Il quesito più ricorrente, dopo la fine della guerra fredda, è come mai la NATO
sia sopravvissuta e non abbia seguito l’esempio delle precedenti alleanze, le quali,
una volta realizzato l’obiettivo per il quale erano state costituite, si sono dissolte. Vi
sono numerosi motivi che ne spiegano la sopravvivenza, la maggior parte dei quali
è riconducibile all’interesse degli stessi alleati a mantenere in vita una struttura
realizzata nel corso dei decenni con notevoli costi e risultato dell’esperienza di
coordinamento e integrazione delle forze armate dei paesi membri. Non va
comunque dimenticato che a differenza delle coalizioni, che sono contingenti e
vengono costituite per uno scopo specifico
5
, le alleanze sono invece permanenti in
quanto esprimono interessi e valori ampiamente condivisi dagli stati che ne fanno
parte
6
. Fin dalla sua creazione la NATO non si è limitata ad aggregare degli stati
contro un nemico comune, ma ha cercato anche, di concerto con altre
organizzazioni internazionali, di creare, consolidare ed espandere una zona di
sicurezza all’interno della quale tali valori potessero progredire.
Negli anni successivi alla fine del confronto est-ovest il contesto
internazionale ha subito delle trasformazioni radicali, risultando notevolmente
diverso da quello in cui l’Alleanza aveva operato per quarant’anni. Superata la
breve fase di euforia della pace seguita alla caduta del muro di Berlino, ci si è ben
presto resi conto che la minaccia sovietica è stata sostituita da altre minacce di
natura diversa, quali il terrorismo
7
, la proliferazione delle armi di distruzione di
5
Paul DIBB, The Future of International Coalitions: How Useful?How Manageable? The Washington
Quarterly spring 2002• 25:2 pp. 131–144 http://www.thewashingtonquarterly.com/02spring/dibb.pdf accesso
7 luglio 2004.
6
Bruno TETRAIS, The changing nature of Military Alliance, Washington Quarterly spring 2004 27:2
pp135-150 http://www.thewashingtonquarterly.com/04spring/docs/04spring_tertrais.pdf accesso 8 luglio
2004.
7
Per una “definizione” di terrorismo può essere presa quella elaborata nella bozza di Statuto della Corte
Penale Internazionale, che in tre paragrafi definisce il terrorismo in tal modo:
• intraprendere, organizzare, sponsorizzare, ordinare, agevolare, finanziare, incoraggiare o tollerare atti di
violenza contro un altro Stato che siano diretti contro persone o cose e di natura tale da creare terrore,
paura, o insicurezza nelle menti delle figure pubbliche, di gruppi di persone, della pubblica opinione o
della popolazione, per qualunque tipo di interesse e obiettivo di carattere politico, filosofico, ideologico,
razziale, etnico, religioso, o di qualunque altra natura che possa essere invocata per giustificare tali atti;
• attacchi che rientrino nell'ambito delle sei Convenzioni di cui viene fornito un elenco e tra cui rientrano la
Convenzione per l'eliminazione dei dirottamenti aerei illegali e la Convenzione internazionale contro la
presa di ostaggi;
5
• un attacco che preveda l'impiego di armi da fuoco, altre armi, esplosivi e sostanze pericolose, nel caso in
cui vengano utilizzate come strumenti per perpetrare violenza indiscriminata che comporti la morte o
gravi danni fisici a persone o gruppi di persone, o popolazioni, come pure gravi danni alle loro proprietà.
massa e i conflitti etnici e religiosi. Più vicino ai nostri giorni il trauma provocato
dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 negli USA costituisce una grave
lacerazione del sistema internazionale. Come tutti gli eventi di grande rilievo, esso
ha agito nel medesimo tempo da elemento rivelatore e da fattore di cambiamento,
come tutte le lacerazioni , esso invita a guardare in nuove direzioni e a non lasciarsi
ingannare da prove fasulle
8
. Risulta difficile raggiungere, oggigiorno, un qualsiasi
tipo di consenso internazionale per quanto attiene la rilevanza e la legittimità delle
alleanze in quanto interessi nazionali, percezioni dei rischi e concetti di sicurezza
collettiva rimangono differenti anche dopo l’11 settembre. L’Alleanza Atlantica,
però, grazie alla sua struttura, agli strumenti a propria disposizione e
all’integrazione raggiunta si è rivelata comunque ancora efficace per essere un
elemento importante nella gestione di queste nuove minacce superando il test degli
attacchi dell’11 settembre
9
.
Tuttavia esse hanno determinato due aspetti principali. In primo luogo, la
complessità che caratterizza le minacce attuali richiede una risposta commisurata,
una strategia ampia che preveda l’utilizzo di strumenti di diversa natura –
economica, politica, sociale e militare. Di conseguenza, la dimensione militare,
predominante durante la guerra fredda, resta importante ma non può essere l’unica e
deve essere affiancata e completata dalle altre dimensioni. In secondo luogo,
l’esigenza di fronteggiare adeguatamente i pericoli emergenti ha determinato una
profonda trasformazione sia nel concetto strategico sia nella struttura dell’Alleanza
Atlantica che è consistita nell’ingresso di nuovi membri, alcuni dei quali ex Patto di
Varsavia, nella creazione e trasformazione di nuove strutture, nelle quali si realizza
un’intensa cooperazione con paesi neutrali ed ex avversari, nell’assunzione di nuovi
compiti, in particolare le operazioni di sostegno della pace (Peace Support
Operations, PSO) e nell’estensione del proprio raggio d’azione, intervenendo anche
Citato da Alessandra PALMA in Il terrorismo internazionale: risposta dello Stato italiano 14 settembre
2002 http://www.studiperlapace.it/documentazione/terrorismo.html accesso 10 luglio 2004. Vedasi anche
Mark Burgess Terrorism: The Problems of Definition 1 agosto 2003
http://www.cdi.org/program/issue/document.cfm?DocumentID=1564&IssueID=138&StartRow=1&ListRow
s=10&appendURL=&Orderby=DateLastUpdated&ProgramID=39&issueID=138 accesso 10 luglio 2004
8
Bertrand BADIE, La crisi irachena e le difficoltà della grande potenza, in Stato del mondo 2004, Milano,
Ulrico Hoepli Editore, 2003, pp. 29-33.
9
Bruno TETRAIS, The changing nature of Military Alliance op. cit. p. 137
6
“fuori area”, fuori cioè dell’area originariamente definita dall’art. 6 del Trattato di
Washington.
Il ruolo che l’Alleanza Atlantica svolgerà nel XXI secolo si sta configurando
gradualmente man mano che l’Alleanza posta di fronte alle nuove sfide – conflitti
etnici e religiosi, come quelli scoppiati nei Balcani, attentati terroristici come quelli
dell’11 settembre e proliferazione delle armi di distruzione di massa – si dota di
nuove e più adeguate capacità per fronteggiarle, in un processo continuo e tuttora in
corso, reso però più difficile dalle divergenze di interessi tra gli alleati. La forza
della minaccia sovietica, infatti, assicurava la coesione dei paesi occidentali. Il venir
meno di una minaccia così potente ha comportato una diminuzione della coesione
interna e il riemergere di interessi diversi, precedentemente sacrificati in nome
dell’unione contro il nemico comune. I vuoti lasciati dalle organizzazioni
internazionali e l’aumento dell’influenza dell’Alleanza Atlantica come
organizzazione regionale ne individua un possibile impiego e sviluppo all’interno
del concetto della Cooperative Security che potrebbe far giocare alla NATO un
ruolo estremamente efficace, se ben sfruttato, per la controversie di crisi su scala
mondiale. Nei capitoli successivi si evidenzierà la possibilità che tale
organizzazione potrebbe, tramite alcuni accorgimenti, essere il giusto meccanismo
di unione delle decisioni politiche (quindi consenso) e militari per operare in
maniera autonoma oppure sotto egida ONU. Nella disamina verrà tenuto conto,
anche se in modo parziale, di quello che oggi si definisce nella crisi irachena e nei
rapporti internazionali ad essa correlati con l’evidente limitazione di parlare ed
approfondire fatti che, troppo vicini alla realtà nella quale viviamo, non ne
permettono un’analisi inserita in una valutazione asetticamente “storica” dei fatti e
quindi priva dei condizionamenti dettati dai sentimenti.
7
CAPITOLO 1
IL NUOVO SCENARIO DI RIFERIMENTO
1.1 EVOLUZIONE DEL SISTEMA INTERNAZIONALE
Il sistema internazionale ha subito delle trasformazioni profonde negli anni
successivi alla fine della guerra fredda avvenuta nel 1989. La caduta del muro di
Berlino, infatti, ha rappresentato il crollo dell’impero sovietico, che ha messo fine al
confronto Est Ovest e ha provocato contestualmente dei cambiamenti di ampia
portata
1
. Naturalmente, l’ordine che ha caratterizzato la guerra fredda non è
immediatamente scomparso nel 1989, la sua lenta decadenza è iniziata molto prima
che crollasse il muro di Berlino. Fino al 1989, l’assetto bipolare ha mascherato le
tendenze di fondo che andavano rimodellando il sistema internazionale.
Nell’entusiasmo successivo alla fine del confronto bipolare si è ritenuto
erroneamente che ormai le cause dei conflitti fossero superate del tutto e che la pace
fosse finalmente destinata a regnare. A torto, si è creduto che la fine del contrasto
ideologico che aveva diviso il mondo, per quarant’anni in due blocchi rigidamente
contrapposti, avrebbe portato ad una pace generale e alla stabilità. Tali speranze,
però, sono state rapidamente deluse, infatti al posto dell’auspicata pacificazione,
violenze di ordine etnico, religioso, razziale e così via hanno contraddistinto gli anni
novanta. La guerra, non classicamente intesa ma ugualmente feroce, è sempre più
una realtà dei nostri giorni.
Stiamo attraversando un periodo di transizione profonda nel quale le regole e
le certezze degli ultimi cinquant’anni sono finite. Nuove realtà si stanno
configurando. Non appena si stabilizzerà la fase di transizione, il mondo sarà
configurato in modo tale che sarà radicalmente differente da quello che esisteva alla
fine della seconda Guerra Mondiale.
Le semplicità della guerra fredda sono state sostituite da una notevole
complessità.
2
La situazione si evolve continuamente. Come sottolinea Jean, questo
è provato anche dal fatto che non c’è stato un solo “dopo guerra fredda” ma ce ne
1
Marco CLEMENTI, La NATO, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 83ss
2
Carlo JEAN, L’uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra, Roma-Bari, Laterza, 1996, p.12 ss.
8
sono già stati almeno tre diversi. Il primo è stato caratterizzato dall’euforia della
pace, dalla convinzione della “fine della storia” e dei progetti di disarmo generale.
Questo periodo è durato fino alla guerra del Golfo. Il secondo è stato quello del
“nuovo ordine mondiale”, del governo dell’ONU con gli Stati Uniti come braccio
armato. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, il conflitto nella ex-Jugoslavia e la
rinuncia degli Stati Uniti a essere i gendarmi del mondo hanno posto termine a
questa fase. Secondo Jean adesso siamo nella terza fase, che è contraddistinta
dall’incapacità di reagire al caos e dall’incredulità di fronte al moltiplicarsi dei
conflitti e al dilagare delle violenze e dei massacri.
Il contesto attuale è segnato da un elevato grado di incertezza e di instabilità.
Un cambiamento considerevole che si è verificato negli ultimi anni è che il mondo è
diventato imprevedibile
3
. Nel corso del bipolarismo, la contrapposizione fra le due
superpotenze determinava i rapporti tra gli stati e determinava anche chi erano gli
“amici” e i “nemici”. Le tensioni, le divisioni e gli interessi temporaneamente e
parzialmente ‘congelati’ e tenuti sotto controllo dalla logica dei blocchi sono però
riemersi prepotentemente al suo termine. Innanzitutto, i paesi satellite dell’Unione
Sovietica hanno riacquistato la propria sovranità. Ma soprattutto questo si è
verificato nelle altre aree del mondo nelle quali le superpotenze esercitavano la
propria influenza e controllavano i conflitti locali per impedire che degenerassero in
conflitti generali e nella temuta guerra nucleare. Cessato, dunque, il bipolarismo,
che aveva garantito una certa stabilità, l’instabilità è dilagata e i conflitti si sono
moltiplicati e sono diventati incontrollabili. Mosca da fattore di ordine si è
trasformato in uno di disordine. Molte zone del mondo sono diventate instabili a
seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ne sono un triste esempio i
Balcani.
Mentre durante la guerra fredda il mondo era ordinato dalla supremazia delle
due superpotenze, nell’attuale sistema internazionale si è moltiplicato il numero dei
paesi che operano nello scenario internazionale. Tuttavia, nessuno di questi è in
grado di esercitare un dominio globale. Inoltre, non solo non si conosce più il
“nemico”, ma neppure l’”amico”.
3
Marco CLEMENTI, op.cit. , p. 84ss.
9
Tutte queste guerre hanno aumentato l’importanza degli interventi umanitari a
spese dei “sacri” principi di sovranità nazionale
4
e non interventismo. In particolare
la tensione dominante dell’ultimo decennio è stata lo scontro fra dei frammenti di
stati (ed il sistema stato) e il progresso economico, culturale ed integrazione
politica, in altre parole “globalizzazione”. Stanley Hoffmann specifica:
“ Everybody has understood the events of September 11 as the beginning of a new era. But
what does this break mean? In the conventional approach to international relations, war
took place among states. But in September, poorly armed individuals suddenly challenged,
surprised, and wounded the world's dominant superpower. The attacks also showed that,
for all its accomplishments, globalization makes an awful form of violence easily
accessible to hopeless fanatics. Terrorism is the bloody link between interstate relations
and global society. As countless individuals and groups are becoming global actors along
with states, insecurity and vulnerability are rising.”
5
Il mondo post-bipolare è molto più incerto e indefinito rispetto al passato
quando le minacce erano palesi e unidirezionali. Sempre più, gli unici, veri nemici
identificati sono l’incertezza e l’instabilità. Oggigiorno il terrorismo globale è la
minaccia principale. Alcuni anni fa il pericolo maggiore era rappresentato dai
“failed state”
6
e dalle guerre etniche
7
, domani la minaccia principale potrebbe essere
la proliferazione delle armi di distruzione di massa e l’aggressione degli “stati
canaglia
8
”.
1.2 UN MONDO MULTICENTRICO
L’ordine mondiale non è più statocentrico ma è ora – o sta rapidamente
4
Kofi A. ANNAN, Two concepts of sovereignty, da The Economist 18 September 1999
http://www.un.org/News/ossg/sg/stories/kaecon.html accesso 16 luglio 2004.
5
Stanley HOFFMANN, Clash of Globalizations, Foreign Affairs Vol 81, Numero 4 ( July/August 2002 )
http://www.cfr.org/publication.php?id=4763.xml accesso 16 luglio 2004.
6
Per approfondimenti sulle caratteristiche dei “failed state” vedasi Robert I. ROTBERG, Failed States in a
World of Terror, Foreign Affairs, Vol. 81, No. 4, July/August 2002, pp. 127-140
http://www.foreignaffairs.org/20020701faessay8525/robert-i-rotberg/failed-states-in-a-world-of-terror.html
accesso 16 luglio 2004.
7
Donald L. HOROWITZ, The Deadly Ethnic Riot. Berkeley: University of California Press, 2001.
8
Richard L. KUGLER e Peter VAN HAM, Western Unity and theTransatlantic Security Challenge, The
George C. Marshall European Center for Security Studies paper n. 4 giugno 2002 p. 37
http://www.marshallcenter.org/site-graphic/lang-en/page-pubs-mcpapers-
1/static/xdocs/coll/static/mcpapers/mc-paper_4-en.pdf accesso 15 luglio 2004.
10
diventando – multicentrico. Rosenau
9
, che ha creato il termine, vede il mondo
multicentrico come un luogo turbolento. Parte di questa turbolenza deriva dalla sua
complessità, dato che un elevato numero di attori agisce sulla scena internazionale.
Basta pensare, ad esempio, alla moltiplicazione degli stati (quelli dell’ONU, dal
1945 ad oggi, sono passati da una cinquantina a centonovantuno
10
) che ha reso più
complesse le relazioni diplomatiche. Inoltre, contestualmente all’incremento del
numero degli stati sono aumentati anche gli attori non statali. Come evidenzia
Rosenau, infatti, gli attori essenziali operanti nel mondo multicentrico sono
centinaia di migliaia rispetto a meno di duecento del mondo statocentrico. A
rendere la politica mondiale molto più complessa che in passato non è solo
l’aumentato numero dei soggetti operanti sulla scena mondiale ma soprattutto la
loro eterogeneità.
Nel ventesimo secolo è stato riduttivo concepire l’umanità come una
collezione di paesi e tanto meno di relazioni tra i paesi in un mondo che si fa sempre
più piccolo e più interdipendente, dove i flussi del cambiamento precipitano in seno
alle collettività alterando il concetto occidentale come prospettiva dominante.
Tuttavia, il ritratto convenzionale di 197 nazioni viene adottato ancora come punto
di riferimento, benché l’umanità sia piuttosto: "Una congerie di relazioni di
autorità, alcune delle quali sono contermini con i paesi e con gli Stati e altre invece
sono situate all'interno o si estendono al di la dei confini dello Stato
11
".
La comunità internazionale, contestualmente, ha comunque fallito nel
mantenere la pace dopo la fine della guerra fredda. Le speranze che le Nazioni
Unite potessero giocare un ruolo più persuasivo ed efficace nella sicurezza
internazionale, rapidamente aumentate dai successi delle missioni di peace
enforcement in Iraq nel 1991 e dalle importanti operazioni di peacekeeping in
Namibia e Cambogia, sono state rapidamente disilluse dall’apparente impotenza
dell’ONU di intervenire velocemente o efficacemente in Bosnia, Somalia o
9
James ROSENAU, Forza armata e forze armate in un mondo turbolento , in J. BURK (a cura di), La
guerra e il militare nel nuovo sistema internazionale, Milano, FrancoAngeli, 1998, p.60 ss.
10
La lista dei 191 Paesi membri con la data nella quale hanno aderito all’ONU è reperibile a
http://www.un.org/Overview/unmember.html accesso 19 luglio 2004.
11
Emma GORI, Il pianeta post-internazionale, Next online Anno II, numero 5, primavera 1999
http://www.nextonline.it/archivio/05/11.htm accesso 19 luglio 2004.
11
Ruanda
12
. Forse il ruolo attivo che sta svolgendo nel post conflitto iracheno può
essere una solida base per il rilancio di tale organizzazione anche se è evidente che i
muscoli per le operazioni ONU vengono sempre dai suoi paesi membri. I paesi
europei, che solitamente mettevano le loro forze al servizio dell’ONU ed avevano la
capacità di contribuire con forze di alto livello per le missioni più difficili ed
impegnative hanno deciso di operare principalmente nelle operazioni NATO e
dell’Unione Europea
13
.
Gli stati non sono mai stati gli unici protagonisti della vita internazionale, ma,
erano gli enti dominanti e formulavano le norme che regolavano la vita degli altri
enti. Il mondo statocentrico oggi è invece in declino. Si sta affermando un mondo
multicentrico formato da imprese multinazionali, partiti politici, organizzazioni non
governative, minoranze etniche e così via. Scriveva nel 2000 il National Intelligence
Council (NIC) in uno studio sui trend globali fino al 2015:
“States will continue to be the dominant players on the world stage, but governments will
have less and less control over flows of information, technology, diseases, migrants, arms,
and financial transactions, whether licit or illicit, across their borders. Nonstate actors
ranging from business firms to nonprofit organizations will play increasingly larger roles
in both national and international affairs.
The risk of war among developed countries will be low. The international community will
continue, however, to face conflicts around the world, ranging from relatively frequent
small-scale internal upheavals to less frequent regional interstate wars. The potential for
conflict will arise from rivalries in Asia, ranging from India-Pakistan to China-Taiwan, as
well as among the antagonists in the Middle East. Their potential lethality will grow,
driven by the availability of WMD, longer-range missile delivery systems and other
technologies.
Internal conflicts stemming from religious, ethnic, economic or political disputes will
remain at current levels or even increase in number. The United Nations and regional
organizations will be called upon to manage such conflicts because major states—stressed
by domestic concerns, perceived risk of failure, lack of political will, or tight resources—
will minimize their direct involvement
14
.”
Si tratta in pratica di attori diversi tra loro, ma dotati di risorse sufficienti per
poter agire autonomamente sulla scena internazionale e abbastanza potere per
12
Gareth EVANS, Cooperative security and intrastate conflit, Foreign policy, Fall 94 Issue 96, p 3, 18 p.
13
William J. DURCH, Picking up the Peace: the UN’s evoilving postconflit roles, The Washington
Quarterly Autumn 2003 • 26:4 pp. 195–210 Center for Strategic & International Studies Washington DC pag.
207 http://www.twq.com/03autumn/docs/03autumn_durch.pdf accesso 20 luglio 2004
14
National Intelligence Council (NIC), Global Trends 2015: A Dialogue About the Future With
Nongovernment Experts, dicembre 2000 http://www.odci.gov/cia/reports/globaltrends2015/index.html#link3
accesso 20 luglio 2004
12
influenzare lo sviluppo delle dinamiche mondiali in un modo che gli stati
difficilmente riescono a controllare, ma di cui devono tenere conto.
E’ poi verso la metà degli anni 1990 che si è evidenziata la differente natura
conflittuale la quale ha palesato la rarità dei conflitti interstatuali per un certo
numero di ragioni
15
:
• in aperto contrasto con i valori propri dell’era coloniale, vi è ora una cogente
norma che vede la proscrizione legale internazionale contro le aggressioni
territoriali;
• il potere economico ha sviluppato dei sistemi estremamente efficaci per
raggiungere gli obiettivi nazionali nelle relazioni internazionali;
• vi è una sempre crescente evidenza che la forza militare è sempre meno efficace
quale mezzo di controllo governativo o problematiche internazionali, le
aggressioni territoriali non sono più una maniera costo/efficace per raggiungere
la ricchezza;
• società complesse ed interdipendenti richiedono, se vogliono funzionare
efficacemente, un considerevole livello di cooperazione volontaria per conto dei
loro cittadini, non è logico invadere un Paese se il conquistatore non è in grado
di controllarlo (così come hanno scoperto i Sovietici in Afghanistan e gli
Israeliani in Libano)
16
.
Si assiste, insomma, ad un declino del dominio esercitato dagli stati sovrani
spiazzati dal crescente ruolo degli attori non statali – politici, etnici, religiosi,
economici – sempre più attivi oltre che all’interno degli stati anche sul piano
internazionale. Tutti insieme, essi rappresentano dei fattori di erosione della
capacità dello stato-nazionale di controllare l’assetto delle relazioni internazionali.
Gli stati, anche se non sono più gli unici o i principali attori chiave, sono
ancora importanti nella elaborazione delle politiche internazionali, ma queste non
sono più limitate, come in passato, alle azioni da essi poste in essere
17
. Il totale
dominio del sistema internazionale da parte degli stati sovrani sta rapidamente
15
Gareth EVANS, Cooperative security and intrastate conflict, op. cit. p 3.
16
Idem p.3
17
Per una disamina esauriente dei limiti, vincoli e potenzialità delle entità statali vedasi Giorgio
CARNEVALI Nazionalismo o federalismo? Torino Utet 1996, pp. 56-64.
13
finendo. Accanto agli Stati agiscono una pluralità di attori non statali che esercitano
un ruolo sempre più attivo.
Gli stati si trovano adesso a fronteggiare nuovi compiti e nuove sfide
provenienti sia dalle loro controparti tradizionali sia da rivali appartenenti ad un
sistema completamente diverso.
Così, ad esempio, le recenti ondate di autoritarismo, secondo Rosenau, sono le
prime avvisaglie di mutamenti storici di rotta, per cui già la dinamica del
cambiamento altera le strutture fondamentali della politica mondiale. Le regole
tradizionali di questa politica appaiono ormai obsolete, come del resto la stessa
nozione di "relazioni internazionali" di fronte al fatto che "un numero sempre
maggiore delle interazioni che sostengono la politica mondiale si esplica senza un
diretto coinvolgimento di nazioni o di Stati. Occorre dunque coniare un nuovo
termine, che indichi la presenza di strutture e processi, ma allo stesso tempo
ammetta ancora un ulteriore sviluppo strutturale. Un'etichetta accettabile potrebbe
essere politica post-internazionale".
18
1.3 IL MUTAMENTO DELLA MINACCIA
Durante il confronto Est Ovest esistevano dei principi organizzatori ben
definiti: la minaccia sovietica e la garanzia americana
19
. Tale garanzia era sicura
proprio perché c’era la minaccia dell’Unione Sovietica che metteva in pericolo
interessi americani essenziali. Nel contesto successivo al crollo dell’Unione
Sovietica non c’è più un principio organizzatore. Gli Stati Uniti, unica superpotenza
rimasta, rifiutano di svolgere il ruolo di gendarme del mondo e hanno dichiarato che
interverranno solo qualora loro specifici interessi nazionali fossero a rischio. La
minaccia sovietica è scomparsa. Nonostante l’arsenale nucleare dell’ex Unione
Sovietica sia ancora consistente e rappresenti, perciò un problema reale, i timori
diminuiscono a mano a mano che le politiche di controllo degli armamenti riducono
18
James N. ROSENAU, Turbolence in world politics: a theory of changes and continuity Princeton New
Jersey USA, Princeton University Press 1990, pp. 463 p. 6.
19
Carlo PELANDA, Evoluzione della guerra. Occidente ed Italia di fronte alla Rivoluzione negli Affari
Militari, Milano, CeMiSS-F.Angeli, 1996, p. 19ss.
14
le armi nucleari esistenti
20
. Diminuisce anche la preoccupazione di una invasione
del territorio nazionale. Ma, nonostante tutto questo, una sensazione di insicurezza e
di incertezza pervade l’Occidente, anche se questo non è mai stato tanto potente e
tanto difeso. Infatti, un conflitto globale o di larga scala, temuto in passato, è
divenuto estremamente improbabile, ma, al contrario, dilaga la violenza, dal
genocidio al terrorismo. Scrive James J. Wirtz in merito alle differenti minacce ed
alle loro percezioni:
“This changing threat environment has prompted policymakers to reconsider
deterrence as the cornerstone of defense policies. Terrorists, for example, are difficult to
deter because they seek war and destruction; threatening them with war and destruction in
retaliation for some unwanted act produces no deterrent effect. Additionally, unlike the
Soviet Union, the danger of retaliation posed by states that have recently obtained WMD is
relatively low, raising the possibility that military force could disarm opponents before
they can strike. These developments mean the preventive motivation for war—the belief
that war against a particular adversary is inevitable—is on the rise. Once policymakers
decide conflict is inevitable, they must make one of the most difficult and horrific
diplomatic decisions in international relations. Leaders have to make military and political
judgments about the level of risk the nation is prepared to accept and decide whether it is
better to fight now while the costs are relatively low, or wait and possibly confront a more
dangerous adversary
21
.”
Al posto delle minacce, evidenti e univoche, che esistevano durante la guerra
fredda, ci sono oggi altre minacce, multidimensionali e multidirezionali. Il “clear
enemy” del passato è stato sostituito da nemici molto più indefiniti come
l’incertezza e l’instabilità. I principali fattori che determinano questa incertezza e
instabilità sono:
− la proliferazione delle armi di distruzione di massa (nucleari, batteriologiche,
chimiche);
− i conflitti etnici, i radicalismi religiosi e nazionali;
− le non risolte rivendicazioni territoriali;
− il terrorismo.
20
D. SNOW, Il mutamento della minaccia e la sicurezza nazionale americana: cause e conseguenze del
cambiamento, in J. BURK (a cura di), La guerra e il militare nel nuovo sistema internazionale, Milano,
FrancoAngeli, 1998, p.123.
21
James J. WIRTZ, The return of strategy 1 gennaio 2003 apparso in Strategic Insight un giornale
elettronico mensile prodotto dal Center for Contemporary Conflict del U.S. Naval Postgraduate School, esso
offre valutazioni concise ed attuali su temi di sicurezza internazionale ed USA. Da
http://www.comw.org/qdr/fulltext/0301wirtz.pdf accesso 15 luglio 2004
15