it.
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1966 ed entrato in vigore dieci anni dopo, rappresenta uno dei più importanti trattati
multilaterali sui diritti umani
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, e vincola 167 Stati.
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Secondo Frank, l'entrata in vigore del Patto segna una nuova fase del diritto alla
democrazia. Questo strumento normativo attribuisce infatti valore vincolante alle
disposizioni contenute nella Dichiarazione Universale.
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L'Articolo 18 prevede il diritto
alla libertà di pensiero, l'Articolo 19(2) quello alla libertà di espressione e l'Articolo 22
afferma quello alla libertà di associazione. L'Articolo 25 costituisce la principale
disposizione relativa ai diritti politici e afferma:
Ogni cittadino ha il diritto, e deve avere la possibilità, senza alcuna
delle discriminazioni menzionate all'articolo 2 e senza restrizioni
irragionevoli:
a) di partecipare alla direzione degli affari pubblici,
personalmente o attraverso rappresentanti liberamente scelti;
b) di votare e di essere eletto, nel corso di elezioni veritiere,
periodiche, effettuate a suffragio universale ed eguale, e a
voto segreto, che garantiscano la libera espressione della
volontà degli elettori;
c) di accedere, in condizioni generali di eguaglianza, ai pubblici
impieghi del proprio paese.
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Il diritto alla democrazia trova riflesso anche nell'Articolo 1 del Patto che dispone il
diritto di autodeterminazione: il diritto dei popoli a determinare liberamente il loro
status politico e a perseguire liberamente il proprio sviluppo economico sociale e
culturale.
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2.1.3. Altri strumenti internazionali
Nel 1996 il Comitato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, un organo di esperti
nominato dai Paesi che hanno ratificato il Patto, ha adottato il Commento Generale 25
(Commento Generale) riguardante l'Articolo 25 del Patto. Il Commento Generale
prevede la libertà di espressione, di assemblea, di associazione e la non-discriminazione
riguardo al diritto di voto. Richiede agli Stati parti del Patto di informare come le
43 L. R. CORCHADO, Complying with International Law: a Call for Free and Fair Elections, in
Brooklyn Journal of International Law, 2005, p. 1048.
44 http://treaties.un.org, dato aggiornato al 10/09/2011.
45 R. EZETAH, The Right to Democracy: A Qualitative Enquiry, cit., p. 507.
46 Assemblea Generale, International Covenant on Civil and Political Rights, A/RES/2200 (XXI), 16
dicembre 1966. Traduzione tratta da http://www.interlex.it.
47 J. CRAWFORD, Chapter III. Democracy and the body of international law, in G.H. FOX, B.R. Roth
(eds.), Democratic Governance and international Law, Cambridge, 2000, p. 92.
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