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Introduzione
Il presente elaborato analizza un argomento che negli ultimi anni è ampiamente
dibattuto tra banche e consulenti finanziari. Questo tema riguarda l’opportunità o meno di
inserire all’interno del portafoglio finanziario asset class meno tradizionaliste, in particolar
modo quei prodotti appartenenti al mercato dei flessibili, un asset class che recentemente
in termini di masse allocate può dirsi letteralmente esplosa nei portafogli della clientela sia
retail che private.
L’analisi di questa nuova asset class presuppone in primis la necessità di fare una
panoramica dell’universo sul risparmio gestito con evidenza delle regole auree che
disciplinano la normativa e che guidano la categorizzazione degli strumenti.
La prima parte dello studio è focalizzata sulle metriche usate in funzione dello stile di
gestione dei fondi. Si ricorre all’utilizzo degli indicatori, che nella maggior parte dei casi sono
di tipo relativo, ovvero legati al Benchmark. È per questo che viene fatto un breve richiamo
relativamente a quest’ultimo in quanto ci permette di trarre giudizi sui risultati raggiunti dagli
investimenti effettuati.
L’identificazione del rischio e della performance registrata dal fondo è utile anche nel caso
in cui si voglia mettere sotto la lente d’ingrandimento la natura dello strumento e la corretta
appartenenza dello stesso ad una determinata asset class.
La possibilità di ricondurre il comportamento del fondo ad uno specifico mercato aiuta
infatti l’investitore ad ipotizzare l’andamento futuro dello strumento.
Nella seconda parte dell’elaborato l’attenzione va alla costruzione dell’impalcatura del
portafoglio quindi nell’identificazione delle varie asset class al fine di individuare, utilizzando
diversi indicatori aggiustati per il rischio e seguendo una logica specifica per i vari comparti,
quelle più efficienti e quelle dove vi è più spazio per l’attivismo del gestore.
L’obiettivo è trovare una soluzione di portafoglio equilibrata che contempli sia la gestione
attiva che passiva.
A tale scopo sono state condotte dal 2010 al 2018 diverse analisi empiriche di Risk-
Perfomance e Alpha-TEV, in particolar modo su 6 asset class, per valutare se correre rischi,
avvalorando una gestione di tipo dinamico e le skills del gestore, o se convenga rimanere
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indicizzati e quindi destinare una parte di portafoglio a prodotti passivi replicanti il mercato,
quali ETFs.
Completato lo studio dei fondi a Benchmark si è preso in considerazione il comparto dei
fondi Flessibili, cercando di riflettere sulle ragioni alla base del loro successo, sulla
valutazione dei criteri idonei per valutarne la performance, sulle difficoltà intrinseche
nell’identificazione di questi prodotti in classi omogenee e sull’individuazione di un
procedimento razionale finalizzato al loro utilizzo, cioè subordinato alla necessità di
implementare un processo disciplinato nella costruzione di portafoglio.
Tra le tipologie di flessibili sono state condotte differenti verifiche empiriche: l’analisi sulle
performance assolute nel 2018, “cigno nero” per i mercati, fino a valutazioni di più ampio
respiro, ovvero orizzonti di oltre 9 anni. Il tutto finalizzato a verificare se la capacità media
dimostrata degli strumenti fosse stata in grado di battere o meno il mercato, cioè se i
prodotti avessero effettivamente offerto una gestione attiva premiante o scadente.
Il risultato finale, pur condizionato da variabili inserite nello studio, conduce ad un giudizio
personale e pone la seguente riflessione: queste strategie possano giocare un ruolo da
protagonista oppure hanno solo un ruolo esclusivamente marginale all’interno del
portafoglio?
L’ultima sezione dell’elaborato è dedicata strettamente alla costruzione finale di
portafoglio, alla caccia dei drivers di valore e alla declinazione dell’asset allocation in
prodotti attraverso l’ottimizzazione multi-manager. Una ricerca dunque verso l’extravalore
nei portafogli non riconducibile al solo andamento dei mercati ma anche alla product
selection da parte del gestore.
Utilizzando Quantalys sono state create diverse composizioni direzionali per tre profili di
rischio che sfruttando i dati ricavati dai precedenti studi, ovvero le asset class e i cataloghi
formati da OICR e ETFs, mostrano differenti composizioni in prodotti.
Sono stati mixati anche i bacini in funzione della natura delle asset class, prediligendo una
gestione attiva per alcuni mercati a scapito di altri.
Infine, è stata inserita all’interno dei portafogli modello anche la variabile aleatoria data
dall’asset class flessibile, nella speranza che a parità di volatilità attesa, si sarebbe potuto
ottenere un ulteriore valore aggiunto.
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L’inserimento della componente satellite dei flessibili nell’asset allocation è stata giustificata
dalla ricerca di un extra valore originato dal monitoraggio/mantenimento tattico di
portafoglio rispetto alla mera definizione di una composizione strategica.
Per concludere sono state effettuate diverse ottimizzazioni per i tre profili di rischio,
prudente, equilibrato e dinamico al fine di far lavorare la macchina sulle composizioni
efficienti.
I risultati danno evidenza della bontà dei portafogli di aver generato valore sia in backtest
(in constant mix), sia in performance effettive realizzate in ottica buy and hold fino al
31/12/2019.
I dati mostrano delle nette preferenze tra le varie composizioni con evidenti critiche circa il
rifiuto di una costruzione di portafogli solo indicizzati, lo scardinamento dell’idea di
desiderare una gestione solamente attiva, l’inclusione o l’esclusione dei flessibili.
Proprio quest’ultimi per i quali ci si è domandati se rappresentano un fenomeno di natura
commerciale o se possono divenire il reale valore aggiunto del portafoglio.
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Capitolo 1
CLASSIFICAZIONE E NORMATIVA PER IL RISPARMIO GESTITO
1.1. Classificazione Assogestioni dei fondi comuni
La prima tematica affrontata si focalizza sulle norme che disciplinano il mondo del
risparmio gestito. In particolare, per quanto riguarda la classificazione dei fondi comuni, nel
2003 Assogestioni
1
(Associazione del Risparmio Gestito) ha fornito una linea guida per poter
aggregare e comparare i fondi e le loro politiche d’investimento in categorie omogenee.
La natura di questa scelta nasce dall’esigenza di aiutare il risparmiatore, vale a dire “la
parte debole del rapporto di scambio”, a comprendere le caratteristiche essenziali e la
tipologia dei prodotti offerti dall’attuale industria finanziaria e nello specifico sul mercato
del risparmio gestito. Un secondo intento di Assogestioni è stato quello di definire l’obiettivo
principale, ovverosia permettere al risparmiatore di determinare in maniera immediata ed
efficace i fattori di rischio che identificano la politica d’investimento del servizio offerto.
La classificazione dei fondi comuni di Assogestioni si divide in cinque macro-categorie:
● Azionari;
● Bilanciati;
● Obbligazionari;
● Liquidità;
● Flessibili.
Questa divisione si differenzia primariamente per la componente azionaria presente
all’interno dei comparti (ogni singola categoria possiede una percentuale minima e
1
È nota anche come Assofondi. L'istituzione promotrice dello sviluppo di un modello di inquadramento dei
prodotti di gestione, ovvero fondi comuni, fondi pensione e gestioni patrimoniali. La classificazione è un punto
di riferimento per la valutazione di primo livello sulle caratteristiche dei prodotti e sul binomio inscindibile rischio-
rendimento. Il sistema di raggruppamento è stato modificato poi nel febbraio 2012 rinominando la categoria
dei fondi di liquidità in fondi di Mercato Monetario e allineando i limiti d’investimento con le linee guida Europee.
In giugno 2012 è stata attivata la categoria dei fondi Obbligazioni Italia e nell’ottobre 2017 è stata riconosciuta
la qualifica di fondo Sostenibile e Responsabile ai fondi definiti Etici.
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massima di investimento azionario che incide sull’asset allocation) e sulla base di alcuni
driver di rischio che caratterizzano i prodotti.
Per quanto riguarda la categoria “Azionari” l’investimento in equity deve essere almeno
per il 70% del fondo
2
e gran parte del rischio deve dipendere primariamente dal tipo di
emittente e dalla specializzazione settoriale
3
.
Per i fondi bilanciati la quota azionaria può oscillare dal 10% al 90% dell’intero strumento.
Per questo motivo vengono suddivisi in:
1) Bilanciati obbligazionari che detengono quote azionarie tra il 10% e il 50%;
2) Bilanciati azionari in cui le azioni in portafoglio sono comprese tra il 50% e il
90%;
3) Fondi “residuali bilanciati” dove la quota azionaria è compresa tra il 30% e
70%.
Per l’asset liquidità e la categoria degli obbligazionari non possono esserci assolutamente
azioni
4
. Per i fondi di liquidità, nel dettaglio, la composizione in titoli e strumenti finanziari
deve aver rating uguale o superiore ad A2 indicato dall’agenzia di rating Moody’s, A per
Standard & Poor’s o rating equivalente se assegnato da un’altra agenzia indipendente e
una duration del “portafoglio liquido” inferiore ai 6 mesi. In sostanza, lo strumento deve
essere in grado di ripagare il capitale inizialmente investito durante il semestre in cui è stato
acquistato.
Infine, l’ultima categoria, i flessibili, non hanno alcun tipo di vincolo percentuale tra le asset
class del portafoglio, questo significa che possono detenere dallo 0% fino al 100% in quota
azionaria. Non hanno alcun vincolo sull’asset allocation e non condividono alcun specifico
fattore di rischio geografico settoriale e valutario.
I fondi comuni possono essere classificati nella seguente tabella riassuntiva:
2
L’investimento residuale, invece, può essere fatto in titoli obbligazionari di qualunque emittente e in liquidità
nella valuta euro o del mercato di definizione.
3
Per i fondi settoriali, l’investimento principale può essere impartito su qualunque emittente purché si rispettino
i requisiti di categoria definiti dal Global Industry Classification Standard.
4
Ad eccezione dei fondi obbligazionari misti che possono detenere fino ad un 20% di azioni e i fondi
obbligazionari flessibili che essendo caratterizzati da una policy di investimento “total return” non hanno alcun
limite di esposizione ai fattori di rischio.
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Tabella 1 - Categorie per i fondi comuni. Fonte: Assogestioni.
In dettaglio, per le categorie azionarie:
Tabella 2 - Classificazione categoria azionaria. Fonte: Assogestioni.
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I fondi obbligazionari vengono diversamente suddivisi in base ai rischi specifici insiti
nell’investimento delle obbligazioni emesse. Quest’ultimi menzionati sono:
▪ Rischio di mercato: effetto negativo dovuto a movimenti sfavorevoli dei prezzi che
influenzano i mercati finanziari.
Il “market risk” dipende direttamente dalla:
o Valuta di denominazione: Il tasso di cambio impatta nel bene e nel male sulle
performance contabilizzate del fondo. Infatti, si è esposti al rischio di cambio
qualora i flussi di cassa in una transazione vengano convertiti in una valuta
straniera. Non dipende dalla nazionalità degli operatori ma solo dalla valuta
di denominazione;
o Duration del portafoglio (semplice o modified) che misura la volatilità del
titolo indicando quanto varia il prezzo dell’obbligazione in seguito al
cambiamento dei tassi di interesse presenti sul mercato. Una variazione del
valore degli “asset interest sensitive” comporta la modifica della struttura per
scadenza dei tassi di interesse portando ad un duplice effetto:
▪ “L’Effetto reinvestimento”: possibilità di investire la liquidità che si è
liberata ad un tasso maggiore;
▪ “L’Effetto valore”: modifica del valore dello strumento scontato dei
payoff periodici al tasso di rendimento effettivo
5
.
▪ Rischio di credito: rischio di insolvenza, ovvero il rischio che il soggetto che ha emesso
le proprie obbligazioni non riesca a adempiere all’obbligo di rimborso del capitale o
al pagamento degli interessi (o anche un ritardo nel farlo). Il rischio di credito è
anche fortemente influenzato dal ciclo economico. Esso dipende dalla:
o Giurisdizione dell’emittente: se il paese è sviluppato o emergente;
o Tipologia dell’emittente: se è debito sovrano o emesso da imprese per la
raccolta del capitale a debito (corporate bond);
o Merito creditizio: l’affidabilità finanziaria del soggetto che chiede di finanziarsi.
L’investimento si suddivide in Investment Grade, quindi istituzionale e ad alta
5
Per le obbligazioni a tasso fisso un aumento del tasso di interesse comporta un deprezzamento delle stesse.
Infatti, vi è una correlazione inversa tra prezzo e rendimento a scadenza.
Se la duration è bassa ci si aspetta una bassa esposizione alle variazioni dei tassi ovvero una bassa volatilità.
Per coprirsi dall’effetto tasso ci si copre solitamente con strumenti quali interest rate future, option o swap in
modo da assumere posizioni lunghe su mercati a pronti e corte sui mercati dei derivati o viceversa.
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solvibilità o High Yield, dunque a rischio elevato.
o Specializzazione settoriale.
Lo schema delle categorie obbligazionarie:
Tabella 3 - Classificazione categoria obbligazionaria. Fonte: Assogestioni.
1.2 Il monitoraggio delle categorie Assogestioni
Definite le classi Assogestioni di appartenenza è possibile individuare un parametro di rischio
legato alla tipologia dell’investimento scelto. L’indicatore di rischio più utilizzato e che
permette di avere un’osservazione continua sullo strumento si chiama SRRI (Synthetic risk
and reward indicator) e viene riportato sulla documentazione ufficiale di tutti i comparti
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UCITS su una scala di 7 elementi. Ogni classe rappresenta un intervallo fisso di oscillazione
della deviazione standard dei rendimenti calcolati su base settimanale in ottica backward
su un orizzonte di 5 anni, ovvero l’ampiezza di variazione dei rendimenti attorno alla media
(quindi da una politica di investimento del fondo molto prudente ad una politica
fortemente aggressiva e dinamica)
6
.
Figura 1- Rischio SRI in Mifid II. Fonte: Key information document del fondo gestito.
Classe di rischio SRRI RANGE Livello di Rischio
1 0% - 0,5% Molto basso
2 0,5% - 2% Basso
3 2% - 5% Medio-basso
4 5% - 10% Medio
5 10% - 15% Medio-alto
6 15% - 25% Alto
7 >25% Molto alto
Tabella 4 - Fonte: Elaborazione delle classi di Rischio in Mifid II
7
Assogestioni, oltre alle linee guida per la mappatura iniziale e alle indicazioni sulla
valutazione del rischio implicito nello strumento, ha indicato in maniera più approfondita
come tenere monitorata la corretta attribuzione della categoria del fondo e come gestire
l’eventuale cambiamento di politica di gestione da parte del gestore.
Il monitoraggio nel tempo deve consentire di dare nel continuum una valutazione
oggettiva dell’investimento al risparmiatore, dunque la consapevolezza del grado di
6
Ovviamente viene ipotizzata per il calcolo dell’indicatore l’ipotesi di distribuzione gaussiana dei rendimenti del
fondo. L’andamento della deviazione standard deve essere contestualizzato al periodo di valutazione.
In effetti, in periodi di stabilità economica, spesso tale misura di rischio può risultare ridotta su molte asset class.
Secondo lo studio “Stock Market Volatility during the 2008 Financial Crisis” di Kiran Manda della Leonard N. Stern
School of Business, pubblicato il 1°aprile 2010, la volatilità annualizzata dell’indice S&P500 subito dopo Lehman
Brothers è schizzata sfiorando il 45%, quando prima della crisi si era mediamente registrato un valore di 13,6 punti
percentuali. Il solo fatto che un fondo abbia una ridotta volatilità storica non implica dunque necessariamente
che non possano esserci deviazioni e che non si registrino perdite superiori a quelle passate.
7
Classificazione di ESMA, European Securities and Markets Authority.
14
rischiosità, dell’orizzonte temporale e del mercato in cui il fondo sta investendo in quel
momento.
In generale, la modifica di appartenenza di un fondo rispetto alla propria categoria non
può avvenire più di una volta l’anno. Però, nel caso in cui il prodotto confezionato dall’asset
manager non rispetti i limiti imposti dalla categoria, si applicano variazioni obbligatorie
d’ufficio aggravate da sanzioni
8
.
La prima attribuzione al comparto avviene tramite comunicazione della SGR ad
Assogestioni della categoria scelta e di tutte le informazioni anagrafiche del nuovo
prodotto. Quindi l'assegnazione iniziale della categoria di appartenenza fa a capo alla
società di promozione che emette il fondo, non Assogestioni stessa.
Il check avviene in un secondo momento da parte di un comitato appositamente istituito
all’interno dell’organismo Assogestioni che ha la possibilità di esprimere il proprio parere e
rimandare al Consiglio Direttivo l’autorizzazione all’inserimento dello strumento nella
categoria richiesta. Quest’ultimo Organismo può negare l’inserimento del fondo nella
categoria indicata dalla SGR in caso di incoerenza con la politica di investimento dettata
dal gestore. Una volta avvenuta l’iscrizione nella categoria Assogestioni, l’informazione
viene comunicata ai sottoscrittori e diventa soggetta a verifica da parte delle autorità di
Vigilanza.
Nel caso di modifiche sulla struttura o l’inserimento di nuove Categorie Assogestioni (quindi
modifiche condotte a monte), il Consiglio Direttivo adotta una procedura per ristabilire la
corretta mappatura di tutti i fondi.
Se la richiesta di variazione di appartenenza alla categoria del fondo arriva invece dalla
SGR (quindi a valle) il procedimento risulta più complesso e lungo.
In effetti vi sono rigorose regole che evitano comportamenti opportunistici da parte delle
società che gestiscono i fondi:
• Se la categoria è indicata nel prospetto informativo la variazione è sottoposta al
giudizio dell’autorità di vigilanza e poi approvata da parte del Consiglio Direttivo;
• Se la categoria non è indicata nel prospetto informativo e vi è stata modifica della
politica di investimento indicata nei documenti di offerta, la SGR può chiedere
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Le società promotrici dei fondi sono sempre tenute a rispettare i limiti d’investimento della categoria e ad
inviare con frequenze definite i flussi informativi aggiornati ad Assogestioni (solitamente report al 30/06 e al
31/12).
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l’approvazione d’esercizio direttamente al Consiglio Direttivo purché
adeguatamente motivata. La variazione della categoria comincia dalla data in cui
viene identificato il cambio della politica di investimento;
• In tutti gli altri casi la SGR può presentare richiesta di variazione e il comitato per la
classificazione si riserva la facoltà di chiedere dettagli sul motivo della variazione e il
rispetto dei limiti percentuali sulle asset class. Il Consiglio Direttivo rimane comunque
l’unico ente discrezionale che accetta o respinge la domanda di modificazione del
comparto.
Da ultimo, il raggruppamento di Assogestioni consente anche di raccordare tutti i fondi
esistenti ma mappati diversamente dai providers finanziari che si trovano al momento sul
mercato. Uno stesso strumento, infatti, potrebbe essere categorizzato in maniera diversa da
più società che forniscono dati e questo avrebbe forti ripercussioni sia sulla scelta del
Benchmark corretto da associare al fondo, sia sulle valutazioni di bontà e di creazione di
valore da parte del manager
9
.
9
Basti pensare alle realtà Morningstar e Quantalys, entrambe società di servizi di ricerca e gestione degli
investimenti che possiedono dei database formati rispettivamente da 264 e 140 categorie. La differenza di
numerosità potrebbe portare ad avere per i medesimi fondi categorie, Benchmark e indicatori relativi di rischio-
rendimento diversi.