5
presidente G.W.Bush nella decisione di abbattere il regime di Saddam Hussein. Una
decisione che, per il suo valore politico, ha comportato che il governo spagnolo
diventasse promotore di una guerra nonostante l’opinione contraria di gran parte della
popolazione, dell’intera opposizione e di alcuni membri del suo governo. Oltre alle
memorie di Aznar sono apparse altrettanto utili quelle di altri protagonisti degli eventi
narrati quali Federico Trillo, ministro della Difesa spagnola dal 2000 al 2004, Fernando
Valderrama, diplomatico spagnolo a Baghdad fino al 2002, Miguel Benzo, ambasciatore
spagnolo in missione speciale in Iraq nel 2003, Madeleine Albright, segretario di Stato
americano durante l’epoca Clinton, Hans Blix, capo della Commissione Onu di controllo,
di verifica e d'ispezione delle armi di distruzione di massa in Iraq, Francisco Luis Miguel
militare spagnolo e cronista di guerra.
Inoltre è stato necessario integrare il lavoro svolto con fonti giornalistiche
provenienti sia dai principali quotidiani spagnoli, americani, francesi ed italiani quali El
País, El Mundo, La Vanguardia, The New York Times, The Washington Post, The
International Herald Tribune, Le Monde, Liberation, Il Corriere della Sera, La
Repubblica, La Stampa; sia da saggi d’inchiesta pubblicati da alcuni giornalisti esperti in
materia come gli statunitensi Bob Woodward o Mark Danner.
Da queste fonti è scaturita una tesi che affronta tre argomenti principali. Un prima
parte riguarda la ricostruzione della politica estera spagnola dalla guerra civile
all’amministrazione Aznar; una seconda è incentrata sulla descrizione della crisi irachena
del 2003, con particolare attenzione per l’irrigidimento delle relazioni Europa-Stati Uniti
e per il ruolo del governo spagnolo; una terza, infine, analizza le principali conseguenze
del conflitto iracheno in Spagna, il relativo cambio di governo e il racconto delle vicende
riguardanti gli attentati di Madrid del 11 marzo. Per quel che riguarda il primo capitolo è
stata effettuata una descrizione dei principali eventi che hanno caratterizzato la politica
estera spagnola dalla fine degli anni ’30 fino al 2004, anno in cui il Partido Popular di
Aznar perse le elezioni a favore dei socialisti guidati da José Luis Rodríguez Zapatero.
L’excursus storico realizzato è stato focalizzato su determinati punti chiave delle
relazioni internazionali della nazione iberica. Tra questi l’individuazione delle linee guida
che hanno caratterizzato le scelte dei governi che si sono succeduti negli anni e le relative
coordinate fondamentali nelle relazioni con l’esterno in funzione degli interessi nazionali
coinvolti. Successivamente è stato analizzato l’isolamento che ha contraddistinto il
6
regime di Franco per oltre 35 anni e il conseguente decadimento spagnolo in quel
periodo. La transizione democratica e poi i governi dei socialisti sono stati descritti
prestando particolare attenzione su una questione fondamentale: la costruzione del
consenso in politica estera all’interno delle forze politiche esistenti. Con i due ultimi
esecutivi presi in esame invece, si è voluto dare peso alla rottura di tale consenso da parte
dell’amministrazione Aznar riguardo la decisione di partecipare al conflitto in Iraq a
fianco degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Si è inoltre voluto sottolineare come tale
scelta sia stata il frutto di una scommessa molto personale dell’allora capo della Moncloa,
in quanto incontrava un certo scetticismo anche all’interno dello stesso Partido Popular.
Per quanto concerne la crisi irachena invece, si è innanzitutto voluto ricostruire
sinteticamente la storia dell’Iraq dalla creazione del regno nel 1921 da parte degli inglesi
fino al conflitto contro la coalition of the willings del 2003. Una parte consistente è stata
ovviamente dedicata alla descrizione dell’ascesa al potere di Saddam Hussein e del suo
ambiguo rapporto con l’Occidente. Successivamente sono state prese in esame le
relazioni tra Europa e Stati Uniti concentrandosi sul raffreddamento dei rapporti tra le
due sponde dell’Atlantico riguardo la decisione di intervenire militarmente in Iraq. In
particolare ci si è soffermati sulla disputa tra gli Stati Uniti e la “vecchia Europa”,
seguendo la definizione di Francia e Germania formulata da Donald Rumsfeld, segretario
della Difesa nell’amministrazione di G.W.Bush. Altrettanto importante è stato lo spazio
dedicato all’ “Europa atlantista”, ovvero a quei governi europei che hanno mostrato
maggiore appoggio alla Casa Bianca nella volontà di colpire la dittatura di Saddam
Hussein. Tra questi un ruolo importante è stato ricoperto dalla Spagna, rivelandosi
l’interlocutore europeo preferito dagli americani. Questa funzione è stata assolta da
Madrid sia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2003 come membro non
permanente, sia nel corso delle tappe conclusive della cosiddetta “crisi irachena”,
attraverso l’organizzazione di quello che fu definito il “consiglio di guerra” sull’Iraq,
ovvero il vertice delle Azzorre. Minore spazio è stato invece dedicato all’invasione della
nazione di Saddam dalla parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti avvenuta nel
marzo del 2003, per lasciare posto al contributo spagnolo nelle operazioni del cosiddetto
postwar.
L’ultimo capitolo, come accennato, è invece dedicato alle tragiche vicende di
Madrid del 11 marzo 2004 e alle successive elezioni legislative che videro trionfare il
7
Psoe di Zapatero. L’analisi è stata incentrata sulle idee sul terrorismo che Aznar ha reso
pubbliche nelle sue memorie e nei suoi discorsi, rivelando anche la propria strategia anti-
terrorista a riguardo. Infine sono stati presi in particolare considerazione il ruolo dei
media stranieri riguardo gli accadimenti successivi agli attentati dell’11 marzo, le
omissioni da parte del governo e le relative proteste popolari. Gli eventi relativi
all’elezione di Zapatero come Presidente del Consiglio e alla sua decisione di ritirare il
contingente spagnolo dall’Iraq chiudono il lavoro svolto.
Oltre alla narrazione degli eventi, attraverso questo lavoro si è cercato di
ricostruire un’ideologia, quella dell’amministrazione spagnola, ma soprattutto del suo
leader, rispetto a determinate questioni internazionali quali la “lotta al terrorismo” e la
decisione di invadere l’Iraq. Nel farlo sono state riportate le voci di una vasta pluralità di
autori, spagnoli e non, dando vita ad una polifonia che fa riferimento ad un ampio
numero di punti di vista. Tuttavia è possibile scorgere nelle conclusioni finali una critica
alle scelte adottate dal governo Aznar sull’Iraq e ad un sistema di risoluzione delle crisi
internazionali, fondato sull’unilateralismo, che prescinde dal rispetto delle norme di
diritto internazionale e dal ruolo delle Nazioni Unite.
8
LA POLITICA ESTERA SPAGNOLA CONTEMPORANEA
Quando si riflette sulla politica estera spagnola contemporanea si può notare come sia
consueto descriverla, anche nella più recente storiografia, utilizzando termini quali
“piccolezza”, “irrilevanza”, “atonia”, “passività”, di fronte al protagonismo di altre
nazioni.
Si è dibattuto a lungo se definire la Spagna contemporanea una “piccola potenza”
o una “potenza intermedia”. Si può tuttavia affermare come questa sia una polemica
piuttosto sterile, in quanto ciò che importa sottolineare è lo status di secondo piano sul
panorama internazionale che tale nazione ha assunto nell’arco degli ultimi due secoli,
soprattutto rispetto alle glorie del periodo coloniale.
Alla fine del XIX secolo la Spagna era un paese che aveva ridotto fortemente i
suoi orizzonti, che aveva limitato le sue vedute allo stretto di Gibilterra e che, in virtù
della sua posizione strategica in Europa era stata a lungo sotto lo sguardo vigile delle
principali potenze europee, Francia e Inghilterra. Entrambi gli stati, preoccupati dalla
dimensione bi-marittima e bi-continentale della Spagna, tanto da essere definita “porta
dell’Europa”, avevano cercato, sin dai tempi di Isabella II, di controllarne gli impulsi e le
aperture in politica estera. Solo per citare alcuni esempi riguardanti il secolo scorso basti
pensare alle frizioni con la Francia sulle zone di influenza in Marocco e con l’Inghilterra
sulla delicata questione di Gibilterra. Per dirla attraverso le parole di Salvador de
Madariaga, illustre politico e storico spagnolo della Seconda Repubblica “Basta dare
un’occhiata alla cartina per notare che i vantaggi strategici naturali della Spagna sono tali
che, se giocherà un ruolo forte nel mondo, potrà avere una posizione di primo piano, ma
se giocherà un ruolo debole, sarà costante oggetto di attenzione da parte dei forti”
1
.
La sconfitta nella guerra con gli Stati Uniti del 1898, sorta in merito alla questione
cubana, che causò la perdita dei possedimenti coloniali di Cuba, Porto Rico, l’isola di
Guam e le Filippine, segnò definitivamente la fine del prestigioso impero coloniale
spagnolo. Tuttavia, sin dall’inizio del XIX secolo, la Spagna venne relegata ad un ruolo
di potenza marginale, economicamente e militarmente indebolita e politicamente ridotta.
1
Salvador De Madariaga y Rojo, España. Ensayo de historia contemporánea. (Madrid: Espasa-Calpe, 1978)
9
L’Europa nata dal Congresso di Vienna l’aveva tagliata fuori da una posizione da
protagonista sulla scena internazionale, facendola sprofondare nel “secolare isolamento”
che ha caratterizzato la politica estera spagnola di tutto l’Ottocento e buona parte del
Novecento.
Tale isolamento è stato il risultato di cause endogene ed esogene. Tra le prime
possiamo sicuramente citare l’eccessivo legame all’idea della “grandezza passata”, al
concetto di “penisola come mondo a parte” e la tendenza a polarizzare nel sud del paese
la nozione di frontiera. Tra le seconde alla debolezza economica e politica si unì
l’immagine stereotipata dello spagnolo fanatico religioso e bigotto agli occhi degli
europei.
Nel corso del XIX secolo la Spagna subì quindi un processo di emarginazione
politica dovuto sia ai suoi governanti che alle scelte delle grandi potenze mondiali. Lo
Stato si trovò dunque obbligato a gravitare nell’orbita franco-britannica per tutto il
secolo segnando una delle linee guida della politica estera spagnola fino all’inizio del
Novecento: “D’accordo con Francia ed Inghilterra su tutto ciò in cui hanno posizioni
comuni, astenendosi su quello in cui divergono”.
2
In questo senso né la Quadruplice Alleanza del 1834 con Portogallo, Francia e
Inghilterra, né tantomeno gli accordi di Cartagine del 1907 con l’entente francobritannico
possono essere considerati come vere e proprie alleanze con i leader della scena politica
europea. La prima fu più che altro una richiesta di aiuto dei due stati iberici ai sovrani di
Francia e Inghilterra per cercare di risolvere problemi politici interni. I secondi,
nonostante il loro importante valore politico, non furono propriamente un patto di mutua
difesa e di garanzia territoriale per gli spagnoli. D’altra parte, come disse Cánovas del
Castillo: “ Non ha alleati chi vuole, ma chi può, chi è in grado di dare in cambio qualcosa
a ciò che viene offerto.”
3
Seguendo questo ragionamento si può parlare di un isolamento forzato e non
volontario. La Spagna rimase priva di un patto difensivo di sicurezza per più di un secolo,
nonostante i timidi tentativi del governo di “stringere amicizie” sulla scena
internazionale. Ricordiamo ad esempio gli sforzi del Presidente del Consiglio Sagasta,
quando nel 1886 proponeva formalmente all’Italia l’ingresso nella Triplice Alleanza o del
2
Manuel Pando Fernández de Pinedo, Marques de Miraflores, in Juan Carlos Pereira Castañares, La Política
Exterior De España (1800-2003). Historia, Condicionantes y Escenarios. (Barcelona: Ariel, 2003) pp 554
3
Antonio Cánovas del Castillo, in Juan Carlos Pereira Castañares, La Política Exterior De España (1800-2003). cit.
pp.555
10
suo successore Silvela che tra il 1899 e il 1903 cercò di ottenere da Francia e Russia una
protezione dopo la disfatta nella guerra del 1898.
Tuttavia la debolezza economica e militare del Paese non gli conferiva il rango di
socio desiderabile. La Spagna d’inizio Secolo, agli occhi dei principali governi, non
rappresentava altro che il soggetto da non invitare “alla propria festa di compleanno”. Se
a questo aggiungiamo gli avvenimenti che caratterizzarono la politica interna spagnola
del Novecento, quali la guerra civile e la dittatura di Franco, escludendo la parentesi
repubblicana che rappresentò un epoca di attivismo politico e di maggiore apertura verso
l’esterno, non è sorprendente parlare di isolazionismo fino al 1976, data della transizione
democratica.
C’è un ulteriore aspetto che vale la pena sottolineare tra le note introduttive di
questo capitolo e che ha contribuito all’ affermazione di tale isolazionismo, ovvero la
cosiddetta “marca España”. Con questo termine si intende non solo il marchio d’origine,
come quello delle carni dei bovini per fare un esempio, ma soprattutto l’immagine che lo
spagnolo ha rappresentato ed ancora oggi rappresenta, all’occhio del resto del mondo in
epoca contemporanea. Con ciò non si vuole attribuire a determinati stereotipi e cliché
tipici dei paesi cattolici dell’Europa del sud la capacità di determinare la politica estera di
una nazione, tuttavia si può affermare che l’archetipo dello spagnolo contadino, ignorante
e bigotto sicuramente non ha influito in modo positivo sulle relazioni dello Stato con
l’esterno.
D’altra parte la decadenza e il ritardo nello sviluppo dei popoli latini, in contrasto
con la vitalità e l’energia dei popoli anglosassoni e germanici, favorirono fin
dall’Ottocento il ritorno dell’immagine del crudele conquistatore spagnolo. Si trattava,
per intenderci, dei protagonisti della Leyenda negra, fanatici e tenebrosi, contrapposti
all’ideale illuminista di scienza e progresso che il mondo anglo-sassone, soprattutto
nordamericano, portava avanti.
Dimenticata in un battibaleno l’icona della Spagna romantica della lotta contro
Napoleone (1808-1814), emerse soprattutto verso fine Ottocento allo sguardo centro-nord
europeo il ritratto dello spagnolo decadente e arretrato, perfettamente rappresentato dalla
figura letteraria del Don Chisciotte di Cervantes; un personaggio soggetto ad un codice
d’onore ormai obsoleto, in una terra arida e povera, sopraffatto da un mondo moderno
che comprende sempre meno.
11
I risultati della guerra civile, l’instaurazione del regime di Franco e la conseguente
imposizione interna dell’ortodossia nazional-cattolica della Spagna tradizionalista
risultarono decisivi per mantenere in vita l’immagine negativa della nazione anche nel
Novecento.
I legami del regime franchista con quello di Mussolini, la solidarietà ideologica
con le potenze dell’Asse durante il secondo conflitto mondiale e la sopravvivenza della
dittatura nel dopoguerra, collocarono la Spagna in una posizione anomala rispetto al
nuovo ordine mondiale. Allo sguardo del mondo democratico rappresentava, insieme al
Portogallo di Salazar, l’ultimo tentativo di conservazione del fascismo sconfitto.
L’opinione pubblica internazionale ripristinò quindi gli attributi della Spagna liberticida
di Torquemada o di Felipe II quali: oscurantismo, repressione, autoritarismo e crudeltà; e
dimenticò le più rosee parentesi della storia contemporanea spagnola, come quella della
Seconda Repubblica.
La Spagna, a causa della sua involuzione autoritaria, rimase completamente isolata
dalla comunità internazionale fino al 1953, anno degli accordi con gli Stati Uniti e con il
Vaticano. I primi riconoscimenti internazionali e l’acutizzarsi della guerra fredda
conferirono al regime franchista maggior attenzione mondiale, soprattutto da parte degli
USA, a causa dell’ indiscutibile valore strategico della regione iberica. Inoltre la messa in
atto di un piano di riattivazione economica ed una timida forma d’ apertura al turismo
verso la fine degli anni ’50, contribuirono all’eliminazione delle prime barriere
economiche e culturali verso lo Stato. Alcuni autori di fama internazionale, quali Ernest
Hemingway, Gerald Brenan o Robert Graves tornarono a scrivere degli aspetti
caratteristici del popolo spagnolo. Fu ritratto come un popolo rurale, immune ai cambi e
fedele alle sue tradizioni, ma anche generoso, leale e sincero. Si trattava dei miti della
“felicità del povero” e dell’ ”autenticità ispanica” che contribuirono alla sopravvivenza
dell’immagine dello spagnolo umile e ignorante, legato al proprio paesino d’origine e alle
proprie tradizioni. Lo slogan Spain is different si riferiva esattamente alla concezione di
uno Stato orgoglioso dei suoi usi e costumi, che non aveva bisogno né del progresso né
della modernità.
Questa raffigurazione si è andata perdendo negli anni sessanta e settanta grazie all’
“internazionalizzazione” della decadenza del regime franchista e ad una lenta apertura
verso l’esterno. Al giorno d’oggi si parla spesso della transizione democratica spagnola
12
come di un vero e proprio modello, per il suo carattere pacifico e graduale. Tuttavia si
può sostenere che l’icona della “nuova Spagna” che si affermò al momento
dell’instaurazione democratica racchiudeva una serie di valori e principi, già condivisi da
buona parte della popolazione spagnola. In realtà essi tardarono ad essere tradotti in
pratica più per la longevità di Franco che per la volontà della classe politica. La
democrazia e l’Europa furono soprattutto negli anni settanta l’obiettivo primario della
nazione. Raggiunto il primo nel 1976, fu soltanto a partire dal 1986, anno dell’ingresso
della Spagna nella Comunità Europea e del referendum per il mantenimento
nell’Alleanza Atlantica, che si può finalmente considerare lo Stato iberico come
pienamente incorporato nel panorama politico internazionale.
La nuova società democratica riuscì quindi a rimuovere la suddetta marca
España? Certamente la volontà di cancellare definitivamente lo stereotipo dello spagnolo
come eterno decadente determinò la nascita di movimenti contro-culturali negli anni ’80,
quale quello della movida. L’idea di una cultura alternativa o underground, perfettamente
inquadrata dalle prime pellicole di Almodóvar e Trueba o dai dischi di Alaska e Los
Zombies, che attraverso lo scandalo, il sesso e l’alcol incarnasse l’idea di modernità,
raffigurava il desiderio di una parte della società spagnola di sopprimere il cliché di
arretratezza culturale che aveva rappresentato la nazione per oltre un secolo. La Spagna
di oggi sembra aver superato il complesso di inferiorità di cui aveva a lungo sofferto, ma
tralasciando ora l’aspetto culturale e societario, non oggetto del presente studio, ci si
limita soltanto a ricordare che la longevità e la lunga sopravvivenza degli stereotipi hanno
contribuito a creare maggiore o minore diffidenza nel sistema delle relazioni
internazionali, non solo nel caso spagnolo.
13
Le linee guida della politica estera spagnola contemporanea
Nel paragrafo precedente si è accennato più volte alla pequeñez, cioè alla piccolezza
della politica estera spagnola contemporanea, all’ “isolamento forzato” subito dalla
nazione nel corso di quasi due secoli, al complesso di inferiorità di cui ha sofferto il
popolo spagnolo nei confronti delle grandi potenze dell’Europa centro-settentrionale,
ovvero, utilizzando una citazione di un illustre politologo, alla “mancanza di celebrità, da
parte della Spagna, nello star system dell’alta politica europea”
4
.
Ciò non significa che la Spagna, in epoca contemporanea, non abbia avuto una sua
politica estera parzialmente autonoma e indipendente dalle scelte delle grandi potenze. Al
contrario, per la sua posizione strategica di “frontiera occidentale dell’Europa”, per il suo
ruolo privilegiato nei rapporti con l’America Latina e il Mediterraneo, anche in virtù del
suo passato coloniale, ha mantenuto nel corso degli anni una condotta costante riguardo
determinate relazioni con altri Stati, modificando semmai, a seconda della situazione
interna, priorità e necessità.
Quali sono state dunque le linee guida seguite dai governi spagnoli nel
Novecento? Si possono individuare alcune coordinate fondamentali nelle relazioni con
l’esterno della Spagna, in funzione degli interessi nazionali coinvolti. Tali coordinate
sono tradizionalmente quattro: l’Europa, l’America Latina, il Mediterraneo (soprattutto
l’Africa del nord) e gli Stati Uniti.
Queste aree d’interesse sono state regolarmente poli di attrazione per il governo
iberico, ma come già affermato, è cambiato nel corso degli anni ed in base al regime
politico l’ordine di priorità tra di loro.
Si è già accennato nell’introduzione come la spasmodica ricerca di un’alleanza con
l’entente franco-britannica sia stata una costante del XIX secolo e dell’inizio del XX. Nel
corso di questo capitolo si esaminerà invece l’attitudine ambigua della politica estera
franchista, sia durante il secondo conflitto mondiale, sia nell’ambito della guerra fredda.
Si percorreranno gli anni della transizione democratica, periodo in cui il processo
4
Francisco Quintana, “España en la política europea contemporanea: secular aislamiento o acomodo circustancial?”,
in I Encuentro Peninsular de Historia de las Relaciones Internacionales, Fundación Rei Afonso Henriques, Zamora,
1998.