5Oggi questo stato di cose è chiaramente cambiato: l’arte è sempre più
inquadrata nel contesto dell’organizzazione più diffusa del nostro tempo,
l’impresa. Questo è dovuto ad una serie di ragioni in parte comuni ai
fenomeni di privatizzazione di qualsiasi altro settore, in parte specifiche del
settore culturale.
Innanzitutto il mea culpa dei governi occidentali sui pesanti debiti
accumulati in anni di cattiva amministrazione della res publica ha indotto
ad una severa revisione, tra le altre cose, dei finanziamenti al settore
culturale, e, spesso, ad una loro privatizzazione. Per conseguenza la sfida,
anche per le organizzazioni culturali che vivono di contributi pubblici, è
sempre più ardua: saranno premiate solo le organizzazioni più meritevoli.
Dunque, sia che questo sia stato imposto dall’alto con processi di
privatizzazione, sia che questo dipenda dalla difficoltà di accesso ai
contributi per il settore culturale, alle organizzazioni di matrice pubblica o
non-profit si impone un avvicinamento alla razionalità organizzativa per
affrontare in maniera più efficace la sfida della sopravvivenza e dello
sviluppo.
Ma il settore culturale è anche sottoposto a fenomeni di origine sociologica
specifici, che Dominique Bourgeon Renault
1
riferisce in particolare
all’avvento della società post-moderna. La società post-moderna è
caratterizzata da due evoluzioni del comportamento del consumatore che
insieme offrono opportunità e problematiche alle organizzazioni in
argomento: l’edonismo, cioè la sempre maggiore ricerca di opportunità di
consumo di prodotti ludici, e l’eclettismo, dunque la predilezione per le
combinazioni di stili e di oggetti che meglio esprimono la personalità del
consumatore.
1
Renault D. B., 2002,Valutazioni del comportamento del consumatore nel campo del marketing
delle arti e della cultura
http://www.fizz.it/argomenti/principi/2002/valutazioni_ijam_1.htm
6Se l’edonismo, in combinazione con una delle sue determinanti, cioè
l’innalzamento dei livelli medi della capacità d’acquisto, ha espanso il
settore del “tempo libero”, contemporaneamente ha generato una tendenza
all’inasprimento della concorrenza con la proliferazione di organizzazioni
culturali, soprattutto in tempi di protezionismo statale. Inoltre il
moltiplicarsi delle strade della comunicazione grazie alle meraviglie della
tecnologia, ha permesso di “bombardare” il consumatore con infinite
occasioni di svago: il settore dell’entertainment è pressoché saturo, e
ciascuno dei suoi attori deve sviluppare efficaci strumenti per acquisire
visibilità e riconoscimenti.
A rendere questo più difficile c’è l’eclettismo dei consumatori. Niente viene
rigettato o considerato illegittimo. Tutti gli stili e le epoche sono accolti
proprio in virtù del loro essere diversi
2
. Il consumatore non è più quello
prettamente “razionale” della società moderna, in cui si sceglieva il
prodotto soprattutto per le sue caratteristiche funzionali: ora si cerca il
prodotto anche per le sue valenze simboliche. Egli non consuma più in
funzione di una propria personalità già delineata, costruita su riferimenti
quali la famiglia, la religione, il lavoro, le utopie. Il consumo è semmai
occasione per ricostruire l’identità, attingendo da sistemi stilistici e culturali
un tempo resi incomunicabili dalle grandi ideologie ed utopie. Senza la
guida dei riferimenti tradizionali, quindi, egli elabora un gran numero di
identità per se stesso, tendendo a adottare posizioni contraddittorie.
Questo inasprimento della concorrenza generale e specifico, dunque,
riguarda tutte le organizzazioni culturali. Colbert
3
le distingue a seconda
delle modalità in cui le opere d’arte sono prodotte. Abbiamo il “settore
artistico”, composto da organizzazioni non profit la cui ragion d’essere è il
2
Ferry L., Renaut A., Cattani M.H.S., 1990,
French Philosophy of the Sixties: An Essay on Antihumanism,
edizioni Paperback, University of Massachussets Press, Amherst
3
Colbert F., 2000, Marketing delle arti e della cultura, Etas libri, Milano.
7prodotto unico o prototipo, le quali dunque hanno un orientamento al
prodotto, e le imprese orientate al mercato, che riproducono un prototipo in
molte copie contemporaneamente per generare profitti. Queste ultime
sarebbero principalmente le industrie culturali produttrici di film, dischi,
libri. Si possono aggiungere anche le case di moda.
Oltre a questi due gruppi esistono categorie intermedie, che si riferiscono a
casi come le produzioni di Brodway (prototipi orientati al mercato), e
editori non profit (industrie culturali più vicine al settore artistico).
Per tutte queste organizzazioni, dunque, ed in particolare per quelle della
cosiddetta industria culturale, si impone il raggiungimento del successo con
i propri prodotti, che la circostanza vuole siano anche opere d’arte. Questo
fatto comporta delle complicazioni teoriche che alimentano non poche
problematiche.
Quella del prodotto, nelle imprese di beni di consumo, e tanto più in quelle
di beni strumentali e industriali, è una politica indiscutibilmente inquadrata
tra quelle del marketing in un’ottica non più solo operativa, ma
necessariamente strategica: lo studio dei bisogni dei consumatori è
irrinunciabile premessa allo sviluppo del prodotto. La teoria ha oramai
messo a disposizione delle organizzazioni in cui la filosofia del marketing è
più condivisa, raffinati strumenti per rispondere adeguatamente ai problemi
dei consumatori in termini di benefici offerti.
Il marketing culturale, pur ammettendo l’esistenza di organizzazioni, quelle
dell’industria culturale, che, essendo orientate al profitto, si prestano
all’applicazione del modello strategico di marketing, tende a trascurare lo
studio del prodotto culturale nella fase della sua creazione.
Il marketing culturale, infatti, come sintetizza Colbert nel libro "Marketing
delle arti e della cultura", sarebbe
8L'arte di raggiungere quei segmenti di mercato che possono potenzialmente
essere interessati al prodotto, adattando le variabili commerciali (prezzo,
distribuzione e promozione) al prodotto per mettere il prodotto in contatto
con un sufficiente numero di consumatori e per raggiungere gli obiettivi
coerenti con la missione dell'impresa culturale
4
In pratica si afferma che, per l’esigenza di autonomia del processo creativo
dell’artista, il prodotto debba essere considerato come “dato”, e le figure
organizzative non artistiche possano solo agire in termini di
“avvicinamento” di tale prodotto “dato” al pubblico mediante le politiche di
promozione, prezzo e distribuzione.
Apparentemente, insomma, l’incomunicabilità tra arte da una parte e
marketing ed impresa dall’altra risiederebbe nella diversa finalizzazione dei
due termini di questa apparente contrapposizione: l’uno alla ricerca del
bello, o in ogni modo dell’auto-soddisfazione dell’artista senza
compromessi, l’altro al profitto attraverso il soddisfacimento dei bisogni dei
consumatori.
Ma è davvero possibile assicurare all’artista il consenso che le stesse nuove
forme espressive richiedono, senza scendere a compromessi con la massa
già in fase di creazione, e semplicemente curando il pricing, la promozione
e la distribuzione?
Chi si sente di affermare che i grandi successi commerciali nel campo
dell’entertainment e della cultura di questi anni siano la pura espressione
del genio di artisti lasciati liberi nel loro empireo creativo? E che la
pubblicità di un evento, un prezzo interessante, una location insolita siano
sufficienti ad assicurarne un massiccio riscontro?
4
Colbert F., 2000, Marketing delle arti e della cultura, Etas libri, Milano, pag. 15
9Il marketing culturale riconosce il problema, cioè quello delle industrie
culturali di generare profitti e delle non profit di avere riconoscimenti dal
pubblico per avere sostegni di altro genere (pubblico e privato), ma non lo
risolve in modo soddisfacente. Si evita, infatti, di entrare nel merito delle
politiche di prodotto con modelli specifici non solo per il mondo dell’arte e
della cultura, ai quali potremmo riconoscere una relativa “intoccabilità”
dell’opera dell’artista (non si vuole affermare che sia giusto dire ad un
pittore cosa dipingere!), ma neppure nel campo del più commerciale
entertainment, che è l’attività tipica delle industrie culturali.
Si cercherà di dimostrare che, di fatto, il marketing culturale, e in ogni caso
il “management dell’arte”, nella prassi hanno degli spazi anche nel processo
produttivo.
Si vorrebbe dimostrare che aziende d’eccellenza nei propri settori hanno
sviluppato professionalità, strumenti e strutture organizzative efficaci che
garantiscono una certa discrezione del management nella produzione
dell’“output arte”, e che questa sia una condizione necessaria, anche se non
sufficiente, per la sopravvivenza e lo sviluppo ad alti livelli
dell’organizzazione artistica o culturale in genere.
Aldilà di considerazioni di merito sul valore artistico di prodotti “studiati
per il successo”, si procederà all’analisi dei casi più rilevanti di
inquadramento del creativo nelle logiche di prodotto aziendali, sia
attraverso un’esposizione empirica, tratta dall’esperienza di alcune aziende
del settore, sia attraverso la presentazione di modelli teorici pertinenti.
Dunque, pur accettando la rivendicazione da parte dei più grandi teorici del
marketing culturale dell’importanza della “genuinità” del prodotto artistico,
si cerca di argomentare la tesi per la quale, anche per le stesse
caratteristiche delle forme artistiche, è necessaria un’interazione con le
strutture decisionali dell’impresa anche in fase di creazione, e che sia
10
possibile, o meglio auspicabile, una ricerca teorica di modelli sistematici
che guidino le imprese in tal senso, in ogni caso nel rispetto della libertà
espressiva dell’artista.
Anzi, è proprio questa relazione di necessità che deve spingere
maggiormente la ricerca in questa direzione, per evitare di lasciare il
rapporto tra artista e management alla logica dell’improvvisazione: questa è
la minaccia maggiore agli esiti del processo creativo.
Si deve inoltre tener conto della prevalente componente emozionale nel
settore dell’arte, e quindi dell’impossibilità di ridurre il rapporto artista-
impresa a deterministici modelli basati su variabili economiche: il
linguaggio dell’artista e dell’economista sono irrimediabilmente diversi.
Sarà utile riflettere anche su questo.
Non si ha la presunzione di voler delineare delle regole per il successo delle
organizzazioni culturali, ma fondamentalmente si vogliono individuare i
punti di contatto tra i mondi dell’arte e dell’impresa, possibilmente
rivelandone gli interessi comuni, e quindi l’eventuale bontà del loro
connubio per entrambi.
11
Capitolo uno
La complessità del Prodotto Culturale
1.1IlProdottoCulturalecome risultatodiun’interazionecol
pubblico
Il concetto di successo di un prodotto artistico o culturale deve essere
considerato in maniera meno riduttiva rispetto ai prodotti commerciali tout
court. Nelle imprese commerciali il rischio nel lancio di un nuovo prodotto
fa riferimento alla possibilità che il produttore fallisca.
In un tale contesto, il fallimento generalmente significa “fallimento di
mercato”, o vendite insufficienti affinché il prodotto sopravviva o rechi dei
vantaggi economici. Potrebbero esserci numerose ragioni per il fallimento
commerciale di un nuovo prodotto: mancanza di domanda, linea poco
attraente, marketing mix poco efficace, presenza di prodotti in
competizione. In ogni caso, tuttavia, il concetto di rischio è connesso a un
fallimento o perdita finanziaria.
L’opera d’arte, invece, cosa deve considerare come fallimento? Quali sono i
suoi obiettivi?
Hirschmann
5
individua, sulla base della nozione di soddisfazione nello
scambio tra prodotto e mercato, l’esistenza di tre segmenti di mercato. I tre
segmenti sono definiti sulla base dell’orientamento creativo dell’artista e
dei suoi obiettivi.
Il primo segmento di mercato è l’artista o il creatore.
5
Hirschman E., 1983, “Aesthetic, Ideology and the Limits of the Marketing Concept”
in Journal of Marketing, Vol. 47, Summer, p. 45-55.
12
In questo caso la creatività è definita come auto-orientata e l’obiettivo
dell’artista è semplicemente soddisfare l’esigenza individuale di
espressione. Ai fini di questa trattazione questo orientamento ha scarsa
importanza, in quanto non offre spazi ad altre figure, oltre a quelle
dell’artista stesso, nel processo produttivo.
Se l’impresa sceglie di commercializzare questo tipo di prodotto, essendo
questo già finito, è posizione prevalente del marketing culturale (peraltro
ampiamente condivisibile) che si possa agire solo tramite le politiche
esterne promozione, prezzo e distribuzione, essendo precluso all’intervento
altrui l’accesso alla variabile prodotto.
Il secondo segmento comprende i “pari”: altri artisti, critici e professionisti
di una particolare disciplina. La creatività è definita orientata ai pari:
l’artista persegue l’apprezzamento in un particolare milieu. Benché Mogol
affermi, in un lapidario quanto condivisibile aforisma, “i critici sovrastano
l’arte come le pulci l’elefante”
6
, il parere degli opinion leader della cultura è
decisamente rilevante per l’impresa culturale. Il parere degli esperti può,
sebbene relativamente, sostenere il successo commerciale di un prodotto
culturale o decretarne il fallimento, oltre ad incidere durevolmente sulla
carriera di un artista.
Il terzo segmento è il pubblico in generale: la creatività dell’artista si
definisce commerciale o orientata al mercato. L’obiettivo primario in
questo caso è più spesso il profitto economico, o comunque un’esigenza di
affermazione popolare da parte dell’artista.
Gli artisti possono creare nella speranza di raggiungere uno o l’altro di
questi segmenti o addirittura tutti e tre, ma anche se gli artisti cercano di
raggiungere tutti e tre i segmenti possono comunque trovare soddisfazione
nel loro lavoro.
6
Mogol, 1990, Immensamente piccolo, Sperling & Kupfer Editori, pag.107
13
Bisogna, infatti, stare attenti a considerare la ricerca di un pubblico da parte
dell’artista solo come una mera manifestazione di ego e brama di guadagno.
Innanzitutto perché in alcuni casi i prodotti culturali sono offerti
gratuitamente dall’artista. Per cui il successo di questi prodotti non ha
niente a che vedere con il successo economico, bensì unicamente con la
partecipazione del pubblico.
Inoltre le stesse forme artistiche più contemporanee sembrano andare, oggi,
nella direzione di una finalizzazione collettiva.
Becker (1978) giustamente afferma che "le nuove forme realizzate dagli
artisti assicurano che l'unico tipo di utilizzo delle opere d'arte è quello di
essere oggetto di ammirazione, di apprezzamento e di coinvolgimento"
7
.
Pensiamo alle arti figurative. I musei di arte contemporanea sono ormai dei
grandi catalizzatori dell’attenzione di massa. E non solo perché l’ingresso è
gratuito o perché c’è un Coffee bar dal design accattivante, bensì per le
opere stesse presentate, che riescono a suscitare l’interesse soprattutto del
pubblico più reticente al concetto “classico” di opera d’arte: i giovani.
Questo nuovo tipo di opere (installazioni, sculture, strutture elettroniche…)
prendono vita dal contatto con la gente, coinvolgono lo spettatore in
un’esperienza interattiva che è il vero presupposto dell’opera. Il contatto
emozionale con l’opera viene veicolato da un contatto sensoriale più
totalizzante, e dunque di maggior richiamo anche per chi non è incline ad
apprezzare opere meno “accessibili”. Degli esempi potranno chiarire questa
nuova tendenza artistica.
7
Renault D. B., 2002, Valutazioni del comportamento del consumatore nel campo del marketing
delle arti e della cultura
http://www.fizz.it/argomenti/principi/2002/valutazioni_ijam_1.htm