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Capitolo I
Gli Herpesvirus: classificazione.
1.1 Caratteristiche generali dei virus.
I virus possono essere definiti come parassiti endocellulari obbligati, rappresentati da
organizzazioni biologiche di livello sub-cellulare, formate essenzialmente da una o poche
molecole di DNA o RNA che, a loro volta, sono racchiuse in un contenitore proteico. Il
contenitore proteico (o capside) ha la duplice funzione di proteggere l’acido nucleico (o
genoma del virus) in ambiente extracellulare e di mediarne la penetrazione nelle cellule
bersaglio. In ambiente extracellulare le singole particelle virali o virioni, sono
assolutamente inerti dal punto di vista metabolico. Solo dopo l’introduzione all’interno
della cellula bersaglio e liberato dal contenitore proteico, il genoma virale è in grado di
imporre ai sistemi biosintetici cellulari la sua replicazione, insieme alla sintesi delle
specifiche proteine necessarie alla costruzione di nuovi virioni che, fuoriuscendo dalla
cellula infetta (che in genere non sopravvive alle alterazioni biosintetiche imposte al
genoma virale), è in grado di infettare altri elementi cellulari. (1) Nella forma più semplice
il virione è costituito da un nucleo centrale o core contenente un unico tipo di acido
nucleico (DNA o RNA). Il core è circondato da un involucro proteico chiamato capside, a
sua volta composto da unità proteiche ripetute o capsomeri. L’insieme del capside e del
nucleo viene spesso indicato con il termine nucleocapside. Il core può contenere, oltre
all’acido nucleico, anche molecole proteiche con funzione enzimatica. Oltre al
nucleocapside, ed esterno ad esso, i virioni di alcuni virus possiedono un rivestimento
membranoso, di natura lipoproteica, simile alla membrana plasmatica cellulare ed indicato
con l’espressione pericapside. I virus dotati del pericapside sono indicati come virus
rivestiti, mentre l’espressione virus nudi distingue quelli privi di rivestimento esterno. Nei
virus rivestiti, lo spazio compreso tra la faccia interna del pericapside e la periferia del
nucleocapside è di solito occupato da proteine virus-specifiche, le quali formano così un
ulteriore involucro che nei virus con capside isometrico prende il nome di tegumento.
Esistono tre modelli generali di riferimento per descrivere la morfologia e la costituzione
del nucleocapside: struttura elicoidale, struttura poliedrica e struttura complessa.
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I virioni elicoidali hanno un aspetto grossolanamente bastoncellare, rigido o filamentoso. I
singoli capsomeri sono disposti secondo le spire di un’elica per cui l’acido nucleico può
trovarsi nel core o essere contenuto nel solco interno dell’elica.
I virioni poliedrici appaiono generalmente di forma sferica con diametro variabile tra 25 e
300 nm. Ad un’analisi più dettagliata è riconoscibile nel capside una struttura geometrica
precisa, di tipo poliedrico e più frequentemente icosaedrico, formata da capsomeri uguali o
diversi tra loro. Il numero dei capsomeri varia da trentadue, nei virioni più piccoli, a
parecchie centinaia nei virus più grandi.
I virioni complessi, diffusi tra i virus batterici, associano struttura poliedrica ed elicoidale,
assumendo forme caratteristiche in cui è possibile riconoscere una testa poliedrica e una
coda elicoidale. L’acido nucleico è contenuto nella testa, mentre la coda assolve compiti di
adesione all’ospite e di inserimento in esso del genoma virale.
L’involucro membranoso (pericapside) è un rivestimento accessorio che può avvolgere
nucleocapsidi elicoidali o poliedrici. Esso non è altro che una porzione della membrana
plasmatica della cellula ospite che i singoli nucleocapsidi si portano dietro al momento di
abbandonare la cellula attraverso un processo di gemmazione. Il doppio strato fosfolipidico
del pericapside è di origine cellulare, mentre le proteine presenti in esso, di solito sotto
forma di spine e protuberanze, sono di origine virale. Spesso si tratta di glicoproteine,
molecole proteiche con catene laterali glucidiche, in cui la componente proteica è
codificata dal genoma virale, mentre quella glucidica sembra specificata dalla cellula
ospite.
Gli acidi nucleici virali manifestano una maggiore vulnerabilità di struttura rispetto a quelli
cellulari. Essi possono essere a doppia o singola elica, lineari o circolari, interi o
segmentati. Il genoma virale a DNA è formato da un unico polinucleotide, a doppio o
singolo filamento, che può avere disposizione lineare o circolare. Il genoma virale ad
RNA, a singola o doppia elica, oltre a esistere come lunga catena polinucleotidica, può
essere segmentato in tante molecole, contenenti ciascuna uno o più geni diversi. In alcuni
virioni gli acidi nucleici sono impacchettati all’interno del capside, in altri si stabilisce
un’interazione tra l’acido nucleico e i capsomeri. La riproduzione dei virus avviene
esclusivamente all’interno delle cellule ospiti in cui le particelle virali riescono a penetrare.
Essa è il risultato finale di un processo che prevede la fabbricazione separata dei singoli
componenti virali, acido nucleico e capside, e l’assemblaggio terminale degli stessi.
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Le informazioni sulle caratteristiche costitutive delle macromolecole virali sono date dal
genoma virale, mentre l’energia e le materie prime occorrenti, nucleotidi, amminoacidi e
buona parte dei sistemi enzimatici, sono forniti dalle cellule infettate.
Dal punto di vista biochimico sono coinvolti gli apparati cellulari di replicazione degli
acidi nucleici e di sintesi proteica che operano secondo i normali schemi degli organismi
procariotici ed eucariotici.
Al termine della riproduzione, da ogni cellula infettata possono liberarsi fino a centomila
particelle virali pronte ad infettare nuove cellule e a ripercorrere le tappe del ciclo vitale.
Occorre tenere presente che, sia i virus batterici sia quelli eucariotici, posseggono
sofisticati meccanismi di regolazione che garantiscono la sintesi dei componenti virali al
momento opportuno e nella giusta quantità.
Sebbene i principali gruppi virali utilizzino meccanismi di riproduzione specifici, in tutti i
virus gli eventi fondamentali che caratterizzano il ciclo riproduttivo risultano comuni.
Questi possono essere riassunti in cinque fasi: adsorbimento, penetrazione, replicazione,
maturazione e liberazione.
- Adsorbimento.
L’ingresso di un virus in una cellula è subordinato all’interazione reciproca e
adattiva dei due sottosistemi, i virus da una parte e la cellula ospite dall’altra. Sugli
involucri esterni dei virioni sono presenti dei componenti molecolari, chiamati siti
recettori, in grado di combaciare con composti corrispondenti presenti sulla cellula
ospite. Il legame che si viene a formare tra le molecole consente l’attacco o
l’adsorbimento del virus e il suo riconoscimento da parte dell’ospite.
La specificità di tale legame spiega lo spettro ristretto di specie biologiche che un
virus può infettare e l’instaurarsi dell’infezione in particolari organi o tessuti
dell’organismo.
- Penetrazione.
Consiste nell’ingresso del virus nella cellula. Può svolgersi secondo due schemi
distinti e comportare l’ingresso dell’intera particella virale o l’iniezione del solo
acido nucleico. La penetrazione attraverso l’inoculazione dell’acido nucleico è
tipica dei batteriofagi a struttura complessa che lasciano, all’esterno della superficie
batterica, il capside vuoto.
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La penetrazione dell’intera particella virale nella cellula ospite è tipica dei virioni di
molti virus. I virus animali utilizzano due diversi meccanismi per superare la
membrana plasmatica ed entrare nell’ospite: l’endocitosi e la fusione.
Nell’endocitosi il virione viene inglobato in un vacuolo fagocitico e trasportato
all’interno. Qui le proteasi del vacuolo degradano il capside, lasciando inalterato
l’acido nucleico. Quest’ultimo, una volta attraversata la membrana del vacuolo, può
raggiungere il citoplasma o il nucleo della cellula e dirigere la sintesi dei propri
componenti.
Nella fusione, tipica dei virus rivestiti, l’involucro membranoso che avvolge la
particella virale si fonde alla membrana plasmatica dell’ospite, trasferendo
all’interno della cellula l’intero nucleocapside.
- Replicazione.
E’ considerato l’evento centrale dell’intero processo produttivo. Tale fenomeno è in
realtà un processo complesso che comprende:
- la trascrizione dell’acido nucleico virale con produzione dell’mRNA virale;
- l’interruzione dei processi di sintesi del DNA, dell’RNA e delle proteine cellulari;
- la vera e propria replicazione dell’acido nucleico virale.
Il ruolo fondamentale di questa serie di eventi spetta alla trascrizione dell’mRNA
virale, da cui dipende la sintesi sia delle proteine che catalizzano la replicazione
dell’acido nucleico virale sia delle proteine destinate a costruire l’intera particella
virale. Lo stesso mRNA virale può controllare e interrompere le normali funzioni
cellulari, attraverso la sintesi di prodotti proteici che possono interferire con l’RNA
polimerasi cellulare, bloccando la trascrizione dei geni dell’ospite o rompendo
direttamente gli acidi nucleici cellulari.
Quando non è l’acido nucleico virale, bensì l’intero virione a penetrare nella cellula
ospite, questo viene modificato strutturalmente al fine di rimuovere il capside e
liberare nel citoplasma cellulare l’acido nucleico.
Il tipo di genoma posseduto dai diversi virus, a DNA o a RNA, a doppio o singolo
filamento, condiziona il meccanismo operativo di trascrizione e replicazione.
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I virus a DNA, per la maggior parte a doppia elica, possono utilizzare direttamente
gli enzimi cellulari (RNA polimerasi DNA dipendente, ligasi, DNA polimerasi) per
trascrivere gli mRNA contenenti l’informazione per la sintesi della DNA
polimerasi virale, che catalizza la replicazione del DNA virale, e gli mRNA relativi
alla sintesi delle proteine del capside.
I virus a RNA presentano un campo più ampio di schemi replicativi. Nei virioni a
RNA a singolo filamento le differenze sono determinate dalla polarità dell’elica.
Questa può avere polarità positiva (filamento +) e comportarsi direttamente da
RNA messaggero o polarità negativa (filamento -) e non essere in grado di legarsi
ai ribosomi per la traduzione. Il genoma dei virus a RNA a filamento singolo - non
può essere utilizzato come messaggero dai meccanismi molecolari cellulari.
Pertanto tutti questi virus possiedono l’enzima RNA polimerasi RNA dipendente
che trascrive il filamento – nel filamento complementare +, destinato ad essere
impiegato nella formazione di nuove copie di filamenti – e, come messaggero, nella
sintesi delle proteine virali. Anche i virus a RNA a doppia elica devono possedere
una propria trascrittasi, in grado di sintetizzare il filamento + che funge da
messaggero e intermedio di replicazione.
- Maturazione.
E’ la fase dell’infezione virale durante la quale vengono prodotti i componenti
strutturali del virione che, assemblati alle copie di acido nucleico replicate, portano
alla formazione delle nuove particelle virali.
Anche per la maturazione, la trascrizione dell’mRNA virale rappresenta l’evento
chiave. Le proteine del capside e quelle che fanno parte del pericapside sono gli
ultimi componenti virali ad essere sintetizzati.
Il processo di autoassemblaggio dei componenti virali inizia subito dopo la sintesi
delle proteine strutturali.
Esso sembra dipendere dall’elevata interazione molecolare tra le subunità del
capside e l’acido nucleico, escludendo l’intervento di specifici sistemi enzimatici.
Come per la replicazione, anche il processo della maturazione può svolgersi, a
seconda dei virus, nel nucleo o nel citoplasma cellulare.
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- Rilascio delle particelle virali.
Con l’assemblaggio dei nucleocapsidi le particelle virali neoformate sono pronte
per abbandonare la cellula ospite. Per la maggior parte dei virus nudi il rilascio
avviene a seguito della lisi cellulare, dopo che un certo numero di virioni si sono
accumulati nella cellula.
Rispetto ai virus nudi quelli rivestiti presentano un processo di rilascio più
complesso, che si protrae per un maggior periodo di tempo. In questo caso il
meccanismo più comune è quello della gemmazione.
Nella maggior parte dei casi la moltiplicazione delle particelle virali danneggia la
cellula ospite:
- distruggendo il DNA cellulare, bloccando l’espressione dei geni;
- rompendo la membrana plasmatica, alterando l’equilibrio con l’esterno;
- esercitando altri effetti negativi sulle cellule infettate. (2)
Le infezioni da virus possono essere distinte in primarie e secondarie. Le infezioni
primarie insorgono in seguito al primo contatto dell’ospite con il virus. Nelle infezioni
secondarie il virus può contagiare soggetti che hanno eseguito una vaccino-profilassi o che
hanno un’immunità pregressa; questi fattori possono causare una riattivazione del virus (in
caso di virus latente), oppure una reinfezione (dovuta all’infezione di un nuovo ceppo del
virus che presenta cambiamenti nelle proteine antigeniche del capside).
1.2 Definizione e classificazione degli Herpesvirus.
Gli Herpesvirus fanno parte della famiglia degli Herpesviridae e comprendono virus a
DNA in grado di provocare importanti patologie nella specie umana. Gli herpesvirus hanno
un virione rotondeggiante di 150-200 nm di diametro, formato da un involucro lipoproteico
(pericapside), da un tegumento e da un capside icosaedrico di 100 nm di diametro, con 162
capsomeri prismatici, che contiene a sua volta un nucleotide formato da una sorta di
rocchetto proteico intorno al quale è avvolto il DNA.
Il genoma è formato da una molecola di DNA bicatenario e lineare le cui dimensioni
possono andare da 150 a 235 kbp. Nel genoma degli herpesvirus sono quasi sempre
presenti corte sequenze di basi che si ripetono nello stesso ordine ad uno o, più spesso, a
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tutti e due gli estremi della molecola, quando sono presenti a tutti e due gli estremi della
molecola favoriscono la circolarizzazione del genoma, subito dopo il suo rilascio dal
capside (come nel caso dell’Herpes simplex virus). In alcuni herpesvirus le sequenze
ripetute sono presenti, in una o due copie, anche all’interno del genoma. In questo caso la
molecola di DNA viene ad essere divisa in due componenti, contenenti le sequenze uniche
(U) corrispondenti ai diversi geni trascrivibili, di cui uno più lungo (U
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) e l’altro più corto
(U
s
) che sono legati covalentemente ma che possono essere orientati differentemente nelle
diverse popolazioni virioniche e dar luogo, di conseguenza, a 2 o 4 forme isometriche,
come nel caso del virus della varicella zoster e dell’herpes simplex, rispettivamente.
Nei virioni sono presenti circa 30 proteine strutturali, di cui un certo numero (proteine del
nucleocapside) sono glicosilate. In alcuni casi nel nucleocapside sono presenti proteine con
i caratteri di recettori per il frammento Fc delle immunoglobuline (Fragment crystallizable,
di peso molecolare elevato, non in grado di legare l’antigene).
Il montaggio dei nucleocapsidi ha luogo nel nucleo e da qui essi passano, con successive
gemmazioni attraverso i due foglietti della membrana nucleare, nel citoplasma dove
vengono rivestiti del nucleocapside definitivo gemmando attraverso le membrane del
reticolo o attraverso la membrana cellulare esterna.
Gli herpesvirus comprendono tre sottofamiglie, denominate rispettivamente
Alphaherpesvirus, Betaherpesvirus e Gammaherpesvirus.
Gli Alfaherpesvirus sono caratterizzati da uno spettro d’ospite piuttosto ampio e dalla
capacità di moltiplicarsi in diversi tipi di colture cellulari in vitro con un caratteristico
effetto citopatico e la produzione di inclusioni nucleari. Comprendono il genere
Simplexvirus (virus dell’herpes simplex di tipo 1 e 2) e il genere Varicellavirus (virus della
varicella-zoster o HHV-3) che prediligono come sede della loro infezione i neuroni
(gangliari) dei nervi sensitivi.
I Betaherpesvirus hanno uno spettro d’ospite ristretto (specie-specifici), si replicano in
vitro in colture di fibroblasti della specie animale sensibile, hanno un ciclo di replicazione
assai lento e producono inclusioni nucleari e citoplasmatiche. Comprendono il genere
Cytomegalovirus (Cytomegalovirus umano o HHV-5) che infetta principalmente i
monociti e il genere Roseolovirus proposto per raggruppare l’HHV-6 e l’HHV-7, virus
linfotropi, con organizzazione gnomica simile al Cytomegalovirus.
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I Gammaherpesvirus hanno uno spettro d’ospite ristretto e si replicano pressoché
esclusivamente in cellule linfoidi. Comprendono il genere Lymphocryptovirus (virus di
Epstein-Barr o HHV-4) e il genere Rhadinovirus (Human herpesvirus 8 o HHV-8).
Gli herpesvirus sono caratterizzati dal fatto di provocare infezioni che, dopo l’esaurimento
della fase clinica conseguente all’infezione primaria, si mantengono, in genere per il resto
della vita dell’ospite, allo stato latente in alcune cellule, riattivandosi occasionalmente e,
talora, con manifestazioni cliniche conclamate e gravi, in seguito a stimoli diversi,
generalmente in concomitanza con una diminuzione della risposta immune cellulo-
mediata. Nella latenza vi è spesso l’integrazione del genoma virale in quello dell’ospite. Il
virus permane nella cellula senza neoproduzione di virioni infettanti e senza formazione di
larghe quantità di antigeni virus-specifici. Le sedi della latenza variano in relazione al virus
infettante.
Alcuni herpesvirus possono essere caratterizzati dalla persistenza, in cui vi è continua
produzione di notevoli quantità di antigeni virali e, spesso, anche di virus infettante. Le
cellule non subiscono danni letali direttamente ad opera del virus, ma sono esposte per la
presenza di antigeni virus-specifici sulla loro superficie, ad azioni lesive esercitate in tempi
più o meno lunghi dalle risposte immunitarie dell’ospite. Ne possono conseguire malattie
cronicamente evolutive o malattie lente caratterizzate da lunghi periodi di incubazione
asintomatica e da prognosi generalmente infausta.(1)
1.3 Le infezioni virali durante la gravidanza e il periodo neonatale.
Quando un virus infetta una donna durante la gravidanza, questo passa, attraverso la
trasmissione verticale, dalla madre al figlio causando sequele di diversa entità, dipendenti
dal periodo gestazionale in cui avviene l’infezione.
Se il contagio avviene nelle prime 12-13 settimane di età gestazionale (WGA), si registrerà
un quadro malformativo dei tessuti embrionali soprattutto al livello del SNC, caratterizzato
da schizencefalia, anencefalia, micropoligirie, ipoplasia cerebellare (EMBRIOPATIA).
Se l’infezione avviene dopo la 13^ WGA, si avranno malformazioni che interessano non
solo il SNC ma anche altri organi (FETOPATIA).
La trasmissione verticale può avvenire in utero (INFEZIONE CONGENITA), durante la
nascita (INFEZIONE PERINATALE) o nel periodo neonatale (INFEZIONE
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POSTNATALE). Le principali infezioni congenite virali sono dovute al virus della
Rosolia, al CMV, al virus dell’HIV, al virus dell’epatite B (HBV), al virus dell’epatite C
(HCV) e al Parvovirus B19.
Le infezioni perinatali (o connatali) sono causate dall’Herpes simplex virus, dal virus
dell’HIV, dal Papilloma virus.
Nelle infezioni postnatali sono trasmessi i retrovirus della leucemia umana a cellule T
(HTLV) attraverso il latte materno infetto e l’HBV, l’HCV, l’HIV tramite la trasmissione
di sangue infetto durante l’allattamento.
Infezioni virali sono riportate nel 6-8% di nati vivi, e dipendono dalle caratteristiche
dell’ospite, dalla possibilità di replicazione virale al suo interno e dalla capacità del virus di
generare l’infezione.
I principali fattori di rischio sono:
- materni: la giovane età, l’infezione primaria del virus, la promiscuità sessuale, la
tossicodipendenza, un basso livello socio-economico, la presenza di patologie richiedenti
trasfusioni di sangue o emoderivati, la concomitanza di patologie infettive, l’appartenenza
a categorie lavorative a rischio (personale sanitario, maestre ecc.);
- fetali: l’età gestazionale, il basso peso alla nascita, insulti anossici fetali;
- altri: la presenza di un’epidemia o endemia, la posizione geografica, la stagionalità, i
fattori ostetrici (parto prematuro, rottura prolungata delle membrane, parto traumatico), la
virulenza del microrganismo, la presenza dell’agente infettivo nel latte materno.
Le infezioni congenite possono avere diversi esiti clinici come la morte dell’embrione,
l’aborto, la nascita del feto morto, le malformazioni congenite, lo IUGR (ritardo di
accrescimento intrauterino), un’infezione asintomatica alla nascita con sequele
neurologiche tardive, un’infezione asintomatica e la prematurità.
Nel caso di infezioni perinatali si potrà avere una malattia sistemica severa che esita nella
morte del bambino o in un’infezione postnatale persistente.
In caso di infezioni postnatali si avrà una malattia sistemica il cui quadro clinico dipenderà
dall’agente infettante e dalla compromissione di diversi organi.