2
negli Stati Uniti, attorno agli anni ‘50, nascono gli incubatori d’impresa e solo
successivamente questi enti, società o consorzi nascono e si sviluppano negli altri paesi
più industrializzati. Dall’inizio degli anni ‘80 gli incubatori hanno avuto una diffusione
e uno sviluppo tale che per gli studiosi è divenuto piuttosto difficile individuare una
definizione comune. Nella tesi si è così scelto di utilizzare la definizione della National
Business Incubation Association che definisce gli incubatori come quelle strutture di
sostegno utili alla nascita e alla crescita delle imprese, dove gli imprenditori possono
trovare tutte le attrezzature e l’assistenza necessaria per far decollare l’idea
imprenditoriale.
Nel terzo paragrafo del primo capitolo, particolare attenzione viene dedicata alle forme
e alle peculiarità dell’incubazione in Italia, nell’intento sia di individuare i settori di
investimento prediletti, sia i dati dimensionali che la caratterizzano. In particolare
emerge che in Italia sin dai primi casi la forma prediletta di incubazione è stata quella
non orientata all’ottenimento del profitto, ma al raggiungimento di obiettivi sociali. Per
questo motivo nei due paragrafi successivi dopo una breve spiegazione delle peculiarità
degli incubatori profit oriented si è scelto di soffermarsi con attenzione su due tipologie
di incubatori no profit oriented, i Business Innovation Centre e i Parchi Scientifici e
Tecnologici. Le differenze tra loro, seppur minime, sono state oggetto di un attento
confronto e di una attenta analisi nel secondo capitolo.
Infine il primo capitolo termina con un confronto tra gli incubatori italiani e la realtà
internazionale da cui emerge innanzitutto un differente rapporto numerico tra strutture
no profit e strutture profit oriented; inoltre si evidenziano anche differenti scelte in
termini di collaborazioni tra incubatori e in termini di supporto finanziario offerto alle
imprese incubate.
Successivamente la ricerca si sofferma con attenzione sugli incubatori universitari
nell’intento di cogliere in che modo le università possano essere utili per effettuare un
trasferimento di tecnologia tale da rendere i risultati delle ricerche dei veri propri
prodotti spendibili sul mercato. Infatti, il legame che unisce l’università agli incubatori
permette a questi ultimi di raggiungere la propria mission principale che consiste
nell’offrire servizi di consulenza e spazi ai propri studenti, ricercatori e docenti allo
scopo di far evolvere le loro idee innovative verso reali applicazioni industriali. In
questo modo il trasferimento tecnologico verso l’ambito applicativo diventa più
3
semplice poiché gli incubatori universitari apportano le competenze necessarie per
superare la difficile fase relativa al passaggio da un lavoro di ricerca a un
prodotto/servizio o processo pienamente industrializzato. A tale scopo gli Spin Off
danno un importante contributo nella fase di trasformazione e dalla ricerca emerge che
essi sono tra le imprese che più sfruttano i servizi offerti dagli incubatori universitari.
Questi servizi difficilmente prevedono l’offerta di un sostegno finanziario diretto ma
offrono sia i servizi commodity delle strutture di incubazione sia, in particolare, quei
servizi che sono specifici dell’università, come la consulenza dei professori, l’accesso ai
laboratori e alle infrastrutture scientifiche e una relazione forte con le industrie che già
sponsorizzano la ricerca universitaria.
Così come in ogni organizzazione, anche negli incubatori universitari emerge che è
importante tutto ciò che riguarda le relazioni e i contatti con l’ambiente esterno perché
ciò permette di fornire alle imprese ospitate l’opportunità di crescere in un ambiente
culturalmente stimolante, con un’ottima visibilità nei confronti del mercato. In questo
modo l’incubatore, attraverso una strategia di networking, permette alle imprese
incubate sia di ricevere quei servizi che non vengono direttamente forniti dalla struttura
sia di farsi conoscere all’esterno per accelerare il proprio accesso al mercato. E’ risultato
quindi che ciò che viene definito network incubator sta prendendo sempre più piede sia
per sopperire alle difficoltà delle imprese incubate sia per permettere all’incubatore di
promuoversi e di farsi conoscere all’esterno dell’ambiente universitario.
Dalla ricerca è, inoltre, risultato evidente che più gli incubatori universitari hanno agito
per pubblicizzarsi più sono aumentate le domande di accesso ai servizi offerti dalla
struttura da parte dei potenziali imprenditori. L’aspetto della selezione è risultato perciò
molto importante, per cui la tesi ha dedicato molta attenzione agli strumenti e ai metodi
che il personale dell’incubatore utilizza per effettuare la selezione delle domande; essa
avviene in modo tale che solamente gli imprenditori che rispettano i criteri di
innovatività e realizzabilità dell’idea imprenditoriale possano accedere alla struttura.
Infatti, esiste un gruppo di persone specializzate nello Scouting delle idee
imprenditoriali che nel rispetto dei criteri di selezione dovrà adoperarsi per valutare
elementi come la fattibilità del progetto di impresa e la validità e la competenza dei
potenziali imprenditori. Il rispetto dei criteri è attuato attraverso l’analisi rigorosa e allo
stesso tempo flessibile sia dei curricula dei potenziali imprenditori sia dei business plan
4
delle start up, con lo scopo finale di evitare lo scarto di idee apparentemente incerte, ma
potenzialmente ricche di opportunità. Comunque, è chiaro che anche per gli stessi
incubatori non è sempre agevole tracciare una linea di demarcazione tra lo scouting e le
prime fasi di incubazione poiché spesso la selezione delle idee imprenditoriali risulta
avvenire contemporaneamente alla fase di pre - incubazione. Infatti, l’attività di
incubazione intesa come l’insieme di operazioni attuate dall’incubatore per trasformare
l’idea imprenditoriale in impresa consolidata, inizia spesso con l’assistenza alla
predisposizione del business plan che è una azione propria della fase di pre-incubazione.
In questo modo i selezionatori si limitano a valutare l’innovatività dell’idea
imprenditoriale e i curriculum dei potenziali imprenditori, per poi collaborare con questi
ultimi per verificare la fattibilità dell’idea.
Dalla ricerca risulta quindi che nella fase di pre-incubazione l’incubatore universitario
ha spesso il ruolo di intervenire nella progettazione dell’impresa sia attraverso
l’individuazione dei profili mancanti e il completamento del team imprenditoriale, sia
attraverso le analisi di mercato che hanno lo scopo di individuare il prodotto core
dell’azienda in procinto di nascere. In seguito, attraverso le fasi di incubazione di early
stage financing avvengono l’organizzazione e la costituzione della azienda e attraverso
la fase di accelerazione di impresa avviene il consolidamento del business model in
modo tale da permettere alla start up di divenire autonoma sul mercato.
Infine, dopo aver analizzato i tipi di servizi offerti dal personale degli incubatori
universitari si è ritenuto utile confrontare questi ultimi con gli altri incubatori no profit e
gli incubatori profit oriented. La prima differenza che è emersa è che mentre gli
incubatori no profit chiedono solamente il pagamento dei canoni di affitto degli uffici,
gli incubatori profit oriented chiedono il pagamento di tutti i tipi di servizi offerti.
Questo ha dimostrato che gli incubatori no profit riescono a sopravvivere prettamente
grazie ai finanziamenti pubblici, mentre gli altri operano sul mercato come delle vere
proprie imprese e anzi in taluni casi procedono addirittura come dei venture capitalist
poiché finanziano direttamente le imprese incubate arrivando ad acquisire
partecipazioni (modelli fee based e modelli equity oriented).Dal fatto che alcuni
incubatori privati si sotengono anche con i ricavi dell’offerta di servizi nasce l’interesse
a offrire servizi altamente personalizzati che consentano un avvio e un’autonomia
dell’azienda incubata nei tempi piu’ brevi possibili. Infatti, l’incubatore privato tende a
5
incubare le start up per un periodo di poco superiore a 11 mesi, mentre l’incubatore no
profit ospita le start up per un periodo medio di tre anni con punte di quasi 4 anni per i
Business Innovation Centre.
Considerando i dati di una ricerca AIFI riguardanti i settori d’investimento prediletti
dagli incubatori e gli indicatori dimensionali della struttura organizzativa, è stato
possibile riscontrare altre importanti differenze sia tra gli incubatori privati e pubblici
sia all’interno di questi ultimi. In particolare è emerso che gli incubatori no profit
tendono ad essere di tipo generalista, per cui non si specializzano né in un settore
d’investimento specifico né in una fase d’incubazione, contrariamente alla tendenza
degli incubatori orientati al profitto. Un facile e immediato indicatore della tipologia di
incubatore è risultata essere la dimensione: una dimensione ridotta è peculiare degli
incubatori privati i quali, insieme a quelli universitari, sono concentrati nell’offerta di
servizi altamente specializzati. Invece, i BIC e i Parchi scientifici sono risultati
incubatori di maggiore dimensione poiché caratterizzati da una forte componente
immobiliare necessaria per l’offerta di servizi logistici. Tali differenze dimostrano che
l’incubatore universitario e in generale l’incubatore d’impresa, al momento della sua
scelta dimensionale, deve assolutamente valutare se focalizzarsi nell’offerta di servizi
logistici oppure se concentrarsi nell’offerta di servizi specialistici, poiché ciò comporta
grosse differenze nella struttura dell’organizzazione.
L’ultimo capitolo è stato quello che ha richiesto maggiori ricerche e maggiore impegno
per il tesista, poiché è stato necessario individuare dapprima informazioni
sull’incubazione nella Regione Veneto per poi analizzare con più consapevolezza il
caso padovano. Alla premessa che spiega chi sono e come operano gli incubatori e gli
altri Centri per il trasferimento tecnologico del Veneto segue una breve presentazione di
Start Cube che funge da punto di partenza per le successive analisi. E’ emerso così che
Start Cube è un progetto fortemente voluto dall’Università di Padova che, insieme con
la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, ha ritenuto necessaria la nascita
di un incubatore per accogliere le idee imprenditoriali provenienti dall’Università.
Nonostante la Mission sia oggi incentrata sull’accoglienza di tutte le iniziative
imprenditoriali innovative, a circa 5 anni dalla nascita si è notato che la maggioranza
delle imprese ospitate sono tutt’ora di origine universitaria. Il motivo di ciò risulta
essere collegato sia al fatto che molti componenti dell’organizzazione sono legati
6
all’università di Padova, sia alle scelte relative all’attività di scouting delle idee
imprenditoriali, sia alle scelte relative alle collaborazioni
In particolareinfluiscono sull’accesso all’incubatore padovano, oltrechè i criteri di
selezione simili a tutti gli incubatori universitari, l’impostazione delle categorie
d’imprese privilegiate. Tali categorie sono state impostate dal Consiglio direttivo
dell’incubatore in modo tale che fosse data priorità all’accesso delle imprese che hanno
partecipato alla Business Plan Competition Start Cup Veneto e agli Spin off universitari.
In questo modo, da un’analisi dei componenti delle start up, è risultato chiaro anche il
motivo per cui la maggioranza dei fondatori delle imprese incubate si siano laureati
all’Università di Padova.
L’incubatore padovano è risultato essere un incubatore universitario generalista
(nessuna specializzazione settoriale) che non offre direttamente sostegno finanziario, e
perciò offre il sostegno finanziario e i servizi a valore aggiunto per mezzo di un network
che coinvolge sia consulenti, che professori che operatori del Private Equity. Infatti,
anche se il direttore e i suoi collaboratori offrono taluni servizi a valore aggiunto si è
reso necessario contattare professori e/o professionisti di Padova che offrono servizi a
tariffe agevolate. Mentre, per quanto riguarda i servizi logistici, è stato possibile
verificare con dati del mercato che l’offerta degli spazi da parte di Start Cube oltre ad
essere valida è anche molto vantaggiosa per qualsiasi potenziale imprenditore che sia
alla ricerca di una sede dove dare inizio alla propria idea imprenditoriale.
Nell’ultima parte della tesi, il laureando ha scelto di effettuare una indagine sulle
imprese transitate a Start Cube con l’intento di cogliere i dati sul loro settore di attività e
sulla loro dimensione. Per quanto riguarda il primo aspetto si è notato che nonostante
venga rispettato lo sbilanciamento che tutti gli incubatori hanno verso i settori dell’ICT
e della consulenza, a Start Cube sono particolarmente gettonati i settori relativi alle
Biotecnologie e all’Ambiente e Territorio. Per quanto riguarda la dimensione, invece, si
sono analizzati i dati pervenuti sul fatturato e sul numero di addetti, in modo da
sottolineare le differenze riscontrate tra aziende uscite e aziende ancora oggi incubate.
Nella parte finale della tesi compaiono un’appendice contenente un questionario
informativo elaborato dallo studente e alcune schede informative sulle imprese transitate
a Start Cube; l’intento dell’appendice è quello di mostrare alcuni documenti che si sono
rivelati significativi per la conclusione dell’elaborato di tesi.
7
1. GLI INCUBATORI DI IMPRESA: LA LORO ATTIVITA’ E LA
SITUAZIONE ITALIANA
1.1 PREMESSA
L’idea di sviluppare un’attività economica e di affrontare la competizione sul mercato è
chiaramente il nucleo centrale di qualsiasi nuova iniziativa imprenditoriale. Il potenziale
imprenditore necessita di una idea completamente nuova, di una ideazione creativa che
permetta di garantire un vantaggio competitivo nei confronti di potenziali concorrenti.
Ma egli ha anche il bisogno materiale di un supporto che lo aiuti nel reperire quelle
risorse materiali e quelle competenze necessarie per lo sviluppo dell’attività.
In effetti si può affermare che a ogni stadio del ciclo di vita dell’impresa segue uno
specifico intervento da parte di un investitore istituzionale
1
, che varierà l’apporto di
capitale e know-how in base alle esigenze espresse dall’impresa in quel momento
specifico. In considerazione di tali esigenze strategiche, i vari operatori del mercato dei
capitali hanno effettuato una classificazione delle varie esigenze e problematiche
imprenditoriali in modo tale da permettere una facile segmentazione del mercato del
capitale di rischio.
La Macroripartizione più adatta alla realtà economica distingue il mercato del Private
Equity in:
• Operazioni di seed financing e start up financing, che insieme costituiscono
gli investimenti definiti di early stage, volti a finanziare la fase di avvio
dell’impresa;
• Operazioni di expansion financing o development capital, che costituiscono
quella serie di interventi effettuati in imprese già esistenti ma che necessitano di
capitali per consolidare la crescita in atto;
1
L’investimento istituzionale nel capitale di rischio prevede l’apporto di risorse finanziarie da parte di
operatori specializzati, sotto forma di partecipazione al capitale azionario o di sottoscrizione di titoli
obbligazionari convertibili, per un arco temporale medio-lungo, in aziende dotate d un progetto e di un
potenziale di sviluppo. Fonte: AIFI E PRICEWATERHOUSECOOPERS, Guida pratica al capitale di
rischio: Avviare e sviluppare una impresa col venture capital e il private equity, AIFI E
PRICEWATERHOUSECOOPERS, Cap 1
8
• Operazioni di management buy-out/buy-in, accompagnate dall’uso della leva
finanziaria come strumento di acquisizione o di cambiamento societario,
indirizzate alla sostituzione totale della proprietà e degli assetti dell’impresa a
favore di soggetti interni o esterni alla società stessa;
L’early stage financing rappresenta il comparto del private equity dove l’attività
dell’intermediario finanziario tende a configurarsi nella sua completezza di apporto,
contemporaneamente, finanziario e manageriale. Per cui con operazioni di seed e start
up financing l’intervento del venture capital ha sia una funzione di finanziatore che una
di gestore e/o pianificatore di imprese nella fase di avvio.
2
In particolare, una impresa nella fase di avvio ha bisogno di ingenti investimenti nel
medio periodo e un’iniezione di capitale di rischio per sostenere le fasi iniziali. Tali
risorse monetarie sono, però, non sempre facili da reperire. Per gli investitori e,
soprattutto, per gli istituti di credito, è infatti difficile valutare e stimare il volume di
capitale effettivamente necessario, così come il rischio di insuccesso dell’impresa. Le
start up coprono dunque i propri fabbisogni finanziari ricorrendo sempre più spesso agli
investitori istituzionali nel capitale di rischio che operano nell’early stage financig.
L’imprenditore si rivolge quindi a quelli che generalmente vengono definiti Private
equity investors o Venture capitalists
3
ma che comprendono tre specifiche categorie di
soggetti che offrono sostegno alle nuove attività imprenditoriali, i business angels, i
venture capitalist e gli incubatori di imprese.
Nei paragrafi successivi verranno analizzati gli incubatori, mentre qui è utile fare una
delucidazione sui Business Angels e sui Venture Capital.
1. Business angels: sono privati che investono nel capitale di rischio delle imprese
e che sono disposti a condividere il loro know-how e la loro esperienza tecnico
manageriale. Sono spesso ex-imprenditori, manager in attività o in
pensione,liberi professionisti, dotati di un buon patrimonio personale e in grado
2
Fonte: RENATO GIOVANNI, La gestione del venture capital e dell’early stage financing: Le
esperienze dei genuine venture capitalist italiani, BANCARIA EDITRICE 2004
3
Il comune denominatore di entrambe le definizioni rimane l’acquisizione di partecipazioni significative
in imprese, con riferimento a un arco temporale medio-lungo e con l’obiettivo di realizzare una
plusvalenza dalla successiva vendita della quota partecipate. Ma c’è da dire che l’attività di venture
capital anche se non “ontologicamente” diversa e distinta dal private equity, è specifica di quelle
situazioni in cui l’investimento nel capitale di rischio presenta elementi di elevato rischio. Fonte:
GERVASONI ANNA, Venture capital e sviluppo economico, MILANO GUERINI E ASSOCIATI 2006,
paragrafo 1.1
9
di fornire alla start up capitali e competenze gestionali. Di solito, investono
vicino alla propria regione di residenza,con un impegno limitato di capitali, tra
20.000 e 250.000 euro, principalmente nella fase di avviamento (seed capital) o
nella primissima fase di esistenza (il primo anno) della società e per un periodo
di tempo limitato. Spesso la motivazione che spinge il business angel a
finanziare la nuova impresa, oltre al profitto economico, è di tipo “psicologico”
ovvero di soddisfazione dei propri interessi e passioni. Una motivazione
comune a tali investitori è quella di contribuire allo sviluppo economico della
propria comunità e di nuove generazioni di imprenditori. Nel 1999 si è
costituita in Europa l’EBAN, cioè la struttura europea destinata a coordinare e
promuovere le reti di investitori privati informali (business angels), a questa
associazione ha aderito l’IBAN (Italian Business Angel Network). Le tipologie
di Business Angel Network hanno per lo più una dimensione geografica
regionale e hanno l’obiettivo di raggruppare il maggior numero di investitori
per territorio di appartenenza e per settore di attività.
L’imprenditore della start up che si rivolge al business angel può ottenere i
seguenti vantaggi
4
:
Rafforzamento patrimoniale,
Miglioramento delle relazioni con il sistema bancario;
Servizi e consulenza finanziari, strategici, direzionali, di
marketing e contabili;
Internalizzazione delle strategie commerciali grazie alla
maggiore solidità finanziaria;
Aumento della credibilità per gli imprenditori;
Networking.
4
Fonte: GRANDINA DANIELA, Start up: Il manuale di riferimento per iniziare un nuovo business di,
MILANO IL SOLE 24 ORE SPA 2006, Cap. 3 a pagina 98
10
Figura 1: Il processo di incontro tra business angel e imprenditore
5
2. Venture capitalists: l’attività di tali investitori istituzionali si svolge in modo
differente a seconda che si operi nell’early stage financing o nell’expansion
financing. Comunque, in generale, la loro attività di supporto all’imprenditore
viene svolta attraverso strutture giuridiche ben definite e riconoscibili e tende a
finanziare società di piccole dimensioni ad alto contenuto tecnologico. Il motivo
di tale preferenze di investimento sono dovute al fatto che i venture capitalist,
ancor più che gli altri operatori del settore (business angels e incubators),
investono solo in imprese che offrono una chiara possibilità di rendimento, e
quindi, con un forte potenziale di crescita.
Nelle operazioni di avvio o di early stage, l’imprenditore necessita spesso, oltre
al contributo di capitali, anche di un aiuto nella definizione della formula
imprenditoriale e nella riflessione sulla propria riflessione competitiva. Per
questo motivo il supporto del venture capitalist non si esaurisce nella mera
5
Cfr. GRANDINA DANIELA, Start up: Il manuale di riferimento per iniziare un nuovo business di,
MILANO IL SOLE 24 ORE SPA 2006, Cap. 3 a pagina 98
11
fornitura di capitale, ma continua anche nell’apporto di risorse immateriali
6
quali:
Know-how e competenze tecniche, gestionali, finanziarie e di
marketing;
Collaborazione attiva e condivisione del rischio d’impresa;
Miglioramento dell’immagine nei confronti del mercato e delle
banche;
Trasparenza e contributo alla netta distinzione tra interessi personali e
aziendali;
Reputazione e maggior credibilità;
Creazione di network (acquisizioni, accordi, contatti internazionali);
Pianificazione fiscale;
Contatti con altri investitori e/o istituzioni finanziarie.
L’attività dei venture capitalist è stata spesso assimilata al lancio di nuove
iniziative imprenditoriali collegate alla rete e al boom della new economy. Ma
in realtà, tali investitori sono operatori che premiano quegli imprenditori che
fanno dell’innovazione uno dei propri “cavalli di battaglia”, per poter competere
al meglio nel mercato.
Occorre, infine, dire che per il neo-imprenditore non è affatto facile ottenere
l’appoggio del venture capitalist. L’investitore, infatti, deve avere fiducia nelle
capacità imprenditoriali e manageriali relative al soggetto promotore
dell’iniziativa di start up. Il venture capitalist è quindi, si un soggetto con una
forte propensione al rischio ma prima accerta con attenzione che il progetto
innovativo presenti le garanzie di validità economica e patrimoniale.
6
Fonte: DEL GIUDICE ROBERTO E GERVASONI ANNA, Finanziarsi con il venture capital di,
MILANO RCS LIBRI 2002, Capitolo 2.3
12
1.2 ALCUNI ASPETTI GENERALI: ORIGINE E DEFINIZIONI
I numerosi problemi che le nuove iniziative imprenditoriali devono affrontare sono
spesso la ragione della bassa diffusione di nuove ondate tecnologiche e, in generale, di
novità nel mercato. Diverse ricerche
7
, infatti, attestano che in Italia il 60% delle nuove
imprese fallisce entro i primi 5 anni di attività e che, persino negli Stati Uniti, più del
60% per cento delle start up non raggiunge i sei anni di vita. Le cause di questi
fenomeni sono spesso da ricercare in una serie di direzioni diverse:
Carenza di servizi per la diffusione dell’innovazione;
Distanza tra il mondo della ricerca e il sistema delle imprese;
Mancanza di una guida in grado di condurre l’impresa nel momento più
delicato per la sua sopravvivenza;
Mancanza di una valida idea innovativa alla base del progetto
imprenditoriale;
Assenza di un reale ed efficace “mercato” del trasferimento di tecnologie;
La difficoltà del mercato del venture capital di intervenire nelle fasi di seed
capital
Questo sta a significare che per sviluppare iniziative imprenditoriali high tech o,
iniziative che, pur utilizzando la tecnologia esistente, inventano nuovi prodotti e
processi, è soprattutto necessario un ecosistema imprenditoriale, che sia flessibile,
dinamico e preparato.
“Nei sistemi anglosassoni, le relazioni virtuose tra il mondo della ricerca, il sistema
imprenditoriale e le esternalità necessarie alla nascita delle nuove iniziative
imprenditoriali sono largamente diffuse sul territorio e si sono concretizzate in spazi
urbani o locali specializzati, nei quali sono presenti tutte le condizioni necessarie allo
sviluppo della nuova imprenditorialità: tecnologie, capacità imprenditoriali, spazi
attrezzati, servizi avanzati, capitali. Al contrario, ove i mercati non sono in grado di
creare autonomamente le esternalità necessarie si rende opportuna la creazione sia di
luoghi istituzionali ad hoc, che fungano da elementi catalizzatori (in grado di attrarre e
sviluppare le risorse, le expertise e le reti di sistema capaci di avviare il circolo virtuoso
7
Fonte: CIAPPEI CRISTIANO, SCHILLACI STEFANIA, TANI SIMONE, Gli incubatori d’impresa:
esperienze internazionali a confronto di FIRENZE UNIVERSITY PRESS 2006, p.11
13
che va dall’opportunità tecnologica all’attività imprenditoriale), sia di “infrastrutture”
dedicate alla disseminazione delle tecnologie innovative. A tal fine, già da qualche
anno, operano società focalizzate nel supportare neo imprese e società start up fin dalle
prime fasi del loro ciclo di vita, aiutandole a sviluppare il proprio business. Queste
società, enti o consorzi sono quindi, gli incubatori. Il loro scopo è proprio quello di
fornire alle nuove iniziative imprenditoriali tutto ciò che possa aiutarle per nascere e
crescere, offrendo spazi fisici dove poter muovere i primi passi, fornendo assistenza
nella redazione del business plan e, al momento opportuno, offrendo quei contatti e
quella credibilità indispensabili per attrarre gli investimenti dei venture capitalist.
8
”
L’incubazione risulta quindi sempre più determinante per migliorare le prospettive di
sopravvivenza delle nuove imprese; anzi, molte ricerche affermano che la
sopravvivenza delle “start up incubator
9
” raggiunge oggi livelli compresi tra il 65% e
l’80% dopo cinque anni di attività.
La N.B.I.A – National Business Incubation Association definisce l’attività
d’incubazione come un processo dinamico di creazione e sviluppo d’impresa. Gli
incubatori, quindi, sono strutture di sostegno utili alla nascita e alla crescita delle
imprese, strutture dove gli imprenditori possono trovare tutte le attrezzature e
l’assistenza necessarie per far decollare la business idea.
“L’esplosione della net economy ha poi spostato l’identificazione di tali operatori dal
piano “fisico” a quello “virtuale”, definendo gli incubatori come un “conglomerato
virtuale” che offre tutti gli ingredienti necessari per creare nuovi business: spazi,
consulenza, network, risorse finanziarie e competenze professionali
10
”
Solitamente, si identificano tre tipologie fondamentali di incubatori: privati (o profit-
oriented); pubblici (o no-profit); universitari. La scelta del tipo di servizi che verranno
offerti all’impresa si distinguerà per la tipologia di appartenenza e per la strategia che
l’incubatore intende adottare.
8
Cfr. AIFI, QUADERNO N10 della Collana Capitale di rischio e impresa, Incubatori privati: realtà
internazionale e modello italiano, MILANO GUERINI E ASSOCIATI 2001, Cap.1.1
9
Intese come quelle iniziative imprenditoriali che nella fase di avvio sono state supportate da un
incubatore di impresa.
10
Cfr. DEL GIUDICE ROBERTO E GERVASONI ANNA, Finanziarsi con il venture capital, MILANO
RCS LIBRI 2002, Capitolo 2.2
14
In particolare, non sempre l’incubatore offre sostegno finanziario all’impresa poiché il
compito considerato come principale è quello di orientare, formare e offrire consulenza
a coloro che:
• hanno una idea imprenditoriale da sviluppare (creazione di nuove imprese
innovative, start up)
• intendono innovare la propria azienda (modernizzazione e sviluppo).
L’imprenditore si rivolge all’incubatore non tanto per ottenere risorse monetarie, quanto
per ottenere quella assistenza manageriale attiva che possa permettere alla giovane
impresa di avere:
il supporto nella costruzione del business plan;
l’accesso a canali privilegiati di finanziamento;
l’accesso a servizi tecnici e di business altamente critici;
l’accelerazione del processo di avvicinamento al mercato;
Si può affermare che l’imprenditore può contare sull’incubatore come valido alleato per
il successo della propria idea imprenditoriale, poiché tale soggetto ha spesso un
obiettivo “sociale” che lo spinge a selezionare imprese ad alto contenuto tecnologico,
con lo scopo di contribuire alla generazione e diffusione delle innovazioni nel proprio
territorio.
Dal punto di vista finanziario, alcuni incubatori sostengono le start up offrendo loro il
capitale iniziale indispensabile per il nascere dell’attività imprenditoriale. In questo
modo l’impresa ottiene quel seed money che accompagnerà lo sviluppo dell’azienda
durante quello che viene definito il primo round di finanziamento. Successivamente,
quando l’attività si è consolidata, l’incubatore lascia al venture capital il secondo round
di finanziamento. Questo modo di agire dell’incubatore dimostra che la sua attività è
diventata, ormai, complementare a quella dell’investitore nel capitale di rischio, tanto
che oggi risulta assai frequente che un venture capitalist finanzi un’idea
precedentemente seguita da un incubatore.
Questi due round di finanziamento espongono entrambi gli operatori finanziari al
rischio di un probabile insuccesso dell’ impresa. Sia l’incubatore che il venture
capitalist sono costretti ad assumersi, almeno parzialmente, il rischio di impresa, anche
se, in modo differente. Infatti, le prime stime affermano che le aziende finanziate con il
15
seed money hanno successo all’incirca una volta su tre, mentre il secondo round fa
registrare successi maggiori, pari a circa il 50% dei casi
Figura 2: Stadi di sviluppo e ruolo degli operatori finanziari
11
Mentre i due operatori si differenziano per lo stadio di intervento e per il grado di
assunzione del rischio, essi hanno, invece, in comune l’origine: sono nati
dall’esperienza americana. Infatti, per quanto riguarda gli incubatori, le prime
esperienze sono riconducibili ai tentativi fatti dai grandi campus statunitensi per
stimolare la crescita economica del proprio territorio.
Dalle prime esperienze degli anni ‘50 ad oggi, si nota che gli incubatori si sono diffusi
in tutto il mondo; si stima che oggi vi siano 3300 incubatori, un terzo dei quali creati
dopo il 1996 sotto la spinta del boom di Internet
12
. In base al ruolo svolto, alle strutture
di cui dispongono ed ai servizi che offrono, è possibile individuare tre generazioni di
incubatori: allocatori di spazi e di risorse condivise, erogatori di servizi specialistici,
nodi di una rete (networked knowledge incubators) .
11
Cfr. GRANDINA DANIELA, Start up: Il manuale di riferimento per iniziare un nuovo business,
MILANO IL SOLE 24 ORE SPA 2006, Cap. 3 a p. 103
12
Fonte: PATRISSI MICHELE E RATTA MARIO, Start up, spin off, incubatori, idee di business:
esperienze e testimonianze nelle università italiane, TORINO PNICUBE 2006