6
Dopo la sua prima visita in north California, Rock credeva nella visione del gruppo, si
propose di vendere la loro idea ad alcuni investitori potenziali. Trentacinque società
rifiutarono; investire in qualcosa allo stadio di idea era troppo strano per loro. Alla fine,
Arthur Rock trovò Sherman Fairchild, un inventore volenteroso, disposto a rischiare una
parte della sua fortuna di famiglia sull'avventura. Con una stretta di mano semplice tra i
due, la California settentrionale è stata cambiata per sempre. La Fairchild
Semicondutor, la prima società a lavorare esclusivamente in silicio era nata. Più tardi,
numerosi spin-off emersero, tra cui, Intel, ora il più grande produttore del mondo di
microprocessori. Ugualmente importante fu l'idea delle stock option per dipendenti.
L’uso del venture capital financing è diventato una parte normale dell'industria
nascente dell’ high-technology. Come uno dei padri fondatori del Venture Capital,
Arthur Rock è stato un giocatore principale nello sviluppo della Silicon Valley. Insieme
a Thomas J. Davis, Jr., hanno appoggiato molte delle società che rendono la valle quale
è oggi: Teledyne, Scientific Data Systems, Apple Computer, General Transistor, and
Diasonics, per dare un nome ad alcuni.
Il concetto di venture capital si è comunque evoluto. Agli inizi degli anni Ottanta, con il
termine venture capital si definiva l'apporto di capitale azionario, o la sottoscrizione di
titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in un'ottica temporale di
medio-lungo termine, effettuato nei confronti di imprese non quotate e con elevato
potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie, nuove
concezioni di mercato. Nel corso degli anni, pur rimanendo invariati i presupposti di
fondo, le caratteristiche dell'attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio
sono mutate, diversificandosi in funzione del sistema imprenditoriale di riferimento e
del grado di sviluppo dei diversi mercati e offrendo, oggi, una più variegata gamma di
possibilità di intervento. Di fatto, il comune denominatore rimane l'acquisizione di
partecipazioni significative in imprese, in ottica di medio lungo-termine, e il
conseguente obiettivo di sviluppo finalizzato al raggiungimento di una plusvalenza sulla
vendita delle azioni, ma la presenza delle ulteriori caratteristiche ha assunto connotati
molto variabili. Sul fronte prettamente terminologico, oggi, secondo la prassi più diffusa
negli USA, l'attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio, definita nella
sua globalità attività di "private equity", viene suddivisa, in funzione della tipologia di
operatore che la pone in essere, tra venture capital e operazioni di buy out, come
illustrato nel primo capitolo dove viene fornita una carrellata dei vari interventi, in base
al tipo di situazione aziendale. In questo capitolo vengono trattati anche argomenti
7
attinenti, spiegando il processo di crescita delle imprese, il ruolo che questi soggetti
hanno all’interno del sistema finanziario, e i vantaggi che porta l’entrata di un
finanziatore istituzionale dentro un impresa.
Il secondo capitolo, descrive tutti gli operatori che operano nel mercato, dai business
angel e al loro network fino ai venture capital, passando per l’attività svolta dagli
incubatori. Questo capitolo si concentra comunque sui venture capital, viene spiegato
anche come avviene la raccolta di risorse finanziarie nel mercato dei capitali, nonché
tutte le metodologie di calcolo di performance dell’attività, passando dai metodi più noti
( VAN e IRR in primis) fino ai principali metodi statistici di calcolo. Il capitolo si
chiude con un analisi del mercato.
Il terzo è il quarto capitolo passano da un analisi macro ad una micro. Infatti, viene
analizzata l’attività in relazione ad un impresa. Nel capitolo terzo, viene prima indicata
come avviene l’articolata attività d’investimento, cercando di segmentarla in fasi,
passando dalla idea di prodotto, al progetto di redazione del business plan, documento
che costituisce il “must” dell’attività di venture capital. Tale fase è seguita dalla stipula
di alcuni contratti denominati in letteratura “lettera di intendi” e “accordo di
riservatezza”, che portano ad una accurata fase di due diligence, alla determinazione del
valore e infine, se tutto va bene alla redazione del contratto vero e proprio.
Il quarto capitolo esprime le metodologie di calcolo dell’ Enterprise Value, analizzando
solo i metodi più usati di valutazione, in primis il metodo finanziario come metodo di
primo livello, passando dapprima ai multipli, dopo a metodologie di valutazione
comunque legate ai multipli (venture capital method).
Il quinto capitolo, parla delle varie metodologie di disinvestimento, fase finale del
processo di venture capital. Vengono analizzati le alternative di disinvestimento più
utilizzate, dalla quotazione alla cessione ad altri soggetti.
L’ultimo capitolo, infine, presenta un case-study. Una società operante nel settore
fotovoltaico, chiamata per l’occasione Italian Solarcell. Vengono indicate le
problematiche connesse alla valutazione di una start-up. Nel caso si utilizza il metodo
finanziario, passando dalla stima dei flussi a quella dei costi del capitale (proprio e di
terzi), analizzando le problematiche per la loro determinazione. Questo ha portato a
determinare il valore aziendale sia attraverso metodi assoluti che metodi relativi. (sono
stati applicati il venture capital method e il first Chicago model).
8
Capitolo 1
1.1. Il processo di crescita aziendale.
Secondo uno studio riguardante lo sviluppo dell’impresa, le imprese una volta
superata la fase di introduzione sul mercato e dopo un periodo di stabilità, possono
procedere in due modi: il primo condiviso dagli autori statunitensi, vede nella piccola
dimensione una condizione temporanea, destinata ad evolversi verso una grande
impresa oppure verso una morte precoce. Il secondo, invece di matrice europea, che
vede nella piccola impresa una propria autonomia di sopravvivenza, grazie alla
creatività, alla snellezza decisionale e alla capacità di adattamento strategico, basandosi
su strategie di nicchia cercando di cogliere nuove opportunità occupando piccoli spazi
in tempi rapidi. Un’azienda che decide di crescere si trova davanti a se un fabbisogno
finanziario non indifferente che trae tipicamente origine o dall’aumento delle attività,
oppure all’adeguamento della struttura finanziaria. L’acquisto di nuovi immobili, nuovi
impianti o macchinari il sostenimento di costi pluriennali finalizzati a investimenti in
innovazione tecnologica, oppure aumento del capitale circolante (aumento dei crediti
operativi, magazzino, decremento dei debiti operativi), implicano il sorgere di
un’esigenza finanziaria che va soddisfatta
1
. Esistono due tipologie di fonte di
finanziamento quella basata sul capitale di rischio, e quella sul capitale di debito.
Entrambi le tipologie presentano peculiarità diverse. In particolare il capitale di rischio è
di lungo termine, in quanto non sono previste scadenze di rimborso, e il disinvestimento
avviene solo in casi del tutto eccezionali (liquidazione recesso ect.). Il capitale di debito
invece può essere anche di breve periodo e prevede delle scadenze determinate
contrattualmente. Inoltre, la remunerazione del capitale di rischio non è prefissata (se
non per determinate tipologie di azioni) e dipende dalla crescita di valore dell’azienda.
Il capitale di debito invece prevede il pagamento regolare di interessi passivi a
1
A. Dessy. Capitale di debito e sviluppo dell’impresa. EGEA, Milano, 2001.
9
prescindere dall’andamento dell’impresa. Queste sono le principali differenze tra le due
tipologie di fonti.
2
Con la crescita del giro d'affari
3
, le risorse mobilitate dall'imprenditore finiscono per
essere quasi interamente assorbire dalle esigenze di gestione operativa. Ne consegue,
che difficilmente le imprese riescono a crescere oltre una certa soglia dimensionale, se
non attraverso l’iniezione di risorse esterne in grado di fertilizzare l’intera
organizzazione aziendale e di attivare quel processo di sviluppo tipico delle aziende
eccellenti. Tale aggiunta di risorse gestionali e finanziarie però è resa ardua da un paio
di ulteriori connotazioni delle nostre PMI. Innanzitutto, la presenza dell'imprenditore
fondatore è ancora maggioritaria e sfortunatamente essa si identifica troppo spesso con
una sfiducia verso le competenze gestionali altrui e con una scarsa abitudine alla delega
di responsabilità, fuori da operazioni operative.
In seconda battuta, diversamente dalle loro concorrenti internazionali, le imprese
italiane non sanno ancora sviluppare un rapporto con le fonti più diffuse di capitale, vale
a dire il Private-Equity e la Borsa. Basti citare che su quasi 6 milioni di imprese esistenti
nel nostro paese meno di 1200 vedono la presenza di investitori istituzionali nel capitale
di rischio.
Inoltre, secondo una stima di Borsa Italia
4
, in Italia vi sarebbero oltre 1200 imprese
potenzialmente quotabili, mentre negli ultimi 10 anni il numero delle IPO ha raggiunto
il numero di 160 (nell’ultimo anno il mercato londinese ne ha registrate quasi il doppio).
Questa limitata propensione ad allargare la compagine, dipende, sia dalla psicologia di
alcuni imprenditori, sia dalla ancora ridotta notorietà del Private Equity tra le PMI;
nonché da una diffidenza verso questa categoria di investitori.
Le imprese in fase espansiva cercano un crescente fabbisogno finanziario da
soddisfare mediante debiti finanziari. Purtroppo il debito bancario evidenzia i suoi limiti
propri in situazioni di crescita rapida, qui entrerebbe il gioco il Private Equity, che
dovrebbe permettere alle imprese di superare i limiti della capacità di finanziamento dei
loro soci.
2
È opportuno precisare che questa distinzione è semplicistica, basti pensare che, con la riforma del
diritto societario (d.leg 6/2003) c’è la possibilità per le S.p.a. di emettere vari strumenti finanziari (cd
strumenti finanziari partecipativi) con un diverso grado di diritti patrimoniali e amministrativi a libera
discrezione dello statuto. Questo da la possibilità di emettere strumenti finanziari che possono presentare
peculiarità sia del capitale di rischio che di debito.
3
Giorgio Pellati, Valutazione di una società in fase di start-up, da Contabilità Finanza e Controllo,
numero 4-2006.
4
www.borsaitaliana.it
10
La diffusione della cultura del capitale di rischio sta cambiando il concetto di fondo di
finanziamento. Le piccole e medie imprese sempre penalizzate nell'accesso al credito
bancario, (da sempre la forma di finanziamento più utilizzata), stanno a poco a poco
scoprendo i vantaggi del ricorso al Private Equity anche a causa dell’introduzione di
Basilea 2.
Per questo il Private Equity è un utile alleato in quanto l'ingresso di capitale di rischio
rappresenta per le aziende un'opportunità per avviare nuovi processi industriali ed
eventuali ristrutturazioni finanziarie, per adeguare il sistema di Corporate Governance
in base alle richieste dei mercati finanziari senza che questo implica tuttavia una perdita
del controllo familiare sull'azienda.
1.2. Il processo di crescita nelle PMI innovative.
Per ciò che riguarda il nostro Paese, le piccole e medie imprese (PMI) costituiscono la
spina dorsale del sistema industriale e sono state prese spesso a modello per la loro
vivacità imprenditoriale, la flessibilità e la loro capacità d’innovare e di mantenere
standard elevati, soprattutto nei settori tradizionali. Spesso, di fronte a difficili sfide
competitive globali, la piccola dimensione è causa di una difficoltà nel reperire i capitali
necessari alla crescita e al salto internazionale.
Oltre al problema finanziario, le ragioni che portano ad abbandonare un progetto
imprenditoriale possono essere molteplici, tra questi possiamo citare i seguenti:
9 Mancanza di asset da dare a garanzia di finanziamento;
9 Reputation non ancora consolidata;
9 I soci fondatori spesso provengono dal mondo accademico o tecnologico e non
hanno conoscenze in campo manageriale né conoscono le dinamiche del
mercato finanziario;
9 I prodotti non sono stati ancora testati anche se sviluppati e presentano un tasso
di obsolescenza elevato;
9 Il successo dell’iniziativa è legato ad un fattore potenziale di crescita
difficilmente valutabile.
Data l'asimmetria informativa esistente tra imprenditori e investitori, non sempre è
permessa una reale valutazione del rischio dell'investimento. A causa di ciò si è potuto
definire, per le imprese tradizionali, una gerarchia finanziaria delle fonti di
11
finanziamento, all'interno del quale l'autofinanziamento è preferito alle fonti bancarie, e
questa viene di solito privilegiata rispetto all'emissione diretta di azioni.
Le imprese innovative presentano invece una diversa gerarchia finanziaria. Il
fabbisogno finanziario e il grado di rischio che in questo caso, dipendono dallo sviluppo
del progetto di investimento che è elevato nella fase di seed fa capovolgere la gerarchia
delle fonti di finanziamento.
Nelle prime fasi del progetto, le imprese innovative non avranno sufficienti flussi di
cassa per potersi autofinanziare, inoltre essendo imprese chiaramente giovani, non
potranno fare ricorso solo a fonti d’indebitamento perché il costo del finanziamento
potrebbe essere talmente elevato da risultare proibitivo e compromette la redditività del
progetto o dell’attività aziendale.
Un altro problema delle imprese innovative è dato dal fatto che sono esposte in misura
maggiore alle imperfezioni dei mercati finanziari e queste imperfezioni sono maggiori
soprattutto all’inizio del ciclo di vita. In questa fase l’incertezza riguarda tutte le
variabili da cui dipende il successo aziendale: (mercato; management; prodotto;
tecnologia etc.). Nel caso di imprese innovative le banche inoltre non possono ridurre
l’asimmetria informativa tramite la raccolta di informazioni dai contatti con la clientela,
inoltre l’orizzonte temporale è troppo lungo, gli asset sono in prevalenza intangibili,
quindi non è possibile che facciano da garanzia.
Data inoltre la mancanza di dati passati la varianza del cash flow risulta essere elevata
bloccando il ricorso al capitale di debito. Gli intermediari finanziari, infatti,
difficilmente si assumono rischi così elevati, e quando lo fanno, propongono strumenti
finanziari non esattamente adatti.
I tipici contratti bancari quali per esempio un finanziamento a M/L termine non si
prestano a soddisfare le esigenze di una start-up che genera flussi di cassa dopo alcuni
anni.
Quindi bisogna trovare un soggetto che riesca a fornire uno strumento di finanziamento
adatto all’iniziativa. Per cercare di risolvere tale problema si cerca di far ricorso agli
investitori istituzionali.
12
1.3. L’Investitori Istituzionali nel capitale di rischio.
Con l'espressione "Investimento Istituzionale nel capitale di rischio" si intende un
investimento a medio-lungo termine nel capitale di piccole e medie imprese non
quotate, con elevata redditività potenziale che, attraverso un attivo supporto strategico,
manageriale organizzativo e soprattutto finanziario all’attività dell’impresa, si pone
come obiettivo di aumentare il suo valore e di realizzare un elevato guadagno in conto
capitale in sede di dismissione. L'investimento in opportunità ad elevato rischio ha da
sempre attratto una tipologia di soggetti con elevata liquidità al fine di ottenere elevati
guadagni.
5
Per esempio la decisione da parte degli spagnoli Ferdinando e Isabella di
finanziare il viaggio di Cristoforo Colombo verso l'America può essere considerata uno
dei più conosciuti e profittevoli investimenti privati della storia. Il finanziamento nelle
imprese protagoniste della rivoluzione industriale, che provenivano da individui
facoltosi desiderosi di aiutare imprenditori innovatori, i quali si lanciavano nella
costruzione di nuove unità produttive o nello sfruttamento di nuove tecnologie, può
essere certamente un altro esempio di finanziamento ad attività ad elevato rischio
6
.
L’esistenza di soggetti finanziatori con queste caratteristiche ha permesso da secoli il
superamento di vincoli finanziari che altrimenti non avrebbero consentito lo sviluppo
tecnologico ed economico derivante da progetti innovativi.
Di fatto, lo sviluppo di questa attività avvenne in Gran Bretagna e negli Stati Uniti alla
fine della seconda guerra mondiale. Nel 1945, infatti, su iniziativa della Banca
d’Inghilterra, fu creata la Investing Industry, che ancora oggi rappresenta il maggiore
operatore nel settore di Private Equity e Venture Capital in Europa.
Il 1946 segna invece la nascita negli Stati Uniti della American Research &
Development Corp
7
. In quegli anni inoltre diversi imprenditori privati iniziarono a
conferire una parte dei loro patrimoni personali in imprese neonate e reputate
“innovative” per quel tempo. La partecipazione da parte di questi soggetti era intesa
come temporanea, quasi minoritaria e finalizzata alla possibilità, attraverso il contributo
congiunto di know-how non solo finanziario, allo sviluppo dell’impresa, all’incremento
del suo valore e all’opportunità di realizzare un elevato capital gain (guadagno di
5
AA. VV. Le condizioni per il successo dell’industria di Venture Capital, da Banche e Banchieri, numero
2-2005.
6
Nello stesso periodo le lnvestment Trust inglesi del 1800 finanziarono lo sviluppo delle ferrovie
americane e inglesi.
7
La società era nata con l'obiettivo di realizzare investimenti, e parte del capitale di dotazione
dell'iniziativa fu utilizzato a sostegno dello sviluppo della tecnologia bellica.
13
capitale) al momento della dismissione della partecipazione. Nel corso degli anni, si
sono evoluti nuovi concetti di capitale di rischio, in relazione al grado d’evoluzione sia
della disciplina, sia dei diversi mercati, offrendo una più ampia e variegata gamma di
possibilità d’intervento. A seguito degli sviluppi sia delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione, sia di un nuovo ambiente e di un nuovo modello di funzionamento
dei sistemi economici moderni, è nato il termine di new-economy. Due elementi
assumono un ruolo di primaria importanza in questo ambiente: l’uso di Internet nella
creazione, gestione e distribuzione del bene informazione e una predilezione per le
forme flessibili, dinamiche, delle attività produttive, logistiche e commerciali d’impresa.
Così anche le piccole imprese possono affacciarsi al panorama mondiale e sfruttare tutte
le opportunità che esso concede. Entrambi gli elementi hanno incoraggiato, negli Stati
Uniti e in alcune regioni europee, un veloce aumento del numero delle piccole imprese a
carattere fortemente innovativo. Una parte decisiva nelle storie di successo in imprese
recenti operanti nel settore della new economy è stata svolta dalla partecipazione
d’investitori istituzionali nel capitale di rischio di nuovi progetti, i quali si sono
impegnati a valutare le idee imprenditoriali e le relative prospettive di mercato, hanno
formulato strategie di sviluppo e sorvegliato la loro attuazione, guidati dall’obiettivo di
creare valore per l’impresa. Negli Stati Uniti gli esempi di trionfo non mancano e sono
noti a tutti: aziende high tech come Apple Computer, Cisco System, Genentech, Intel,
Microsoft, Netscape e Sun Microsystem hanno tutte il comune denominatore di essere
partite come micro imprese, è beneficiando dell’assistenza e della partecipazione di
società di Venture Capital, sono dapprima state quotate alla borsa di Wall Street e poi
tramite strategie di crescita sono diventati (almeno in alcuni casi) colossi mondiali e
leader dei settori in cui operano. Il pioniere nel nostro Paese è stata Tiscali, finanziata da
KIWI II
8
.La conoscenza dell'attività degli investitori istituzionali nel nostro Paese, pur
essendo di fatto tale fenomeno presente fin dagli anni Ottanta, si è notevolmente diffusa
negli ultimissimi anni in concomitanza con il boom della cosiddetta new o net economy.
Nel periodo di maggiore sviluppo di questo nuovo modo di fare business l'attività degli
investitori istituzionali è stata sempre più assimilata al lancio di nuove iniziative
8
Questo è un fondo nato nel 2000 il cui capitale pari a 500 mln di Euro è stato sottoscritto da investitori
istituzionali e privati. Il fondo Kiwi II è gestito da Kiwi II Management Company S.A, con sede in
Lussemburgo. II. Kiwi II investe prevalentemente in Europa, con particolare attenzione all’Italia e alla
Spagna, in iniziative di Venture Capital nelle telecomunicazioni, Internet, new media, infrastrutture
hardware e software e nelle tecnologie emergenti. In Italia le imprese target sono piccole imprese
localizzate prevalentemente al nord (95%) e per una piccola percentuale (5%) al centro. Gli investimenti
si aggirano tra un minimo di 1 milione di euro ad un massimo di 20 milioni di euro.
(www.pinopartecipazioni.it)
14
imprenditoriali collegate alla "rete", spesso perdendo, nella terminologia che si è andata
diffondendo, alcuni dei loro principi fondamentali di valutazione, utilizzando, infatti,
multipli di mercato più casuali che causali. Allo stesso modo, la successiva disillusione
nei confronti del "fenomeno Internet" in quanto tale, per lo più collegata al crollo dei
mercati tecnologici. La comunità finanziaria credeva ciecamente nella crescita
esponenziale di questo nuovo business model, che prometteva guadagni facili e veloci
per tutti, tutto ciò non si è avverato provocando lo scoppio della bolla speculativa
9
.
A causa della crisi della new-economy un numero meno consistente di imprese forma
il target di riferimento per gli investitori istituzionali.
Questo ha portato agli investitori in capitale di rischio, di essere accusati di aver
assunto atteggiamenti "speculativi". In realtà, indipendentemente dalle tecnologie
collegate a Internet, l'esperienza americana, dove questi soggetti sono nati, insegna che
tale forma di investimento è direttamente correlata al concetto di "innovazione", sia essa
riferita allo sviluppo di nuove tecnologie, o all'utilizzo di nuovi processi produttivi, o, in
forma ancora più ampia, alla creazione di nuova imprenditorialità, risultando essere la
forma di finanziamento ottimale e più accessibile a tutte queste forme di innovazione
che, a fronte di rischi imprenditoriali elevati, offrono sensibilità è potenzialità di
creazione di valore.
La new economy, sicuramente va vista come un modo innovativo di fare business, ma
resta lo stesso un modello economico che ha i suoi limiti così come l’economia
tradizionale.
1.4. Il ruolo dell'investimento in capitale di rischio in un moderno sistema
finanziario.
Il ruolo che l'investimento in capitale di rischio ha in un moderno sistema
finanziario è rilevante sotto numerosi profili. Innanzitutto, sul fronte dell'impresa, la
possibilità di far ricorso ad operatori specializzati nel sostegno finanziario finalizzato
alla creazione di valore, consente alle stesse di reperire capitale “paziente”, che può
essere utilizzato per sostenere la fase di start-up, piuttosto che piani di sviluppo, nuove
strategie, acquisizioni aziendali, passaggi generazionali o altri processi critici del loro
ciclo di vita. Inoltre, il supporto dell'investitore istituzionale non si esaurisce nella mera
9
R. Del Giudice, A. Gervasoni. Finanziarsi col Venture Capital. ETAS, Milano, 2005.