Introduzione 
  
Se in passato la competenza manageriale era sinonimo di affinamento delle 
tecnologie e delle competenze più operative, oggi essa significa sviluppo di 
comportamenti, valori e culture organizzative che consentano al manager di 
affrontare e di superare le resistenze, interne ed esterne all'azienda, attivate dal 
continuo processo del cambiamento organizzativo. 
Il cambiamento si propone sotto forma di nuove tecnologie, di nuovi 
mercati, di nuove forme concorrenziali e di nuovi stili relazionali e rimette in 
discussione gli assunti fondamentali su cui le aziende e le organizzazioni hanno 
imparato ad operare per decenni. 
La sfida da vincere diventa allora quella che si gioca contro lo stress, la 
frustrazione per l'incertezza, l'insicurezza per la mancanza del posto di lavoro 
fisso, il senso di perdita personale e professionale da rielaborare. Per riuscire a 
vincere la sfida occorrono nuovi metodi di gestione e comportamenti manageriali 
proiettati al futuro, che sappiano, in altre parole, affrontare le sfide del 
cambiamento con le armi della preveggenza e della flessibilità. 
 Il manager moderno deve saper acquietare le ansie da spersonalizzazione, 
motivare ed incentivare i collaboratori verso la realizzazione della vision, deve 
dare supporto al fine di sviluppare i membri dell'organizzazione che sono più 
direttamente coinvolti nella realizzazione degli scopi organizzativi.  
La turbolenza esterna di quest'ultimo decennio ha reso palese tutta 
l'inefficacia della leadership retta sulla forza e sulla prevaricazione sugli altri e 
dimostra il perché, una definizione di leader come quella data da Rost, non sia 
Introduzione 
  
oggi più in grado di far luce sul ruolo del leader nelle moderne organizzazioni. 
"Grandi uomini e donne con certi tratti distintivi che influenzano i loro  
collaboratori affinché facciano quello che i leader desiderano, in modo da 
conseguire gli obiettivi del gruppo/organizzazione, nei quali si riflette una 
concezione dell'eccellenza definita da livelli molto alti di efficacia" (Rost, 1991, p. 
91). 
Oggi, infatti, ciò che si chiede ai manager è soprattutto la riduzione del 
livello di dominanza in favore di un uso più cauto del potere che promuova un 
atteggiamento empatico, di ascolto e di coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti 
nel processo decisionale e di accettazione ed integrazione dei punti di vista 
diversi. Le parole chiave del manager moderno non sono più quindi dirigere e 
indicare ma sostenere e sviluppare. 
All'interno delle ristrutturazioni organizzative e tenendo conto delle  
peculiarità che lo distinguono, il capo intermedio, svolge oggi un ruolo gestionale 
davvero cruciale per il successo organizzativo, in quanto è coinvolto in prima 
persona nella frenesia del lavoro quotidiano. A lui, infatti, compete affrontare le 
difficoltà che derivano dal tradurre in progetti ed azioni realizzabili le direttive 
aziendali dei vertici.  
Oltre alle nuove difficoltà che provengono dal contesto organizzativo, il 
capo intermedio, deve anche riuscire a superare gli  ostacoli insiti nel lavoro di 
gruppo. Inoltre, deve saper fare i conti con un "doppio legame asimmetrico" che lo 
lega, da un lato, al proprio gruppo di lavoro e alle singole persone coinvolte, e 
Introduzione 
  
dall'altro, al committment e ai vertici organizzativi (Zuffo,1997). Legame che 
mobilita questioni legate alla lealtà e alla responsabilità e che quindi accresce il 
carico emotivo di questi leader. Nonaka, ad esempio, descrive il capo di medio 
livello come un soggetto che, proprio per il suo ruolo di manager e di leader, è il 
solo ad essere in grado di integrare gli ideali del top management e la realtà 
spesso caotica della linea operativa (Nonaka, 1995).  
Bruno invece, ne sottolinea la centralità descrivendo il mid-level leader 
come: " un leader cui la turbolenza e l'incertezza richiedono di saper accedere a 
una dimensione culturale centrata sull'accompagnamento e sulla cura, i cui 
elementi valoriali afferiscono alla capacità d'ascolto, di accoglienza del diverso, di 
innovazione"(A. Bruno, 1997). 
E' a partire da queste premesse che questa tesi intende riflettere 
sull'intensità delle sfide cui sono quotidianamente esposti i capi di medio livello, 
con particolare interesse sul disagio psicologico dei leader causato dai nuovi 
scenari organizzativi, nei quali i temi della flessibilità, della deregolamentazione 
e della perdita del ruolo tradizionale non fanno che aumentare il sentimento di 
insicurezza e di conseguenza il livello di incertezza in cui sono chiamati ad 
operare. 
Al fine di conseguire questo obiettivo la tesi si articola in quattro capitoli. 
Nel primo capitolo, dopo alcune riflessioni teoriche introduttive sulle definizioni e 
le teorie "storiche" sulla leadership, si esaminano le tendenze più attuali in tema 
di leadership e il rapporto esistente tra la leadership e i gruppi di lavoro. Questa 
Introduzione 
  
prima parte termina con una riflessione conclusiva sul significato della 
leadership e su quello che significa oggi essere leader. 
Nel secondo capitolo viene messo a fuoco l’oggetto di studio, cioè  il ruolo 
del capo intermedio e quelle che sono nello specifico le difficoltà di ruolo di questa 
figura professionale. L’intento è di giungere ad una maggiore consapevolezza di 
ciò che significa oggi lavorare in un contesto aziendale fortemente caratterizzato 
dall'incertezza e dai cambiamenti tecnologici e organizzativi. In particolare, si 
commenta quello che è il ruolo del capo intermedio oggi e quelle che sono le nuove 
figure professionali emergenti. Infine, si analizzano alcune delle conseguenze 
psicologiche dei processi di ristrutturazione aziendale. 
Il terzo capitolo riguarda la ricerca qualitativa compiuta sul ruolo del capo 
intermedio. Dopo una breve premessa introduttiva sulle caratteristiche peculiari 
della ricerca qualitativa, viene presentato il disegno di ricerca e quindi il 
campione e gli strumenti utilizzati (l’intervista destrutturata e il software 
informatico ATLAS). Infine, gli ultimi due paragrafi contengono il corposo lavoro 
di sintesi e discussione dei risultati emersi dall’analisi del contenuto compiuta 
sulle interviste. 
Il quarto capitolo conclude la ricerca sul ruolo del capo intermedio. Nello 
specifico, vengono riepilogati i risultati più significativi emersi dall’analisi 
contenutistica e si delineano le possibili vie da percorrere per le future ricerche in 
ambito della psicologia delle organizzazioni. 
 CAPITOLO I 
DEFINIRE LA LEADERSHIP 
 
 
Dare un significato al termine "Leadership" non si profila certo come  un 
compito di semplice portata: si tratta, infatti, di un vocabolo largamente 
inflazionato, giacché  sono più di trentamila gli articoli, le ricerche e i libri scritti 
nel corso del secolo passato a proposito delle teorie sulla leadership.  
Una quantità di materiale così estesa trova giustificazione nel fatto che il 
fenomeno della leadership è da sempre rintracciabile in qualsiasi tipo di relazione 
umana, da quella apparentemente più semplice come quella di coppia, fino a 
quelle più complesse, come ad esempio nei gruppi, nelle comunità, nelle 
istituzioni e ovviamente nelle organizzazioni aziendali. Non deve quindi stupire 
la vastità delle definizioni e degli aspetti correlati al tema della leadership, ma al 
contrario essa può e deve farci riflettere sulla sua complessità. 
Inoltre, la varietà delle definizioni dipende dal fatto che, ancora oggi, esiste 
un'enorme discordanza tra gli studiosi di scienze sociali su quale debba essere la 
definizione corretta. Per di più, le differenze aumentano se si tiene in 
considerazione anche il contesto culturale d'appartenenza di ciascun autore. 
 Sono, infatti, moltissimi i tentativi compiuti per arrivare alla "vera ed 
unica" definizione e infinite sono le denominazioni utilizzate per descriverla.  
Capitolo I 
 
Non sono, ad esempio, mancati gli autori che l' hanno considerata in 
termini d'abilità o capacità, di ruolo o di posizione, oppure di quanti hanno 
rilevato la caratteristica dell'azione e la sua funzione nel management aziendale, 
e ancora di quanti ne hanno esaltato le doti di responsabilità, di arma, di 
processo, di stile di vita, e ancora, di esperienza e di influenza relazionale (Barker 
Richard, A., 1997).  
Inoltre, al di là delle tante definizioni, la leadership è stata esaminata da 
prospettive teoriche differenti e tra queste, le più importanti, sono quelle che 
concepiscono la leadership come un tratto della personalità, come un'arte per 
indurre sottomissione e arrendevolezza, come un esercizio  d'influenza, come una 
forma di persuasione e ancora come una relazione di potenza e infine come un 
ruolo differenziato. 
Certamente un aspetto cruciale della leadership è di essere connessa con la 
persuasione piuttosto che con il dominio, infatti, se così non fosse, si dovrebbe 
parlare solo ed esclusivamente di potere e di dominanza. Il leader è difatti, colui 
che riesce a persuadere le altre persone ad abbandonare, per un tempo prefissato, 
i propri interessi personali al fine di perseguire un obiettivo comune 
fondamentale, sia per il benessere individuale, sia per quello del gruppo (Hogan 
R; Gordon J.; Curphy, 1994).  Attraverso il solo esercizio del dominio, il capo 
riesce ad ottenere obbedienza sfruttando la propria posizione di potere 
concessagli dal ruolo esercitato all'interno dell'organizzazione.  Tale attività non 
può perciò essere considerata una strategia di leadership, la vera leadership, 
   Definire la Leadership 
 
infatti, interviene quando le persone, senza coercizione alcuna, decidono di 
adottare gli obiettivi del gruppo  come fossero i propri.  
Questa considerazione ci aiuta a cogliere un ulteriore aspetto connesso con 
la definizione di leadership poiché denota un chiaro legame tra la leadership e 
l'importanza della prestazione del gruppo. Il benessere e il raggiungimento dei 
risultati di quest'ultimo sembrano cioè essere una prerogativa del leader, il quale 
è tale solo quando è in grado di costituire un team coeso e orientato verso 
obiettivi organizzativi. 
Sebbene tra i teorici della letteratura sulla leadership esistano ben pochi 
accordi, uno di questi riguarda proprio il rilievo dato alla centralità del leader 
all'interno del gruppo di lavoro. 
Capitolo I 
 
1. BREVE EXURSUS STORICO SULLA LEADERSHIP 
 
Se guardiamo al numero dei contributi sulla leadership non possiamo non 
rimanere suggestionati dalla quantità di materiale prodotto, sono infatti 
centinaia le teorie, gli approcci e le definizioni che il tema della leadership ha 
evocato in chi se n'è occupato.  
Tuttavia, i numerosissimi contributi sono riconducibili ad almeno tre punti 
di vista, i quali  riassumono le principali caratteristiche associate a questo tema: 
le caratteristiche personali del leader, lo stile comportamentale e infine le 
interazioni tra le caratteristiche personali e il contesto lavorativo.  
Inizialmente, l'interesse degli psicologi fu rivolto all'individuazione delle 
capacità uniche ed irripetibili del "vero leader", nella supposizione di poter 
dedurre dalle sue attività le strategie vincenti e le conoscenze necessarie per il 
successo organizzativo. Questo primo orientamento metteva in luce l'associazione 
tra il successo del leader e certi tratti personali come il coraggio, la capacità di 
fare previsioni, l'intelligenza, il carisma e la persuasione.  
La leadership così concepita richiamava alla mente una tradizione di 
pensiero "popolare", poiché associava il potere ad una caratteristica personale ed 
innata che consentiva ad un soggetto di esercitare autorità ed influenza sugli 
altri, anche a prescindere dal ruolo formalmente esercitato. 
All'interno di quest'orientamento detto "personologico" (Trentini, 1999), 
s'inserirono tutti gli studi che indagarono il tema del carisma, considerato come 
   Definire la Leadership 
 
la caratteristica principale di ogni leader. La teoria della leadership carismatica 
fu avanzata, per la prima volta, dal sociologo M. Weber (1947), in seguito essa fu 
applicata ai contesti organizzativi ed in particolare, essa servì per descrivere il 
rapporto e le relazioni tra il leader e i suoi seguaci, come caratteristica peculiare 
del leader (Roberts, 1985; Gardner, 1989).  
La leadership carismatica aveva bisogno di un leader che fosse in grado, 
grazie al suo carisma e alle sue straordinarie qualità personali, di accogliere e di 
soddisfare le esigenze che nascevano dalle relazioni interpersonali, le quali 
mettevano in gioco esigenze affettive, sia da parte dei seguaci, sia da parte dello 
stesso leader (T.C. Pauchant). 
Dagli anni '40 in poi, questa concezione diventò il punto di partenza di 
molte ricerche, almeno fino a quando chi si occupò di indagare la correlazione tra 
i tratti di personalità e la leadership (per esempio R.M. Stogdill, 1984; M. Mann, 
1959; C.A. Gibb, 1947, 1958) si accorse dell'inutilità delle stesse. Le ricerche 
dimostrarono appunto, l'impossibilità di trattare la leadership a prescindere dalla 
situazione in cui essa era esercitata e inoltre, gli studi rilevarono che i tratti 
assegnati ai leader erano riscontrabili anche nei suoi collaboratori e seguaci. 
Negli anni successivi, a seguito dell'esigenza di valorizzare l'ambiente e il 
contesto sociale d'esercizio della leadership, ma pur rimanendo fedeli all'idea che 
la persona e le sue qualità siano importanti per descrivere le caratteristiche della 
leadership, si fece strada una riflessione detta psico-socio dinamica. Questa 
corrente di studi faceva capo a G. Quaglino e Kets de Vries, i quali sostennero 
Capitolo I 
 
l'impossibilità di affrontare il tema della leadership senza considerare la 
trattazione del potere. Potere, che secondo gli autori, avrebbe permesso al leader 
di convogliare l'energia presente nell'organizzazione verso un obiettivo comune, 
in modo da espellere verso l'esterno l'energia aggressiva, garantendo così un 
ambiente senza dispersioni d'energia (Kets de Vries, 1993). 
Il secondo punto di vista sulla leadership risale invece ai contributi del 
gruppo di ricercatori dell' Ohio State University sugli stili comportamentali del 
leader. Era infatti il 1939 quando Kurt Lewin, insieme a Lippitt e  a White, iniziò 
ad interrogarsi sugli stili del leader e sugli effetti di questi stili sul 
comportamento del gruppo. L'obiettivo delle ricerche era individuare quale fosse 
lo stile di leadership che permettesse di ottenere i risultati migliori, di costruire il 
clima di lavoro più adeguato e che favorisse la soddisfazione e la propositività nei 
membri del gruppo di lavoro. 
Sulla scia di questi nuovi interessi verso le équipe di lavoro, tra gli anni '40 
e '50, iniziarono a farsi strada i primi tentativi di fondere gli stili del comando 
carismatico-paternalistico con quelli partecipatori del gruppo. S'iniziò così a 
discutere di "stili di leadership" e di quanto questi potessero differire da leader a 
leader. Attraverso questi studi ci si accorse, ad esempio,  che erano proprio le 
situazioni di gruppo a far emergere una modalità di gestione del potere che 
rispondeva alle richieste del gruppo e in questo modo, alle caratteristiche 
individuali del leader, si aggiunsero le valutazioni e le attribuzioni di potere 
espresse dal gruppo stesso.  
   Definire la Leadership 
 
La scoperta di un ritrovato interesse per i fattori situazionali, favorì, 
intorno agli anni '60, un approccio alla leadership detto appunto situazionale o 
contingente. La ricerca effettuata da questo orientamento ruotò intorno alla 
definizione di leadership bi-dimensionale, impegnata cioè a trovare il punto 
d'equilibrio tra la polarità dell'orientamento al compito e quella dell'orientamento 
alla relazione. Due esempi applicativi di questo approccio furono la griglia 
manageriale di Blake e Mouton (1964) e il modello di Tannenbaum e Schmidt 
(1958). 
L'idea di fondo che accomunò i diversi contributi nati all'interno della 
leadership situazionale riguardò l'importanza della valutazione della situazione 
specifica all'interno della quale la leadership era esercitata. 
Infatti, i fattori implicati potevano differire ogni volta e condurre così ad 
una leadership sempre diversa. La leadership era, in altre parole concepita come 
una funzione del leader, del collaboratore e delle altre variabili situazionali che 
potevano intervenire nella relazione capo-collaboratore. Tra i fattori che potevano 
variare c'erano, ad esempio, la quantità di potere concessa al leader, la 
complessità del task environment, la grandezza dell'organizzazione, la qualità 
delle relazioni interpersonali, la comprensibilità degli obiettivi e altri fattori 
ancora (Yukl, 1989).    
Il filo conduttore di questi contributi arrivò sino agli inizi degli anni '80, 
anni in cui si affermò il modello di  Hersey e Blanchard (1982). Tale modello  si 
fondava sulla concezione secondo la quale, non era possibile individuare a priori 
Capitolo I 
 
uno stile di leadership migliore degli altri, e che quindi, la scelta del modello più 
adatto, dovesse dipendere dalle persone che il leader stava in quel momento 
cercando di influenzare (P. Hersey, K. Blanchard). La maturità dei collaboratori 
veniva quindi accreditata come una variabile tattica della strategia di leadership, 
era in altre parole, il mezzo e non il fine, l'obiettivo da conseguire attraverso il 
lavoro quotidiano. 
Una rassegna sulla letteratura di quest'orientamento rivela, inoltre, un 
elevato consenso, da parte degli studiosi, nel considerare la leadership come: " un 
processo volto ad influenzare le attività di un individuo o di un gruppo, ad 
impegnarsi per il conseguimento d'obiettivi in una determinata situazione. "(P. 
Hersey, K. Blanchard, 1985). 
In questa definizione è quindi implicita l'idea che, per pervenire a qualsiasi 
risultato, sia indispensabile il coinvolgimento delle persone nel processo di 
cambiamento che s'intende raggiungere e che quindi il successo e la 
sopravvivenza di un'organizzazione si misurino sulla base dell'abilità del leader e 
dei suoi subordinati di risolvere il problema dell'integrazione interna e 
dell'adattamento al cambiamento esterno (Schein, 1984). 
Non bisogna poi dimenticare che gli anni '80 furono anni di profondi 
cambiamenti, sia nello scenario che nei contesti organizzativi, trasformazioni  che 
portarono gli studiosi della leadership ad una vera e propria rivoluzione 
paradigmatica nella sua concettualizzazione. In particolare, il 1985 fu l'anno 
della grande rivoluzione, fu infatti l'anno in cui Bernard Bass introdusse il 
   Definire la Leadership 
 
concetto di leadership trasformazionale, il quale reso obsoleto il concetto di 
leadership transazionale. La leadership transazionale era precisamente una 
leadership votata al mantenimento della stabilità organizzativa, stabilità che era 
garantita dall'azione del leader (E.A. Locke, 1999), il cui compito era solo di 
rispondere alle esigenze dei subordinati attraverso l'uso di gratifiche e rinforzi, 
tangibili e intangibili, come ad esempio gli avanzamenti di carriera oppure gli 
aumenti di stipendio, al fine di spronare i seguaci a raggiungere gli obiettivi 
proposti dal leader (Bass, 1998).  
La novità introdotta della leadership trasformazionale riguardava il 
rinnovato interesse rivolto alle capacità del leader di creare benessere, consenso 
verso i propri obiettivi e verso la mission organizzativa. I punti cardine della 
nuova leadership trasformazionale riguardavano, infatti, l'aumento della 
considerazione individuale, la stimolazione intellettuale, la motivazione 
ispirazionale e l'influenza idealizzante (Bass, 1990).  
Il leader trasformazionale doveva, cioè, essere in grado di motivare i propri 
collaboratori affinché lavorassero per il benessere del gruppo, trascendendo i 
propri immediati interessi personali, rendendoli, in questo modo, leader di loro 
stessi (Hunt, 1996). Per far questo il leader trasformazionale doveva 
necessariamente essere anche un leader carismatico (Bass, 1990). Era  proprio 
attraverso il carisma che il leader riusciva ad essere una fonte d'ispirazione e un 
modello da seguire per i suoi seguaci, ed era ancora il carisma che dava al leader 
un grande potere e un'influenza che gli garantivano la fiducia e il rispetto del suo 
Capitolo I 
 
team. Un'ulteriore differenza tra i due orientamenti era rintracciabile nella loro 
applicazione, infatti la leadership transazionale, risultava essere più efficace in 
quei contesti organizzativi in cui la tecnologia, la forza lavoro e l'ambiente 
circostante erano più stabili, in cui cioè l'attività del manager era ridotta al 
semplice monitoraggio delle performance e dove il suo compito era rivolto al 
ripristino delle azioni in caso di errore (Bass, 1990). 
Al contrario, la leadership trasformazionale era più adatta nei contesti 
organizzativi caratterizzati da livelli elevati di turbolenza nel proprio task 
environment, in cui in altre parole, occorreva avere flessibilità per riuscire a 
prevedere i cambiamenti nell'immediato futuro e per riuscire ad adattare ogni 
cambiamento alle sempre nuove e mutevoli richieste provenienti sia 
dall'ambiente esterno, sia da quello interno all'organizzazione.  
Nonostante queste divergenze tra le due forme di leadership, la letteratura 
più recente (Yukl, 1989; E.A. Locke, 1999) è oggi concorde nel ritenere 
indispensabile, per un leader che voglia essere davvero efficace ed efficiente, 
avere la capacità di usarle entrambe.  
Non bisogna poi dimenticare che non fu solo Bernard Bass l'artefice della 
rivoluzione paradigmatica, ma a sostegno della nuova letteratura sulla 
leadership si schierarono anche i contributi di Bennis e Nanus, così come quelli di 
Schein.