INTRODUZIONE Il 7 ottobre del 2001 il cielo di Kabul fu rischiarato da una raffica di 50 missili Tomahawk
sganciati da bombardieri statunitensi e britannici. A quel primo attacco ne sarebbero seguiti
diversi altri. L’obiettivo dichiarato della missione era scovare ed annullare i centri nevralgici di
quella fabbrica di terrore che risponde al nome di Al-Qaida .
Nove anni più tardi il conflitto in Afghanistan conquista ancora le prime pagine dei giornali.
Nonostante i 190 miliardi di dollari spesi dal governo a stelle e strisce, gli oltre 2000 soldati Isaf
caduti (di cui 34 italiani) e l’infinita strage di civili afghani, lo sceicco del terrore Osama bin
Laden ed il suo braccio destro, il medico egiziano Ayman al Zawahiri sono ancora a piede
libero, irraggiungibili, praticamente dei fantasmi.
Il sostegno dei talebani alla causa jihadista, le impervie condizioni del suolo afghano e la lunga
lista di errori commessi dalla coalizione occidentale sono da considerarsi determinanti nel
computo totale del conflitto ma anche altre variabili hanno contribuito al prolungarsi di una
guerra che già nel dicembre 2001 sembrava potersi dire “archiviata”.
E qui, una delle lezioni imparate a Kabul: anche se hai vinto la guerra non è detto che il tuo
nemico sia sconfitto .
Fra le cause delle difficoltà per le forze ora sotto il comando del generale Petraeus, si colloca un
amico non troppo sincero, un alleato vacillante ed ambiguo, notevolmente influenzato da
pulsioni oscure che ne minano la stabilità interna e quella internazionale. Il Pakistan della
sconcertante supremazia dei militari e dell’indiscusso potere degli ulama si è dimostrato attore
decisivo sia nello scacchiere di guerra afghano sia nei meccanismi di sostegno al terrorismo
mondiale.
Il Pakistan ha rappresentato e costituisce tutt’ora un crocevia di traffici internazionali che fanno
registrare interessi da capogiro: “l’affare nucleare” diretto per circa un ventennio dallo
scienziato Abdul Qadeer Khan e gli imponenti fiumi di droga che passano per il porto di Karachi
diretti verso le più varie destinazioni, sono solo due esempi dei complessi giochi in corso.
L’estremismo religioso ha trovato nel suolo pakistano un territorio particolarmente fertile sul
quale proliferare, in cui l’humus è costituito dalla radicalizzazione religiosa degli anni 80’ e
dalla povertà diffusa che non risparmia di fatto nessuna delle quattro province da cui il paese è
composto.
Il Pakistan oggi viene considerato un vero e proprio santuario per Al-Qaida con rifugi sicuri
nonché basi da cui operare e solo negli ultimi anni certi territori (le Fata) sono stati violati
4
dall’intervento dell’esercito a favore della lotta al terrorismo al fianco degli Usa. Gli stessi
governi americani a partire dall’invasione sovietica del ‘79 si sono macchiati di colpe che hanno
lasciato un segno indelebile: troppe volte Washington, generalmente dotata di occhio vigile ma
in certe occasioni volutamente un po’ distratto, ha preferito tacere di fronte ad azioni
indubbiamente pericolose da parte dei regimi pakistani, dalle cui conseguenze del resto, non è
stata certo immune. L’ 11 settembre insegna.
Parlare di Afghanistan oggi più che mai vuol dire necessariamente parlare anche di Pakistan,
decisamente connesse risultano le dinamiche politiche dei due paesi ed il loro reciproco livello
d’influenza. Ad unire le due realtà un confine disegnato a tavolino nel 1893 che, in luogo di
certezze, ha consegnato un’eredità di conflitti ed incomprensioni; la presenza di Al-Qaida
aleggia sulla Linea Durand con i suoi adepti a passare da un lato all’altro con costante fluidità.
La rete di terrore operante in Pakistan e lungo i suoi confini non annovera solo l’organizzazione
di bin Laden bensì una serie di gruppi sovversivi che sempre più ha preso piede negli ultimi 20
anni, sul cui sfondo si è intravista in fase di supporto (se non di creazione, in alcuni casi)
l’invasiva mano dell’ Isi . Anche in questo caso però, come nel più celebre romanzo di Mary
Shelley, ciò che era stato creato e che era destinato a rimanere servo, si è tramutato in un mostro
incontrollabile, un vero e proprio Frankenstein pakistano, capace di mettere a repentaglio
persino il futuro stesso del paese.
Questo lavoro ed i fatti riportati qui di seguito, cercheranno di rendere chiaro il coinvolgimento
di Islamabad nella crescita del fenomeno terroristico, le sue implicazioni nella guerra in
Afghanistan e nella decennale questione del Kashmir al confine con l’India, l’avversaria di
sempre.
Si ritiene che per comprendere gli attuali movimenti lungo i confini occidentali ed orientali del
Pakistan sia innanzitutto necessario scavare nella storia recente, alla ricerca delle cause che
hanno reso il paese del fondatore Mohammed Ali Jinnah un vulcano pronto ad esplodere.
Il cuore dell’analisi qui proposta è costituito dal periodo che va dall’invasione americana del
2001 fino ai giorni nostri.
Il terzo capitolo è concentrato sulla lotta nella regione del Kashmir e al completamento del
quadro terroristico pakistano con riferimento alle violenze di origine settaria che dividono un
paese che, in fondo, unito non lo è mai stato. Sunniti contro sciiti, punjabi contro sindhi e
baluchi, pashtun della provincia del Khyber-Pakhtunkhwa quasi a formare un gruppo a se stante.
Se l’Afghanistan è una nazione senza stato, il Pakistan appare come uno stato senza nazione .
5
CAPITOLO I
I semi del caos 1.1 Radiografia di un paese.- 1.2 Obiettivi geopolitici.- 1.3 Il Pakistan nell’invasione del ‘79.- 1.4
L’istruzione delle madrasa.- 1.5 L’ascesa dei talebani ed i rapporti con Al-Qaida.
1.1 Radiografia di un paese La storia del Pakistan come stato nazionale ha avuto inizio nel 1947, anno della Partition
dall’India britannica e continua fino ai giorni nostri fra numerose vicissitudini che hanno reso
particolarmente travagliato lo sviluppo del paese. Per la stesura di questo paragrafo, scartando
l’opzione di un riepilogo di tutti gli eventi che hanno caratterizzato la vita politica pakistana, si
cercherà di mettere in luce solo quegli aspetti che sono più funzionali a comprendere gli
argomenti al centro dell’attenzione di questo lavoro.
1.1.1 La Partition Il 14 e 15 agosto 1947, India e Pakistan, in seguito al ritiro delle truppe britanniche, divennero
due dominions indipendenti. Il giorno della partizione era stato preceduto da numerosi scontri
comunitari. Il Pakistan si ritrovava uno stato di circa sessantacinque milioni di musulmani diviso
in due tronconi. In mezzo, quella che sarebbe diventata la nemica di sempre: l’India.
Le conseguenze della partizione furono subito tragiche: centinaia di migliaia di persone persero
la vita nel contesto degli spostamenti da un paese all’altro e nelle violenze che si scatenarono.
Fra questi, il Mahatma Gandhi fu la vittima più illustre. Il Pakistan aveva ereditato regioni prive
di industrie e infrastrutture così come di scuole e istituti di ricerca.
Vi erano evidenti differenze fra le due ali del paese: quella occidentale era disomogenea sotto il
profilo etnico-linguistico ma omogenea sotto quello religioso, politicamente autocratica,
scarsamente popolata, mentre l’etnia del Bengala orientale si presentava più compatta, con una
lunga tradizione di partecipazione politica, un livello d’istruzione più elevato ed un tasso di
densità tra i più alti al mondo.
Fra i lasciti della partition anche uno dei conflitti destinati a durare per lunghi anni: la contesa
del Kashmir.
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La storiografia pakistana appare divisa sul tema della frammentazione territoriale dell’India
britannica: da una parte troviamo un’interpretazione degli eventi basata sull’idea che l’élite
musulmana indiana sarebbe stata indotta da fattori di natura economico-politica a richiedere la
costituzione di uno stato separato, manipolando abilmente i simboli religiosi per corroborare la
causa; dall’altra si colloca il filone “primordialista” che attribuisce maggior risalto al fattore
religioso in base al quale, la partition , sarebbe la logica conclusione dell’arrivo dell’Islam in
Asia meridionale. La religione del profeta Maometto avrebbe introdotto usi e costumi peculiari
che crearono una netta frattura rispetto alle popolazioni che già abitavano il medesimo territorio.
Pur contenendo parte della verità, le due teorie risultano per certi versi lacunose: la prima
sottovaluta le trasformazioni avvenute in seguito alla diffusione dell’Islam nell’area mentre la
seconda non tiene in considerazione la laicità che ha sempre contraddistinto il rapporto tra stato
e religione nel subcontinente.
Ad ogni modo, è indubbio che già a partire dai primi anni del XX secolo i non indù si
percepivano come dei “separati in casa” e la fondazione della Lega Musulmana nel 1906 era la
prova della loro paura di rimanere esclusi dalla gestione del potere politico. In seguito, furono le
riforme elaborate dal governo inglese e gli scontri interconfessionali ad acuire il senso di
inconciliabilità tra le due comunità. I provvedimenti elaborati negli anni 20’ portarono ad un
sistema federalista fortemente centralizzato con la formazione di collegi elettorali separati per i
musulmani i quali, in base all’accordo di Lucknow, sarebbero stati sovrarappresentati nelle
province in cui erano minoritari e sottorappresentati nelle aree in cui godevano della
maggioranza rispetto agli indù.
Il primo ad auspicare la costituzione di un’entità politica propria per i musulmani fu nel 1930,
l’allora presidente della Lega musulmana Mohammed Iqbal che ipotizzò la creazione di uno
stato composto da Punjab, Nwfp, Baluchistan e Sindh.
Nel 1933 Chaudhry Rehmat Ali, studente del Punjab presso l’università di Cambridge, coniò il
termine “Pakistan”. La parola era formata dalle iniziali delle province che avrebbero costituito il
nuovo stato (praticamente le stesse ipotizzate da Iqbal) più il suffisso – stan che significa
“paese”. Poiché “ pak” in urdu significa “puro”, “Pakistan” indicava dunque la “terra dei puri”.
Queste posizioni furono riprese dall’avvocato ed esponente della Lega Mohammed Ali Jinnah .
Le sue idee riguardo il nuovo stato, vennero esplicitate nella famosa “Risoluzione di Lahore”.
Elaborata nel 1940, si basava sulla “teoria delle due nazioni” secondo la quale, musulmani e
indù del subcontinente costituivano due nazioni distinte, con tradizioni e stili di vita
inconciliabili.
Tuttavia, discorsi e scritti di Jinnah, in cui l’attenzione veniva puntata non su “religioni
7
differenti” in senso stretto ma su “ordini sociali diversi e distinti”, sono risultati piuttosto
ambigui in merito alla struttura politica che il futuro stato avrebbe assunto ed al ruolo che
l’Islam avrebbe ricoperto.
Anche a causa della prematura scomparsa del Quaid-e-Azam 1
, hanno costituito oggetto di
interpretazioni di parte praticamente per tutto il corso del secolo.
Ad ogni modo, Jinnah era un laico: in quanto tale, si pensa che non avesse di certo intenzione di
creare una realtà teocratica, in cui la sharia avrebbe trovato applicazione. Il richiamo alla
religione islamica doveva fungere principalmente da collante per tutti gli indù musulmani e la
separazione fra apparato statale e struttura religiosa sarebbe continuata.
Ulteriori prove che dimostrerebbero la laicità dei progetti di Jinnah sarebbero la contrarietà
espressa nei confronti della partition dagli ulama del movimento di Deoband e dal Jamaat-e-
Islami di Maududi. I primi erano preoccupati di non trovare sufficiente spazio nel futuro
governo, dal momento che avrebbero dovuto inserirsi in un contesto in cui lo spazio religioso
era già occupato da altri movimenti, in primis le confraternite sufi. Inoltre, ritenevano che
restando uniti sarebbe stato il loro peso numerico a difenderli da eventuali prevaricazioni da
parte degli indù.
Lo scopo di Maududi era quello di creare uno stato islamico in cui il riconoscimento di altre
fonti di sovranità che non fossero quella divina, corrispondeva a un atto di idolatria ( shirk ).
1.1.2 Situazione politica Il Pakistan che risulta dalla partizione è una repubblica islamica federale composta da 4
province: Punjab, Sindh, Baluchistan e Khyber-Pakhtunkhwa. All’interno di quest’ultima si
distinguono le cosiddette Fata (Federally administered tribal areas) che godono di un regime
particolareggiato 2
.
Gli altri territori sottoposti all’autorità dell’amministrazione centrale sono le Aree Settentrionali
e l’Azad Kashmir alle quali non è mai stato riconosciuto lo status di province, visto come
un’approvazione della spartizione del Kashmir.
Il potere legislativo è affidato ad un parlamento bicamerale ( Majlis e Shura ), costituito
dall’Assemblea Nazionale (342 seggi, 60 assegnati alle donne e 10 alle minoranze, eletti dal
popolo per 4 anni) e dal Senato (100 seggi, eletti attraverso un sistema indiretto con assemblee
provinciali per 4 anni). Il parlamento e le assemblee provinciali eleggono ogni 5 anni il
Presidente della repubblica che gode di ampi poteri nei confronti del Primo Ministro.
I due principali partiti sono il Partito del Popolo Pakistano (Ppp) e la Lega Musulmana
1
Letteralmente Grande Leader.
2
Su queste si tornerà più accuratamente nel capitolo II.
8
Pakistana (Pml - Q). Il primo, di stampo liberal-progressista, è inevitabilmente legato al nome
della famiglia Bhutto (Zulfiqar ne è stato il fondatore nel 1967); il secondo, creato dall’ex
presidente Pervez Musharraf in vista delle politiche del 2002, si è prefisso come scopo quello di
ridare vigore alla vecchia Lega Musulmana.
Tra gli altri partiti politicamente influenti si annovera la Pakistan Muslim League (Pml - N) di
Nawaz Sharif, per due volte primo ministro.
Da citare la presenza di numerosi schieramenti islamisti radicali come il Jaamat-e-Islami o il
Jamiat-e-Ulama-e-Islam. Benché nel corso della storia pakistana non abbiano tradizionalmente
ottenuto importanti risultati nelle tornate elettorali, il Muttahida Majlis-e-Amal (Mma),
coalizione di partiti confessionali formata in opposizione al governo e alla sua scelta di
appoggiare gli Stati Uniti nella guerra al terrorismo, ha rappresentato un’eccezione.
Indipendentemente dal partito di governo, la storia politica del Pakistan appare come un
susseguirsi di colpi di stato, imposizioni della legge marziale e, soprattutto, marcato dalla
supremazia dell’ esercito negli affari pubblici. Da sempre i militari hanno dettato l’agenda
politica e le priorità dello stato. Il motivo di ciò è da ritrovare in un costante e acuto senso di
insicurezza, misto a una crisi d’identità nazionale che hanno portato ad identificare nella difesa
dai nemici vicini l’interesse primario del paese. Ciò è in primo luogo attribuibile all’epoca
coloniale: gli inglesi conquistarono quello che oggi è il territorio del Pakistan verso la metà del
diciannovesimo secolo con l’unico scopo di proteggere l’India in primo luogo dalle scorrerie
delle tribù baluchi e pashtun e, in seguito anche dalle mire espansionistiche dell’impero zarista.
Il nord-ovest del subcontinente fu così trasformato in una grande colonia-guarnigione con sede
nel Punjab dove i britannici reclutarono in massa i contadini per l’esercito e strinsero forti
amicizie con la classe feudale latifondista: le principali aree di reclutamento in Punjab
ricevettero privilegi di vario tipo e concessioni di terre facilitando così una stretta integrazione
tra struttura civile e militare.
L’insicurezza è stata acuita dal mai felice rapporto con la confinante India e dai contrasti sorti
subito dopo la partizione che hanno regalato ai libri di storia tre conflitti e la separazione del
Pakistan orientale (oggi Bangladesh) nel 1971.
Il Pakistan ha pesantemente raccolto le conseguenze di queste situazioni, vivendo in quello che
si può definire “uno stato permanente di legge marziale”.
E’ ovvio che, su queste basi, il fallito radicamento di una cultura politica appaia come la più
naturale delle conseguenze ed abbia incoraggiato l’esercito ad assumere il potere sin da subito,
cercando un alleato negli Stati Uniti con i quali già nel 1954 si concordò un programma di aiuti
militari ed economici.
9
Le prime elezioni libere ed imparziali si tennero nel paese solo nel 1970. Negli anni precedenti i
generali Ayub (autore del primo colpo di stato del paese nel 1958) e Yahya Khan avevano
ristrutturato la Lega Musulmana secondo le loro esigenze di dominio al punto che lo
schieramento venne ribattezzato il “partito del re”, in riferimento al suo ruolo, teso a garantire
l’avvicendarsi alla guida del paese esclusivamente di governanti militari.
Sulla stessa linea si sarebbe mantenuto il generale Zia ul-Haq che rovesciò il primo ministro
Bhutto nel 1977, facendolo poi impiccare due anni più tardi con l’accusa di essere il mandante
dell’assassinio di un oppositore politico. La sorte ha voluto che fosse proprio Bhutto a nominare
Zia capo di stato maggiore, sebbene ancora giovane, preferendolo ad altri generali con maggiore
anzianità di servizio. Solo la morte di Zia in un misterioso incidente aereo, le cui cause non sono
state mai chiarite, consentì al paese di voltare pagina e di tornare ad elezioni libere.
Il 1988 non celebrò solo il primo mandato di Benazir Bhutto ma anche l’inizio di quella che
forse è stata la stagione politica pakistana più instabile: nel giro di soli 11 anni si registrarono
ben 5 governi.
Il primo mandato della Bhutto doveva coincidere con la vera svolta democratica del paese, tante
erano state le promesse della leader originaria della provincia del Sindh fra le quali: abrogare le
riforme islamiche di Zia, allocare maggiori risorse per la sanità e l’istruzione, garantire maggior
libertà politica e di espressione e migliorare le condizioni delle donne. La Bhutto non raggiunse
nessuno degli obiettivi a causa di diversi fattori: la maggioranza risicata, numerose spaccature
all’interno del Ppp ma soprattutto il rifiuto da parte dei militari a rinunciare al ruolo che avevano
acquisito. Il tentativo di intromettersi negli affari militari e dell’Isi le fu fatale ed il 6 agosto
1990 il presidente, d’accordo con i vertici dell’esercito, invocò l’ottavo emendamento per
destituirla, a seguito delle accuse di corruzione e nepotismo.
I successivi governi di Sharif (90-93), ancora Bhutto (93-96) e Sharif (96-99) si conclusero tutti
ben prima della scadenza del mandato. Il filo conduttore era chiaro: la stabilità del governo era
garantita qualora il primo ministro accettasse di essere sottoposto ad un potere limitato e di non
interferire in alcuno modo con le forze armate e le azioni dei servizi segreti, veri titolari
dell’iniziativa in materia di politica estera ed interna. Una frase dello scrittore Pervez Hoodbhoy,
senza dubbio aiuta a capire la situazione politica pakistana: “ La gran parte dei paesi ha un
esercito, ma solo in Pakistan l’esercito ha un paese ” 3
.
L’era Musharraf non ha certo rappresentato un’eccezione. Il generale realizzò nel 1999 il terzo
golpe nella storia del Pakistan, inaugurando un regime dittatoriale, dietro una maschera
democratica, in cui Musharraf utilizzò costituzione, referendum e leggi come strumenti
3
Pervez Hoodbhoy., “Il Pakistan non è una nazione. Come può diventarlo?”, in Limes Afghanistan addio! , num. 2
(2010) p. 255.
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personali per incrementare il proprio potere politico. Abbandonò solo nel novembre 2007 le
vesti di capo delle forze armate. Eppure l’inizio della sua esperienza a guida dello stato era
iniziata sotto i migliori auspici: una visione moderata dell’Islam, le riforme adottate per
rilanciare l’economia e combattere la corruzione, l’istituzione di una commissione per i diritti
delle donne avevano fatto presagire a un reale cambiamento che in realtà non arrivò.
Il 2008 consegnò al Ppp una situazione interna molto favorevole grazie alla vittoria riportata sia
alle elezioni per il rinnovo del parlamento (febbraio) sia in occasione della tornata elettorale
(ottobre) che ha condotto al potere come presidente Asif Ali Zardari , vedovo dell’ex premier
Benazir Bhutto, noto anche come “Mr. 10%” per i suoi presunti coinvolgimenti in traffici
illeciti.
Il primo ministro è il punjabi e vice-presidente del Ppp Yousaf Raza Gilani. E’ inevitabile che
anche il futuro di questa amministrazione dipenderà dalle intenzioni dell’esercito.
In relazione all’ apparato giudiziario , esso ha sempre rivestito un ruolo di comprimario del potere
e sono realmente poche le eccezioni in cui la Corte Suprema si sia schierata apertamente contro
l’amministrazione governativa. Quando ciò è avvenuto è stata frequente la rimozione di giudici
e magistrati che indagavano sul dubbio operato del governo. L’esempio più chiaro si ebbe nel
2007 quando si arrivò alla sospensione dall’incarico del presidente della Corte suprema
Chaudhry. In quel caso però si coagulò intorno a lui una fortissima protesta sostenuta da tutta la
classe giuridica pakistana. Manifestazioni di piazza e cortei infiniti a favore di Chaudhry
costrinsero Musharraf ad annullare il provvedimento.
1.1.3 Quadro economico-sociale Zardari si trova oggi ad affrontare una situazione difficile, caratterizzata dal rallentamento
dell’economia e da un preoccupante aumento del deficit di bilancio e dell’inflazione (13,5%). In
calo anche le esportazioni e le riserve in valuta estera. Il tasso di crescita difficilmente supererà
il 2,8%
4
.
In uno scenario di per sé compromesso, pesa come un macigno l’immane catastrofe naturale che
ha investito il nord del paese nello scorso mese di agosto, delle cui conseguenze deve ancora
essere compiuto un calcolo esatto, nel momento in cui si scrive. Zardari, in ogni caso, ha
dichiarato che saranno necessari anni per il recupero di ciò che è andato perso.
Il suolo pakistano, del resto, non si presenta particolarmente ricco di risorse, dal momento che
solo il 38% del territorio totale è utile per raccolti, pascoli e foreste, mentre il restante 62% è
costituito da terre che per poco o per niente possono contribuire all’agricoltura. Il paese è
4
Dati Fmi, Pakistan and the Fmi, http://www.imf.org/external/country/PAK/index.htm (7 ottobre).
11
fortemente dipendente dall’estero anche per quanto riguarda le fonti di energia. A ciò bisogna
aggiungere un incremento demografico notevole nel corso del XX secolo che ha portato la
popolazione totale dai 40 milioni del 1950 ai 164 dei giorni nostri.
Il Pakistan occupa il 141.mo posto (su 182 presi in considerazione) nell’indice di sviluppo
umano stilato dalle Nazioni Unite 5
; nonostante questi dati il tasso di crescita pre-inondazioni era
del 4,1% ed è importante non dimenticare che il paese gode di una posizione “strategica”
fondamentale per lo sbocco sul mare di una regione (quella del Caspio e dell’Asia centrale) in
cui si sta concentrando la nuova corsa all’oro nero. Il porto di Karachi e, presto, quello di
Gwadar sono un esempio di terminali per i progetti di trasporto di gas e petrolio. Dunque, il
“paese dei puri” appare oggi come sospeso fra sviluppo e sottosviluppo.
Il Pakistan ha avuto numerose occasioni di crescita grazie agli accordi stretti con gli Stati Uniti
che hanno versato nelle casse del tesoro pakistane più di 10 miliardi solo dal 2001 ai giorni
nostri.
Il problema storico dell’economia di questo paese è costituito sin dall’inizio dall’allocazione
delle risorse: l’esercito ha fatto sua una larga fetta dei fondi a disposizione, indirizzandola al
rafforzamento delle proprie strutture. Basti pensare che nei primi 13 anni dopo la divisione
dall’India una larghissima fetta del budget nazionale venne allocato in favore delle forze
militari. Oggi la spesa destinata all’esercito si attesta al 13,6% del Pil 6
.
Sebbene negli ultimi anni del governo Zia la spesa per la difesa avesse iniziato a diminuire, con
un trend che sarebbe continuato nel decennio successivo (dal 5.7% del Pil del 1990 al 4.4% del
1999, il dato più elevato nella regione), era chiaro che i vertici militari non avevano alcuna
intenzione di abbandonare le proprie prerogative di controllo dell’economia. Oggi, la proprietà
privata degli ufficiali comprende vaste porzioni di terre coltivate e ricchi immobili urbani, oltre
che partecipazioni nell’industria manifatturiera, nei trasporti, nelle banche, nelle assicurazioni,
nelle agenzie pubblicitarie, nelle imprese edili.
Stride parecchio con quanto appena scritto che ben il 55% della popolazione non possegga terra
ed appartenga ai grandi latifondisti il 40% dei terreni arabili 7
. E’ urgente, quindi, una seria
riforma agraria per ridistribuire il potere economico e politico nelle campagne, fornire aiuti e
sussidi ai coltivatori e differenziare la produzione dipende in larga parte dal cotone.
Un altro settore in perenne crisi è quello della sanità. Per i poveri le possibilità di cure sono
pressoché inesistenti e secondo stime recenti ci sono solo otto medici ed un dentista ogni
diecimila abitanti. Malnutrizione, malattie respiratorie e tubercolosi già prima dell’alluvione
5
Fonte Onu, Human development reports, http://hdr.undp.org/en/statistics/ (8 ottobre).
6
Fonte Fmi, World economic out look http, //www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2010/02/pdf/text.pdf (4 ottobre).
7
Tariq Ali, Il duello. Il Pakistan sulla traiettoria di volo del potere americano , Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005.
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