6
Si vuole qui di seguito illustrare brevemente quanto approfondito all’interno
dei singoli capitoli, precisando innanzitutto che si è scelto di suddividere il
lavoro in due parti: la prima – che corrisponde ai primi tre capitoli -, avente
lo scopo di offrire l’orizzonte teorico di riferimento, la seconda – capitoli
quattro e cinque - , con l’intenzione di realizzare una connessione tra il
sapere teorico e l’agire pratico.
La presente relazione inizia (capitolo primo), con una breve illustrazione dei
modelli teorici presi come riferimento e si propone di definire il termine
metodologia della ricerca, cercando di tracciare delle linee guida per una
possibile applicazione in ambito educativo.
Nel secondo capitolo verrà invece fornita una definizione del concetto di
errore, illustrando, a seguire, il posto che occupa all’interno di un processo
di insegnamento-apprendimento che si serve della metodologia della
ricerca. Si procederà, infine, con il suggerire la considerazione che gli errori
dei bambini dovrebbero avere a scuola.
Il terzo capitolo, invece, ha l’obiettivo di spiegare come declinare la
metodologia della ricerca in ambito storico, attraverso il confronto tra
quanto dicono i programmi, quanto sarebbe auspicabile avvenisse nelle
nostre classi e quanto purtroppo solitamente accade a scuola.
Il quarto capitolo è dedicato: da un lato ad una descrizione ragionata del
contesto in cui l’esperienza si è concretizzata, dall’altro al tentativo di
motivare la scelta di questo argomento per il percorso del tirocinio del
quarto anno.
Nel quinto capitolo, infine, si è scelto di descrivere brevemente alcuni
passaggi chiave del percorso di tirocinio da me proposto, allo scopo di
collegare quanto illustrato nella prima parte, cioè la teoria, all’esperienza da
me proposta e realizzata.
7
Capitolo 1
CHE COS’È LA METODOLOGIA DELLA RICERCA?
1.1 I modelli teorici di riferimento
Tra le numerose metodologie didattiche che è possibile utilizzare in campo
educativo vi è la metodologia della ricerca, che vede il bambino come un
<<soggetto attivo, curioso, competente, in grado di costruire le proprie
conoscenze [all’interno di un processo di ricerca] in cui vi sia uno scambio
comunicativo tra pari>>
5
, e in cui sia possibile <<cercare soluzioni rispetto
a problemi e non accettare perciò l’esistenza di risposte belle e pronte da
digerire senza discutere>>
6
.
Prima di analizzare gli aspetti ed i risvolti didattici
7
di tale metodologia, si
ritiene utile conoscere i modelli teorici da cui essa ha avuto origine
8
:
l’attivismo e il socio-costruttivismo.
Il primo affonda le sue radici agli inizi del secolo scorso e si sviluppa negli
anni sessanta-settanta come strumento per <<ostacolare la funzione
conservatrice della scuola, modificando radicalmente in essa i contenuti
culturali e i modelli di rapporti sociali fra insegnanti e allievi>>
9
. In quel
periodo, infatti, si sollevò una diffusa critica all’ “acquisizione ricettiva” e all’
“apprendimento meccanico”
10
. La prima è <<caratterizzata da una
mancanza di autonomia nella conquista del concetto da parte
5
E. Nigris, S. C. Negri, F. Zuccoli, Esperienza e didattica, cit., p. 170.
6
L. Genovese, S. Kanizsa, Manuale della gestione della classe, op. cit., p. 419.
7
Cfr. cap. 5.
8
Infatti, come scrive A. Calvani, Costruttivismo, progettazione didattica e tecnologie: <<ogni
concezione didattica si richiama, anche in forma implicita, a particolari teorie della
conoscenza ed a più generali assunzioni valoriali. Persino dietro le pratiche didattiche,
apparentemente le più “ingenue”, è presente un tessuto nascosto di assunzioni ed una
dinamica, talvolta anche conflittuale, di atteggiamenti ed orientamenti teorici>>, documento
di word, p. 1.
9
L. Lumbelli, La didattica della ricerca, Franco Angeli, Milano, 1975, p.83.
10
I termini qui utilizzati sono stati definiti da D. P. Ausbel nell’elaborazione del modello di
apprendimento in Educazione e processi cognitivi.
8
dell’allievo>>
11
, il quale deve immagazzinare passivamente e acriticamente
quanto trasmesso dall’insegnante. Il secondo, invece, <<si verifica quando
un notizia appresa o una conoscenza acquisita restano per lo studente delle
nozioni isolate, non collegate con le altre>>
12
.
Il secondo, il socio-costruttivismo, nasce anch’esso agli inizi del Novecento,
superando sia la teoria cognitivista che quella comportamentista
13
ed <<è
soprattutto caratterizzato da un’esigenza di rifiuto della figura di insegnante
come fornitore di informazioni; i concetti principali che [lo] caratterizzano
[sono]: la conoscenza è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha
carattere “situato”, ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso
particolari forme di collaborazione e negoziazione sociale culturale>>
14
.
Nasce così l’esigenza di <<uscire da un apprendimento formale, astratto e
decontestualizzato, a favore di un apprendimento basato su compiti
autentici e situato>>
15
, incentrato sul <<coinvolgimento del bambino nella
costruzione del proprio sapere attraverso reali procedimenti di ricerca>>
16
.
L’insegnante <<sollecita la curiosità dell’allievo e nel contempo gli fornisce
tutte le informazioni necessarie per realizzare delle inferenze personali>>
17
.
In conclusione di quanto sopra esposto, si può quindi affermare che <<il
modello della ricerca è antitetico a quello della trasmissione della
conoscenza: il soggetto […] nel primo caso svolge un ruolo attivo, nel
secondo viene indottrinato>>
18
.
1.2 Ricerchismo o ricerca come scoperta?
Si ritiene utile, prima di cercare di chiarire meglio che cosa si dovrebbe
intendere con l’espressione metodologia della ricerca, osservare il principale
rischio che l’insegnante può commettere, a causa di una scorretta
applicazione di questa metodologia in ambito scolastico. Esso consiste nel
11
L. Czerwinsky Domenis, Un errore utile, Erikson, Trento, 2005, p. 11.
12
Ivi, p. 12.
13
La prima paragona il funzionamento della mente umana a quello di un computer, mentre la
seconda considera il processo d’insegnamento-apprendimento come una mera acquisizione di
comportamenti.
14
A. Calvani, op. cit., nota 7 di p. 6.
15
Ivi, p. 7
16
L. Landi, Il bambino e la storia, Carocci, Roma, 2004, p. 17.
17
L. Czerwinsky Domenis, op. cit., p. 12.
18
L. Genovese, S. Kanizsa, op. cit., p. 419.
9
considerare il momento della ricerca come un disimpegno ed una totale
delega di responsabilità al gruppo classe. L’esperienza, infatti, non conduce
<<da sé all’acquisizione di contenuti e concetti complessi>>
19
e la
maggiore autonomia lasciata ai bambini non deve <<coincidere con lo
spontaneismo, [pena il rischio che l’attività di ricerca si trasformi] in
raccolta spesso confusa di materiali scelti acriticamente>>
20
. Questa
modalità può essere definita in modo negativo con il termine
“ricerchismo”
21
, cioè con quella procedura di didattica passiva, che non è
ricerca, ma pura copia di libri o di informazioni da internet al puro scopo di
rispondere a domande mai formulate dai bambini (al giorno d’oggi, infatti,
bastano pochi click per stampare pagine e pagine di informazioni e notizie
su un qualsiasi argomento!).
In questo caso l’utilizzo della metodologia della ricerca risulta quindi un
approfondimento, una semplice raccolta di informazioni su un determinato
argomento e si riduce ad un’attività solitaria e passiva. Solitaria, perché il
bambino si trova solo davanti a pagine e pagine di informazioni, che
generalmente non è in grado di comprendere del tutto, passiva perché lo
studente “scarica e stampa” tutto ciò che trova, senza fare nessuna
selezione delle parti di suo interesse. La ricerca non è quindi sostenuta da
nessuna motivazione intrinseca: l’alunno ricerca solo per soddisfare una
richiesta dell’insegnante che, paradossalmente, non è di suo interesse.
A questo punto risulta utile chiarire che cosa si dovrebbe intendere per
metodologia della ricerca nella scuola primaria. Essa può essere ricondotta
all’applicazione didattica del metodo scientifico, che vede i bambini partire
dall’emergere di un problema di partenza (una curiosità, un interesse, una
domanda, un desiderio di approfondimento, un argomento non capito) e
assumere il ruolo di ricercatori.
Un problema, però, <<non può riassumersi in una serie di domande poste
da un individuo (il maestro o l’autore di un manuale) alle quali un individuo
(il discente) deve trovare risposta, [perchè] questo non è che un
19
E. Nigris, S. C. Negri, F. Zuccoli, Esperienza e didattica, cit., p. 120.
20
E. Nigris, Didattica generale, Guerini Scientifica, Milano, 2003, p. 36.
21
Termine utilizzato da D. Antiseri nel sito www.filosofico.net/antiseri.htm.
10
esercizio>>
22
. Deve essere, invece, una vera e propria <<situazione-
problema o situazione-enigma>>
23
, di cui i bambini non ne conoscono la
risposta.
L’insegnante, infatti, dovrà catturare l’interesse dei bambini sul problema e
partire da ciò che sanno su quell’argomento, inquadrando cioè <<le
preconoscenze entro un sistema conoscitivo e concettuale ordinato>>
24
, per
far sì che essi propongano, senza paura di sbagliare, le loro ipotesi
risolutive e che le mettano alla prova. Il docente dovrà far vivere loro
esperienze significative, che permettano di svolgere la ricerca nel modo
migliore
25
, delineando <<possibili strategie in modo autonomo [e]
confrontandole con quelle degli altri, […] anche quando queste possono
costituire apparenti errori>>
26
.
Così facendo <<gli apprendimenti emergono come frutto del continuo
confronto con il problema da risolvere e della interazione-argomentazione
sia tra i/le discenti che fra essi e i/le docenti>>
27
e sono caratterizzati da un
processo circolare che prevede una continua formulazione di ipotesi e
verifica delle stesse. Questo modo di procedere <<si presenta […] come
quello più aderente alle caratteristiche logiche degli allievi, [in quanto] la
struttura logica della ricerca è la logica stessa della conoscenza umana>>
28
.
Come si può facilmente dedurre da quanto sopra affermato, questo tipo di
metodologia richiede tempi di svolgimento molto lunghi, proprio perché
estremamente rispettosa dei tempi di apprendimento dei bambini. La sua
applicazione pratica non è quindi programmabile a priori, come ne è
testimonianza il percorso didattico illustrato nella seconda parte
29
,
caratterizzato, infatti, da una continua modifica in itinere e, quindi, anche
da una maggiore complessità rispetto all’iniziale ipotesi di lavoro.
22
G. De Vecchi, N. Carmona-Magnaldi, Aiutare a costruire le conoscenze, La Nuova Italia
Editrice, Scandicci (Firenze), 1999, p.151.
23
E. Nigris, S. C. Negri, F. Zuccoli, Esperienza e didattica, cit., p. 101.
24
E. Nigris, Didattica generale, cit., p. 37.
25
Come scrive O. Albanese, Percorsi metacognitivi, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 188,
<<La perizia che viene richiesta a chi è deputato all’educazione [… e quella] di suggerire le
modalità utili al reperimento del dato necessario>>.
26
E. Nigris, S. C. Negri, F. Zuccoli, Esperienza e didattica, cit., p. 102. Per la trattazione
dell’errore all’interno di un processo di ricerca si rimanda al cap. 3.
27
O. Albanese, op. cit., p. 188. Per applicazione pratica di quanto qui affermato si veda il
cap. 5.
28
L. Genovese, S. Kanizsa, op. cit., p. 419.
29
Cfr. cap. 5.
11
1.3 L’importanza della co-costruzione del sapere
Un importante aspetto della metodologia della ricerca è la presenza
estremamente formativa del gruppo-classe, che costituisce un vero e
proprio gruppo di lavoro. Il contesto collaborativo risulta essere dunque un
fondamentale prerequisito.
L’insegnante è <<chiamato a costruire un clima aperto e accettante in cui i
discenti si sentano di poter esprimere opinioni e manifestare contrasti e
conflitti, così come di mettere in gioco i loro vissuti più profondi>>
30
. È
infatti inevitabile che i bambini sperimentino il disaccordo, in quanto è
frequente la presenza di punti di vista differenti. Il confronto, però,
permette loro di imparare <<a rapportarsi con gli altri, [ad argomentare
meglio le proprie ragioni], a rispettare idee e opinioni altrui>>
31
.
Il docente deve avere la consapevolezza <<del suo ruolo di mediatore>>
32
ed essere <<in grado di condurre la ricerca e il confronto sui contenuti e i
concetti trattati in modo che siano presi in esame gli aspetti e i nodi
principali di quella porzione di sapere, guidando i ragazzi verso la
sistematizzazione di quegli stessi saperi che raramente gli allievi riescono a
portare a termine in modo autonomo>>
33
.
La conoscenza che ne deriva risulta quindi frutto di una continua
costruzione e decostruzione di quanto affermato ed il gruppo è obbligato,
una volta confrontate le diverse opinioni, a trovare un modo per
coordinarle.
30
E. Nigris, S. C. Negri, F. Zuccoli, Esperienza e didattica, cit., p. 120.
31
Ivi, p. 171.
32
Ivi, p. 115.
33
Ivi, p. 120.