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Capitolo 2 
2. La crisi d’impresa e il ruolo del collegio sindacale  
 
2.1. La nozione di crisi d’impresa 
Il concetto di “crisi di impresa” può essere definito, approssimativamente, come lo 
stato patologico in cui versa un’impresa che non sia più in grado di operare secondo 
condizioni di equilibrio economico
76
. L’equilibrio economico di un’azienda, che si ha 
essenzialmente quando i ricavi superano i costi, è caratterizzato dalle seguenti 
condizioni: 
a) la gestione produce risultati sufficienti a consentire una congrua remunerazione di 
tutti i fattori impiegati, ivi compresi i conferimenti del capitale di rischio (e quindi 
anche del soggetto per conto del quale si svolge tale gestione); 
b) la capacità di salvaguardare il patrimonio aziendale; 
c) la garanzia di detti risultati per un periodo di tempo ritenuto soddisfacente
77
. 
È evidente come una definizione siffatta non permetta di definire una soglia di 
equilibrio o di efficienza; tale definizione pertanto risulta essere non oggettiva. Nel 
giudicare lo stato di salute di un’azienda, inoltre, è fondamentale fare riferimento alle 
prospettive della stessa, in quanto l’azienda è un complesso organizzato di beni e 
persone in continuo divenire, in perenne trasformazione e dinamicità. Per tali motivi 
non è possibile guardare all’azienda come un soggetto statico, né assume significato 
lo stato in cui versa l’impresa, singolarmente considerato
78
.  
                                                 
76 
Cfr. SCIARELLI S., La crisi d’impresa: il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie 
imprese, Padova, Cedam, 1995, 10. 
77
 Cfr., per la definizione di equilibrio economico, VERGARA C., Disfunzioni e crisi d’impresa: 
introduzione ai processi di diagnosi, risanamento e prevenzione, Milano, Giuffrè, 1988, 47. Per il punto 
specifico sub c) riguardante il soddisfacimento di tali condizioni per un periodo di tempo soddisfacente, 
v. SCIARELLI, op. cit., 10. 
78
 VERGARA, op. cit., 49. Tale affermazione può desumersi anche dalla lettura del punto c), rientrante 
nella definizione di equilibrio economico: proprio perché l’equilibrio economico postula una serie di 
condizioni che devono essere rispettate lungo un intervallo temporale non breve, non è possibile 
misurare lo stato di salute di un’azienda in un momento puntuale. Invero, «l’analisi della tendenza dei 
risultati economici acquista importanza preponderante rispetto all’osservazione dello stato di 
economicità», v. SCIARELLI, op. cit., 11.
36 
 
Questa definizione risulta parziale anche in vista del fatto che la dimensione 
economica non è la sola da rispettare, in termini di equilibrio, all’interno del complesso 
aziendale; è necessario considerare anche la dimensione finanziaria, quella 
competitiva e quella sociale
79
. Questi aspetti risultano indissolubilmente legati e non è 
possibile considerarli autonomamente: l’equilibrio economico duraturo è condizione 
necessaria per ottenere il correlato equilibrio patrimoniale-finanziario; inoltre, 
un’azienda che si trovi in stato di equilibrio economico, ma con un basso livello di 
competitività, verosimilmente non sarà in grado di perdurare a lungo sul mercato, 
senza opportune strategie correttive; così come se l’azienda perde di credibilità sul 
mercato, con una conseguente sfiducia crescente da parte degli stakeholders, questo 
impatterà irrimediabilmente sui suoi risultati, e così via. 
In aggiunta, è da considerare che la definizione di crisi può mutare in ragione del 
contesto storico e del luogo di riferimento.  
Per tutte queste ragioni, appare difficile dare una definizione univoca di crisi. 
Peraltro, è stato fatto notare come la crisi rappresenti una fase del ciclo di vita 
dell’impresa, un periodo che colpisce, prima o poi, qualsiasi tipo di azienda; non solo, 
ma paradossalmente il momento di inizio della crisi (e quindi di declino) coincide con 
l’apice del successo
80
. In un contesto mutevole e iper-dinamico come quello attuale, è 
quindi necessario che le imprese siano in grado di adattarsi ai continui cambiamenti, 
rispondere alle diverse esigenze dei clienti, sviluppare punti di forza che consentano 
loro di differenziarsi dai competitors, per mantenere dei vantaggi competitivi che 
consentano loro di difendere la propria posizione concorrenziale.  
La crisi, ad ogni buon conto, rappresenta un processo degenerativo
81
, più o meno 
rapido, che si evolve nel tempo e che non si manifesta all’improvviso. Invero, in 
dottrina sono state sviluppate delle analisi riguardanti le fasi (o meglio, gli stadi) di 
evoluzione della crisi. Secondo la terminologia usata da Guatri
82
, è possibile 
                                                 
79
 VERGARA, op. cit., 50. 
80
 Cfr. DANOVI A., Crisi d'impresa e risanamento finanziario nel sistema italiano, Milano, Giuffrè, 
2003, 9. 
81
 ANDREI P. et al., Crisi di impresa e procedure concorsuali: spunti critici emergenti da un’indagine 
empirica, Università degli studi di Parma, istituto di ricerche “Gino Zappa”, Milano, Giuffrè, 1996, 163. 
Cfr. SCIARELLI, op. cit., 9. 
82
 V. GUATRI L., Crisi e risanamento delle imprese, Milano, Giuffrè, 1986, 11.
37 
 
individuare quattro fasi di sviluppo di una crisi di impresa: 1) squilibri e inefficienze 
(o declino); 2) perdite (o crisi, in senso stretto); 3) insolvenza; 4) dissesto. 
1) Lo stadio degli squilibri e inefficienze, che possono essere di natura interna o 
esterna, rappresenta l’origine della crisi stessa, il momento a partire dal quale si 
spezza l’equilibrio del sistema; se tali squilibri e inefficienze non vengono risolti, 
possono sfociare in perdite, di diversa intensità.  
2) Le perdite erodono gradualmente le risorse aziendali  con l’assorbimento delle 
riserve iscritte in bilancio prima e di quote del capitale poi  oltreché provocare 
una erosione della liquidità e un appesantimento dei debiti
83
. In questa fase si rende 
necessario, quindi, un intervento  da parte degli amministratori e, in loro 
mancanza, dei sindaci  volto ad evidenziare correttamente le perdite, definirne i 
modi di copertura e, non meno importante, verificare l’integrità del capitale 
sociale
84
.  
3) Con l’aumentare dell’intensità di tali perdite, esse genereranno l’insolvenza, la 
quale rappresenta la manifestazione più eclatante della crisi di impresa, e cioè 
l’incapacità dell’impresa di far fronte regolarmente e tempestivamente agli 
impegni assunti. In questa fase la crisi non assume più connotati meramente interni 
all’azienda, bensì produce effetti, più o meno importanti, nei confronti dell’esterno 
(ad esempio perdita di fiducia sul mercato, perdita di clientela, ecc.)
85
.  
4) Da ultimo, vi è lo stadio del dissesto, inteso come incapacità permanente dell’attivo 
di fronteggiare il passivo. Qui tutto è perduto: gli equilibri finanziari, economici e 
patrimoniali sono irrimediabilmente compromessi e non è utilmente esperibile 
alcuna forma di intervento
86
. In questa fase tuttalpiù l’organo amministrativo (e, in 
secondo luogo, quello di controllo) dovrà verificare l’eventuale sussistenza di una 
delle cause di scioglimento previste dall’art. 2484 c.c.
87
 
È facilmente comprensibile come una crisi fronteggiata nel suo primo stadio, prima 
cioè che si manifestino perdite economiche, ha certamente maggiori possibilità di 
                                                 
83
 GUATRI, Crisi e risanamento, cit., 12. 
84
 Cfr. BONECHI A., “Collegio sindacale e nuova disciplina della crisi d’impresa”, in LIBONATI B., 
Il collegio sindacale: le nuove regole, a cura di Riccardo Alessi, Niccolò Abriani, Umberto Morera, 
Milano, Giuffrè, 2007, 526 e ss. 
85
 GUATRI, Crisi e risanamento, cit., 12. 
86
 L’unica soluzione utile consiste nel ricorrere a una procedura concorsuale. 
87
 BONECHI, op. cit., 526.
38 
 
essere risolta rispetto a un intervento successivo. Ma la difficoltà per le imprese e per 
i soggetti che la governano è sovente riconducibile proprio alla individuazione della 
crisi
88
: questo comporta che spesso ci si accorge, in qualche caso sarebbe meglio dire 
si ammette
89
, di versare in una situazione di crisi quando ormai è troppo tardi e ogni 
tentativo di ripristino di una situazione normale sembra solo un’illusione.  
2.2. Le cause della crisi 
Individuare i fattori causali di una crisi è importante in quanto se si comprendono le 
cause che hanno portato a questa situazione di patologia, sarà possibile appresso 
intervenire su di esse ed eventualmente rimuoverle, arrivando così a risolvere la 
situazione di crisi. L’insieme delle cause all’origine della crisi può anche essere 
interpretato come una serie di sfide lanciate all’impresa: queste rappresentano 
l’insieme dei rischi ai quali il management deve essere in grado di far fronte. Del resto, 
è necessario considerare che «non è tanto dall’entità delle cause che dipendono le crisi 
quanto, piuttosto, dallo squilibrio fra profilo di rischio e capacità manageriali
90
».  
In prima battuta, si deve distinguere tra crisi di origine esterna (o esogena), scatenate 
da fattori che esulano dal controllo della direzione
91
, le quali solitamente non 
rappresentano il motivo principale di una crisi bensì, casomai, una concausa
92
 e crisi 
di origine interna (o endogena), che traggono origine da inefficienze interne 
all’azienda stessa ed entro le quali si è soliti suddividere, ulteriormente, tra gli approcci 
oggettivi, da un lato e, dall’altro lato, gli approcci di tipo soggettivo. Le cause di natura 
soggettiva sono esclusivamente riferibili agli uomini, i quali sono visti e considerati 
come unici artefici del successo o dell’insuccesso dell’attività di impresa. In 
                                                 
88
 Cfr. SCIARELLI, op. cit., 13. 
89
 Spesso, infatti, gli imprenditori sono portati a “negare l’evidenza”, nel senso che sono restii ad 
ammettere di trovarsi in difficoltà, con tutte le conseguenze negative che questo comporta. Così, ad 
esempio, Guatri afferma che «l’avvicinarsi della fase negativa è preceduta inevitabilmente da sintomi 
premonitori, dei quali vi è una tradizionale riluttanza degli imprenditori e dei manager a rendersi 
consapevoli e soprattutto a trarne le necessarie e spesso urgenti conseguenze» (v. GUATRI L., 
Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore, Milano, Egea, 1995, 15).  
90
 Cfr. ANDREI P. et al., op. cit., 169. 
91
 Esempi di cause esogene possono essere: motivi macro-economici, come carenza del sistema 
finanziario o mutamenti sfavorevoli nella legislazione settoriale; movimenti culturali, quali no-global o 
ecologisti; eventi catastrofici, come terremoti, incendi, allagamenti, atti terroristici, guerre, ecc.; 
andamenti settoriali, come aumento della concorrenza, diminuzione della domanda di un prodotto 
oppure riduzione di barriere all’entrata.  
92
 Come evidenziato anche dal già citato studio dell’Università degli studi di Parma (ANDREI et al., 
op. cit., 132).
39 
 
particolare l’approccio soggettivo ritiene che le cause della crisi siano da ricercarsi nei 
comportamenti assunti dai seguenti soggetti: in primis il management e la proprietà in 
generale, i quali spesso hanno un ruolo chiave nella individuazione e gestione della 
crisi; in secondo luogo, vengono messi sotto accusa gli azionisti, che spesso danno 
adito a politiche errate quali eccessive distribuzioni di dividendi, errata scelta del 
management, indisponibilità ad apportare ulteriore capitale, ecc. Da ultimo, è possibile 
incolpare anche gli altri soggetti che operano all’interno dell’impresa, quali ad esempio 
gli addetti alla produzione, alla vendita, e così via. Sicuramente nella maggioranza dei 
casi i soggetti sono un fattore determinante nella vita di una impresa: i loro errori, le 
loro incapacità, le loro mancanze non sono mai completamente avulsi dai processi di 
crisi
93
. D’altro canto, non si può escludere che anche fattori di tipo oggettivo impattano 
sulla situazione di crisi in cui versa l’azienda
94
. In un’ottica obiettiva è possibile 
distinguere in cinque differenti tipi di crisi, a seconda delle cause che le hanno 
generate
95
: 
1) Le crisi di inefficienza, caratterizzate dal fatto che l’impresa opera con costi 
superiori (e, di conseguenza, rendimenti inferiori) rispetto a quelli dei suoi 
concorrenti. Tali inefficienze possono investire qualsiasi area e funzione 
dell’impresa, ad esempio un’inefficienza organizzativa (la quale può essere 
causata da una carenza nei sistemi di contabilità analitica, ad esempio, che non 
permette di programmare correttamente la gestione futura), oppure un’inefficienza 
produttiva (impianti obsoleti o senescenti, scarsa capacità della manodopera), 
inefficienza dell’aerea commerciale (determinate, ad esempio, dall’insuccesso di 
campagne promozionali oppure dall’inadeguatezza della rete di vendita), 
inefficienze nell’attività amministrativa (date da carenze nel sistema informativo e 
contabile) e, infine, inefficienza finanziaria (ad esempio un maggior costo del 
capitale proprio o di credito rispetto alla concorrenza). 
2) Le crisi da sovraccapacità/rigidità possono originarsi da cali nella domanda e 
quindi eccessi di capacità produttiva rispetto alla richiesta del mercato (derivanti a 
loro volta o da sovraccapacità produttiva a livello dell’intero settore, oppure da 
                                                 
93
 GUATRI, Crisi e risanamento, cit., 13. 
94
 Cfr. SCIARELLI, op. cit., 16. 
95
 Si utilizzerà, nel seguito, la distinzione operata da GUATRI (Crisi e risanamento, cit., 14; 
Turnaround, cit., 117). In realtà, le cause di crisi possono essere suddivise anche in ragione di criteri 
diversi: ad esempio, cfr. SCIARELLI, op. cit., 19.