II
viene ampiamente utilizzato anche negli studi di marketing per conoscere i gusti e
le propensioni all’acquisto dei consumatori, in modo da andare incontro alle
esigenze della clientela, ma è solo nell’ambito politico che i sondaggi hanno
suscitato i dibattiti più accesi.
In termini strettamente tecnici il sondaggio consiste in una procedura di
rilevamento privato e di pubblica diffusione delle opinioni e delle preferenze del
pubblico. Per conoscere un atteggiamento che non può essere rilevato altrimenti,
l’esecutore del sondaggio dovrà intervistare una serie di persone chiamate, per le
loro caratteristiche specifiche, a rappresentare l’intera popolazione. Attraverso un
sistema di selezione di tali individui (il campionamento), il sondaggio permette di
estendere i risultati della rilevazione in capo a milioni di persone pur avendone
intervistate solo poche centinaia, al punto di segnalare, con scarti molto ridotti
rispetto alla realtà, la quantità di persone che condividono un certo punto di vista,
la loro tipologia e l’intensità con cui sostengono questa opinione.
A questo punto, si potrebbe pensare al sondaggio come ad uno strumento
magico ed infallibile, in grado di mettere tutti d’accordo, ma le cose non stanno
affatto così. Sin dagli esordi, negli anni ’30, o ancora prima, se consideriamo tutte
quelle rilevazioni che non possedevano ancora il carattere della scientificità, i
sondaggi sono stati al centro di ampi dibattiti maturati in ambito politico e
accademico, riguardanti ora l’affidabilità dello strumento di rilevazione, ora
l’influenza che esso può esercitare sul pubblico nel caso venga usato in maniera
strumentale da parte di chi (partiti politici, gruppi di pressione, media) lo
commissiona e lo diffonde, perché, è bene sottolinearlo, la pratica dei sondaggi
non è aperta a tutti.
Osservando l’ampia letteratura fiorita intorno all’argomento, non è difficile
disegnare una mappa che renda conto dei giudizi espressi dagli studiosi sul tema
dei sondaggi. I direttori delle agenzie demoscopiche, di solito sociologi o esperti
in metodologia della ricerca sociale, tendono, ovviamente a prenderne le difese,
ricordando come un buon sondaggio, eseguito cioè in maniera assolutamente
professionale, fornisca ampie garanzie di successo, posizione spesso suffragata
dal confronto con i dati elettorali definitivi. Sull’altro versante troviamo chi, come
Giovanni Sartori, Alberto Marradi o il sociologo francese Pierre Bourdieu, accusa
III
i sondaggi di contribuire alla perversione ed alla banalizzazione della politica e
del concetto di opinione pubblica, dal momento che si limitano a registrare
impressioni momentanee ed effimere, spesso condizionate dall’influenza che i
media esercitano sul pubblico.
«Come, perché e fino a che punto i sondaggi, anche quando ben fatti, siano un
inganno, è stato studiato in America molto prima che in Italia. Esiste al riguardo
una letteratura ricchissima. Anche lasciando perdere i casi limite in cui, per
esperimento, la gente ha espresso opinioni salde e coerenti su atti inventati lì per
lì dall’intervistatore, emerge in modo inequivoco che il demopensiero è solo il
riflesso di convinzioni indotte dagli stessi media. E come potrebbe essere
altrimenti? Interrogata su cose di cui non può sapere nulla in modo diretto, la
gente si regola su quanto ha saputo dai media. Ma allora è spudorato presentare
i sondaggi come una vox populi vox dei, perché la cosiddetta voce del popolo non
è che la voce dei media del popolo. »
1
Sostenendo che l’opinione pubblica non esiste, Bourdieu ha voluto mostrare
come i sondaggi possano proiettare una visione distorta della realtà, al punto da
rendere nulli tutti quei concetti (rappresentanza, democrazia diretta, l’atto del
decidere insieme e la nozione dell’interesse comune) che vorrebbero, invece,
esaltare.
«Siamo all’esatto contrario della democrazia diretta, perché alla volontà
generale si sostituisce una conta aritmetica di volontà individuali neppure ben
formate.»
2
Quanto all’atteggiamento degli attori politici nei confronti dello strumento, si
ha la netta impressione che si sia instaurato un rapporto di amore-odio, o meglio
di fiducia-sfiducia, nel senso che c’è la tendenza a dare ascolto alle previsioni
demoscopiche fintantoché risultano favorevoli al diretto interessato, il quale farà
tutto il possibile per trarne i dovuti benefici. Però, nel momento in cui i dati
percentuali segnalano un calo della popolarità o uno svantaggio in termini di voti
e seggi, ecco allora che l’attore politico si mette sulla difensiva, contestando i
sondaggi e invitando il pubblico a non prestarvi attenzione.
1
G. Sartori, Dall’homo sapiens all’homo insipiens?, Telèma, n.1, 1995.
2
Ibid.
IV
In queste pagine ho cercato di sintetizzare i contenuti essenziali di questa
ricerca, che si propone di passare in rassegna il mondo dei sondaggi in tutti i suoi
aspetti, da quelli puramente tecnici a quelli connessi al loro uso e al loro abuso
nell’ambito della vita politica e sociale.
Il presente lavoro si compone di una breve premessa di carattere storico e da
tre sezioni tematiche.
Nella premessa, circoscritta cronologicamente agli anni a cavallo fra
diciannovesimo e ventesimo secolo, viene illustrato l’accostamento del politico
inglese James Bryce, il primo studioso ad ipotizzare la possibilità di studiare
l’opinione pubblica attraverso sofisticati metodi di rilevazione: una visione quasi
profetica, se si pensa che all’epoca in cui è vissuto, vale a dire nella prima metà
dell’800, le scienze statistiche non avevano ancora raggiunto l’elevato grado di
raffinatezza attuale, anche per la mancanza delle risorse tecnologiche di cui
dispongono attualmente gli esperti del settore. Di seguito si prendono in
considerazione i primi tentativi di effettuare rilevazioni statistiche sulla base di un
campione rappresentativo: per le ragioni sopra citate, siamo ancora ben lontani
dall’idea di un sondaggio «scientifico», ma il valore di questi contributi
pionieristici è innegabile, dal momento che, riflettendo sui limiti tecnici e
metodologici dello strumento, George Gallup riuscì a svolgere, nel 1936, quello
che è considerato il primo vero sondaggio d’opinione, guadagnandosi la fama di
«padre dei sondaggi».
La prima parte, relativa alla tecnica di realizzazione e di esecuzione dei
sondaggi, si compone di sette capitoli.
Il primo capitolo contiene le basi essenziali per accostarsi alla disciplina della
ricerca sociale, fornendo una definizione accurata di «sondaggio» e introducendo
due concetti essenziali: la rappresentatività del campione statistico e la casualità
nell’estrazione dello stesso.
Con il secondo capitolo si entra nel vivo della questione; in esso vengono
illustrati, in sequenza, i vari passaggi che conducono alla costruzione dello
strumento di rilevazione. Il primo passo da compiere consiste nella costituzione di
un campione rappresentativo, che deve essere selezionato a partire da parametri
ben precisi riguardanti il metodo di estrazione dei soggetti e la loro numerosità.
V
Una volta individuata la tematica che sarà oggetto di studio, si passa alla
realizzazione del questionario, di cui si parla diffusamente nel terzo capitolo, con
la spiegazione di tutte le regole che il ricercatore deve applicare scrupolosamente
per produrre una rilevazione scevra da distorsioni di ogni genere, visto che, come
è stato rilevato da più parti, l’esito della ricerca dipende, in massima parte, dalla
formulazione delle singole interrogazioni.
Nel quarto capitolo viene illustrato il lavoro di elaborazione cui vengono
sottoposti i dati raccolti al fine di trasformare le opinioni espresse dai cittadini
intervistati in dati operativi e aggregati numerici.
Nel quinto capitolo, riguardante il tema della qualità e dell’affidabilità dei dati
raccolti, si espone una controversia fra due studiosi che hanno affrontato la
tematica da posizioni opposte: il pollster Renato Mannheimer e il sociologo Paolo
Ceri. Sempre in questo capitolo si parla dei «non rispondenti», ossia di quegli
individui che, di fronte alle interviste, preferiscono non dare alcuna risposta. Il
problema riveste un’importanza rilevante, dal momento che le mancate risposte
sono una delle principali cause di invalidità dei sondaggi.
Il sesto capitolo si propone di fare chiarezza all’interno di un cosmo in cui non
tutte le rilevazioni assurgono allo status di sondaggio: da un lato vengono
presentati i sondaggi veri e propri, nelle diverse formulazioni che possono
assumere nell’ambito della ricerca sociale; dall’altro troviamo gli pseudo-
sondaggi, rilevazioni che non hanno nessun carattere di scientificità ma che
possono trarre in inganno i «profani». Proprio per questo motivo, il settimo
capitolo ha il compito di spiegare come leggere un sondaggio, per districarsi fra
una serie di numeri e percentuali spesso incomprensibili.
La seconda parte della ricerca verte sul tema dei sondaggi in rapporto alla
politica.
Nell’ottavo capitolo, dunque, si parte da un confronto fra gli accostamenti dei
già citati Ceri e Mannheimer sull’utilità del sondaggio d’opinione, i cui effetti
sull’elettorato, tra cui i ben noti bandwagon e underdog, sono trattati dal capitolo
nove.
VI
Dal momento che bandwagon e underdog non sono sufficienti a spiegare la
motivazione al voto, il capitolo dieci passa in rassegna i principali studi sul
comportamento elettorale degli individui.
Con l’undicesimo capitolo vediamo come i sondaggi vengano utilizzati da
parte degli attori politici, e l’argomento viene sviluppato nel corso del capitolo
dodici, consistente in una ricerca empirica basata sull’osservazione di tre elezioni
particolarmente significative.
La terza ed ultima parte, corrispondente al capitolo tredici verte sul dibattito
sviluppatosi in ambito politico e accademico sui sondaggi, che, se da un lato
vengono giudicati indispensabili per la democrazia, dall’altro sono strenuamente
criticati per la loro tendenza ad esercitare manipolazioni subliminali sul pubblico
e a dipingere scenari socio-politici virtuali. In questo capitolo trovano spazio i
contributi di diversi studiosi in rappresentanza delle due fazioni.
1
Premessa storica
La «profezia» di Bryce: il governo dell’opinione pubblica
Durante un soggiorno negli Stati Uniti, lo storico e politico inglese James
Bryce (Visconte Bryce di Dechmont e membro della Camera dei Lord) ebbe
modo di studiare la realtà politico-istituzionale del Paese, per poi raccogliere le
proprie osservazioni in The American Commonwealth, un’opera importante che
faceva luce sulle dinamiche dell’opinione pubblica nel proprio rapporto con le
istituzioni ed i mass-media.
1
Immergendosi nella realtà americana, parlando con chiunque capitasse, Bryce
riuscì ad elaborare una sorta di «profezia» che, sebbene sia passata relativamente
inosservata in quel periodo (siamo nel 1891), avrebbe aperto la strada, mezzo
secolo più tardi, a George Gallup e al suo «campionamento scientifico».
2
Bryce vedeva la democrazia come il risultato di un processo evolutivo iniziato
all’epoca della Polis greca e passato attraverso quattro fasi di sviluppo non ancora
concluse.
3
Primo stadio: le assemblee primarie.
Alla base dell’accostamento teorico di Bryce troviamo le «assemblee
primarie», ossia gli istituti di democrazia diretta in cui identificava le radici dello
storico, forse utopico ideale della democrazia face to face.
Tipiche dell’antica Grecia e di alcune tribù Teutoniche sopravvissute
all’interno di alcuni cantoni svizzeri, le assemblee pubbliche, pur richiamando
ogni volta migliaia di cittadini, erano concretamente realizzabili solo all’interno
di piccole comunità. Il grande numero di partecipanti ad ogni seduta, la quantità
dei temi all’ordine del giorno e gli inevitabili problemi di tempo, limitavano
fortemente la possibilità di dare vita ad una vera forma di governo popolare in cui
1
J. S. Fishkin, The Voice of The People. Public Opinion and Democracy. New Haven, Yale
University Press, 1995. p.71
2
ibid
3
Ivi
2
fossero i normali cittadini ad esprimere le proprie opinioni e a pronunciarsi su
quelle decisioni che i politici avrebbero dovuto implementare.
4
Teoricamente tutti avevano diritto di parola ma, per le ragioni sopra indicate,
solo poche decine di individui riuscivano ad alternarsi sul palco degli oratori nel
corso di ogni seduta: oratori provenienti dalle classi sociali più in vista, chiamati a
perorare cause di interesse personale o «di casta», ricercando nel pubblico non
una reale autorizzazione ad agire, bensì un sostegno essenzialmente avalutativo,
spesso carpito attraverso le ben note armi dell’oratoria e della retorica
5
, che lo
storico Wilhelm Bauer ritiene abbiano rappresentato «gli strumenti di propaganda
più potenti di cui potessero avvalersi i politici di quel periodo, tanto da superare
indenni sia l’epoca greca che quella romana.»
6
.
Secondo stadio: i corpi rappresentativi
Logica conseguenza di un sistema politico in cui un gruppo ristretto di persone
ha il potere di governare sulla massa dei cittadini è la nascita di organi
rappresentativi legittimati dal basso. In questo sistema democratico, che Bryce
conosceva bene, i rappresentanti eletti dal popolo godono di una carica di lunga
durata e di una relativa libertà d’azione che permette loro di agire pressoché senza
controllo, salvo in quei casi in cui la loro discrezionalità sia limitata dagli usi,
dalle consuetudini o, meglio ancora, da una legge.
7
Il Parlamento è chiamato ad agire in nome degli interessi e delle richieste del
popolo, benché vi sia la convinzione, da parte dei politici, di conoscere meglio del
pubblico gli interessi e gli interventi necessari per il benessere dello Stato.
8
Pur trovandoci di fronte ad un sistema maggiormente razionale e strutturato, lo
schema top-down del potere rimane essenzialmente lo stesso della pseudo-
democrazia ateniese: il consistente lasso di tempo fra le consultazioni elettorali e
4
G. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Etas, p. 5
5
B. de Jouvenel La teoria pura della politica, Milano, Giuffrè, 1995, pp.25-37
6
W. Bauer, in S. Herbst, Numbered Voices. How opinion Polling has shaped American Politics,
Chicago, University Press, 1984, pp.7-8. Sullo stesso argomento cfr. anche: F. Amoretti, La
comunicazione politica, un’introduzione, pp.46-48
7
J. S. Fishkin, op. cit.,p.72
8
ibid.
3
la libertà d’azione conferita agli eletti tendono ad isolare il governo dalla
pressione dell’opinione pubblica, esautorata dal ruolo di detentrice del potere e
relegata ad una mera funzione «di contorno»
9
.
Terzo stadio: la formula americana e il «governo dell’opinione pubblica»
Il terzo stadio è rappresentato da una forma di democrazia diversa dal modello
inglese e tipica, invece, della politica statunitense
10
. Una soluzione a metà strada
far le due esperienze precedenti, in grado di combinare le consultazioni popolari
delle assemblee pubbliche e le elezioni rappresentative delle democrazie
parlamentari.
Figlia della divisione rousseauiana dei poteri e del principio del check and
balance dei Costituenti
11
, questa formula tende a mitigare le distorsioni del
sistema inglese riducendo la durata dei mandati e imbrigliando la libertà d’azione
dei rappresentanti attraverso leggi che ne limitino i poteri.
12
Peculiare di questo ibrido è la propensione dei candidati ad affidarsi alle
proprie impressioni sul trend dell’opinione pubblica, il cui appoggio e controllo
costituiscono i fondamenti dello Stato Liberale, l’unica forma di governo in cui,
sostiene Jacques Ellul: «il rispetto delle differenze di opinione, il diritto delle
minoranze e delle maggioranze ad esprimersi e il mancato riconoscimento di
alcuna verità ideologica, religiosa o politica che sia, rappresentano le condizioni
ideali per svolgere un concreto dialogo fra il potere e l’opinione pubblica.»
13
Questo, tuttavia, non deve rappresentare uno slittamento verso una politica di
tipo plebiscitario bensì l’ennesima riprova della divisione delle competenze e
dell’equilibrio fra poteri: in questo tipo di governo le esigenze, le speranze ed i
punti di vista dei cittadini devono prevalere, preventivamente filtrati dagli organi
9
J. S. Fishkin, op. cit., p.72
10
ibid.
11
A. Laurent, Storia dell’individualismo, Bologna, Il Mulino, 1994
12
J. S. Fishkin, op. cit., p.72
13
J. Ellul, L’Histoire des institutions, PUF, 1956, in B. Cambiaghi, M. C. Juillon, Français de
specialité, Économie, Droit, Sciences Politiques, Milano, Vita e Pensiero, 1997, pp. 107-109.
4
rappresentativi previsti dalla legge, allo scopo di evitare una confusione di ruoli
assolutamente lesiva per l’ordine dello Stato.
14
Come dimostra Ellul: «In Francia la Monarchia Costituzionale ha governato
molto bene (gestione politica corretta, prosperità economica, pace internazionale),
ma tutto questo è durato poco per colpa dell’opinione pubblica che voleva
governare.»
15
L’opinione pubblica detiene, nelle idee di Bryce, il più grande potere politico
cui il governo è tenuto a prestare tutto il proprio appoggio, mettendosi al servizio
dell’interesse pubblico: «Laddove il potere del popolo è assoluto, legislatori e
amministratori devono essere in grado di soddisfare rapidamente le sue richieste,
senza troppo indugiare sui metodi previsti dalla legge. Questo è quello che accade
in America.»
16
Il quarto stadio: il «regno dell’opinione pubblica»
Mentre Bryce portava avanti le sue ricerche, l’America si trovava all’interno di
questa terza fase, ma da più parti era possibile individuare i chiari segnali di un
progressivo passaggio verso un quarto periodo che sarebbe stato raggiunto non
appena fosse stato possibile analizzare in maniera sistematica l’opinione dei
cittadini, possibilmente aggirando la mediazione degli oragni rappresentativi e
senza la necessità di ricorrere alle consultazioni elettorali. Un sistema, dunque, in
cui la raccolta delle opinioni non costituisse un avvenimento occasionale o
periodico, bensì un processo di screening continuo.
17
All’epoca, nonostante dei problemi di carattere tecnico si frapponessero al
raggiungimento di questo obiettivo, Bryce fu in grado di anticipare, in linea
generale, l’importanza che avrebbero assunto i sondaggi di opinione e le
successive forme di interazione elettronica. Con largo anticipo sulla nascita di
sondaggi, televisione e computer, aveva previsto la crescente propensione della
14
J. S. Fishkin op. cit. p. 72
15
J. Ellul, cit, in B. Cambiaghi et. al., op. cit.,pp.107-109
16
J. S. Fishkin, op. cit., p. 73
17
ibid.
5
politica americana e, per esteso, della politica internazionale, verso un rapporto
sempre più continuo e diretto con l’opinione pubblica.
La nascita delle statistiche e il «campione scientifico» di Gallup.
Sebbene le ricerche quantitative possano vantare una lunga tradizione sia negli
Stati Uniti che in Europa, la messa in pratica delle stesse per la misurazione ed il
controllo di tematiche sociali affonda le proprie radici verso la fine del
diciassettesimo secolo.
18
La crescita del settore assicurativo, l’espansione del commercio con l’estero e
l’enorme numero di vittime della Grande Peste del 1665 diedero un impulso
decisivo allo sviluppo delle statistiche sociali.
L’accademico inglese William Petty coniò il termine «aritmetica politica» per
indicare l’applicazione del calcolo statistico alle scienze politiche e sociali.
19
Ad
esempio, utilizzando tabulati riguardanti i tassi di natalità e mortalità della
popolazione, le politiche attuate dal governo potevano subire un costante
aggiornamento.
In Francia, a differenza di quanto si possa immaginare, le prime indagini in
questa direzione non furono condotte da ricercatori accademici o da analisti
politici, bensì dalla monarchia. I dati, ovviamente, non venivano resi pubblici,
diventando così uno strumento di controllo da parte del regime politico.
Gli studi sin qui svolti denotano però un limite: si fondano solo ed
esclusivamente su fatti già avvenuti, su avvenimenti di larga scala trasformati in
aggregati numerici che, se da un lato possono diventare importanti dati operativi a
favore dell’attività scientifica, dall’altro non riescono ad andare al di là di una
mera funzione informativa, impedendo qualsiasi tipo di interpretazione
qualitativa. Solo all’inizio del diciannovesimo secolo si inizia a sondare
l’opinione della gente: i primi straw polls fanno la loro comparsa nel 1820, per
svilupparsi diffusamente nel secolo successivo.
20
18
S. Herbst, op. cit., pp. 9-11
19
W. Petty, in S. Herbst, op. cit.,pp. 9-11
20
S. Herbst, op. cit., pp. 69-70
6
I primi esperimenti
Nel 1824, il giornale Harrysburg Pennsylvanian pubblicò, in periodo pre-
elettorale, uno straw-poll, presto confermato da altre ricerche analoghe, in cui il
candidato presidenziale Andrew Jackson risultava in vantaggio sul rivale John
Quincy Adams nella corsa alla Casa Bianca
21
. In assenza di informazioni più
precise sul metodo con cui venivano condotte le ricerche, si può ipotizzare che la
raccolta dei dati venisse effettuata in occasione degli incontri pubblici che i
politici tenevano nel corso della propria campagna elettorale. Durante uno di
questi raduni, un altro giornale, il Raleigh Star, condusse un’intervista su più di
quattromila persone. Anche questa volta Jackson appariva in vantaggio, ma,
contrariamente a questi due responsi, i risultati delle urne faranno di Adams il
nuovo Presidente degli Stati Uniti
22
.
Quello che all’epoca poteva apparire come un metodo estremamente raffinato
per la misurazione del consenso popolare stava mostrando tutti i suoi limiti,
essenzialmente di carattere tecnico e culturale, legati alla mancanza di un
campione costruito in funzione della rappresentatività e di una tecnica di intervista
che non incentivasse soltanto la partecipazione degli individui più motivati.
23
Sessant’anni più tardi, nel 1883, Charles H. Taylor, editore del Boston Globe,
mise a punto un sistema che evidenziava, sebbene in fase embrionale, l’idea del
campione rappresentativo e della proiezione elettorale
24
. Inviando dei reporter
presso seggi elettorali accuratamente selezionati, ed effettuando un rapido
prelievo dei risultati dei primi spogli era possibile prevedere il risultato finale di
un ‘elezione già nella notte dedicata allo scrutinio dei voti.
L’utilizzo di un campione numerico di vastissime dimensioni si diffuse, sempre
negli Stati Uniti, agli inizi del ventesimo secolo. Quotidiani e periodici (tra cui il
famoso Literary Digest) iniziarono a pubblicare delle schede sulle quali il lettore
21
E. Brusati, I sondaggi elettorali e dell’opinione pubblica, Milano, Doxa, 1999, p.61. Sullo stesso
argomento cfr. anche: S. Herbst, op. cit., p.70
22
M. Barisione, R. Mannheimer, I sondaggi, Bologna, Il mulino, 1999, pp. 26-27
23
ibid.
24
E. Brusati, op. cit., p.61
7
doveva indicare il nome del candidato favorito o rispondere ad altre questioni di
pubblico interesse. Le schede venivano riconsegnate per posta. Proprio la
mancanza di risvolti pratici di questo strumento ne favorì la nomea di straw poll,
ossia voto «di paglia».
Come spiegheremo più diffusamente nel capitolo dedicato alla tecnica dei
sondaggi, quello della rappresentatività è uno dei primi problemi che ogni pollster
deve risolvere, indipendentemente dalla portata territoriale della sua ricerca, sia
essa a carattere nazionale o limitata ad aree geografiche più circoscritte. Il
campione degli individui da intervistare, scelti a caso all’interno dell’universo di
partenza, deve riprodurne «in scala» tutti i valori e le proporzioni, al fine di
consentire la successiva generalizzabilità dei risultati nei confronti del «tutto».
La numerosità dei casi rappresentati deve essere sufficientemente ampia per
non creare problemi in un secondo tempo, quando sarà il momento di effettuare
un’ulteriore elaborazione del dato numerico per «ripulirlo» da eventuali
distorsioni derivanti da errori accidentali (ad esempio un difetto di
rappresentatività all’interno di un campione correttamente estratto o un fenomeno
di autoselezione dei rispondenti nel caso di un sondaggio condotto a mezzo
posta)
25
Un esempio in merito ci viene dagli straw-polls condotti in occasione delle
elezioni presidenziali del 1916: il campione, ancorché vastissimo, risultava
distorto per quelle che erano le esigenze della ricerca, dal momento che i nomi
degli intervistati venivano estratti sì casualmente, ma basandosi sugli elenchi
telefonici o sugli archivi della motorizzazione. Inevitabilmente risultava favorito il
candidato Repubblicano, preferito dalle classi sociali più benestanti e, quindi, più
facilmente conservatrici, quelle classi che, per intenderci, potevano permettersi
degli articoli di lusso (per l’epoca) come il telefono e l’automobile.
In questo modo venivano sottostimate le preferenze a favore dei candidati
Democratici, solitamente più vicini alle classi meno agiate.
In quegli stessi anni la rivista Literary Digest condusse numerosi straw-polls
che ottennero molto credito sia a livello di classe politica sia fra il pubblico in
25
E. Brusati, op. cit., p.9. N.B.: gli errori sistematici, derivanti da sbagli commessi dal ricercatore
per errore, imperizia o malafede, non rientrano in questo lavoro di affinamento.
8
generale
26
. Per molti anni il Digest riuscì a predire con accuratezza i vincitori, la
percentuale di consensi e lo scarto finale fra i candidati alle elezioni del 1920,
1924, 1928 e 1932.
Nel 1936, però, un clamoroso errore di previsione compromise seriamente la
credibilità del giornale che annunciò, subito dopo, la decisione di non ricorrere più
a queste ricerche. Troppo tardi: il danno d’immagine e il conseguente calo delle
vendite costrinsero il giornale a sospendere le pubblicazioni l’anno successivo.
27
Ma cosa era successo di preciso? In vista delle elezioni di quell’anno, la rivista
inviò per posta dieci milioni di schede sulle quali i destinatari dovevano esprimere
le proprie preferenze di voto. Il campione, di per sé distorto, essendo stato
costruito secondo i criteri di cui abbiamo appena parlato, fu soggetto ad un
ulteriore processo di «autoselezione», dal momento che le schede di ritorno
furono in tutto due milioni: quelli che risposero erano sicuramente più istruiti,
meno occupati e quindi «diversi» da quanti non risposero.
La rivista pubblicò i dati «né ritoccati, né ponderati, né interpretati»: Landon
risultava favorito con il 57,1% dei voti, sopravanzando Roosevelt fermo a quota
42,9. L’elezione decretò invece il successo di quest’ultimo il quale, con un 62,5%,
ottenne 19,6 punti percentuali in più di quelli che gli venivano accreditati dal
sondaggio.
Nonostante il clamoroso fallimento del Digest,che in seguito pubblicò articoli
intitolati «Is our face red!» e «What went wrong with the polls?», i sondaggi pre-
elettorali non segnarono una battuta d’arresto, grazie alla previsione, stavolta
corretta, eseguita dalla Gallup Poll, una delle organizzazioni demoscopiche sorte
in quegli anni.
George Gallup, un giovane psicologo americano esperto di ricerche di mercato,
negli anni ’30 annunciò di aver trovato la soluzione alle difficoltà «meccaniche»
che, secondo Bryce, impedivano l’ingresso degli Stati Uniti in quel «quarto
stadio» caratterizzato da un uso continuo dei sondaggi allo scopo di fornire alla
26
E. Brusati, op. cit., p.62
27
S. Herbst, op. cit, p.73
9
democrazia maggiori fonti di informazione sull’andamento dell’opinione
pubblica, attraverso una sistematica misurazione della stessa.
28
Con un campione ridotto a poche centinaia di intervistati, ma nel quale i
rappresentanti delle diverse classi sociali ottenevano un’adeguata
rappresentazione, Gallup riuscì ad indicare Roosevelt vincente con ampio margine
su Landon e con percentuali molto vicine al 62,5%
29
La ricerca demoscopica basata su un campione statistico selezionato con
accurati criteri scientifici, ribattezzata GallupPoll, si diffuse presto anche in
Europa, sebbene con minore eco rispetto agli Stati Uniti.
I primi istituti specializzati del nostro Continente nacquero in Francia e in
Inghilterra, mentre in Italia e Germania si iniziò a svolgere sondaggi solo al
termine della Seconda Guerra Mondiale. Principali committenti dei sondaggi
erano i giornali quotidiani, spesso riuniti in consorzi allo scopo di dividere i costi
e, probabilmente, le eventuali brutte figure in caso di errore.
Gallup, sempre rifacendosi alla «profezia» di Bryce si pose il problema di
fornire una lettura critica, un’interpretazione dei voti: fino a quel momento ogni
forma di ricerca sulla società serviva a portare alla luce i fatti riguardanti la vita
degli intervistati, mai le loro opinioni. Le ricerche sociali e le prime ricerche di
mercato, infatti, si prefiggevano di misurare le caratteristiche socio-demografiche
dei soggetti studiati o la loro propensione all’acquisto e al consumo di beni,
mentre gli straw-polls servivano a prevedere il comportamento elettorale.
Nessuno aveva ancora pensato di poter misurare le preferenze, i gusti, gli
atteggiamenti e, in definitiva, le opinioni
30
: «Come facciamo a sapere se la gente
vota il candidato o la sua piattaforma programmatica? Come facciamo a sapere se
tutte le idee del candidato godono dello stesso credito o se solo alcune sono
gradite all’elettorato?
28
J. S. Fishkin, op. cit., pp.76-80
29
E. Brusati, op. cit., pp.62-63
30
M. Barisione, R. Mannheimer, op. cit.,p.28