Il linguaggio
- 8 -
• Uso: è un mezzo di comunicazione sociale di cui ci serviamo creativamente per
molteplici scopi; è inoltre una forma di conoscenza e un mezzo per creare un
senso di collettività (Garrett , 1990).
• Creatività: non può essere appreso semplicemente memorizzando e ripetendo
un gran numero di frasi, bensì comprendendo le regole necessarie per creare
espressioni che abbiano un significato: a partire da suoni e regole di
combinazione, possiamo produrre un infinito numero di enunciati, frasi e
discorsi.
I modelli psicolinguistici di norma individuano tre fondamentali livelli di
linguaggio:
1. livello fonologico riguardante i suoni che colui che parla deve comprendere e
utilizzare per dare vita a parole e frasi.
2. livello semantico-lessicale in riferimento alla conoscenza del significato delle
parole o alle informazioni che vengono espresse nelle frasi .
3. livello sintattico-grammaticale in rapporto con l’insieme di regole che si
mettono in atto nel combinare le parole per ottenere delle frasi ( sintassi ) e le
regole che caratterizzano le varie lingue ( grammatica ).
Vi è ancora un ulteriore aspetto linguistico, meno considerato, ma di certo
altrettanto importante: la prosodia. Per “prosodia” s’intende l’intonazione melodica
della frase o il corretto funzionamento delle accentuazioni in modo da rendere esplicito
il contesto situazionale in cui si svolge l’atto linguistico.
L’approccio cognitivo alla neuropsicologia del linguaggio ipotizza che le
suddette componenti linguistiche (fonologica, sintattica, prosodica e semantica) siano
organizzate in modo indipendente l’una dall’altra, ma non devono essere distinte in
modo rigido, bensì considerate come sistemi strettamente correlati e interagenti tra loro
durante il funzionamento (Làdavas , Sartori e Zago , 1999).
Il linguaggio
- 9 -
1.1. La comunicazione tra gli animali
Numerose ricerche hanno evidenziato che tutti gli animali delle stessa specie
comunicano tra loro, seppur in forma elementare e rudimentale. Molti animali sono in
grado di produrre numerosi suoni modulati, che vengono utilizzati differentemente in
base all’emotività che s’intende attribuire alla vocalizzazione. Ad esempio un cane può
abbaiare per svariati motivi ed il suo tono di vocalizzazione cambia a seconda della
situazione in cui si trova.
Studi sul canto degli uccelli dimostrano la presenza di diversi “dialetti” nelle
stesse specie, ubicate però in zone diverse, ciò indica che le specifiche note del canto
vengono apprese al pari del linguaggio umano (Kandel ,1994).
Secondo la teoria dell’informazione, una comunicazione tra animali deve avere
le seguenti caratteristiche:
- informare i cospecifici riguardo le situazioni nell’ambiente
circostante (attenzione!; lì si può nidificare etc…);
- annunciare e trasmettere sensazioni e aspetti emotivi ai partner;
- spingere il compagno ad assumere un comportamento specifico ( fuga
, cura della prole etc…).
Gli stimoli comunicativi trasmessi assumono una funzione sociale e scatenano
quel comportamento che Timbergen e Lorenz (1970) definiscono “Innate Releasing
Mechanism” (IRM).
Il maggiore contributo allo studio del linguaggio umano è stato dato dagli studi
compiuti in laboratorio e sul campo delle scimmie antropomorfe.
Negli anni 30’ s’ipotizzava che gli scimpanzè, se fossero stati allevati come
bambini , avrebbero potuto imparare a parlare; per tale ragione, William e Lorna
Kellogg (1938), allevarono insieme al loro bambino un cucciolo di scimpanzé, Gua, che
riuscì ad adottare molti comportamenti umani, ma non riuscì mai a parlare.
Negli anni 50’ i coniugi Keith e Cathy Hayes allevarono a casa loro uno
scimpanzè, Vicky, a cui insegnarono delle parole vere e proprie. La scimmia, dopo una
fase molto difficoltosa, alla fine riuscì ad emettere suoni semplici come
“mama”,“papa”,“cup”, ma null’altro.
Il linguaggio
- 10 -
Alla fine degli anni 60’ si ebbe la conferma che l’apparato vocale dello
scimpanzé non è in grado di riprodurre la gamma di suoni emessa dall’uomo. Restava
tuttavia non ancora verificata l’ipotesi che gli scimpanzé si potessero esprimere con un
linguaggio differente da quello vocale. Allen e Beatrice Gardner (1969) insegnarono ad
uno scimpanzé femmina Washoe ad utilizzare i segni dell’American Sign Language
,cioè il linguaggio usato dai sordomuti americani. Dopo due anni di addestramento
Washoe riuscì ad acquisire un vocabolario di 160 parole, mentre un bambino sordomuto
di quattro anni conosce già più di tremila parole. Da ciò emerge che uno scimpanzé è in
grado di acquisire dopo un lungo addestramento un vocabolario di parole, ma è
eccessivamente ridotto.
In seguito, nel 1976, David Premack, insegnò ad uno scimpanzé che chiamò
Sarah a comunicare mediante una serie di fiches di plastica su cui c’erano impressi
diversi simboli allo scopo di comprendere se gli scimpanzé riuscivano a capire i rapporti
causali tra cose ed azioni.
Insegnò a Sarah ad interpretare i comandi incisi sulle fiches e ad utilizzare le
fiches per formulare delle frasi. Sarah imparò il concetto di negazione, somiglianza e
differenza, frasi composte, affermazioni come “se…..allora” e a porre domande. Fu
inoltre capace, nell’80 % delle prove a stabilire i rapporti di causa-effetto che legano gli
eventi fisici sapendo scegliere, ad esempio, il coltello come causa della trasformazione
di una mela intera in una mela tagliata a fette.
Sulla base dei suddetti studi, è possibile affermare che le scimmie hanno
capacità cognitive elevate, come il concetto di causalità, ma non sono in grado di
esprimersi verbalmente (Mayeux e Kandel ,1994).
1.2. Origini ed evoluzione del linguaggio
La paleontologa Marjorie LeMay (1976) compì degli studi su reperti umani e
fossili e affermò che le strutture cerebrali indispensabili per il linguaggio si sono
sviluppate molto precocemente nella storia evolutiva dell’uomo. Nella maggior parte
dei soggetti umani l’emisfero dominante per il linguaggio è quello sinistro. Più
precisamente, i centri del linguaggio si situano nei lobi frontale e temporale (il planum
temporale) che sono più sviluppati nell’emisfero sinistro piuttosto che nel destro. Poiché
Il linguaggio
- 11 -
i principali giri e solchi lasciano un’impronta sul cranio, tramite l’analisi dei calchi sulla
superficie endocranica, la LeMay ha trovato asimmetrie morfologiche associate al
linguaggio tanto nell’Uomo moderno, quanto nell’Uomo di Neanderthal (30.000–
50.000 anni fa) ed anche nell’Uomo di Pechino (300.000–500.000 anni fa). Tuttavia
non è possibile sostenere se la presenza delle asimmetrie cerebrali morfologiche siano
dovute al linguaggio o ad altre forme comunicative. Benché le asimmetrie riscontrate si
possano far risalire a 500.000 anni fa, molti linguisti asseriscono che il linguaggio
umano si sia sviluppato non prima di 100.000 anni fa, che si sarebbe sviluppato in
un’unica volta, in forma ancestrale probabilmente in Africa; ciò è indicativo del fatto
che tutti i linguaggi umani hanno in comune alcune caratteristiche.
In un secondo momento gli spostamenti delle colonie umane e l’isolamento
geografico avrebbero favorito lo sviluppo di linguaggi differenti (Mayeux e Kandel ,
1994).
Sull’origine del linguaggio sono state avanzate due teorie: “Gestuale” e “
Vocale”.
Secondo i teorici gestuali il linguaggio si è evoluto da un sistema di gesti che
iniziò a manifestarsi quando un gruppo di scimmie raggiunse la posizione eretta ed
utilizzò le mani per forme di comunicazione sociale; in seguito insorse la
comunicazione vocale lasciando libere le mani per altri utilizzi.
Per i teorici vocali, invece, il linguaggio si è originato da un sistema di grida
istintive deputate ad esprimere stati emozionali come disperazione, gioia, eccitamento
sessuale etc… Circa 100.000 anni fa ci potrebbe essere stata una mutazione a carico
della bocca, della mandibola e delle corde vocali tale produrre una vocalizzazione di
suoni che avevano un significato ben preciso. Quindi, secondo questa ipotesi, è da allora
che si inizia ad associare suoni con significato ben preciso.
In seguito gli studiosi hanno cercato di scoprire se la capacità linguistica sia una
facoltà innata o acquisita. Studi sulla localizzazione anatomica e sullo sviluppo del
linguaggio nei bambini asseriscono che il linguaggio, pur necessitando
dell’apprendimento, sia un processo prevalentemente innato. Nei bambini lo sviluppo
del linguaggio segue degli stadi ben precisi; s’inizia con la lallazione, segue un discorso
composto da una singola parola, un discorso con due parole associate tra loro, fino ad
arrivare alla formulazione di un discorso complesso. I suddetti stadi avvengono nei
Il linguaggio
- 12 -
bambini mediamente alla stessa età indipendentemente dalla cultura di appartenenza.
Linguisti e psicologi affermano che i meccanismi evolutivi degli aspetti linguistici siano
universali e determinati dallo sviluppo del sistema nervoso.
1.3. Principali teorie linguistiche
Diversi studiosi hanno studiato il linguaggio e le sue origini. Secondo Skinner
(1957), i bambini acquisiscono il linguaggio perché gli adulti ne rinforzano l’uso
corretto; il bambino viene rinforzato positivamente quando emette correttamente le
parole, al contrario, quando utilizza parole errate, viene rinforzato negativamente.
Bandura (1971), invece, asserisce che il bambino impara a parlare imitando
l’adulto, con ciò attribuisce un ruolo predominante all’imitazione nell’apprendimento
del linguaggio; i bambini che hanno madri particolarmente loquaci hanno un
vocabolario più ricco rispetto a bambini con madri più taciturne.
Altri autori hanno preferito mettere in rilievo le proprietà universali del
linguaggio.
Tra questi Naom Chomsky (1965), illustre e famoso linguista. Ritiene che il
rapporto tra suoni e significati non sia una semplice associazione, bensì un legame
assicurato dalle regole grammaticali. Egli fa una distinzione tra struttura profonda e
struttura superficiale del linguaggio.
L’uomo, secondo Chomsky, possiede un dispositivo per l’acquisizione del
linguaggio (LAD), un meccanismo innato senza il quale il linguaggio non potrebbe
svilupparsi; il LAD è strutturato in modo da percepire la regolarità nelle espressioni
udite, generare ipotesi su di esse e permettere di apprendere qualsiasi linguaggio.
Asserisce che nell’Uomo esiste una sorta di programma innato che lo assiste nel corso
dello sviluppo linguistico, egli pensa che i bambini imparano a parlare confrontando il
linguaggio che sentono quotidianamente, con un sistema di regole grammaticali
determinate geneticamente che lo stesso Chomsky chiama grammatica generativa.
Alcuni psicologi hanno criticato l’esistenza di un LAD innato e lo stesso
Chomsky, in seguito, ha modificato la sua concezione di grammatica trasformazionale
(con regole) ed ha proposto una teoria dei principi e dei parametri che si fonda sul
principio che non esistono solo una struttura di fondo ed una di superficie, ma anche
Il linguaggio
- 13 -
una serie di processi che devono aver luogo affinché il bambino possa acquisire le
espressioni grammaticali. Dopo la riformulazione della teoria, Chomsky considera
ancora il linguaggio un’abilità innata, ma attribuisce maggior importanza al ruolo dei
meccanismi psicologici di apprendimento della struttura grammaticale che esistono in
tutte le lingue ed in tutte le culture.
Naom Chomsky criticò Skinner asserendo che la sua teoria fosse troppo
semplicistica perché permetteva di spiegare solo l’acquisizione di alcune parole e frasi,
ma non teneva conto del fatto che un individuo (bambino) parlante possa produrre un
numero infinito di frasi senza averle apprese precedentemente, sia di riconoscere se una
frase ascoltata è grammaticalmente corretta (Mecacci, 1992).
Come precedentemente detto, Chomsky ed i suoi seguaci pensano che il
bambino sin dalla nascita conosca delle regole fondamentali del linguaggio; tuttavia,
alcuni teorici come Piaget e la Scuola di pensiero interazionista pensano che il
linguaggio infantile si origini dalle cognizioni prelinguistiche del bambino.
1.3.1. L’istinto del linguaggio
Moro, M.C. Musso, C. Weiller e C. Buchel (2003) hanno condotto uno studio da
cui emerge che le regole del linguaggio sono istintive ed occupano una precisa area
cerebrale. Il linguaggio si impara per istinto, obbedendo alle regole dettate dalla
biologia. L’area di Broca è l’area cerebrale nella quale nasce la grammatica.
Questa scoperta è la prima dimostrazione biologica dell'esistenza di una struttura
che organizza la cosiddetta Grammatica Universale ipotizzata dal linguista Noam
Chomsky.
La ricerca è stata condotta da un’equipe italo-tedesca di neurologi e linguisti
dell’Università San Raffaele di Milano, dell’Università di Amburgo e dell’Università di
Jena.
I partecipanti all’esperimento erano due gruppi di volontari tedeschi, alle prese
con l'apprendimento di frasi italiane e giapponesi, alcune delle quali corrette, altre
invece con regole grammaticali inesistenti e impossibili.
Osservando l’Area di Broca mediante tecniche di neuroimmagine si è potuto
appurare che la suddetta area si attivava solo quando i volontari imparavano frasi basate
Il linguaggio
- 14 -
su regole grammaticali vere. Quando invece le frasi erano costruite su regole
impossibili, l'area di Broca restava spenta, ed entravano in gioco, altre aree del cervello,
senza un preciso ordine.
La verifica è avvenuta insegnando delle regole grammaticali a dei soggetti
tedeschi, privi di qualsiasi familiarità con l’italiano e con il giapponese.
Tra le regole autentiche venivano inserite anche delle regole linguisticamente
impossibili, ma semplici. Le frasi si susseguivano sullo schermo di un computer mentre
i soggetti leggevano alcune frasi posti all’interno dell’apparecchiatura di risonanza
magnetica. Essi dovevano dire se la regola veniva rispettata o meno.
Per esempio,tra le regole possibili, fu detto ai soggetti che, per fare una frase in
italiano non è necessario esprimere il soggetto come in "leggo molti bei libri"; invece,
come regola impossibile imparavano che la negazione andava messa sempre
esattamente dopo la terza parola; per negare la frase precedente dovevano dire "leggo
molti bei non libri". Tale regola è “impossibile” perché in nessuna lingua del mondo la
negazione occupa un posto fisso nella sequenza delle parole.
Procedure analoghe sono state applicate al giapponese, lingua ancora più
dissimile dal tedesco di quanto non sia l’italiano.
Il risultato è stato che solo quando i soggetti apprendevano le regole possibili si
attivava l’ area di Broca.
1.4. Basi anatomiche delle aree deputate al linguaggio
Le aree cerebrali deputate alla produzione e alla comprensione del linguaggio
sono: l’area di Broca e l’area di Wernicke.
1.4.1. La produzione del linguaggio: Area di Broca
Nel 1861, un grande neurologo francese, Paul Broca, riaprì la questione della
localizzazione nel contesto della neurologia del linguaggio imbattendosi in un paziente
con un insolito difetto di linguaggio. Questo paziente era davvero molto interessante
perché non era semplicemente affetto da un problema motorio del linguaggio: era in
grado di fischiare e di cantare brevi brani di canzoni, ma non poteva articolare il
linguaggio. E non era solo un problema di eloquio, poiché non poteva neanche più
Il linguaggio
- 15 -
scrivere. Aveva completamente perso la facoltà di esprimersi con il linguaggio,
nonostante fosse rimasto capace di comprenderlo.
Quando questo paziente morì e fu sottoposto ad autopsia, Broca scoprì qualcosa
di molto interessante: questo paziente aveva una lesione nel lobo frontale sinistro.
In seguito Broca studiò altri sette pazienti con un difetto simile: tutti avevano
difficoltà a esprimersi con il linguaggio, benchè lo comprendessero perfettamente.
Al loro decesso, l'autopsia dimostrò che ciascuno di essi presentava la stessa
identica lesione; e che in ciascuno di essi la lesione era localizzata nell'emisfero sinistro
del cervello. Successivamente l’area scoperta da Broca venne denominata "area di
Broca" (Fig.1.2); essa è situata nel lobo frontale della corteccia cerebrale e contiene le
memorie motorie necessarie per la produzione del linguaggio.
L’articolazione motoria delle parole richiede anche il coinvolgimento dell’area
supplementare motoria della corteccia cerebrale e di strutture sottocorticali motorie
extrapiramidali (gangli della base, cervelletto).
1.4.2. La comprensione del linguaggio: Area di Wernicke
Qualche anno più tardi un neurologo tedesco, Karl Wernicke (1874), descrisse
un paziente con problemi linguistici che presentava una lesione dell'area parieto-
temporale, proprio dove il lobo parietale incontra quello temporale. Questo paziente
aveva un difetto di linguaggio diverso da quello di Broca: i pazienti di Broca capivano,
ma non riuscivano a esprimersi.
Questo paziente, invece, era in grado di esprimersi, ma non capiva il linguaggio
e ciò portava il paziente a produrre un linguaggio privo di significato
Al momento dell'autopsia, Wernicke scoprì due cose interessanti: prima di tutto
la lesione si trovava ancora una volta nell'emisfero sinistro, a livello del lobo parieto-
temporale.
Successivamente questa zona fu denominata "Area di Wernicke" (Fig.1.2) che è
situata nel lobo temporale (regione posteriore-superiore) della corteccia cerebrale e
contiene le memorie uditive necessarie per la comprensione del linguaggio ascoltato.