- 3 -
Introduzione
In questo lavoro, lo studio parte da un’ampia analisi del tema innovativo per
fornire un quadro completo ed esaustivo a riguardo della complessità del
fenomeno. ¨ indubbio che, nell’attuale economia della conoscenza, l’innovazione
abbia assunto una rilevanza sempre maggiore, giungendo a ricoprire una
posizione fondamentale tra i fattori influenzanti le dinamiche competitive globali.
Altresì, appare sempre piø evidente che il mercato non si configuri come
meccanismo efficiente di allocazione delle risorse tra i soggetti che in esso si
confrontano, per cui emerge in maniera considerevole l’indispensabile ruolo degli
attori pubblici nel riequilibrio globale delle dotazioni reciproche. In particolare,
nel contesto dell’innovazione, gli squilibri tra imprese sono consistenti a seconda
di caratteristiche quali l’ubicazione territoriale, la dimensione di impresa e la
specializzazione settoriale. Proprio per questo motivo, a livello europeo, le
istituzioni politiche provvedono periodicamente alla determinazione di piani a
programmazione pluriennale di strumenti, finanziari e non, a sostegno della
ricerca e dell’innovazione, per favorire una piø equa competizione e ridurre gli
scompensi esistenti.
Questa tesi si pone l’obiettivo di analizzare lo status quo della materia, per
garantire ai soggetti che operano in questi ambiti alcune considerazioni specifiche
in merito alla sua utilità, alla sua congruenza rispetto alle priorità strategiche delle
realtà imprenditoriali ed a quelli che potrebbero essere eventuali adeguamenti da
apportare nelle programmazioni future. In particolare, si ragionerà con una
prospettiva di analisi molto specifica, raffigurandosi nel ruolo di un’azienda di
medio-piccola dimensione situata in territorio piemontese e studiando alcune
esperienze dirette di partecipazione propria a questi strumenti finanziari, per
valutarne il reale impatto in termini concreti e la loro effettiva validità.
Il lavoro è articolato in due parti. La prima offre una rapida ma significativa
e approfondita ricognizione generale, a partire dal primo capitolo in cui la teoria
dell’innovazione è studiata usufruendo del tipico schema a cascata (tipologie
dell’innovazione, fonti, introduzione e diffusione sul mercato, effetti
- 4 -
macroeconomici); nel secondo capitolo è offerta un’analisi quali-quantitativa della
situazione innovativa, confrontando dapprima la posizione europea nel contesto
internazionale ed esaminando, in seguito, specificamente il caso italiano; nei
capitoli tre e quattro, infine, viene fornito un ampio quadro dettagliato di quelli
che sono gli strumenti finanziari a sostegno dell’innovazione messi a
disposizione, rispettivamente, dall’Unione Europea, dall’Italia e dal Piemonte.
La seconda parte, viceversa, è dedicata allo sviluppo del caso empirico della
E++ S.r.l. e si compone, a sua volta, di tre distinti capitoli nei quali viene
approfondita la partecipazione dell’azienda in questione a bandi pubblici di
finanziamento all’innovazione, seguendo la tripartizione scalare presa a
riferimento in questa tesi (europeo/nazionale/regionale). Questo caso conclusivo
ha permesso un primo importante riscontro, concreto ed effettivo, sulla validità
reale degli strumenti suddetti e sulla loro efficacia di funzionamento. L’analisi è
stata possibile grazie ad una serie di incontri face to face che la stessa E++ mi ha
concesso, nei quali si è dibattuto degli specifici progetti presentati ai tre differenti
ambiti territoriali di azione, con un colloquio diretto con il responsabile aziendale
della ricerca & sviluppo.
L’obiettivo finale di questo lavoro è stabilire quale sia la concreta efficacia
del sistema di governance dell’innovazione, con particolare attenzione a ruoli,
responsabilità e strumenti, in una logica di confronto e collaborazione tra realtà
regionali, nazionali ed europee. Inoltre, si tenterà di percepire quanto sia tangibile
il ruolo trainante che i fondi pubblici possono esercitare nei confronti dello
sviluppo di capacità e competenze in ricerca e innovazione, soprattutto con
riguardo ad un contesto come quello delle piccole e medie imprese, le quali stanno
subendo in modo particolarmente grave gli effetti del profondo aggravamento
economico-finanziario avvenuto in seguito alla crisi del 2008. Da ultimo, si
cercherà di giungere alla definizione di alcuni necessari adeguamenti e
perfezionamenti, utili ad incrementare l’autorevolezza e l’efficacia di tali misure
finanziarie, al fine di garantire un prospero futuro di eccellenza innovativa alle
Pmi del nostro territorio, fondamentale per compiere un imprescindibile salto di
qualità nella competizione economica globale.
- 5 -
PARTE I
Un quadro di riferimento. La teoria dell’innovazione e il ruolo dei
finanziamenti pubblici.
Capitolo Primo
Le dinamiche dell’innovazione
Disegnare un quadro generale del tema innovativo, cercando di
sintetizzarne gli aspetti principali e prestando, al contempo, attenzione a non
offuscarne caratteristiche importanti non è certo compito facile, considerando la
mole di studi teorici ed empirici che si è sviluppata negli ultimi anni a riguardo.
L’innovazione è un argomento complesso e dinamico che ha raccolto, nel corso
del tempo, contributi di studiosi afferenti a molteplici scienze, grazie alla sua
vastità che ne dispiega gli effetti dall’ambito tecnologico ed economico sino a
quello sociologico e psicologico, passando per la teoria aziendale, organizzativa,
politica e legale. Gli economisti si sono occupati principalmente delle scelte di
investimento nell’innovazione e dei suoi effetti economici, demandando ad altre
discipline (quali la sociologia, gli studi di management e di business)
l’osservazione dettagliata di ciò che avviene all’interno del processo innovativo.
Persino la storia e la geografia economica si sono occupate a diverse riprese di
questi temi, specificando come le dinamiche dell’apprendimento siano legate a
contesti territoriali specifici e soggette a mutamenti repentini nel corso del tempo.
La grande “agitazione dottrinale”, mossa intorno a questa materia, è conseguenza
della rilevanza sempre maggiore che l’innovazione stessa ha assunto nel
panorama contemporaneo, che l’ha portata a divenire questione dominante capace
di porsi al centro delle trasformazioni a livello planetario con effetti di lungo
periodo sugli equilibri dell’economia e della società.
- 6 -
Gli studi in ambito innovativo sono stati dapprima esigui e marginali ed
affrontavano la questione con un approccio prettamente ingegneristico,
trascurandone gli effetti ben piø vasti e dirompenti. Il vero precursore della
dottrina dell’innovazione fu, a tutti gli effetti, Joseph Shumpeter
1
; egli per primo
sviluppò una teoria secondo la quale non bastava studiare l’economia attraverso
l’analisi della distribuzione delle risorse, ma il progresso andava esaminato come
un processo che, dominato dall’innovazione, portava al miglioramento qualitativo
secondo il suo famoso principio della “distruzione creativa”. Durante gli anni
sessanta del XX secolo, l’economia dell’innovazione è diventata un vero e proprio
campo di ricerca a sØ, separato dalle discipline “classiche” del panorama
economico e negli ultimi decenni sono sorti sempre maggiori istituti di ricerca
specializzati, a conferma dell’incrementale importanza assunta dall’argomento.
Per cogliere concretamente l’essenzialità dell’innovazione all’interno delle
realtà imprenditoriali attuali, credo sia utile partire cercando una definizione che
ne contenga i tratti salienti, nonostante la poliedricità del fenomeno che lo rende
difficile da fotografare in modo statico. Cercando di miscelare i contributi appresi
dalla bibliografia analizzata, propongo di seguito una mia personale definizione,
che ritengo possa essere consona al tema specifico trattato nella tesi in oggetto
(vedendola cioè nella sua accezione economico-imprenditoriale); lascio
naturalmente al lettore il beneficio della critica per il carattere eccessivamente
semplicistico della stessa, ma, come già ricordato, risulta praticamente impossibile
riuscire nell’intento di definire il concetto in modo democratico ed omogeneo.
L’innovazione rappresenta la capacità di un’impresa di accumulare
conoscenza (interna, tacita o esplicita
2
che sia, o esterna, acquisendola in
1
Joseph Shumpeter (1883-1950) dopo una formazione in legge ed economia a Vienna, tentò con
esigui risultati una breve esperienza sia in politica sia in ambito bancario, ma i suoi maggiori
successi li ottenne nella sua brillante carriera accademica, dapprima all’Università di Bonn e
successivamente ad Harvard. Tra le sue pubblicazioni piø importanti troviamo la Teoria dello
sviluppo economico (1911), i due volumi di Cicli economici (1939), Capitalismo, Socialismo e
Democrazia (1942), e Storia dell’analisi economica (1954).
2
La conoscenza è distinta in due differenti categorie:
- la conoscenza tacita, rintracciabile nelle abilità professionali, nei modelli mentali, nei principi
e nei valori delle persone, è difficilmente esprimibile e formalizzabile, in quanto insita nelle
persone e fortemente soggettiva;
- la conoscenza esplicita, facilmente trasferibile in modo formale e sistematico poichØ
codificata spesso e volentieri in documenti, codici e formule scientifiche.
- 7 -
qualsivoglia maniera) e di trasformarla tramite fasi successive e parallele in
nuovi prodotti, nuovi processi o nuove modalità organizzative, che garantiscano
all’impresa stessa un vantaggio competitivo e di produttività. Il miglioramento
interno all’azienda si può sviluppare nella duplice direzione della riduzione dei
costi (innovazione di processo) o della “differenziazione” dei prodotti offerti
dall’impresa (innovazione di prodotto)
3
.
L’acquisita consapevolezza dell’importanza della competizione innovativa
nel mondo imprenditoriale ha convinto i top manager a basare le loro strategie
aziendali sempre piø sulla capacità di produrre “novità”; ciò ha fatto sì che a
livello concorrenziale s’innalzassero la soglia competitiva e le barriere
all’ingresso e si accorciassero vertiginosamente i cicli di sviluppo ed introduzione
di nuovi prodotti. Questa “spirale” competitiva esorta a considerare l’innovazione
come un imperativo strategico, che può inesorabilmente condurre al fallimento nel
caso in cui l’impresa non riesca e sostenere ritmi rapidi di innovazione.
Innovare spesso significa tradurre in pratica ciò che si è concepito per la
prima volta con una nuova idea e altrettanto sovente il tempo che intercorre tra
questi due processi è molto lungo a causa della necessaria abilità nella
combinazione tra diversi tipi di capacità, risorse e competenze all’interno della
realtà aziendale. Proprio per questo, si ritiene fondamentale lo sviluppo parallelo
di una strategia manageriale, che porti ad una reale innovazione
nell’organizzazione del lavoro e nella valorizzazione delle risorse umane, poichØ
dove non esiste un “fertile terreno manageriale”, l’innovazione non può nascere
ed essere coltivata. Quanto appena detto è da considerarsi valido tanto a livello
imprenditoriale, dove è fondamentale modellare strutture organizzative e sistemi
di controllo che incoraggino la generazione di nuove idee e ne garantiscano, al
contempo, un’efficiente realizzazione; quanto a livello politico e societario, in cui
si rende necessaria la costruzione di un contenuto infrastrutturale e di politiche
pubbliche capaci di favorire e migliorare qualitativamente la cooperazione tra gli
attori coinvolti nella creazione di nuova conoscenza. La capacità innovativa non è
da considerarsi soltanto come frutto della semplice intuizione creativa di un
individuo, poichØ l’esperienza ha insegnato come essa rappresenti un fenomeno
3
Per una trattazione piø approfondita sul tema delle tipologie innovative si rimanda al paragrafo
1.1 del presente capitolo, pp. 11-19
- 8 -
congiunto, facente parte di un processo collettivo in cui una pluralità di attori
pubblici e privati interagisce per produrre nuova conoscenza scientifica e
tecnologica. Ne consegue, dunque, che la competitività tecnologica di un sistema
paese dipenderà, in maniera pressochØ diretta, dalla qualità e dalla solidità degli
attori stessi, ma anche e soprattutto dalla loro disponibilità ad unire le proprie
competenze, scambiarsi reciprocamente conoscenze e collaborare attivamente in
ottica sistemica.
A sua volta un’innovazione ha spesso bisogno di invenzioni o adattamenti
complementari per poter essere introdotta e commercializzata o, addirittura, essa
può subire cambiamenti così drastici da generare un valore economico molto piø
rilevante dell’invenzione stessa nella sua forma originale. Ciò che ne consegue è
l’evidenza secondo la quale sarebbe un grave errore tentare di considerare
l’innovazione come un oggetto definito con una precisa data di ingresso nel
mercato, poichØ spesso ciò che risulta ai nostri occhi è il frutto di un processo
molto piø lungo ed articolato
4
.
Non sempre, però, l’innovazione è il risultato di eventi discontinui, ma può
derivare dalla ricombinazione delle conoscenze già esistenti nell’organizzazione,
risultando in tal modo un fenomeno “path dependent”, poichØ segue un processo
di acquisizione delle conoscenze condizionato in modo significativo dalle
competenze maturate in passato dall’azienda. Ad esempio, è il caso delle grandi
imprese in cui l’alto numero di dipendenti, la massiccia mole di costi fissi e
l’elevato grado di impegno strategico, possono essere fonte di inerzia che ostacola
o rallenta l’approccio alla novità, determinando ciò che viene comunemente
definito come paradosso di Icaro. Secondo tale fenomeno il successo passato di
un’impresa può provocare eccessiva fiducia in se stessi ed incondizionata
adesione alle prassi tradizionali, facendo perdere di vista le opportunità offerte dal
cambiamento tecnologico (si veda il caso della Xerox).
Altra peculiarità fondamentale del processo creativo dell’innovazione è data
dall’evidenza risultante dallo studio di diversi casi empirici con riferimento a tassi
4
Citazione di un saggio di Kline e Rosenberg (1986) in FAGERBERG J., L’analisi
dell’innovazione, in FAGERBERG J., MOWERY D. C., NELSON R. R. (2007), Innovazione:
imprese, industrie, economie, MALERBA F., PIANTA M. e ZANFEI A. (edizione italiana a cura
di), Carocci, Roma, pp. 35-36.
- 9 -
di successo dell’innovazione, dati relativi ai brevetti, fondi di venture capital e
ricerche di mercato. La suddetta analisi dimostra come un gran numero di idee
innovative non si trasformi in nuovi prodotti di successo, ma che il tasso reale
equivalga ad un rapporto pari a circa un’idea su 3000, come rappresentato
graficamente in Figura 1.1 dal cosiddetto “imbuto dell’innovazione”. La
principale causa di questo fenomeno è da attribuire all’incertezza insita
nell’innovazione stessa, che si può manifestare sotto due aspetti differenti: da un
lato “l’incertezza tecnologica” che riguarda l’indecisione sul modello di
tecnologia migliore da applicare; dall’altro “l’incertezza di mercato” che
concerne, invece, il dubbio relativo ai risultati che l’introduzione sul mercato
dell’innovazione potrà garantire. Gli step concatenati e successivi, che l’idea
innovativa deve superare per giungere alla sua approvazione finale nel corso degli
anni, si sono sovrapposti sempre piø per garantire un accorciamento del processo
di sviluppo e minori costi e tempi di realizzazione delle innovazioni, in quello che
è stato il passaggio da “processi di sviluppo sequenziali” a “processi di sviluppo
paralleli” o di “simultaneous engineering”
5
.
Figura 1.1 L’imbuto dell’innovazione
Fonte: BRESCIANI S. (2011), Corso di Economia e Gestione dell’innovazione, Capitolo 1 –
Introduzione, A.A. 2011/2012, pag. 6
5
SCHILLING M. A. (2005), Gestione dell’innovazione, IZZO F. (edizione italiana a cura di),
McGraw-Hill, Milano, pp. 380-382.
- 10 -
Analizzando alcune impressioni raccolte tra gli operatori del settore, infine,
è possibile evidenziare una serie di considerazioni finali utili a comprendere in
che direzione si sta muovendo il fenomeno nel panorama mondiale:
- il ritmo delle innovazioni sempre piø frenetico spinge le imprese migliori a
livelli di eccellenza e rischia, parallelamente, di travolgere quelle mediocri
confinandole ai margini del mercato. Questo processo non fa altro che
accrescere il ruolo di “meccanismo di selezione” del mercato, ponendo come
criterio selettivo la capacità innovativa e segmentando sempre piø il mercato
stesso;
- la quota di investimenti e di risorse dedicate alla ricerca e sviluppo cresce
vertiginosamente; in questo frangente è utile sottolineare come sia di
fondamentale importanza privilegiare soprattutto la qualità e l’efficacia di
questi impieghi, rispetto al loro volume;
- un’incertezza sempre maggiore riguardo agli esiti dell’attività innovativa, sul
piano delle possibilità di successo o insuccesso e delle conseguenti rendite
realizzabili, a causa della facilità di diffusione di informazioni e conoscenze e
della velocità di imitazione da parte dei concorrenti;
- la necessità, direttamente conseguente all’anzidetta crescente incertezza,
sempre piø pressante di disporre di indicatori anticipati delle performance
dell’innovazione, in aggiunta ai già esistenti ma poco utili strumenti di
misurazione ex-post dei risultati, per offrire al management aziendale nuovi
modelli, tecniche e metodi idonei a migliorare la gestione del processo
innovativo.
Nel presente capitolo, si tenta di creare un percorso lineare di concetti che
permetta al lettore di entrare a piø stretto contatto con l’economia
dell’innovazione e potersi focalizzare al meglio su ciò che andrò ad approfondire
in seguito. In particolare, nel primo paragrafo, saranno illustrate le esistenti
classificazioni di forme e modelli di innovazione, disquisendo in merito agli
aspetti che ne definiscono la differenziazione e agli effetti diversi che ciascuna
tipologia di innovazione può manifestare sul sistema impresa. Nel secondo
paragrafo, ci si sofferma sulle origini dell’innovazione, passando in rassegna la
pluralità di fonti dalle quali essa può scaturire e i rispettivi percorsi evolutivi cui
- 11 -
ogni fonte conduce. Nel paragrafo numero tre, invece, si delineano i tratti di
quello che può rappresentare a tutti gli effetti il modello ideale piø efficace ed
efficiente di impresa innovativa, cercando di discutere quelle che sono le
differenze tra la perfezione teorica e l’evidenza empirica delle strutture prevalenti
nei mercati reali. Successivamente, passando al quarto paragrafo, si tratterà della
commercializzazione vera e propria dell’innovazione, partendo dalla sua
introduzione sul mercato, analizzando le possibili reazioni dei clienti e dei
concorrenti in base alla scelta del tempo di ingresso e mostrando quello che è il
trend evolutivo piø comune tra le teorie esistenti a riguardo (il modello della curva
ad S). Infine, nell’ultimo e quinto paragrafo del presente capitolo, si passeranno in
rassegna i contributi di molteplici teorici riguardo l’impatto diretto che
l’innovazione ha nei confronti di grandi tematiche macroeconomiche quali
l’occupazione, la crescita economica, la competitività, ecc., per tracciare un
quadro sintetico e concreto di osservazione sul modo in cui essa agisca nei
confronti degli equilibri internazionali.
1.1. Le tipologie di innovazione
Per quanto riguarda la classificazione, il primo contributo rintracciabile
nella teoria è, ancora una volta, quello di Joseph Shumpeter, il quale proponeva
cinque diversi “tipi” di innovazione: nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione,
nuove fonti di approvvigionamento, sfruttamento di nuovi mercati e modi
alternativi di organizzare un’impresa. Nella letteratura di riferimento
6
le diverse
forme di innovazione sono classificate per categorie contrapposte in base alla
seguente lista di criteri, secondo un approccio che presenta molti punti in comune
con l’idea shumpeteriana:
a) natura dell’innovazione;
b) intensità e ampiezza dell’innovazione;
6
Per la ripartizione dei modelli di innovazione è stata presa ad esempio la classificazione proposta
nel manuale SCHILLING M. A. (2005), Gestione dell’innovazione, IZZO F. (edizione italiana a
cura di), McGraw-Hill, Milano, pp. 60-67, che racchiude le piø note modalità di categorizzazione
proposte all’interno dell’economia dell’innovazione. Ne ho ulteriormente adattato i contenuti, con
ampliamenti corrispondenti a contributi teorici piø recenti, inseriti a piø riprese in base all’inerenza
all’argomento in questione.
- 12 -
c) ambito dell’innovazione;
d) effetto sulle competenze.
Secondo il criterio sub a) natura dell’innovazione, si può distinguere tra
innovazioni di prodotto e innovazioni di processo; in estrema sintesi si tratta di
separare ciò che riguarda il modo in cui si crea o si migliora un prodotto da ciò
che concerne il modo in cui lo si produce. Le prime riguardano la creazione di
prodotti (beni o servizi che siano) nuovi e differenti da quelli esistenti sul mercato,
oppure può configurarsi con modifiche consecutive ed evolutive di prodotti già
inclusi nell’attuale gamma dell’impresa o già introdotti da altri concorrenti sul
mercato in un momento precedente. A questo genere di innovazioni si associa
spesso la successiva registrazione di meccanismi di protezione della proprietà
intellettuale (brevetto, marchio, privativa, modello di utilità, ecc.) presso gli
organi competenti. Le seconde, viceversa, si identificano nei miglioramenti delle
modalità operative dell’impresa atti ad incrementare la produttività dei fattori,
aumentando la produzione e/o impiegando quantità inferiori di uno specifico input
lasciando inalterata la quota di qualunque altro. Un’ulteriore suddivisione in
merito alle innovazioni di processo è stata proposta da alcuni teorici
7
, secondi i
quali si possono contraddistinguere le “innovazioni tecnologiche di processo”
dalle “innovazioni organizzative di processo”, attribuendo alle prime
l’introduzione di nuovi macchinari o metodologie produttive in genere ed alle
seconde l’applicazione di rinnovate modalità di organizzare il lavoro. Le
innovazioni organizzative rappresentano una tipologia troppo spesso omessa o
sottointesa nelle tassonomie perchØ ritenuta ininfluente o di poca importanza;
tuttavia esse rappresentano spesso la precondizione necessaria affinchØ possano
affermarsi altre forme d’innovazione.
In merito alla distinzione in oggetto è opportuno soffermarsi su alcune
importanti osservazioni. In primo luogo il confine tra le due tipologie, seppur
evidente in termini di oggetto dell’innovazione (nel primo caso si opera sui
prodotti, mentre nel secondo sui processi), appare sottile quando se ne valutano le
7
Edquist, Hommen e McKelvey (2001), citati in FAGERBERG J., L’analisi dell’innovazione, in
FAGERBERG J., MOWERY D. C., NELSON R. R. (2007), Innovazione: imprese, industrie,
economie, MALERBA F., PIANTA M. e ZANFEI A. (edizione italiana a cura di), Carocci, Roma,
p. 36.
- 13 -
correlazioni. Nello specifico, spesso le due sono attinenti se non addirittura
simultanee, in quanto da un’innovazione di processo possono scaturire una o piø
innovazioni di prodotto; e, viceversa, l’introduzione di un nuovo prodotto
all’interno di un certo contesto aziendale può portare all’applicazione di nuovi
processi organizzativo/gestionali, soprattutto quando si tratta dell’adozione di
moderne tecnologie dell’informatica digitale. In secondo luogo, se si fuoriesce
dall’analisi confinata alla singola impresa per osservare gli effetti tra realtà
differenti, ci si rende conto di come l’innovazione di prodotto introdotta da
un’azienda può rivelarsi un’innovazione di processo per un’altra. Ciò è
particolarmente evidente nell’ambito delle industrie produttrici di beni intermedi,
come può essere ad esempio la fabbricazione di macchinari per il taglio laser dei
laminati. Nell’esempio in questione, l’introduzione da parte dell’impresa A di un
nuovo prodotto (una nuova apparecchiatura laser con un livello di tecnologia
superiore) può garantire all’impresa B che realizza laminati in metallo un
incremento della sua produttività grazie all’adeguamento dei propri macchinari.
Passando al criterio sub b) intensità e ampiezza dell’innovazione, possiamo
identificare una contrapposizione, basata sulla distanza dell’innovazione stessa da
un prodotto o processo preesistente, tra innovazioni incrementali ed innovazioni
radicali. Queste ultime determinano una discontinuità marcata a livello macro e
micro, un vero e proprio break through di natura sia tecnologica, sia di mercato;
rappresentano prodotti o tecnologie con carattere di novità assoluto, mai concepiti
in nessun ambito in precedenza e volti a soddisfare bisogni latenti dei consumatori
o creare addirittura nuovi mercati. Invece, le innovazioni incrementali non
determinano alcuna discontinuità, si configurano come mutamenti marginali di
soluzioni già conosciute all’interno dell’impresa o del settore e non presentano
caratteristiche particolarmente nuove o originali. Alcuni esperti
8
, nell’ambito di
questo criterio, hanno proposto un genere aggiuntivo di innovazioni definibili con
l’espressione “rivoluzioni tecnologiche”, volendo rappresentare con questa
accezione del termine quelle che consistono in un gruppo di innovazioni con
effetti talmente ampi e stravolgenti da modificare in maniera pesante l’intero
8
Freeman e Soete (1997), citati in FAGERBERG J., L’analisi dell’innovazione, in FAGERBERG
J., MOWERY D. C., NELSON R. R. (2007), Innovazione: imprese, industrie, economie,
MALERBA F., PIANTA M. e ZANFEI A. (edizione italiana a cura di), Carocci, Roma, p. 37.
- 14 -
sistema. La suddivisione appena presentata merita un grado particolare di
attenzione, a causa del carattere molto soggettivo del termine “novità” e della
vastità di possibili conseguenti interpretazioni. Innanzitutto, “un prodotto è nuovo
per chi?” Ragionando sulla risposta, è logico arrivare a concludere che facilmente
un prodotto nuovo per una data impresa può non esserlo per il mercato
9
; i prodotti
imitativi, a loro volta, possono erroneamente suscitare “sensazioni nuove” tra il
pubblico degli utenti, sebbene abbiano alle loro spalle modelli anteriori molto
simili. In secondo luogo potremmo chiederci: “Quanto è nuovo il prodotto?”
Come si può stabilire il grado di novità di un fenomeno innovativo, quando la
platea alla quale lo si sottopone è così vasta e diversificata? Nella realtà
l’innovazione assume connotati molto diversi da settore a settore e, all’interno di
uno specifico settore, da impresa a impresa; per di piø, il suo carattere radicale
cambia nel tempo e secondo la prospettiva di analisi scelta, per cui
un’innovazione dapprima radicale potrebbe declassarsi ad incrementale nel corso
degli anni grazie alla parallela diffusione delle conoscenze che hanno contribuito a
generarla. A questo punto, risulta impossibile tracciare una linea di separazione
ben definita tra questi due generi innovativi, ma è certamente piø ragionevole
immaginare le innovazioni incrementali e radicali collocate agli estremi opposti di
un continuum che prevede gradi successivi e crescenti di novità e differenziazione
rispetto al passato, lungo il quale si colloca una serie quasi infinita di innovazioni
semiradicali. Concentrandoci, da ultimo, sull’evidenza empirica degli effetti che
le eterogenee tipologie innovative in questione possono generare, notiamo che
sebbene ciascuna innovazione “incrementale”, presa isolatamente, comporta
esigui miglioramenti, gran parte del progresso tecnologico nell’industria moderna
si è fondato su avanzamenti “marginali” e il loro impatto cumulativo non è poi
così dissimile da quello di un’innovazione radicale, se non addirittura superiore
(nei settori dei beni di consumo durevole, nell’elettronica e nella meccanica, si
può individuare una pluralità di esempi). Inoltre, per poter realizzare i benefici
economici provenienti dalle innovazioni radicali, spesso e volentieri, è
imprescindibile una serie di miglioramenti incrementali. Concludendo, si potrebbe
eccepire come, pur riconoscendo il valore degli elementi scientifico-tecnologici,
9
Proprio per questo motivo si tende a distinguere tra discontinuità a livello macro e a livello
micro, considerando nel primo caso l’intero mercato e, nel secondo, la singola realtà aziendale.
- 15 -
l’attributo “radicale” o “incrementale” andrebbe assegnato ad un’innovazione in
funzione degli effetti economici che essa produce e non in funzione di un
eccessivamente soggettivo carattere di novità. In seno alle innovazioni di tipo
radicale credo sia interessante inserire il tributo di un recente studio, effettuato da
alcuni docenti e studiosi della disciplina, il quale dimostra come l’origine di
questo tipo di innovazione appaia per certi aspetti controversa. Dall’analisi di un
campione di oltre 6000 inventori (considerando dunque soltanto la “componente
umana e individuale” di generazione dell’innovazione) si osserva come la
probabilità che si generi un’innovazione di tipo radicale sia maggiore nel caso in
cui si tratti di prima innovazione per l’inventore e, quindi, in condizioni di
inesperienza dell’individuo
10
. A mano a mano che l’esperienza dell’inventore
aumenta, la probabilità che egli giunga ad un’innovazione radicale decresce,
eccetto qualche lieve picco sporadico, come si può vedere in Figura 1.2.
Figura 1.2 Probabilità di innovazioni radicali dopo n innovazioni
Fonte: GAMBARDELLA A. (2010), “Innovazione e Sviluppo”, atti del convegno “CNA
Formazione: uno sguardo sul presente per anticipare il futuro”, 30 marzo 2010
Note: Sull’asse delle ordinate (y) è indicata la probabilità che l’innovazione sia di tipo radicale tra
le innovazioni introdotte dall’inventore, su una scala da 0 a 0,2. Sull’asse delle ascisse (x) sono
numerate le n invenzioni personali dell’inventore dalla 0 alla 39esima. Per facilità di
rappresentazione dei dati, le probabilità di ogni invenzione successiva alla 39esima sono state
sommate nella posizione 40
10
In questa ricerca, la distinzione tra inventori esperti (experienced inventors) e inventori non
esperti (inexperienced inventors) si basa sul criterio del numero di brevetti registrati a nome
proprio dall’inventore stesso, definendo: “esperti”, gli inventori con un numero di brevetti
registrati superiore alla media dei brevetti individuali registrati; “non esperti”, gli inventori con un
numero di brevetti registrati a nome proprio inferiore alla media dei brevetti individuali registrati.
- 16 -
Questi risultati conducono ad asserire come la capacità di alcune
innovazioni di rappresentare una vera discontinuità con lo “stato dell’arte” sia,
nella maggior parte dei casi, frutto della casualità o quantomeno di uno studio
poco approfondito della tecnologia in questione, contrariamente a quanto si
potrebbe pensare considerando la mole degli effetti che queste possono scatenare.
Questa rappresentazione conferma la tendenza secondo la quale la creatività
personale può agire in due direzioni: in primo luogo, una limitata conoscenza non
permette una comprensione di una situazione tale da mettere l’individuo in
condizioni di risolverla adeguatamente; viceversa, una specializzazione troppo
profonda in una certa disciplina può bloccare la creatività entro certi confini
intellettuali, rallentando la produzione di idee brillanti ed alternative. Può
succedere, in alcuni casi, che gli individui meno esperti giungano ad idee piø
creative e radicali di quanto non possa fare un esperto del settore, per quanto vasto
sia il suo campo di conoscenze in merito ad esso.
Proseguendo nella tassonomia sopraindicata, si incontra una distinzione
supplementare, proposta da Henderson & Clark
11
, che introduce le categorie di
innovazione architetturale e innovazione modulare, in base al criterio sub c)
ambito dell’innovazione. Questo approccio parte dal presupposto che la maggior
parte dei prodotti e dei processi non può essere pensata singolarmente come fosse
un blocco unitario, ma anzi si configura come struttura composta di una
molteplicità di elementi collegati tra loro per formare il risultato finale che noi
vediamo. A questo punto la differenza risiede nel fatto che l’innovazione può
avere due direttrici di effetto quando opera sul prodotto/processo in questione,
agendo sui singoli componenti dello stesso o sulla sua struttura d'insieme. Nel
primo dei due casi, ci troviamo di fronte ad un esempio di innovazione modulare,
in cui vengono apportati cambiamenti migliorativi ad uno o piø degli elementi
parte del prodotto senza modifiche alla sua configurazione generale. Nel secondo
caso, viceversa, parleremo di innovazione di tipo architetturale per definire la
trasformazione della struttura complessiva del prodotto/processo o del modo in
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HENDERSON R. M., CLARK K. B. (1990), “Architectural innovation: the reconfiguration of
Existing Product Technologies and the Failure of Established Firms”, citato in MIGLIACCIO M.
(2005), “Innovazione architetturale ed innovazione radicale: effetti sulle competenze organizzative
delle imprese”, Sinergie, n. 67/05, pp. 260-261.
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cui i singoli componenti interagiscono tra di loro. Per far sì che la distinzione sia
piø chiara e comprensibile, basti pensare ad un oggetto quale ad esempio
l’automobile. Nell’ipotesi in cui si producano lievi modificazioni riguardanti, ad
esempio, la fanaleria, i sedili, ecc. si tratterà senza dubbio di innovazioni
modulari, poichØ attinenti a singoli accessori dell’autovettura; al contrario, se
l’innovazione agirà in maniera profonda sulla motoristica, introducendo ad
esempio un nuovo tipo di combustibile tale per cui tutta la concezione meccanica
del veicolo andrà modificata, si parlerà di innovazione architetturale. ¨ naturale e
quantomeno scontato giungere ad osservare che quest’ultimo tipo di innovazione
richiederà una serie di adattamenti successivi ad una larga parte dei componenti
del prodotto, poichØ con la nuova logica di funzionamento radicalmente
rivoluzionata alcuni di essi saranno senz’altro divenuti obsoleti. Sul piano degli
effetti originati dalle innovazioni modulari e da quelle architetturali le differenze
sono sicuramente rilevanti. Rispettivamente, un’innovazione modulare non
comporterà uno stravolgimento così devastante all’interno dell’organizzazione,
ma i suoi effetti saranno comunque dirompenti e richiederanno all’impresa in
questione una rinnovata ed evidente esigenza di acquisire nuove conoscenze e
competenze atte a sviluppare scrupolosamente il componente innovativo;
chiaramente tale knowledge baggage sarà limitato all’elemento in questione, ma
non per questo le innovazioni modulari possono considerarsi in maniera
superficiale. Un’innovazione architetturale, al contrario, origina un fenomeno
molto piø travolgente rispetto al caso precedente, poichØ richiede una rivoluzione
generale del contesto organizzativo e gestionale, che vada ad incidere sulle
singole variabili al fine di generare nuove competenze di tipo trasversale.
Tuttavia, proprio perchØ influisce sulla conoscenza architettonica dell’impresa,
riscontra maggior probabilità di dover “lottare” con l’inerzia aziendale radicata
nelle strutture e nelle procedure tradizionali. Le conseguenze di questa resistenza
al cambiamento si manifestano nel tempo, quando il frenetico avanzamento della
concorrenza innovativa oltrepassa l’impresa stessa, creando distanze spesso
incolmabili.
Giungendo al criterio finale di classificazione delle tipologie innovative e
cioè il sub d) effetti sulle competenze, possiamo rilevare una separazione tra