impatti negativi che le politiche economiche, adottate dagli Organismi internazionali per
promuovere la crescita e lo sviluppo, hanno generato sui Paesi del Sud. Lo sviluppo dei
Paesi economicamente più deboli, infatti, è affidato a una strategia liberista collegata al
processo di globalizzazione dell’economia, che avviene sotto la guida dei grandi centri
di coordinamento delle politiche economiche internazionali, quali la Banca Mondiale, il
Fondo Monetario Internazionale, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico, che si occupano del processo di trasferimento delle risorse dai
Paesi ricchi a quelli poveri attraverso aiuti finanziari allo sviluppo.
Le politiche macroeconomiche adottate dagli Organismi internazionali implicano
generalmente svalutazioni delle monete, riduzioni delle importazioni e aumenti delle
esportazioni, riduzioni della spesa pubblica, misure che spesso hanno comportato
aumenti della disoccupazione, della povertà e gravi ripercussioni sociali, soprattutto nel
breve periodo, in quei Paesi che le hanno seguite.
Nonostante gli aiuti allo sviluppo durino ormai da più di trenta anni il divario tra
Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo continua a permanere; tali constatazioni
hanno contribuito a mettere in discussione sia la teoria della crescita economica, sia il
ruolo degli Organismi internazionali nel contesto del sistema economico globale.
La presente analisi è strutturata in tre parti, nella prima (capitoli 1, 2 e 3) verranno
analizzati teoricamente i processi di globalizzazione e le loro caratteristiche. Il primo
capitolo si propone di evidenziare i limiti dei modelli di sviluppo e crescita economica,
prendendo in esame anche la relazione che intercorre tra crescita reale e finanziaria in
un sistema internazionale; verranno valutati, inoltre, gli effetti delle crisi finanziarie nel
6
sistema economico globale. Tali effetti saranno poi analizzati concretamente nel
secondo capitolo attraverso l’esperienza dei Paesi più colpiti dalle crisi, quali la Russia
e l’America Latina, e attraverso le implicazioni globali che ne derivano; nel terzo
capitolo, invece, verranno evidenziate le conseguenze della liberalizzazione finanziaria
attraverso l’esperienza del Marocco, e di due economie asiatiche considerate agli
antipodi nei processi di crescita economica, l’India e la Corea.
La seconda parte (capitoli 4 e 5) si propone di analizzare il ruolo degli Organismi
internazionali nei processi di sviluppo e crescita economica nel contesto della
globalizzazione. Nel quarto capitolo verranno considerate specificatamente le politiche
di aggiustamento strutturale adottate dalle Nazioni Unite, in particolare dal Fondo
Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, valutandone l’impatto sui Paesi che
le hanno seguite, mentre nel quinto capitolo verranno analizzate le politiche che la
Comunità Economica Europea ha utilizzato per incentivare lo sviluppo e la crescita sia
all’interno che all’esterno dell’Unione Europea.
La terza parte, infine, (capitoli 6 e 7) si propone di evidenziare alcune possibili
alternative ai modelli di sviluppo e crescita economica, nel sesto capitolo verranno
valutati gli approcci dello sviluppo sostenibile e umano e il ruolo delle Organizzazioni
non governative nell’incentivare la crescita economica dei Paesi in via di sviluppo. Nel
settimo capitolo verranno prese in considerazione alcune proposte riguardanti strategie
di sviluppo rivoluzionarie, quali quelle della finanza etica e del commercio equo, come
possibili canali internazionali per aiutare le economie del Sud a svilupparsi in maniera
autosufficiente.
7
PARTE PRIMA
Le caratteristiche del sistema economico globale
8
CAPITOLO 1
I PROCESSI DI GLOBALIZZAZIONE
Durante gli ultimi 25 anni ci sono stati cambiamenti significativi nello scenario
economico internazionale: la riduzione delle barriere tariffarie nazionali, il
miglioramento dei trasporti, della produzione e delle tecniche di comunicazione hanno
portato a un rapido aumento del commercio internazionale e dei flussi di investimento.
La volontà di creare una maggior cooperazione economica multilaterale risale già al
1947 quando venne firmato il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), un
accordo che presentava un vasto progetto di regolamentazione delle relazioni
economiche internazionali i cui cicli di negoziazioni, i cosiddetti rounds, portarono alla
introduzione di misure volte a favorire la liberalizzazione del commercio e la riduzione
dei dazi doganali sia alle importazioni che alle esportazioni.
L’ultimo ciclo di negoziazioni, terminato nel 1994, (l’Uruguay Round) ha dato vita
alla Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che ha favorito la creazione di un
mercato globale attraverso la liberalizzazione dei servizi (GATS, General Agreement on
Trade in Services), la regolamentazione degli investimenti esteri (TRIMs, Trade-
Related Investment Measures) e l’accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di
proprietà intellettuale (TRIPs, Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights).
L’introduzione di queste normative a livello internazionale fu di fondamentale
importanza, sia per incoraggiare il flusso di investimenti a scopo produttivo tra diversi
Paesi, sia per tutelare l’investitore straniero: egli viene equiparato all’investitore
nazionale, quindi tutelato nel caso di una eventuale controversia, e ha la possibilità di
9
esportare liberamente i profitti derivanti dall’impiego del capitale investito.
Il 12 dicembre del 1974 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la
Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, con l’intento di promuovere la
formulazione di norme generali che contribuissero a instaurare un nuovo ordine
economico internazionale basato su una più equa distribuzione della ricchezza
mondiale. L’art. 18, ad esempio, ribadisce l’importanza di migliorare ed allargare il
Sistema delle Preferenze Generalizzate, approvato dal Consiglio del Commercio e dello
Sviluppo dell’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) il 13
ottobre del 1970.
1
Il sistema è stato introdotto per favorire il commercio tra Paesi industrializzati (Nord)
e Paesi in via di sviluppo (Sud) e prevede alcune facilitazioni per l’importazione nei
Paesi occidentali di prodotti provenienti dal Sud, specialmente materie prime e
semilavorati; tali facilitazioni comprendono l’abolizione delle barriere tariffarie, dei
contingentamenti e la riduzione della applicazione di regole nazionali concernenti la
modalità di fabbricazione, produzione e commercializzazione delle merci.
Questi eventi si inseriscono nel contesto di un vasto e controverso processo definito
globalizzazione. Il termine indica la crescente interdipendenza tra i Paesi sotto
molteplici punti di vista, non soltanto in termini economici, ma anche politici e sociali,
dove lo spazio geografico sembra ridursi sempre di più grazie alla sorprendente velocità
dei mezzi di comunicazione, dei flussi di informazione e dei mezzi di trasporto.
2
1
A. Giardina, G. Tosato, Diritto del Commercio Internazionale, Giuffrè editore, Milano, 1996.
2
J. Baylis, S. Smith, The Globalization of World Politics. An Introduction to International Relations,
Oxford University Press, 1997.
10
La globalizzazione implica che molte politiche nazionali possono generare delle
esternalità internazionali provocando degli effetti a catena in altri Paesi, e le misure di
politica economica adottate dagli Organismi internazionali hanno contribuito a una
perdita di sovranità da parte degli Stati, vincolandoli alle decisioni della Comunità
internazionale.
Alcuni fattori hanno poi stimolato la globalizzazione finanziaria, tra questi sono
importanti l’innovazione tecnologica nel campo dell’informatica e delle
telecomunicazioni, quindi la trasmissione in tempo reale delle informazioni e la veloce
elaborazione delle stesse, e la crescente concentrazione del potere nelle mani degli
investitori istituzionali (come ad esempio i fondi pensione e le compagnie di
assicurazione) che effettuano sempre più operazioni finanziarie internazionali, spesso
con strategie di diversificazione verso i mercati emergenti.
3
La crescita di queste
istituzioni è una delle ragioni per cui i flussi di capitale verso i Paesi emergenti sono ora
prevalentemente guidati da considerazioni di liquidità, piuttosto che da relazioni di
lungo periodo tra le banche.
Questi fattori hanno contribuito alla riduzione dei costi relativi delle transazioni
finanziarie e delle operazioni valutarie, migliorando l’efficienza allocativa del mercato.
Il processo di globalizzazione internazionale ha anche avuto effetti significativi sulla
relazione tra Paesi appartenenti all’OECD (Organisation for Economic Cooperation
and Development) e quelli non appartenenti: l’integrazione dei mercati e la rapida
3
J. Baylis, S. Smith, The Globalization of World Politics. An Introduction to International Relations,
op.cit.
11
crescita in alcuni Paesi in via di sviluppo e in quelli di Nuova Industrializzazione
(NICs) hanno agito come stimolo al commercio e ai flussi di investimento in queste
aree.
4
I cambiamenti tecnologici e la liberalizzazione finanziaria hanno favorito il
miglioramento del commercio in servizi e l’espansione del settore bancario, di quello
assicurativo e dei servizi professionali.
Il settore finanziario ha avuto un ruolo importante nei processi di crescita dei Paesi in
via di sviluppo, dove i flussi di capitale privato raggiunsero i 200 miliardi di dollari nel
1996, circa sei volte la quantità dei flussi registrati tra il 1983-89; la liberalizzazione dei
mercati finanziari nazionali e internazionali ha portato a flussi di risorse finanziarie
virtualmente liberi, ma anche più volatili, contribuendo alla crescita della integrazione
nei mercati dei capitali.
5
Gli avvenimenti degli ultimi dodici mesi, però, hanno messo in evidenza la forza e la
debolezza del processo di globalizzazione e hanno riconfermato la necessità di una più
efficace gestione dell’economia mondiale. Durante il 1997 il livello dell’output
mondiale crebbe a un tasso annuale del 3,2%, migliorando rispetto al tasso di crescita
del 3% del 1996, ma il 1997 fu anche l’anno della crisi finanziaria asiatica che portò
l’economia dell’Est Asia alla recessione, con una caduta dell’output reale mai registrata
negli ultimi decenni.
Sta diventando sempre più evidente che la globalizzazione economica non porta
benefici a tutti i Paesi, infatti persistono differenze considerevoli nelle diverse
4
P. Richardson, Globalization and Linkages: macro-structural challenges and opportunities, in “OECD
Economic Studies”, N. 28, gennaio 1997.
5
IMF, World Economic Outlook, Washington D.C., maggio 1997, p. 73.
12
performance economiche: la globalizzazione potrebbe contribuire alla polarizzazione tra
Paesi di successo e quelli ai margini della povertà, molti Paesi in via di sviluppo non
hanno ancora beneficiato dei vantaggi della globalizzazione e i loro standard di vita
sono rimasti modesti. La crescente polarizzazione tra i Paesi è poi accompagnata da un
aumento delle ineguaglianze nella distribuzione del reddito: la povertà rimane una dura
realtà per una parte significativa della popolazione in molte regioni, tanto che si stima
che nel 2000 i 4/5 della popolazione mondiale vivranno in Paesi in via di sviluppo.
6
Il quesito che si pone è se la Comunità internazionale è in grado di affrontare i
processi di globalizzazione in modo da facilitare l’integrazione dei Paesi meno
sviluppati nell’economia mondiale e allo stesso tempo offrire una più equa ripartizione
dei suoi benefici. La liberalizzazione del commercio all’interno del sistema multilaterale
continuerà ad avere un ruolo importante come motore della crescita globale, ma
insufficiente ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo; come il
presidente Mandela ricordò durante la Conferenza in onore dell’anniversario del GATT
“il commercio non porta di per se stesso a un mondo migliore, quello di cui c’è bisogno
è un sistema capace di gestire l’economia globale”
7
.
L’assunzione che i benefici derivanti da una rapida crescita economica avrebbero
avuto un impatto favorevole a livello sociale è stata smentita dalle crescenti
ineguaglianze in molti Paesi a basso reddito, anche dove le performance di crescita sono
state significative. Il processo di globalizzazione e le recenti crisi finanziarie impongono
6
UNCTAD, The Least Developed Countries 1998 Report, Ginevra, 1998.
7
Ibidem, p. 6.
13
quindi una riconsiderazione dei modelli di crescita economica e del ruolo che gli
Organismi internazionali svolgono in questo contesto.
1.1. I modelli di sviluppo e crescita economica vengono rimessi in discussione.
Gli sforzi compiuti da parte degli economisti per teorizzare dei modelli di sviluppo e
di crescita economica non hanno portato a risultati concreti soddisfacenti; spesso la
teoria non ha avuto riscontri positivi nella realtà internazionale e le recenti crisi
finanziarie dimostrano quanto sia necessario riconsiderare le strategie adottate.
La storia del pensiero economico testimonia che la pratica procede sempre più
spedita della teoria; gli sviluppi della Teoria della Crescita, un corpus di teorie molto
eterogenee, sono appunto un esempio di come la Storia sia rimasta fuori dagli orizzonti
della scienza economica: si definisce uno schema, un modello economico per il lungo
periodo, ma nel lungo periodo tutto è già cambiato e il modello non è più valido, quindi
la teoria ha il compito di definirne uno nuovo più adeguato.
In questo paragrafo verranno presentati alcuni modelli di crescita economica e le
principali teorie sullo sviluppo; verrà poi considerato, in particolare, un modello che
analizza l’erogazione di aiuti finanziari ai Paesi economicamente più deboli, valutando
il loro impatto sulla crescita economica.
1.1.1. La crescita e lo sviluppo in prospettiva.
Grandi questioni di politica economica come il miglioramento dei livelli di vita, la
crescita economica e il progresso, l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, il commercio
internazionale, l’esigenza di compensare libero mercato e distribuzione del reddito,
14
hanno portato alla necessità di stabilire se la crescita del PIL, assoluta e relativa, non
dipenda dai livelli iniziali di reddito, dalla grandezza di un Paese, dal livello di
risparmio di una nazione, dagli investimenti in macchinari e tecnologie o dagli
investimenti in istruzione.
Altre domande ricorrenti sono se le cause dell’aumento (e della diminuzione) della
produttività vadano ricercate negli incentivi ad investire in ricerca o piuttosto nel costo
dei fattori, come il lavoro; se tali cause siano permanenti, transitorie o cicliche; se le
possibilità di favorire l’espansione e scoraggiare le recessioni in modo permanente
mediante l’intervento pubblico siano legate alla possibilità di rendere non escludibili
quei beni, come la conoscenza, che favoriscono l’incremento della produttività.
Ogni scuola di pensiero ha una sua Teoria della Crescita e questo perché studiare la
crescita economica significa capire come un sistema economico si sviluppi.
8
Lo studio dello sviluppo e della crescita economica era già oggetto di interesse da
parte degli economisti classici, come Adam Smith, Ricardo e Marx. Col tempo i modelli
e le teorie economiche su questo argomento si sono perfezionate, comprendendo sia le
teorie della crescita esogena che quelle della crescita endogena, modelli dualistici o
settoriali, come quello di Lewis, e modelli aggregati come quello di Harrod-Domar; tra i
contributi più significativi dell’ultimo mezzo secolo vanno ricordate poi le teorie post-
keynesiane di Kaldor e Robinson, e quella neoclassica-keynesiana di Solow.
Spesso
.
però i modelli economici si sono basati su ipotesi irrealistiche per spiegare i
8
P.G. Ardeni, Teorie della Crescita endogena, Giappichelli editore, Torino, 1995.
15
processi di crescita economica: Lewis, ad esempio, ipotizzava la presenza di due soli
settori nell’economia, quello tradizionale e quello moderno; Kaldor iniziava la sua
analisi della distribuzione del reddito assumendo l’esistenza di due sole classi sociali, i
lavoratori e i capitalisti, per cui il reddito veniva suddiviso solo in due parti, il salario
totale dei lavoratori e il profitto totale dei capitalisti. Questi sono soltanto due esempi di
ipotesi restrittive alla base di alcuni modelli di crescita economica; tali limiti sono
spesso dovuti alla impossibilità di inserire troppe variabili nei modelli matematici usati
nelle teorie economiche.
Dalla fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60 c’è stato poi un susseguirsi di
contributi teorici non solo da parte di economisti, ma anche da parte di sociologi e
antropologi che si interessarono ai processi di modernizzazione, urbanizzazione e
industrializzazione e alle relative conseguenze nel contesto politico e sociale dei Paesi.
La crescita del PIL non era più considerata uno dei pochi indicatori e obiettivi dello
sviluppo economico, questa infatti non è equivalente allo sviluppo di un Paese o di una
società, ma ne è soltanto una parte o una dimensione; da questa constatazione è nata la
distinzione tra crescita e sviluppo: la prima tiene generalmente conto delle interazioni
tra trasformazioni economiche (considerando indicatori puramente economici, come il
tasso di variazione del PIL), mentre la seconda considera trasformazioni nel contesto
socio-politico-istitiuzionale (tenendo conto di indicatori sociali quali l’attesa di vita
media, il livello di democratizzazione del Paese, le differenze nei sessi, il tasso di
crescita della popolazione, l’uguaglianza nella distribuzione del reddito).
Lo sviluppo implica, quindi, una crescita insieme a un cambiamento: ci sono delle
dimensioni qualitative essenziali nei processi di sviluppo che sono assenti nella crescita
16
o nella espansione economica; tali differenze qualitative possono concretizzarsi in un
miglioramento generale del tenore di vita della popolazione o nell’utilizzo di fattori
della produzione altamente qualificati, o in un miglioramento delle tecniche produttive,
o attraverso riforme istituzionali accompagnate da cambiamenti nei valori tradizionali di
una società.
Il progressivo divario tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, quindi tra
Nord e Sud, ha favorito l’affermarsi di teorie che vedevano l’espansione del capitalismo
industriale come la causa della dipendenza dei Paesi più poveri da quelli più ricchi: lo
Strutturalismo, ad esempio, introdusse l’idea di un sistema globale diviso in economie
centrali ed economie periferiche; la Teoria della Dipendenza ha messo in evidenza
l’importanza di elementi storici e politici che hanno contribuito a rafforzare il divario
economico tra Nord e Sud, come si è verificato durante il periodo del colonialismo.
9
Altre teorie hanno evidenziato la necessità per una economia in crescita di raggiungere
un certo grado di autonomia, così la Industrializzazione basata sulla sostituzione delle
importazioni ha favorito la produzione locale di prodotti che prima venivano importati
dall’estero e l’Istituzionalismo ha ribadito il controllo del governo sulla attività
economica, sostituendo al controllo del mercato i meccanismi della regolamentazione e
pianificazione.
10
Una delle caratteristiche più sorprendenti del processo di crescita economica, inoltre,
è la grande dispersione dei tassi medi di crescita: spesso Paesi con identiche strutture
9
P.W. Preston, Development theory. An introduction, Blackwell, Oxford, 1996.
10
J. Brohman, Popular Development. Rethinking the theory and practice of development, Blackwell,
Oxford, 1996.
17
economiche e simili dotazioni di risorse hanno avuto tassi di crescita molto diversi.
Nel dopoguerra, Paesi come Giappone, Brasile e Gabon hanno avuto un rapido
aumento del reddito pro capite, laddove altre nazioni non hanno sperimentato alcun
cambiamento significativo nei loro standard di vita. Tale fenomeno è stato analizzato da
diversi economisti, Sergio Rebelo, ad esempio, ha studiato dei modelli economici in cui
le differenze tra Paesi nella politica economica possono generare eterogeneità nelle
esperienze di crescita.
11
In questi modelli certe variabili di politica economica, come il
saggio di tassazione sul reddito, influenzano il tasso di espansione dell’economia
attraverso un semplice meccanismo: un incremento del saggio di tassazione sul reddito
diminuisce il tasso di rendimento dell’investimento nelle attività del settore privato e
porta ad un declino permanente nel tasso di accumulazione del capitale e nel tasso di
crescita. L’analisi di Rebelo fa parte di una recente letteratura sulla crescita economica
che ha fornito alcune indicazioni sul perché i Paesi crescono a tassi diversi per lunghi
periodi di tempo: l’obiettivo è dimostrare come le scelte del governo riguardo ai carichi
fiscali ed ai livelli di spesa influenzano i tassi di crescita di lungo periodo.
Le tipologie di modelli che interessano maggiormente nel contesto di questa analisi
sono però quelle adottate dalle politiche degli Organismi internazionali per promuovere
lo sviluppo dei Paesi del Sud.
Dopo la seconda guerra mondiale Organismi internazionali, quali la Banca Mondiale
e il Fondo Monetario Internazionale, promossero politiche di aiuti e di sostegno
11
S. Rebelo, Long-Run Policy Analysis and Long-Run Growth, in “Journal of Political Economy”, Vol.
99, N.3, 1991.
18