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1.2 Basilea II: il contesto normativo
Con l’approvazione della direttiva europea 2006/48/Ce è stato avviato l’iter di recepimento delle
indicazioni del Comitato di Basilea raccolte nel nuovo Accordo di Basilea sul capitale nelle
normative nazionali e ne è stata definita l’attuazione a partire dal 2007. L’Italia ha recepito il nuovo
schema internazionale di regolamentazione sull’adeguatezza patrimoniale con la circolare della
Banca d’Italia n. 263 del 27 dicembre 2006 concedendo alle banche la possibilità di sospenderne
l’applicazione per il 2007 e, di fatto, spostando al 2008 la data ufficiale di entrata in vigore del
nuovo regime prudenziale.
In sintonia con lo schema di Basilea, la nuova regolamentazione struttura la vigilanza prudenziale
per le banche secondo tre pilastri: requisiti minimi patrimoniali, controllo prudenziale, informativa
al pubblico.
1.2.1 Primo Pilastro – requisiti minimi di capitale
Secondo il Primo Pilastro, le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza almeno pari ai
requisiti patrimoniali regolamentari, che fronteggiano i rischi di credito, di mercato, di controparte,
operativi.
Esso si propone di risolvere i limiti del precedente accordo perfezionando la griglia delle
ponderazioni e introducendo, oltre ai rischi di credito e di mercato, il rischio operativo; la
focalizzazione è sui metodi di ponderazione che conducono ad una più precisa individuazione dei
rischi e dei metodi di copertura.
L’accordo individua due metodologie per il calcolo dell’attivo ponderato per il rischio e in
particolare avremo:
1. approccio standard: prevede l’utilizzo di rating esterni assegnati da agenzie internazionali
(Moody’s, Standard & Poors, etc.) autorizzate dalle autorità di vigilanza;
2. approccio IRB (Internal rating based): prevede l’impiego di rating interni assegnati tramite
giudizio della banca stessa.
Il patrimonio di vigilanza sarà quindi funzione dei seguenti parametri: PD (probability of default) è
l’eventualità che la controparte non sia in grado di onorare il contratto, LGD (loss given default) è il
tasso di perdita in caso d’insolvenza, EAD (exposure at default) è l’esposizione al rischio al
momento dell’inadempienza, M (maturity) è la vita residua dell’operazione.
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I sistemi IRB, poi, si differenziano in distinti gradi di complessità sulla base del diverso grado di
autonomia delle banche nella stima delle componenti del rischio di credito e così avremo il sistema
IRB foundation (la banca stima solo la PD) e il sistema IRB advanced (la banca stima tutti i 4
parametri).
L’attivo ponderato per il rischio, quindi, risulta dall’applicazione ai singoli prestiti dei pesi e delle
tecniche di mitigazione del rischio ottenute tramite la prestazione di garanzie da parte dei debitori.
Inoltre, una delle maggiori novità è rappresentata dal concetto di rischio operativo, rischio legato
all’attività creditizia: sono previste tre opzioni per il calcolo del requisito del rischio operativo, con
un grado crescente di complessità.
1.2.2 Secondo Pilastro – controllo prudenziale da parte degli organi di Vigilanza
Le regole del Secondo Pilastro, ponendo a carico delle banche il compito di adempiere all’ICAAP
(Internal Capital Adequacy Assessment Process) e in capo all’Autorità di vigilanza quello di
eseguire lo SREP (Supervisory Review and Evaluation Process), sono indubbiamente destinate a
incidere sulle politiche di gestione bancaria.
Ogni banca, infatti, dovrà dare dimostrazione della correttezza dei propri processi gestionali,
fornendo un’approfondita:
a) illustrazione dell’ICAAP, in termini di:
a. profilo organizzativo e metodologico del processo di determinazione del capitale interno,
b. sistemi di misurazione e valutazione dei rischi,
c. principali strumenti di controllo e attenuazione dei rischi più rilevanti,
d. scenari strategici e competitivi su cui si basa la pianificazione patrimoniale;
b) autovalutazione della banca, in termini di:
a. processo interno di pianificazione patrimoniale,
b. identificazione delle aree di miglioramento e delle eventuali carenze del processo,
c. azioni correttive da porre in essere e la loro pianificazione temporale.
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La finalità dell’ICAAP consiste pertanto nel favorire una sana e prudente gestione mediante la
verifica della coerenza fra l’attività di valutazione e monitoraggio dei rischi e quella di gestione del
capitale, inteso quest’ultimo quale risorsa atta a preservare la continuità aziendale.
Il processo di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale prevede, infatti, la stima di (Figura 1.1):
• rischi del Primo e del Secondo Pilastro (sommandoli e rettificandoli per l’eventuale effetto
diversificazione);
• altri fattori interni (strategie pianificate dalla banca, ecc.);
• fattori esterni (evoluzione del contesto economico e regolamentare).
Figura 1.1: La valutazione congiunta di rischi e adeguatezza patrimoniale secondo l’ICAAP
Fonte: Intervento Martina Bignami (Banca d’Italia) al Convegno ABI del 22-23 gennaio 2007, tratto dal prospetto
CEBS (2006)
1.2.3 Terzo Pilastro – trasparenza
Il terzo pilastro contiene una dettagliata lista di informazioni (suddivise in core disclosures e
supplementary disclosures) che le banche dovranno fornire al mercato in relazione alla misurazione
dei rischi ed alla loro copertura patrimoniale. La trasparenza è ritenuta dal comitato di fondamentale
importanza affinché il mercato possa adeguatamente valutare se una banca gestisce in modo
5
corretto il rischio, confidando che in tal modo si verrà a creare un meccanismo automatico di
penalizzazione per le banche piu’ rischiose.
Inoltre, l’aumentata trasparenza richiesta nel comunicare al mercato le tecniche utilizzate per
calcolare il rischio di credito come indicato dal terzo pilastro, servirà al management bancario quale
strumento nelle sue decisioni di come e dove allocare il proprio credito tra le varie possibilità di
investimento (Saidenberg e Schuermann, 2003).
A partire dal 2007 l’interesse delle banche si è andato spostando sul secondo pilastro, relativo al
percorso di controllo prudenziale, che si basa sul principio per cui le banche devono strutturare un
percorso interno per valutare la propria adeguatezza patrimoniale e fornire all’autorità di vigilanza
gli strumenti per una migliore valutazione strategico-patrimoniale sulla banca stessa.
Il processo di controllo prudenziale è finalizzato al monitoraggio del livello complessivo di
rischiosità della banca, che si basa sulla misurazione del capitale economico.
Il capitale economico rappresenta l’ammontare di capitale che la banca accantona per fronteggiare
le perdite potenziali connesse con la propria attività e, nella prassi bancaria europea, sta divenendo
uno strumento cardine per la gestione strategica delle banche, in termini di capital management,
ovvero la gestione proattiva del capitale, e capital allocation, ovvero l’allocazione delle singole
unità operative.
Trattandosi di una misura complessiva di rischio, rappresenta la valutazione da parte della banca
della propria adeguatezza patrimoniale e può essere inserito nel framework complessivo della
strategia della banca.
La nuova normativa di vigilanza indica alcuni rischi che devono necessariamente essere considerati
nel processo Icaap, tra cui il rischio strategico, ma invita ciascuna banca a ragionare su quali
ulteriori tipologie di rischio potrebbero avere impatto sulla propria adeguatezza patrimoniale. Nel
processo di revisione compiuto dall’autorità di vigilanza (Srep), infatti, l’analisi si fonda sulle
metodologie di calcolo del capitale economico per i rischi quantificabili e sui presidi organizzativi
predisposti dalle banche per i rischi individuati non facilmente quantificabili (rischio strategico,
reputazionale, residuale).
Per tutti i rischi presi in considerazione, la banca è tenuta a redigere un rendiconto, che rappresenta
la fase finale del processo Icaap e dovrà essere inviato all’autorità di vigilanza.
Tra i rischi più difficili da valutare il rischio strategico è uno dei più interessanti da considerare per
le banche.
Questo è dovuto a varie ragioni, tra cui:
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la consapevolezza di trattare un tema particolarmente complesso. Infatti, il rischio strategico
è considerato un rischio killer, cioè in grado di mettere in discussione non solo la redditività
della banca, ma la sua stessa esistenza;
l’evidenza del manifestarsi di alcuni indicatori macroeconomici (peggioramento della
capacità di restituzione dei debiti, aumento dei tassi, volatilità del mercato azionario) che
spesso si sono verificati insieme nelle fasi iniziali di una crisi finanziaria. Tali fenomeni di
discontinuità, strettamente connessi all’attività d’intermediazione creditizia, aumentano la
vulnerabilità al rischio strategico e stimolano le banche ad analizzare la propria esposizione
e avviare iniziative di gestione e mitigazione di questo tipo di rischio.
1.3 Definizione di rischio strategico
Il primo problema che si incontra quando si intende affrontare il tema del rischio strategico è quello
di una sua corretta definizione.
In campo economico-finanziario, il concetto di rischio si riferisce alla possibilità che una
determinata operazione generi un risultato diverso da quello atteso.
Il rischio si dice puro se l’evento atteso comporta solo conseguenze negative, oppure speculativo se
l’evento atteso può manifestarsi sia in senso positivo sia in senso negativo, potendo rappresentare,
quindi anche un’opportunità oltre che una minaccia.
Il rischio strategico è un rischio speculativo, che comprende tutti i rischi collegati ad eventi
suscettibili di incrementare o di ridurre il valore dell’impresa-banca (ovvero di dare luogo ad un
utile o ad una perdita). I rischi strategici hanno origine nei livelli più alti del sistema organizzativo
della banca e includono vari tipi di cause, ad esempio: errori di previsione della domanda di
mercato, errate supposizioni in merito alla strategia di business, rischi derivanti dal lancio di nuovi
prodotti o servizi, errori nella scelta del mix di attività, perdita del controllo sulla proprietà
intellettuale d’idee innovative, investimenti sbagliati, errori nelle operazioni di acquisizione e
fusione con altre aziende, e diverse altre cause.
I rischi strategici non sempre conducono a delle perdite specifiche e, nel caso in cui esse avvengano,
possono impiegare anche molti anni per divenire apparenti, più spesso il loro impatto finanziario è
rappresentato, invece, da un costo-opportunità. Tali caratteristiche rendono questa categoria di
rischi molto difficile da misurare. In genere le tecniche e gli strumenti per la gestione dei rischi
strategici sono soggettivi e variano molto da business a business.
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Al pari dei rischi finanziari, questi rischi sono assunti direttamente dalla banca che effettua
determinate scelte strategiche attendendosi da esse un ritorno economico.
Il problema definitorio di questa tipologia di rischi è riconducibile alla loro recente introduzione da
parte del Comitato di Basilea nel calcolo della copertura patrimoniale degli intermediari finanziari.
I suggerimenti in merito di diversi attori internazionali, hanno avuto importanti conseguenze sul
piano pratico e gestionale, e numerosi sono gli aspetti rilevanti e meritevoli di interesse.
Innanzitutto è di qualche rilievo riflettere sul fatto che l’incertezza normativa consente alle banche
di utilizzare al proprio interno definizioni di rischi strategici differenti, in termini di eventi e perdite
da ricondurre a questa ampia categoria. Ciò si verifica correntemente nella realtà operativa
esaminando l’orientamento di intermediari bancari comparabili in termini di posizionamento sul
mercato, macro-segmenti di attività o linee di business. Si potrebbe allora obiettare che non esiste
una definizione di rischio strategico valida in assoluto, ma che questa debba essere corretta ed
adeguata alle specifiche caratteristiche interne di ogni intermediario e del suo mercato di
riferimento. Questo corrisponde – a mio avviso – ad una regola di “buon senso”, per quanto attiene
ai compiti riconducibili al risk management bancario.
Il rischio strategico, infatti, è di difficile analisi, in quanto spesso risente di formulazioni alternative
e poco chiare, elaborate dalle singole istituzioni.
In diversi casi esso non è considerato, in altri casi, invece, le Autorità nazionali hanno assunto una
posizione attendista (c.d. follower) ed auspicato un maggior chiarimento da parte del Comitato di
Basilea sull’ampiezza della definizione dello stesso.
Tale confusione deriva dall’ indeterminatezza del secondo pilastro di Basilea II che non contiene
una definizione di rischio strategico. Il paragrafo 724 dell’Accordo, infatti, si limita ad indicare il
rischio strategico come uno degli elementi da considerare ai fini del processo Icaap, senza con ciò
contribuire a diradare l'incertezza.
Da qui l’obiezione dell'Associazione Bancaria Italiana (Abi) che aveva proposto "di eliminare ogni
riferimento al rischio strategico e di reputazione [...]. Infatti, queste fattispecie di rischio (non
event risk) non sembrerebbero ricadere nel perimetro dell'Accordo. Ciò ovviamente non intende
diminuire l'importanza gestionale di un loro presidio, bensì sostenere la tesi secondo la quale
non è il capitale lo strumento di protezione da tali rischi".
Circa il rapporto tra rischio a lungo termine e solvibilità a breve anche Bnp Paribas, tra gli altri, ha
osservato circa il che "if this risk is defined as the one resulting from a non-adequate activity mix, it
is clearly a risk for the long-term shareholders‛ value. The institution‛s short-term solvency is not at
stake; capital is not [...] the correct answer".
Ma il testo definitivo di Basilea II non ha tenuto conto di tali osservazioni.
8
Successivamente il Committee of European Banking Supervisors (Cebs) ha proposto una propria
definizione di rischio strategico accantonando il concetto di business risk e privilegiando la
locuzione "rischio strategico", definendolo quale:
“ rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da cambiamenti del
contesto operativo o da decisioni aziendali errate, attuazione inadeguata di decisioni, scarsa
reattività a variazioni del contesto competitivo”.
Nel corso delle analisi condotte è emerso con chiarezza che la definizione regolamentare deve
essere declinata in maggior dettaglio per mettere in risalto tutte le sfaccettature che è necessario
prendere in considerazione per affrontare in maniera efficace e organica la gestione del rischio
strategico.
La definizione suggerita dal dettato normativo è stata quindi meglio specificata dalla letteratura che
ha descritto le componenti che concorrono alla definizione del rischio strategico stesso:
- rischio di business (o commerciale): cioè la possibilità di incorrere in deviazioni negative
impreviste sui volumi e/o sui margini (in particolare, margine da interessi o da commissioni)
rispetto ai dati di budget, dovute a cambiamenti del contesto competitivo, del comportamento della
clientela o dello sviluppo tecnologico;
- rischio strategico puro: cioè il pericolo di incorrere in forti discontinuità nelle variabili
gestionali, derivante da errori nella realizzazione del piano strategico o da inadeguate risposte a
variazioni del contesto competitivo, prodotte anche da errate decisioni di investimento;
- rischio normativo: cioè l’eventualità che le variazioni nell´impianto legislativo nazionale o
sopranazionale possano minacciare la posizione competitiva della banca e la sua capacità di
condurre il business in maniera efficiente.
1.4 Differenza tra rischio strategico e di business
Molto spesso le definizioni di rischio strategico e di rischio di business sono considerate
equivalenti, in altri casi all’opposto questi rischi non assumono lo stesso significato.
E’ stato difficile, individuare una definizione standard di queste due categorie di rischio. Nei casi in
cui sono reperibili alcune indicazioni in tal senso, il rischio strategico è legato alla perdita di
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posizione competitiva e alle strategie attuate dalla banca (c.d. fundamental decisions), con effetti
sulle sue business line, oppure è conseguente a possibili minacce alla business continuity.
Quest’ultima definizione, in particolare, viene sovente fatta confluire fra le fattispecie di rischio
operativo.
Al contrario il business risk è identificato come il risultato degli effetti negativi inattesi nei risultati,
dovuti alle scelte di business attuate e dei cambiamenti imprevisti nei volumi d’affari o nei margini
dovuti a modifiche nel contesto competitivo, a variazioni nei comportamenti dei clienti o derivanti
dal possibile andamento ciclico delle attività stesse. A quest’ultimo rischio si attribuisce spesso una
connotazione residuale, cioè comprendente quanto escluso dalle altre categorie di rischio, definite –
com’è auspicabile – in maniera più precisa e specifica.
Se si bada al significato comune di “business”, il concetto di tale rischio sembra più ampio del
concetto di rischio strategico. Infatti il rischio di business pare includere, come insieme delle perdite
potenziali legate all’esercizio dell’attività di impresa, tutti i rischi in cui può incorrere una banca
(credito, operativi ecc.), compresi quelli di natura strategica o di posizionamento sul mercato. Il
rapporto sembra essere quello tra genere e specie.
All’opposto, come testimoniato dalla tabella seguente (Figura 1.2), l’espressione rischio di business
nell’ambito del risk management tende a riferirsi esclusivamente agli utili a rischio, ad esclusione
delle altre categorie di perdite potenziali, es. quelle patrimoniali. In questo senso il rischio di
business si distingue dal rischio strategico.
Peraltro resterebbe da definire il contenuto concettuale del rischio strategico, con l’eventualità che i
due tipi di rischio in questione finiscano con il sovrapporsi, almeno in parte.
Il pericolo è quello che sul rischio di business-strategico si crei un disorientamento concettuale.
Una possibile soluzione, coerente con la definizione della Banca d’Italia e con la prassi delle
maggiori banche internazionali, sembra quella d’articolare o riclassificare il rischio strategico
rispetto al suo orizzonte temporale di manifestazione, cioè in due componenti:
• rischio di breve termine, riferibile alla volatilità della redditività dei servizi e prodotti bancari,
più agevolmente misurabile;
• rischio di perdite, che si manifestano parzialmente nel breve periodo, legate a cambiamenti
strutturali del mercato o della banca, stimabili caso per caso.
Il primo rischio può essere definibile come rischio commerciale, il secondo come rischio
strategico in senso stretto o di posizionamento.
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Il rischio strategico in senso stretto, o di posizionamento, si riferisce quindi all'insuccesso associato
a cambiamenti strutturali, cioè caratterizzati da discontinuità. Il fattore di rischio può essere una
nuova strategia aziendale inadeguata (nuovi mercati, nuovi prodotti, nuova clientela, nuovo assetto
societario ecc.), o la decisione erronea di persistere nella strategia tradizionale in presenza di forti
cambiamenti del mercato.
Viceversa, in assenza di fenomeni di break strutturale, il contesto operativo nelle sue linee
fondamentali va ipotizzato stabile e quindi non generatore di rischi di posizionamento, il rischio
commerciale contrariamente, può essere circoscritto al profilo reddituale di breve termine riferito
alla vendita di servizi e prodotti bancari.
Figura 1.2: Il prospetto illustra un esempio di risultati Icaap. Tra i rischi si segnala la presenza del rischio di
business.
Fonte: Federal Deposit Insurance Corporation, Usa
11
1.5 Denominazione e definizione di Banca d’Italia
Considerata la possibile confusione tra rischio di business e rischio strategico, opportunamente
Banca d'Italia, nelle “Nuove disposizioni prudenziali per le Banche”
3
ha accantonato l'espressione
"rischio di business" e ha inserito nell'Allegato A la denominazione di "rischio strategico"
riprendendo la relativa definizione proposta dal Cebs e formulandola come segue.
Per rischio strategico si intende il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale
derivante da:
ξ cambiamenti del contesto operativo,
ξ decisioni aziendali errate,
ξ attuazione inadeguata di decisioni,
ξ scarsa reattività a variazioni del contesto competitivo.
Circa i dubbi interpretativi sul rapporto tra rischio a lungo termine e solvibilità a breve e la sua
copertura tramite il capitale, la Banca d’Italia ha precisato che l’orizzonte temporale in cui va
considerato il rischio strategico è duplice: quello attuale o corrente, cioè tipicamente 12 mesi a
partire dall'ultimo bilancio; e quello dei 12 mesi successivi. La manifestazione del rischio può
essere sia economica che patrimoniale e le possibili fonti del rischio sono quattro, sia esterne,
sia interne, sia derivanti dalla loro interazione.
Giova puntualizzare che nella complessa fase della valutazione del rischio strategico, nonché in tutti
gli altri adempimenti derivanti dall’ICAAP, la complessità e l’onerosità delle attività da svolgere
saranno modulate, grazie al principio di proporzionalità introdotto dalla nuova normativa.
In virtù di tale principio, infatti, le banche saranno suddivise in tre classi:
- Classe 1: banche e gruppi bancari autorizzati all’utilizzo di sistemi avanzati per il calcolo dei
requisiti a fronte del rischio di credito, di mercato e operativi;
- Classe 2: gruppi bancari, banche e soc.Ex art.107 TUB che utilizzano metodologie standardizzate,
con attivo, rispettivamente, consolidato o individuale superiore a € 3,5 miliardi;
- Classe 3: gruppi bancari e banche che utilizzano metodologie standardizzate, con attivo,
rispettivamente, consolidato o individuale pari o inferiore a € 3,5 miliardi.
Le Nuove disposizioni prevedono che:
3
“Nuove disposizioni prudenziali per le Banche”, Banca d’Italia, Circolare n.263 del 27 dicembre 2006
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1. le banche effettuino un'analisi "accurata" del rischio strategico, "avuto riguardo alla propria
operatività e ai mercati di riferimento", provvedendo a "identificare chiaramente le fonti di
generazione" del rischio stesso. Le banche devono essere in grado di documentare le definizioni
utilizzate e l'effettiva considerazione del rischio;
2. le banche di classe 2 e 3 siano esonerate dalla stima quantitativa del rischio strategico e dalla
corrispondente copertura patrimoniale, mentre resta stabilito che esse "predispongano sistemi di
controllo e attenuazione adeguati", con la precisazione che la Vigilanza fonderà la propria
valutazione successiva "sulle informazioni relative ai presidi organizzativi predisposti dalle
banche";
3. Le banche di classe 1, riguardo i rischi di difficile misurazione, "predispongono sistemi di
controllo e attenuazione adeguati e valutano l'opportunità di elaborare metodologie, anche di tipo
sperimentale e da affinare nel tempo, per la valutazione dell'esposizione ai medesimi".
La Banca d’Italia pur fornendo una definizione di rischio strategico ne riconosce la particolarità e in
più occasioni, asserisce che “…in sede europea non si è ancora pervenuti a definizioni consolidate e
condivise”
4
su di esso, come su quello reputazionale e residuo, e quindi raccomanda un approccio
d’implementazione graduale e non necessariamente di tipo quantitativo.
1.6 Classi di rischio strategico
Come già accennato in precedenza, tra le aree di criticità del rischio strategico vi è quella
riguardante la mancanza di una sua precisa definizione in termini di fattori di rischio da analizzare.
La letteratura in merito, permette l’individuazione delle numerose cause alle quali possono essere
ricondotte le perdite o gli utili derivanti da questa tipologia di rischio. perdite o gli utili derivanti da
questa tipologia di rischio.
E’ importante sottolineare, infatti, che conseguentemente alla natura speculativa del rischio
strategico, determinati rischi finanziari, operativi e fatali (di cattiva sorte) possono potenzialmente
avere una certa rilevanza strategica.
4
“Il processo di revisione e valutazione prudenziale: le scelte di fondo della normativa italiana”, M. Bignami, Banca
d’Italia, Convegno ABI del 23 gennaio 2007
13
Gli autori Adrian J. Slywotzky e John Drzik di Mercer in un articolo della Harvard Business
Review dell'aprile 2005 distinguono 7 Classi di Rischio Strategico, con delle sottocategorie
principali:
1. Settore
ξ Compressione del Margine
ξ Aumento dei costi di R & S e spese per gli investimenti
ξ Sovracapacità
ξ Commoditization
ξ Deregolamentazione
ξ Aumento del potere dei fornitori
ξ Volatilità estrema del ciclo economico del business
2. Tecnologia
ξ Cambiamenti tecnologici Scadenza di brevetti
ξ Il processo diventa obsoleto
3. Brand
ξ Erosione
ξ Crollo
4. Concorrente
ξ Comparsa di rivali globali
ξ Vincitore graduale di quota di mercato
ξ Concorrente unico nel suo genere
5. Cliente
ξ Cambiamento delle priorità del cliente Aumento del potere del cliente
ξ Fiducia extra ad alcuni clienti
6. Progetto
ξ Fallimenti nella R & S
ξ Fallimenti nell'IT
ξ Fallimento nello sviluppo del business
ξ Fallimento dell'aquisizione o della fusione
7. Stagnazione
ξ Volumi stagnanti o in declino
ξ Volume in aumento, prezzi in ribasso
ξ Flussi deboli
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Il fattore chiave per affrontare e gestire il rischio strategico è individuare la pratica di successo per il
conseguimento, il mantenimento e l’accrescimento nel tempo dei vantaggi competitivi aziendali.
Per quanto riguarda il grado di orientamento strategico dell’impresa-banca è essenziale quindi una
pianificazione della gestione adeguata alla missione aziendale, il perseguimento di vantaggi
competitivi sostenibili ed attuabili attraverso assetti strutturali, organizzativi e finanziari adeguati.
Nell’ attuale contesto finanziario caratterizzato da volatilità dei prezzi e turbolenze nei mercati è
rilevante al fine dell’individuazione delle aree di rischio il rapporto dalla banca con l’ambiente di
riferimento, il mercato ed il cliente. L’ intermediario finanziario deve essere in grado di individuare
la possibile evoluzione degli scenari domestici ed internazionali sulla base dello studio dei
principali indicatori macro economici. Al fine di analizzare l‘andamento del mercato la banca dovrà
analizzare il tasso di crescita della domanda specifica, il grado di competizione esistente, i possibili
scenari di competizione futuri e gli interventi di politica economica attesi. Il grado di soddisfazione
della clientela rimane il focus delle politiche di gestione del management, della qualità e di quelle di
customer care e customer loialty.
In quest’ottica l’intermediario deve curare il posizionamento competitivo dei propri prodotti per
scongiurare una perdita di competitività. Per questo dovrà analizzare il grado di “equilibrio
competitivo” del portafoglio prodotti, le politiche commerciali e di distribuzione, i servizi accessori
e di assistenza e la catena del valore.
Per quanto riguarda l’assetto organizzativo l’impresa-banca dovrà valutare attentamente le capacità
professionali del management, la coerenza fra la strategia prefissata e la struttura organizzativa
utilizzata per raggiungerla, la snellezza procedurale e i possibili conflitti interni.
Rilevanza strategica ricopre analogamente ai fattori visti in precedenza, l’attitudine al cambiamento
dell’intermediario finanziario, una notevole capacità di adattamento alle mutevoli condizioni
ambientali, la fluidità dei moduli organizzativi ed una spiccata flessibilità delle politiche di governo
costituiscono, infatti, il requisito primario per la sopravvivenza della banca.
Ultimo fattore, in ordine ma non per importanza, ad impattare sul verificarsi di un rischio strategico
è la cultura amministrativa aziendale. È necessario che la banca si doti di adeguati sistemi
amministrativi ed efficienti sistemi di controllo e di reporting che le consentano di sviluppare un
profilo di rischio appropriato. Ciò servirà ad aumentare la propria consapevolezza del rischio ed
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anche come strumento strategico per aumentare il proprio vantaggio competitivo.
È facile verificare, quindi, che i rischi strategici, non sono facilmente misurabili. Spesso sono
devastanti e comportano perdite maggiori di quelle dirette, come problemi sull’affidabilità della
banca, sull’ottenimento di finanziamenti o sulla capacità di fidelizzare i clienti. Da ciò deriva
l’introduzione di una loro primaria misurazione nel calcolo dei requisiti minimi di capitale secondo
quanto previsto dalla nuova normativa.
La tabella seguente (Tabella 1.3) riporta sinteticamente le diverse possibili cause dei rischi
strategici.