Il rischio idrogeologico
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1- IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
1.1 INTRODUZIONE [1]
Il dissesto idrogeologico rappresenta per il nostro Paese un problema di notevole
rilevanza, visti gli ingenti danni arrecati ai beni e, soprattutto, la perdita di moltissime vite
umane. In Italia il rischio idrogeologico è diffuso in modo capillare e si presenta in modo
differente a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e
dissesti morfologici di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo le conoidi nelle zone
montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.
Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, rientra senza
dubbio la conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia
giovane e da rilievi in via di sollevamento.
Tuttavia il rischio idrogeologico è stato fortemente condizionato dall’azione dell’uomo e
dalle continue modifiche del territorio che hanno, da un lato, incrementato la possibilità di
accadimento dei fenomeni e, dall’altro, aumentato la presenza di beni e di persone nelle
zone dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati, a volte con effetti
catastrofici. L’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo
disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’apertura di cave
di prestito, l’occupazione di zone di pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi
(acqua e gas) dal sottosuolo, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei fluviali, la mancata
manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e
messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano.
Figura 1.1 : Rischio idrogeologico esempio.
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Il continuo verificarsi di questi episodi ha indotto una politica di gestione del rischio che
affrontasse il problema non solo durante le emergenze.
Si è così passati da una impostazione di base incentrata sulla riparazione dei danni e
sull’erogazione di provvidenze, ad una cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari
livelli, imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio e volta all’adozione di
interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi.
A seguito dell’emanazione di recenti provvedimenti normativi, sono state perimetrate le
aree del territorio italiano a rischio idrogeologico elevato o molto elevato.
Parallelamente continuano ad essere intrapresi, promossi e finanziati numerosi studi
scientifici volti allo studio dei fenomeni ed alla definizione più puntuale delle condizioni di
rischio.
Sono state inoltre incrementate ed accelerate le iniziative volte alla creazione di un
efficace sistema di allertamento e di sorveglianza dei fenomeni e alla messa a punto di
una pianificazione di emergenza volta a coordinare in modo efficace la risposta delle
istituzioni agli eventi.
In termini analitici, il rischio idrogeologico è espresso da una formula che lega
pericolosità, vulnerabilità e valore esposto:
Rischio = pericolosità x vulnerabilità x valore
La pericolosità esprime la probabilità che in una zona si verifichi un evento dannoso di
una determinata intensità entro un determinato periodo di tempo (che può essere il “tempo
di ritorno”). La pericolosità è dunque funzione della frequenza dell’evento. In certi casi
(come per le alluvioni) è possibile stimare, con una approssimazione accettabile, la
probabilità di accadimento per un determinato evento entro il periodo di ritorno. In altri
casi, come per alcuni tipi di frane, tale stima è di gran lunga più difficile da ottenere.
La vulnerabilità invece indica l’attitudine di una determinata “componente ambientale”
(popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti in funzione
dell’intensità dell’evento. La vulnerabilità esprime il grado di perdite di un dato elemento o
di una serie di elementi risultante dal verificarsi di un fenomeno di una data “magnitudo”,
espressa in una scala da zero (nessun danno) a uno (distruzione totale).
Il valore esposto o esposizione indica l’elemento che deve sopportare l’evento e può
essere espresso o dal numero di presenze umane o dal valore delle risorse naturali ed
economiche presenti, esposte ad un determinato pericolo.
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Il prodotto vulnerabilità per valore indica quindi le conseguenze derivanti all’uomo, in
termini sia di perdite di vite umane, che di danni materiali agli edifici, alle infrastrutture ed
al sistema produttivo.
Il rischio esprime dunque il numero atteso di perdite di vite umane, di feriti, di danni a
proprietà, di distruzione di attività economiche o di risorse naturali, dovuti ad un particolare
evento dannoso; in altre parole il rischio è il prodotto della probabilità di accadimento di un
evento per le dimensioni del danno atteso.
1.2 ALLUVIONI [1]
Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e sono
causate da un corso d’acqua che, arricchitosi con una portata superiore a quella prevista,
rompe le arginature oppure tracima sopra di esse, invadendo la zona circostante ed
arrecando danni ad edifici, insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole,
etc.
Le alluvioni più importanti che hanno interessato l’Italia e che hanno comportato un
pesante bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel
Polesine (1951), dell’Arno (1966) e del Po nel Nord Italia (1994 e 2000).
I fenomeni alluvionali censiti nella Banca dati del Progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane),
realizzata dal GNDCI-CNR per conto del Dipartimento, sono state nel periodo tra il 1918 e
il 1994 oltre 28.000 ed hanno interessato più di 15.000 località.
Figura 1.2 : Rischio idrogeologico esempio.
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Inoltre, in un rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dell’Unione
delle Province d’Italia del 2003 viene riportato che in Italia le aree a rischio elevato e molto
elevato di alluvione sono diverse migliaia e coprono una superficie di 7.774 kmq, pari al
2,6 % della superficie nazionale.
Il territorio italiano è interessato, con frequenza sempre maggiore, da alluvioni che
avvengono con precipitazioni che possono anche non avere carattere di eccezionalità. Tra
le cause dell’aumento della frequenza dei fenomeni vi sono senza dubbio l’elevata
antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo
l’infiltrazione della pioggia nel terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell’acqua che
defluisce verso i fiumi, la mancata pulizia degli stessi e la presenza di detriti o di
vegetazione che rende meno agevole l’ordinario deflusso dell’acqua.
Molti bacini idrografici, presenti soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da
tempi di sviluppo delle piene dell’ordine di qualche ora; per tale motivo, è fondamentale
allertare gli organi istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile, al fine
di ridurre l’esposizione delle persone agli eventi e limitare i danni al territorio.
Una efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali quali, per esempio,
argini, invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, etc., sia su interventi non strutturali,
ovvero quelli relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti di limitazione della
edificabilità, oppure quelli relativi alla gestione delle emergenze, come la predisposizione
dei modelli di previsione collegati ad una rete di monitoraggio, la stesura dei piani di
emergenza, la realizzazione di un efficiente sistema di coordinamento delle attività
previste in tali piani.
Nella storia recente sono state documentate numerose alluvioni che hanno colpito anche
duramente il territorio regionale, tra le tante si ricordano quelle del 1920, 1965 e 1966 che
trovano puntuali documentazioni e registrazioni storiche sia nei termini di afflussi che dei
danni subiti dal territorio. Più recentemente si sono verificati eventi alluvionali più frequenti,
anche se spesso hanno coinvolto solo bacini minori o porzioni dei bacini dei grandi fiumi: è
il caso degli eventi del 1983, del 1990, del giugno e novembre 1996, del 1998, del 2000,
del giugno e novembre 2002 nel pordenonese, del 2003 in Val Canale, del 2004, fino al
recente nubifragio del settembre 2005 nei bacini del Fiume Fiume e del Fiume Sile.
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Figura 1.3 :Fiume Veneto settembre 2005.
Il rischio idraulico inoltre può riguardare anche le opere idrauliche realizzate dall’uomo,
qualora vengano meno le condizioni di sicurezza per il funzionamento delle stesse. È
necessario pertanto valutare tra i rischi idraulici anche la tenuta degli sbarramenti sui corsi
d’acqua, l’efficienza di manufatti di scolo e scolmatura (canali e tombinature), la
funzionalità dei sistemi di drenaggio delle acque piovane nelle zone urbanizzate e il
corretto funzionamento dei sistemi di pompaggio per le aree di bonifica.
Considerate le caratteristiche idrologiche del territorio regionale, sulla base delle tipologie
dei corsi d’acqua si possono individuare in generale delle tipologie di pericoli ricorrenti.
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Figura 1.4 : Opere di difesa: rinforzo degli argini nella zona industriale di Amaro.
1.3 TORRENTI MONTANI [2]
I corsi d’acqua a carattere torrentizio possono determinare situazioni di rischio idraulico
soprattutto in relazione alla loro azione di scavo e di trasporto di materiale d’alveo: tale
fenomeno se non equilibrato può causare da un lato l’erosione delle sponde e dei versanti,
oltre che delle fondazioni di eventuali opere presenti lungo il corso d’acqua, dall’altro un
sovralluvionamento dell’alveo che può provocare l’esondazione del torrente e la modifica
del suo percorso, oltre a poter determinare l’insufficienza dei manufatti di attraversamento
e la riduzione dei franchi di sicurezza delle opere di difesa. Altro fenomeno che può
determinare situazioni di rischio, comune in molte valli minori delle alpi e delle prealpi
incise in prossimità di importanti falde di detrito, è la possibilità della formazione di colate
detritiche, ovvero fenomeni di deflusso rapido di flussi misti di materiale solido e liquido in
grado di investire e travolgere tutto ciò che si trova lungo il canale di colata e nelle
adiacenze qualora questo risulti insufficiente a contenere i volumi movimentati. Le zone di
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arresto delle colate sono spesso le confluenze con altri corsi d’acqua, cosa che può
determinare lo sbarramento degli affluenti principali con conseguente propagazione a valle
degli effetti dannosi delle colate detritiche.
Figura 1.5 : Danni provocati dalla piena del torrente in Val Aupa.
1.4 FIUMI DI PIANURA [2]
Le principali problematiche legate ai corsi d’acqua di pianura sono determinate dalla
possibilità che precipitazioni di intensità e durata eccezionale determinino la formazione di
portate di deflusso superiori alle capacità degli alvei. In caso di carenza o assenza di zone
di naturale laminazione o espansione delle acque di piena si può avere l’esondazione dei
fiumi con conseguente allagamento di vaste aree di territorio con livelli d’acqua in grado di
danneggiare le infrastrutture civili e porre a rischio anche l’incolumità delle persone. In
presenza di opere di contenimento quali arginature o muri spondali spesso i fiumi di
pianura in condizioni di piena si trovano ad essere pensili rispetto al piano di campagna
esterno alle difese; ciò, in caso di insufficienza della capacità di deflusso in alveo per
eventi di eccezionale portata, può provocare fenomeni di sormonto delle difese stesse,
con allagamento delle aree rivierasche. Al sormonto delle arginature può seguire la rottura
delle stesse per erosione e in tal caso si determinano i rischi maggiori in quanto la velocità
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e l’altezza delle acque di esondazione possono essere elevate e in grado di travolgere
tutto ciò che investono sul loro percorso
Figura 1.6 : Tagliamento - Piena del 1° novembre 2004.
Figura 1.7 : Isonzo in piena a Sagrato.
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1.5 TORRENTI E LAVIE PEDEMORENICHE [2]
I corsi d’acqua che nascono ai piedi delle colline moreniche in genere terminano
spagliando le acque nelle zone di pianura a monte della linea delle risorgive o, in alcuni
casi come il T.Cormor, confluiscono in canali artificiali che li convogliano in laguna o nei
fiumi di risorgiva della bassa pianura. Questo regime particolare, a causa della forte
urbanizzazione del territorio di pianura e delle modifiche dell’uso del suolo intervenute
negli ultimi decenni, presenta in diversi casi delle problematicità dovute essenzialmente
all’aumento degli afflussi di acque meteoriche dalle superfici urbanizzate, e di
conseguenza più “impermeabili”, e alla diminuzione delle aree libere disponibili per la
dispersione in fossi e campagne delle acque stesse. Nel caso di eventi meteorici intensi
nelle aree collinari e di pianura, la cui frequenza è in aumento negli ultimi anni, si possono
determinare quindi criticità per insufficiente capacità degli alvei, vincolati spesso dalla
presenza di aree urbanizzate ed infrastrutture viarie, o per insufficiente disponibilità di aree
di espansione e dispersione naturale delle acque, mancanza che può essere dovuta
anche a fenomeni come l’occlusione di tombinature di attraversamento stradale o
all’interrimento di fossi e cunette di scolo. Le esondazioni che si possono determinare
lungo l’asta e nella parte terminale di tali corsi d’acqua non sono generalmente
quantitativamente rilevanti, né temporalmente persistenti, tuttavia in genere interessano
zone densamente abitate o con presenza di insediamenti artigianali ed industriali e
pertanto si possono rivelare estremamente gravi sia in termini di danni arrecati ai beni
mobili e immobili, sia in termini di disagio alla viabilità e alle attività economiche e sociali
delle località colpite.
1.6 CORSI D’ACQUA DI RISORGIVA [2]
I corsi d’acqua di risorgiva hanno un regime idraulico naturale peculiare in quanto
reagiscono alle precipitazioni con un certo ritardo e hanno tempi di salita ed esaurimento
delle piene più lenti rispetto ai torrenti. Il regime ordinario è legato agli andamenti
stagionali delle falde di alimentazione, tuttavia ad esso si può sovrapporre il contributo
delle piogge locali sul bacino afferente che, qualora intense, possono determinare
fenomeni di piena significativi e anche esondazioni sia del corso principale che dei
numerosi scoli e canali minori che in caso di innalzamento eccessivo del livello idrico del
fiume principale non sono in grado di recapitarvi le proprie acque. Tale problematica