7
con particolare interesse all’asset liability management (d’ora in poi ALM),
divenuta una delle parole più frequentemente ricorrenti nel settore
assicurativo dell’ultimo decennio e, insieme, l’oggetto delle attenzioni degli
organi di vigilanza, delle agenzie di rating, e, naturalmente, dello stesso
management delle compagnie assicurative che ha cominciato a guardare
all’ALM quale essenziale strumento strategico in grado di favorire la
massimizzazione della redditività del capitale e il controllo dei rischi.
Questo lavoro nasce inoltre in un contesto di profondo rinnovamento del
sistema pensionistico italiano in atto già da un decennio in cui si cerca di
ridimensionare il ruolo della previdenza pubblica, affidando alla previdenza
complementare o integrativa un ruolo più centrale nel sistema previdenziale.
Fig. 1.1: Premi e riserve in % del PIL
Fonte: ANIA
Il lento ma costante aumento dei premi raccolti e delle riserve accantonate in
relazione al prodotto interno lordo (fig. 1) indica che anche in Italia si sta
8
sviluppando un mercato assicurativo vita che affianca ed integra il sistema
pensionistico di base.
La progressiva centralità della previdenza complementare è il risultato della
riconosciuta incapacità dei regimi pensionistici statali di soddisfare le attese
delle varie categorie di lavoratori. In sostanza, l’esigenza di un risparmio
previdenziale è sempre stata finora al di fuori dell’orizzonte mentale dei
cittadini: lo Stato paternalistico provvedeva “dalla culla alla tomba”.
L’esigenza di un reddito permanente lungo il ciclo di vita è stata sinora
assolta in età avanzata dallo Stato, esonerando i singoli da questa
preoccupazione: il risparmio era quindi finalizzato prevalentemente alla
costruzione di una ricchezza da trasferire ai propri figli o alla copertura della
quota minoritaria non garantita dallo Stato. Questa impostazione sta alla
base del limitato sviluppo delle rendite in Italia, a differenza degli altri paesi
con modelli di welfare meno pervasivi.
Quello che si verificherà in futuro è una esigenza accresciuta dei singoli a
destinare parte del loro risparmio alla costruzione di flussi certi di reddito,
indipendentemente dall’andamento dei mercati finanziari: una componente
del risparmio dovrà quindi essere destinata a coprire quella quota del reddito
permanente desiderato non più garantita dallo Stato nell’età del
pensionamento. La recente riforma della tassazione dei fondi pensione e
delle forme di previdenza individuale favorisce la crescita di un mercato
delle rendite, terreno tradizionale dell’operare delle imprese di
assicurazione. Già il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo
1
ha mutato le prestazioni pensionistiche di cui ognuno potrà godere: si è
calcolato che il rapporto tra la pensione maturata della previdenza pubblica
obbligatoria e l’ultima retribuzione per i lavoratori dipendenti subirà, dal
2000 al 2050, un abbassamento di circa 20 punti percentuali passando dal
67,3% al 48,1%
2
. L’ultima riforma, entrata in vigore proprio nel gennaio
1
Previsto dalla cosiddetta “Riforma Dini” del 1993
2
Fonte: www.larepubblica.it/riformaTFR
9
2007, che prevede l’obbligatorietà sia di destinare il TFR presso un fondo di
previdenza complementare sia di trasformare almeno la metà di questo in
rendita, sembra aver dato l’impulso decisivo verso lo sviluppo della
previdenza complementare anche in Italia.
Il nostro Paese, in effetti, rappresenta un caso un po’ anomalo nel contesto
europeo. Il mercato delle rendite in Italia è praticamente assente anche
perché, come dimostra la tabella, quei pochi che hanno deciso di optare per
un piano pensionistico collettivo o individuale hanno quasi sempre deciso di
capitalizzare la somma maturata alla data di scadenza.
Fonte: ANIA
3
Questo è stato un bene per le nostre compagnie di assicurazione perché
hanno visto ridursi i rischi che l’opzione rendita poteva comportare
4
. Questa
situazione, come già detto, è destinata a cambiare e diventa quindi
necessario per le compagnie assicurative dotarsi di strumenti idonei a
fronteggiare i rischi a cui vanno incontro, senza ledere le aspettative degli
azionisti e, allo stesso tempo, garantendo ai propri assicurati l’erogazione
della pensione. L’ottenimento di posizioni completamente prive di rischio è
del resto cosa pressoché impossibile alla luce della concorrenza, ma ciò non
3
I risultati di seguito allegati riguardano i dati forniti da 53 imprese operanti nel settore vita; il campione statistico
risultante rappresenta circa l’80% (secondo la raccolta premi 2005) dell’intero mercato vita; il periodo di osservazione
riguarda gli anni statistici dal 2002 al 2004.
4
Si pensi soprattutto al longevity risk, ossia al rischio che la durata media di vita osservata nel portafoglio sia superiore
a quanto previsto con la tavola di pricing.
10
significa che devono mancare strumenti di navigazione manageriale che
prefigurino possibili andamenti nel valore d’impresa alla luce delle
evoluzioni delle variabili finanziarie, demografiche, commerciali.
Dall’analisi della posizione netta dell’impresa, alla luce degli scenari
evolutivi possibili, il compito del management risulta quello di definire i
rendimenti desiderati, il grado di rischio ritenuto accettabile dagli azionisti
con le esigenze di solvibilità nel tempo dell’impresa, e in questa cornice
determinare le politiche commerciali da seguire, le linee guida in termini di
investimento, i limiti operativi, monitorando periodicamente la posizione
complessiva dell’azienda in modo da intervenire tempestivamente al
modificarsi dello scenario delle variabili finanziarie, prendendo le decisioni
operative sia sul lato della gestione finanziaria (investimenti e scelte di
riassicurazione) che su quello commerciale, inteso come offerta di prodotti e
determinazione dei caricamenti.
Il presente lavoro nasce quindi con l’intento di descrivere il processo di risk
management all’interno di una compagnia assicurativa.
Il capitolo 1, riprendendo il lavoro svolto dall’International Actuarial
Association Solvency Working Party, cerca di dare un’analisi completa di
tutti i rischi possibili che un’impresa di assicurazione si trova ad affrontare e
cerca di evidenziarne le loro possibili correlazioni. Alcuni di essi possono
essere estesi alla generalità degli intermediari finanziari anche se nelle
imprese di assicurazione assumono connotati particolari (si pensi al rischio
di mercato). Altri, invece, sono rischi specifici di una compagnia
assicurativa (si pensi ai rischi contrattuali).
Il capitolo 2, dopo una breve analisi riguardo i metodi di valutazione dei
rischi che una compagnia assicurativa deve sostenere, si concentra sulle
tecniche tradizionali di gestione di tali rischi da parte del risk management,
in particolar modo sulle tecniche di controllo del rischio e di finanziamento
del rischio. Nella prima categoria rientrano tutte quelle azioni finalizzate a
11
prevenire situazioni di rischio o a ridurre l’esposizione allo stesso rischio.
Tali tecniche incidono solitamente sulla categoria dei rischi contrattuali e
vengono messe in atto nel momento del disegno del prodotto offerto alla
clientela. Le tecniche di finanziamento del rischio, invece, comprendono le
tecniche di hedging (ossia diversificazione e compensazione), di
trasferimento (attraverso la riassicurazione o il ricorso agli alternative risk
transfer-ART), oppure, in ultima istanza, di ritenzione del rischio. Il fatto che
la ritenzione del rischio può anche essere considerata una tecnica di risk
management ci fa capire quanto sia importante identificare tutti i rischi che
una compagnia assicurativa deve affrontare: è sicuramente molto più grave
sopportare un rischio che non si sapeva di sostenere che sopportare un
rischio di cui si aveva la consapevolezza di avere in portafoglio anche se la
compagnia aveva deciso di non coprirlo e di ritenerlo allocando più capitale
o sostenendo la perdita.
Il capitolo 3 focalizza l’attenzione sulla gestione finanziaria dei portafogli
assicurativi vita. I prodotti assicurativi vita, infatti, non sono (o almeno non
dovrebbero essere) prodotti di puro investimento e raccolta di risparmio, ma
sono prodotti che hanno soprattutto una funzione sociale in quanto il loro
principale scopo è quello di mantenere il potere di acquisto dei premi versati,
garantendo ai partecipanti la partecipazione alla crescita economica
complessiva. In quanto tali si differenziano dai prodotti di investimento
tradizionali che hanno come fine principale la massimizzazione del
rendimento. La gestione finanziaria risente ovviamente di tali differenti
caratteristiche e assume connotati particolari nelle compagnie assicurative:
la scelta dell’orizzonte temporale di riferimento, le politiche di asset
allocation, la scelta e la funzione del benchmark e le politiche di protezione
del portafoglio assumono così connotati differenti rispetto ad altri
intermediari finanziari.
12
Gli ultimi due capitoli sono invece dedicati all’Asset Liability Management
ossia la gestione integrata dell’attivo e del passivo. Si sottolinea
l’importanza dell’ALM come strumento di ottimizzazione della redditività
dell’impresa di assicurazione entro accettabili livelli di rischio. Sono poste
sotto esame le tecniche di Gap analysis e di Duration Gap analysis per
coglierne le varie sfumature; lo scopo è l’esposizione di tutte le possibili
strategie adottabili dall’impresa di assicurazione, nel rispetto dei propri
obiettivi di politica aziendale, avvalendosi dell’ausilio degli approcci di
Asset Liability Management.
Le tecniche di Asset Liability Management potrebbero rivestire sempre
maggiore importanza nel futuro: esse offrono una struttura per valutare e
gestire le esposizioni al rischio in maniera sistematica ed efficiente per la
Compagnia stessa, per gli assicurati e per l’Istituto di Vigilanza.
Da qualche anno, il management delle Compagnie assicurative si interroga
sulle potenzialità dell’Asset Liability Management. A vari livelli di
responsabilità si intuisce che le logiche di Asset Liability Management
possono affermarsi come il nuovo paradigma di gestione della complessità
di una impresa assicurativa.
La forte limitazione dello strumento di Asset Liability Management è la
mancanza di una piattaforma comune di conoscenza generalmente condivisa
e accettata da tutti gli operatori del settore assicurativo. Non si è ancora
imposto un paradigma. Il linguaggio stesso non è ancora coerente. Alcune
espressioni basilari come ALM e DFA sono usate con significati
notevolmente diversi anche all’interno della stessa Compagnia. La
complessità e la gamma di scelte insite nei vari modelli rendono difficile
confrontare i risultati delle diverse analisi.
13
CAPITOLO 1
I RISCHI PRESENTI NEI PRODOTTI
ASSICURATIVI VITA
1.1 Premessa
Le imprese di assicurazione svolgono due principali funzioni economiche:
una funzione di assunzione e collettivizzazione di rischi puri (risk bearing e
risk pooling) e una funzione di intermediazione finanziaria (financial
intermediation). Nell’esercizio della funzione di assunzione dei rischi, le
compagnie assicurative consentono agli individui e alle imprese di trasferire,
a fronte del pagamento di un premio, quei rischi che non intendono ritenere,
mentre la funzione di collettivizzazione consiste nell’aggregare numerosi
rischi individuali, omogenei e indipendenti, in modo che, applicando la
legge dei grandi numeri, sia possibile prevedere con buona approssimazione
l’entità dei sinistri che subirà la collettività degli assicurati.
La seconda importante funzione economica svolta dalle compagnie
assicurative è l’intermediazione finanziaria, che si sostanzia nella raccolta di
fondi attraverso l’emissione di polizze destinate alla copertura delle più
svariate tipologie di rischio e nell’investimento di tali fondi in attività
finanziarie. È bene quindi cominciare questa discussione nell’analisi delle
varie tipologie di rischio che le compagnie assicurative vita devono
affrontare.
14
1.2 Le componenti dei rischi
Prima di analizzare i vari tipi di rischio che interessano le assicurazioni vita,
è importante distinguere le varie componenti che possono essere
riconosciute in ogni tipo di rischio. In questo senso si possono distinguere:
• Il rischio di processo determinato dalle normali fluttuazioni di una
quantità aleatoria. Ad esempio la mortalità è un fenomeno naturalmente
aleatorio, dato che il numero di decessi nei vari anni in un dato portafoglio, è
soggetto a fluttuazioni attorno al suo valore atteso. Tali fluttuazioni attorno
al valore atteso sono usualmente chiamati scarti accidentali.
• Il rischio di rappresentazione (“uncertainty risk”) è originato dalla
possibilità che le ipotesi e i dati assunti per rappresentare un fenomeno
aleatorio non riflettano appropriatamente le caratteristiche del fenomeno
stesso. In tale categoria è possibile individuare il rischio di modello (ad
esempio nel caso in cui si sia costruito un modello per la proiezione della
mortalità che si rivela inefficace) ed il rischio di parametro (legato alla
possibilità di una stima non appropriata dei parametri del modello, ad
esempio perché in caso di volatilità non costante il metodo dei minimi
quadrati perde la sua efficacia). Le conseguenze dei rischi di
rappresentazione sono assai difficili da quantificare e sono solitamente
denominate scarti sistematici.
• Il rischio di eventi estremi consiste nell’eventualità che si verifichino
eventi con probabilità bassissima, ma di impatto finanziario elevatissimo
sulla gestione di un portafoglio assicurativo, impatto solitamente ben
maggiore di quello che può essere ragionevolmente atteso dalle componenti
di rischio esaminate in precedenza. Un evento estremo può essere ad
esempio la rapida diffusione per contagio di una patologia che può
comportare, seppure su intervalli di tempo limitati, ad una mortalità
eccezionalmente elevata. Tale componente di rischio è spesso indicata come
rischio catastrofale.
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La distinzione tra componenti di rischio è rilevante allo scopo di analizzare
la possibilità di ridurre le conseguenze dei vari tipi di rischio. Gli effetti del
rischio di processo, che si manifesta negli scarti accidentali, possono essere
contenuti con una appropriata diversificazione
5
. La diversificazione non
opera, però, nei riguardi del rischio di rappresentazione, mentre, in relazione
al rischio di eventi estremi, una significativa diversificazione del portafoglio
di contratti, in particolare una sua estensione su ampie regioni geografiche,
può limitare l’impatto di eventuali catastrofi, mentre l’impatto stesso sarà
acuito in caso di forte concentrazione, in particolare territoriale.
5
Il significato del termine diversificazione varia al variare del tipo di rischio considerato. Ad esempio se ci si riferisce
al rischio di scarti accidentali della mortalità, la diversificazione è attuata tramite l’aumento del numero di contratti; se,
invece, ci si riferisce ai rischi collegati all’andamento dei mercati finanziari la diversificazione è attuata ampliando la
gamma di investimenti a fronte delle riserve matematiche e del capitale proprio.
16
1.3 Identificazione dei rischi
Nella letteratura sono stati sviluppati numerosi criteri di classificazione dei
rischi, ognuno con i propri meriti. In questa sede faremo riferimento alla
classificazione proposta dall’International Actuarial Association (cfr. Report
of Solvency Working Party preparato per l’IAA).
Nel documento, anche se si riconosce che i rischi assicurativi presentano
forti correlazioni che quindi richiedono un approccio integrato, si dividono i
rischi in 6 grandi categorie:
• Rischi contrattuali (underwriting risk)
• Rischi di credito (credit risk)
• Rischi di mercato (market risk)
• Rischi operativi (operational risk)
• Rischio di liquidità (liquidity risk)
• Rischio di eventi esterni (event risk)
Mentre i rischi contrattuali sono caratteristici delle compagnie di
assicurazione, gli altri rischi sono presenti (anche se a differenti livelli)
anche negli altri intermediari finanziari. Questa classificazione, come già
detto, è però arbitraria.
Ad esempio, dal momento che il rischio di liquidità è associato alla vendita
degli assets, esso diventa una diretta conseguenza del valore di mercato degli
stessi assets. Seguendo questo ragionamento è possibile incorporare il
rischio liquidità con il rischio di mercato.
Ancora: alcuni autori includono il rischio di eventi esterni nella categoria dei
rischi operativi dal momento che la gestione dei rischi operativi spesso
include la mitigazione di rischi derivanti da cause non imputabili alla
compagnia di assicurazione.
L’IAA Solvency Working Party ha scelto di separare i due tipi di rischi
perché i primi sono interni alla compagnia nel senso che essa esercita un
17
controllo diretto su di essi, mentre i secondi sono esterni alla compagnia
visto che su di essi la compagnia non ha nessun controllo (oppure è
minimo).
Una classificazione alternativa dei rischi la offre il CEIOPS (Committee of
European Insurance and Occupational Pensions Supervisors) che nel suo
lavoro QIS3 (Quantitative Impact Study) distingue tra hedgeable risk e non-
hedgeable risk. Il lavoro, finalizzato alla valutazione economica dei rischi
sopportati da una compagnia assicurativa vita, definisce gli hedgeable risks
come quei rischi “che possono essere perfettamente coperti o replicati in
mercati finanziari sufficientemente spessi, liquidi e trasparenti, ossia dove
gli operatori possono eseguire scambi in modo rapido, per grandi volumi e
con piccolo impatto sul prezzo dello strumento. Il valore di tali strumenti
fornisce direttamente la valutazione economica del rischio”. I non-hedgeable
risks vengono invece definiti in via residuale, includendo in questi anche
quei rischi la cui collocazione in una delle due classi non è certa o per cui
non possono essere derivati valori di mercato “consistenti”.
18
1.4 I rischi contrattuali
Per rischi contrattuali si intendono quei rischi che insorgono come
conseguenza della stipulazione dei contratti assicurativi e delle condizioni
previste dai contratti stessi (basi tecniche adottate, premio, condizioni di
riscatto).
1.4.1 Il rischio di mortalità
Esso comprende ogni rischio riconducibile alla aleatorietà delle durate di
vita degli assicurati, ossia il divario potenzialmente rinvenibile tra le
frequenze stimate ex ante e le frequenze effettive. Generalmente le
compagnie di assicurazione misurano l’esposizione al rischio di mortalità
attraverso l’utilizzo del tasso di mortalità osservato in un dato orizzonte
temporale, solitamente pari ad un anno. Tale tasso di mortalità dipende da
alcune variabili quali il genere dei propri assicurati, l’età e il tipo di
assicurazione sottoscritto, o anche il numero di anni che mancano alla
maturazione della pensione, lo status di fumatore o non fumatore e altre
considerazioni di tipo medico. Diventa quindi necessario costruire un
modello che sia in grado di prevedere l’andamento della mortalità negli anni
futuri: la costruzione di tale modello deve partire dall’analisi di dati storici
per poi andare a considerare i futuri sviluppi del tasso di mortalità attraverso
l’osservazione di dati più recenti riguardanti il trend seguito dal tasso di
mortalità. In ogni caso, quindi, dal momento che nel modello è inclusa sia
un’aspettativa che una proiezione, devono essere presi in considerazione sia
i rischi derivanti dalla volatilità sia quelli derivanti dal rischio di modello e
di parametro.
Il rischio di volatilità (o di fluttuazione) deriva dalla natura aleatoria del
rischio di mortalità: il numero dei decessi può essere inferiore o superiore
rispetto a quello atteso, anche se questo è stato correttamente misurato. In
aggiunta alle normali fluttuazioni, una volatilità aggiuntiva può derivare da
19
cause esterne quali inverni particolarmente rigidi o un elevato numero di
contagi del virus influenzale.
La mortalità all’interno di un portafoglio di assicurati può essere invece
molto diversa dalla mortalità osservata tra la popolazione e questo può
derivare da vari fattori:
- la popolazione assicurata è diversa dalla popolazione in generale;
- differenti prodotti attraggono gruppi di persone diversi;
- lo scopo degli assicurati (pensione o copertura di un mutuo).
Per questi motivi, talvolta il tasso di mortalità viene stimato usando
direttamente i dati della popolazione di assicurati che ha sottoscritto polizze
simili. Un’ulteriore causa di rischio riguarda la proiezione a lungo termine
del tasso di mortalità: fino ad oggi le proiezioni fatte sull’andamento della
mortalità futura sono state sistematicamente smentite essendosi rivelate
troppo pessimistiche (nel senso di prevedere un tasso di mortalità più alto di
quello che si è poi effettivamente registrato). Ciò è dovuto in parte
all’insufficienza di dati, ma anche dalla difficoltà di prevedere quali saranno
in futuro i progressi della scienza genetica e della medicina; dal momento
che le osservazioni possono solo essere fatte guardando al passato mentre il
contratto assicurativo vita rimane in essere per parecchi anni, è molto
importante includere nel modello una stima veritiera della mortalità
prospettica in un ottica di una corretta valutazione e di un corretto pricing.
1.4.2 I rischi di comportamento (o rischi di opzione)
I rischi di comportamento sono causati dalle scelte che la compagnia offre ai
propri assicurati, e perciò vengono comunemente chiamate opzioni. Alcuni
di questi rischi possono essere controllati attraverso un appropriato product
design che limita gli effetti sfavorevoli per la compagnia derivanti
dall’esercizio di tali opzioni. Tuttavia possono esistere alcuni vincoli
commerciali o regolamentativi che obbligano in qualche modo l’assicuratore
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a offrire queste opzioni nei propri contratti, con la concomitante assunzione
dei suddetti rischi.
Nella categoria delle opzioni si segnalano in particolare:
1. la possibilità di riscattare il contratto ad un prezzo di riscatto
garantito sin dalla stipulazione del contratto (o comunque determinabile
secondo una prefissata formula);
2. le “garanzie di assicurabilità”, consistenti nella possibilità di
aumentare il capitale assicurato caso morte senza ulteriori accertamenti
sanitari;
3. l’opzione “rendita” in assicurazioni di capitale differito (consistente
nella possibilità di trasformare il capitale a scadenza in rendita vitalizia) e
l’opzione “capitale” in assicurazione di rendita vitalizia differita (consistente
nella possibilità di incassare a fine differimento il valore attuariale della
rendita);
4. la possibilità di trasformazione del contratto e, in particolare, di un
allungamento della sua durata;
5. la possibilità di variare (almeno entro prefissati limiti) il livello dei
premi annui;
6. le switching options nelle assicurazioni unit-linked, consistenti nella
possibilità concessa all’assicurato di cambiare in corso di contratto il fondo
di riferimento.
L’opzione più importante offerta all’assicurato è sicuramente la possibilità di
chiudere anticipatamente il contratto o di chiedere il riscatto. L’esercizio di
tale opzione può danneggiare la compagnia assicurativa in differenti modi.
Innanzitutto la compagnia sostiene delle spese di acquisizione e di marketing
quale, a titolo di esempio, la provvigione riservata all’agente assicurativo
che ha materialmente stipulato il contratto con l’assicurato.