INTRODUZIONE
Il contesto bancario è stato caratterizzato, negli ultimi anni, da una crescente concorrenza e dalla
conseguente tendenza ad assumere maggiori rischi. Pertanto si è resa sempre più evidente la
necessità di misurare con accuratezza tali rischi e di averne quindi una valida rappresentazione
quantitativa a supporto delle decisioni di gestione. Un altro trend a cui si è potuto assistere è lo
straordinario aumento dei volumi negoziati dei prodotti derivati e la continua innovazione degli
stessi, con la realizzazione di prodotti sempre più complessi e strutturati.
Questi tipi di prodotti sono per lo più trattati in mercati OTC (Over the Counter), basati
fondamentalmente sulla responsabilità bilaterale delle parti e con una sostanziale esposizione al
rischio di credito. I derivati, soprattutto quelli negoziati in mercati OTC, sono stati al centro di
numerosi dibattiti, poiché considerati uno dei principali fattori che hanno contribuito allo scoppio
della crisi finanziaria del 2007. In particolare l’attenzione si è focalizzata sul rischio di credito e su
come i modelli adottati per la stima dell’esposizione creditizia connessa a tali strumenti abbiano
rivelato in varie occasioni i propri limiti.
Da queste riflessioni è partita una profonda revisione della regolamentazione fino ad ora prevista,
che fa capo soprattutto ai principi di Basilea II, e una maggiore attenzione dedicata alla funzione di
risk management all’interno degli istituti di credito.
Nel presente elaborato verrà trattato un argomento di rilievo nel suddetto processo di
aggiornamento normativo: il rischio di controparte. Il rischio di controparte è un caso particolare di
rischio di credito che consiste nel rischio di inadempienza della controparte di una transazione
prima del regolamento definitivo dei flussi finanziari della transazione stessa ed è caratterizzato dal
fatto che l’esposizione, a causa della natura finanziaria del contratto stipulato tra le parti, è incerta e
può variare nel tempo in funzione dell’andamento dei fattori di mercato sottostanti.
Il rischio di controparte è stato per lungo tempo considerato una semplice sottocategoria del rischio
di credito e gli istituti di credito si sono limitati a monitorarlo con i modelli previsti dalla legge,
senza tenere in grande considerazione i risultati ottenuti da tali operazioni di controllo al di fuori
della funzione di risk management. Per quanto riguarda, invece, le buy-side firms, ossia le aziende o
gli investitori istituzionali che investono in strumenti finanziari per conto dei propri clienti, è
emerso che il rischio di controparte sia stato pressoché ignorato nelle decisioni di business, almeno
fino al momento in cui la crisi ne abbia evidenziato la criticità.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare i metodi utilizzati per il monitoring e la gestione
del rischio di controparte e di mettere in evidenza come non si possa relegare questa tipologia di
rischio a una sottocategoria a cui dedicare minore attenzione. Attraverso l’analisi di due casi
aziendali, Banca Italease e Lehman Brothers, si potrà infatti sottolineare come la sottovalutazione
del rischio di controparte abbia prodotto effetti negativi nelle sell e buy-side institutions e quali
potrebbero essere gli sviluppi futuri per migliorare la gestione di questa particolare tipologia di
rischio.
La tesi si suddivide in cinque capitoli: il primo capitolo rappresenta un’introduzione sul concetto di
rischio nella sua valenza economica e sul ruolo della funzione di risk management e fornisce una
panoramica sulle principali tipologie di rischio a cui un istituto di credito deve far fronte nello
svolgimento della propria attività, con particolare attenzione al rischio di credito e di controparte.
Il secondo capitolo intende ripercorrere l’evoluzione della regolamentazione in materia di controllo
e gestione del rischio, partendo dal primo Accordo sul Capitale del 1988, noto come Basilea I, fino
ad arrivare al processo di revisione ancora in corso che porterà all’attuazione di Basilea III. In
questo modo si è cercato di analizzare gli aspetti positivi e negativi della normativa a cui le banche
sono sottoposte e di capire quali lacune abbiano contribuito a porre le basi per l’attuale crisi
finanziaria.
Il terzo capitolo è incentrato sugli strumenti di copertura e gli indicatori del rischio di credito,
partendo dalla trattazione dei credit derivatives, considerati utili per coprire l’esposizione al rischio
di credito ma spesso utilizzati a fini speculativi con conseguenze pericolose per i mercati finanziari,
1
e della securitization, altra operazione di finanza strutturata fortemente criticata ed annoverata tra le
principali cause della crisi, per finire con un approfondimento sul principale indicatore del rischio di
credito: il rating.
Con il quarto capitolo si arriva al core dell’elaborato, in quanto si evidenzia la criticità che il rischio
di controparte ha assunto nella crisi finanziaria scoppiata nel 2007 con una breve introduzione che
ripercorre le tappe salienti della stessa e con un esame dei problemi emersi e del ruolo assunto dal
rischio di controparte in tale contesto, arrivando ad indicare gli interventi effettuati per arginare e
risolvere la situazione.
Il quinto capitolo si compone di due parti, che corrispondono all’analisi di due casi aziendali
emblematici a supporto della tesi presentata. Il primo riguarda Banca Italease, una banca italiana
specializzata in leasing che ha ampliato la propria attività nel mercato dei derivati. Il caso Italease
mostra quanto la sottovalutazione del rischio di controparte possa rappresentare un grave problema,
addirittura per la sopravvivenza aziendale. Il secondo caso esaminato è quello di Lehman Brothers,
una delle più importanti banche americane fallita nel settembre 2008. Il crack di Lehman ha
rappresentato l’evento più destabilizzante nel corso della crisi finanziaria e con l’analisi di questo
caso si è voluto sottolineare un ulteriore aspetto del rischio di controparte: il buy-side counterparty
risk, fino a quel momento fortemente trascurato.
2
CAPITOLO 1: Gestione dei rischi nelle banche
1.1 Il risk management
“Un soggetto sopporta del rischio se una variabile di suo interesse varia in funzione dell’incerta
realizzazione di eventi esogeni al suo comportamento. La variabile di interesse costituisce l’oggetto
del rischio. Gli eventi esogeni capaci di influenzarne il valore sono, invece, il soggetto del rischio,
ossia i fattori di rischio”
1
. Con la precedente definizione, volutamente generica e onnicomprensiva,
introduciamo il concetto di rischio che, espresso in questi termini, potrebbe riguardare un qualsiasi
oggetto a cui è possibile attribuire un valore suscettibile di variazioni ed un qualsiasi soggetto
detentore del bene in questione.
Nel corso di questo elaborato però ci riferiremo ad un più specifico oggetto del rischio, ossia un
patrimonio, detenuto da un altrettanto identificato soggetto: l’intermediario bancario.
L’assunzione di rischi costituisce un elemento fondamentale del core business degli istituti di
credito in quanto in qualsiasi operazione finanziaria è insito un determinato livello di rischio, il
quale non è mai totalmente eliminabile. Esiste però la possibilità di ridurre al minimo il rischio, ma
anche questa eventualità non sembra essere sempre la soluzione migliore in ambito finanziario, nel
quale l’attesa di maggiori ritorni giustifica l’assunzione di maggiori rischi. Il rischio, dunque, non
deve essere avvertito come una variazione di valore esclusivamente in senso negativo, infatti “Risk
is not simply the incidence of adverse outcomes. Unpredictable, favorable outcomes are also a form
of risk. Opportunity losses can be as important as actual losses”.
2
Pertanto il problema principale non consiste nella drastica ed ossessiva riduzione dei rischi da
sopportare, ma nell’adeguata gestione degli stessi in modo da ridurne gli effetti negativi e
massimizzarne quelli positivi: “the challenge becomes not how much risk can be removed but
rather how much risk should be removed”
3
.
Il risk management è l’insieme delle strategie finalizzate ad identificare, analizzare, valutare, gestire
e monitorare i rischi in capo ad una determinata azienda (nel nostro caso ad una banca). Il compito
prioritario per la funzione di risk management è quindi quello di stabilire quale sia il più appropriato
livello di rischio da mantenere; in quali casi sia corretto fare operazioni di hedging per ridurre il
rischio da sopportare e quando invece risulti possibile e conveniente assumere maggiori rischi con
la prospettiva di maggiori guadagni. In ultima analisi risulta quindi essenziale che il risk
management vada alla ricerca di un giusto equilibrio, in quanto “placing the firm at the appropriate
point between excessive risk acceptance and avoidance will separate the winners from the losers in
the years ahead”
4
.
Il risk management rappresenta una materia relativamente recente, sviluppatasi negli anni ’80,
focalizzata sulla necessità di gestire e controllare il rischio. L’avvalersi di strategie di misurazione e
gestione del rischio è diventato infatti sempre più indispensabile, soprattutto per la crescente
complessità del mercato finanziario e per la varietà di strumenti finanziari generati negli ultimi anni.
Fino agli anni ’80 il risk management poteva essere assimilato a semplici processi volti a limitare le
perdite, assunzione che abbiamo già visto essere molto limitante rispetto al concetto attuale di
gestione del rischio. Molte aziende non si avvalevano nemmeno di specialisti esterni, ma affidavano
tale compito ad alcuni responsabili interni ed il management non teneva particolarmente conto
dell’interesse strategico che la gestione del rischio avrebbe potuto avere. Questo comportamento
mostrò tutti i suoi difetti negli anni ’80 e nei primi anni ’90, quando i fallimenti bancari negli Stati
1
Lazzari, V. (2000), pag. 521
2
Parker, G. (1995), pag. 5
3
Parker, G. (1995), pag. 13
4
Parker, G. (1995), pag. 15
3
Uniti raggiunsero il livello più alto dal 1930 e ciò avvenne anche perché il sistema finanziario in cui
tali istituti operavano subì notevoli cambiamenti e divenne sempre più volatile e complesso
5
.
La disciplina del risk management può essere suddivisa in due branche correlate ma distinte:
Il risk measurement ha lo scopo di fornire misure quantitative di rischio individuate tramite
la modellazione e la stima delle proprietà statistiche delle grandezze finanziarie;
Il risk management utilizza tali misure allo scopo di determinare l’allocazione di capitali
necessaria all’istituzione finanziaria per coprirsi dai rischi.
Il processo di risk measurement si compone a sua volta di due fasi: la prima consiste
nell’individuare dei vari tipi di rischio, nel considerare la probabilità e le modalità della loro
manifestazione e nell’indicare strumenti per il loro apprezzamento; la seconda riguarda la
misurazione dei rischi attraverso strumenti e tecniche che permettano di valutare l’impatto sulla
situazione patrimoniale e sul conto economico della banca.
6
Solo dopo aver adempiuto a questa
analisi di exposure measurement si può passare al risk management, articolato anch’esso in due
processi distinti:
La gestione dei rischi vera e propria, ossia la definizione del livello ottimale di esposizione
al fattore di rischio che si intende conseguire: “The alternatives range from almost no
exposure, to a selective exposure with some benefits traded for some protection in
unfavorable events, to a magnified exposure in which potential gains and potential losses
are deliberately increased”
7
.
La valutazione della performance che consiste nel verificare l’accuratezza della diagnosi
sviluppata in sede di risk measurement, l’utilità e la validità degli strumenti di risk
management utilizzati e nel predisporre eventuali cambiamenti per migliorare il livello di
esposizione qualora la valutazione non risulti pienamente positiva.
1.2 I principali rischi nelle banche
Nella definizione iniziale di rischio è stato sottolineato che esistono diversi tipi di rischio in base ai
fattori esogeni che li generano. Nei seguenti paragrafi sarà pertanto necessario analizzare i
principali rischi in capo agli istituti di credito. I rischi che le banche si trovano a dover fronteggiare,
nell’ambito della loro attività di entità fornitrici di servizi finanziari, sono generalmente classificati,
nella letteratura tecnica e nella prassi bancaria in:
Rischio di Mercato;
Rischio Operativo;
Rischio di Liquidità;
Rischio di Credito.
1.2.1 Rischio di mercato
“Market risk is defined as the risk of losses in on and off-balance-sheet positions arising from
movements in market prices”
8
. Secondo quanto stabilito dalla normativa lo sviluppo dell'operatività
delle banche sui mercati finanziari e l'ampliamento dell'intermediazione in valori mobiliari e in
valute può determinare un aumento dei rischi connessi a variazioni dei prezzi di mercato (tassi di
interesse, tassi di cambio e corsi azionari)
9
. Pertanto le banche sono tenute all’osservanza di
requisiti patrimoniali per far fronte a tale rischio, il quale ricomprende al suo interno diverse
categorie:
5
Cfr. Parker, G. (1995), pagg. 2-3
6
Cfr. Ceccarelli, S. (2000), pagg. 37-44
7
Hindy, A. (1995), pag. 108
8
Basel Committee on Banking Supervision (2004), pag. 157
9
Banca d’Italia (2007) “Istruzioni di Vigilanza per le Banche” Titolo IV, Capitolo 3, Sezione I, pag. 1.
4
Con riferimento al portafoglio titoli non immobilizzato
10
:
Rischio di Posizione
Rischio Generico
Rischio Specifico
Rischio di Regolamento
Rischio di Concentrazione
Con riferimento all’intero bilancio:
Rischio di Cambio
Rischio di Posizione su Merci
La metodologia utilizzata per la definizione dei requisiti patrimoniali si fonda sul cosiddetto
“approccio a blocchi” (building-block approach), secondo il quale si identificano requisiti di
capitale separati per i diversi tipi di rischio.
1.2.1.1 Rischio di posizione
Nella definizione di rischio di posizione rientrano quelle tipologie di rischio originate
dall’oscillazione del prezzo dei valori mobiliari per fattori attinenti all’andamento dei mercati e alla
situazione della società emittente e si scompone ulteriormente in due categorie:
Rischio generico: che si riferisce al rischio di perdite causate da un andamento sfavorevole
dei prezzi della generalità degli strumenti finanziari negoziati.
Per i titoli di debito questo rischio dipende da un’avversa variazione del livello dei tassi di
interesse; per i titoli di capitale da uno sfavorevole movimento generale del mercato;
Rischio specifico: che consiste nel rischio di perdite causate da una sfavorevole variazione
del prezzo degli strumenti finanziari negoziati dovuta a fattori connessi con la situazione
dell'emittente
11
.
Il rischio di posizione e i correlati requisiti patrimoniali sono determinati distintamente per:
- i titoli di debito;
- i titoli di capitale;
- i certificati di partecipazione a organismi di investimento collettivo del risparmio.
1.2.1.2 Rischio di regolamento
“Il rischio di regolamento è il rischio che si determina nelle operazioni di transazioni su titoli
qualora la controparte dopo la scadenza del contratto non abbia adempiuto alla propria obbligazione
di consegna dei titoli o degli importi di denaro dovuti”
12
. La normativa stabilisce che per questo tipo
di rischio il requisito patrimoniale sia calcolato applicando i seguenti fattori di ponderazione
13
alla
differenza tra il valore convenuto alla scadenza e il valore corrente dei titoli:
Numero di giorni lavorativi dopo la data di liquidazione Fattore di ponderazione
dal 5° al 15° 8%
dal 16° al 30° 50%
dal 31° al 45° 75%
dal 46° in poi 100%
10
Titoli detenuti a fini di negoziazione e/o posseduti per esigenze di tesoreria.
11
Cfr. Banca d’Italia (2007), Titolo IV, Capitolo 3, Sezione III, pag. 10.
12
Banca d’Italia (2007), Titolo IV, Capitolo 3, Sezione IV, pag. 17.
13
I fattori di ponderazione sono differenziati per fasce temporali di inadempimento, indipendentemente dalla natura
della controparte.
5
1.2.1.3 Rischio di concentrazione
Il rischio di concentrazione fa riferimento ai rischi di instabilità delle banche connessi alla
concessione di finanziamenti di importo rilevante rispetto al patrimonio di vigilanza. “Sono stabiliti
limiti con riferimento sia all'entità dei rischi nei confronti della singola controparte, sia
all'ammontare complessivo delle esposizioni di maggiore importo: la disciplina sui grandi rischi si
propone, sotto il primo profilo, di limitare
la potenziale perdita massima che la banca potrebbe subire in caso di insolvenza di una singola
controparte; sotto il secondo, di mantenere un soddisfacente grado di frazionamento del rischio
creditizio”. Le Istruzioni di vigilanza in materia di concentrazione dei rischi dispongono che le
banche sono tenute a contenere:
a) l’ammontare complessivo dei grandi rischi entro il limite di otto volte il patrimonio di vigilanza
(limite globale);
b) ciascuna posizione di rischio entro il limite del 25% del patrimonio di vigilanza (limite
individuale).
Per le posizioni di rischio riferite a soggetti collegati il limite individuale è pari al 20% del
patrimonio di vigilanza
14
.
Le attività di rischio che rientrano nel portafoglio non immobilizzato della banca non sono prese in
considerazione ai fini del rispetto della disciplina.
Le disposizioni della Sezione VI delle Istruzioni di Vigilanza per le Banche prevedono il rispetto di
un requisito patrimoniale specifico per le banche che, per effetto delle posizioni di rischio relative al
portafoglio non immobilizzato, superano il limite individuale di fido
15
.
1.2.1.4 Rischio di cambio
“Il rischio di cambio rappresenta il rischio di subire perdite per effetto di avverse variazioni dei
corsi delle divise estere”
16
.
Il tasso di cambio tra due divise dipende da numerosi fattori macroeconomici (differenze nei tassi di
interesse dei Paesi, bilance dei pagamenti dei Paesi, politiche monetarie etc.).
Per un investitore, il rischio di cambio riguarda gli strumenti finanziari denominati in valuta estera
detenuti in portafoglio. Se la divisa estera diminuisce di valore rispetto alla valuta domestica, il
valore degli strumenti finanziari diminuisce di conseguenza.
In relazione a tale rischio, le banche sono tenute alla osservanza di un requisito patrimoniale pari
all’ 8 per cento della posizione netta aperta in cambi.
Sono escluse dalla disciplina prevista nelle “Istruzioni di Vigilanza per le Banche” le banche la cui
posizione netta aperta in cambi è contenuta entro il 2 per cento del patrimonio.
1.2.1.5 Rischio di posizione su merci
Esso rappresenta il rischio di subire perdite sulle operazioni in merci per effetto di avverse
variazioni dei prezzi delle merci per fattori attinenti: a) alle variazioni nei prezzi a pronti o sul
mercato (“rischio direzionale”); b) alle fluttuazioni dei prezzi a termine risultanti da disallineamenti
fra le scadenze (“forward gap risk”) e il rischio di tasso d’interesse; c) alle variazioni nel rapporto
di prezzo fra due merci simili (“rischio di base”).
La banca può calcolare il requisito patrimoniale con il metodo semplificato oppure con il metodo
basato sulle fasce di scadenza
17
.
14
Cfr. Banca d’Italia (2007), Titolo IV, Capitolo 5, Sezione V, pag. 5.
15
Cfr. Banca d’Italia (2007), Titolo IV, Capitolo 3, Sezione V, pag. 21.
16
Banca d’Italia (2007),Titolo IV, Capitolo 3, Sezione VII, pag. 24.
17
Cfr. Banca d’Italia (2007), Titolo IV, Capitolo 3, Sezione VII, pag. 25.
6
1.2.2 Rischio operativo
“Operational risk is defined as the risk of loss resulting from inadequate or failed internal
processes, people and systems or from external events. This definition includes legal risk, but
excludes strategic and reputational risk”
18
.
La definizione di rischio operativo elaborata dal Comitato di Basilea ne delimita i confini prestando
particolare attenzione alle cause che lo originano:
Risorse umane: il rischio operazionale in questo caso deriva da eventi quali errori, frodi,
violazioni di regole e procedure interne, problemi di incompetenza e negligenza;
Sistemi informativi: in tale fattore di rischio rientrano aspetti tecnologici, come guasti
nell’hardware e software, ingressi non autorizzati di estranei nei sistemi informatici e
presenza di virus, guasti alle telecomunicazioni;
Processi: il rischio è causato da procedure e controlli interni difettosi o inadeguati che
portano ad esempio ad errori contabili e di registrazione.
Eventi esterni: questo fattore include perdite dovute a cause esterne, non direttamente
controllabili dal management della banca, quali modifiche nel quadro politico,
regolamentare o legale che comportino nuovi costi o una riduzione dei ricavi aziendali;
interruzioni del servizio da parte di fornitori esterni; atti criminali come furti, vandalismo,
rapine
19
.
1.2.3 Rischio di liquidità
“Liquidity is the ability of a bank to fund increases in assets and meet obligations as they come due,
without incurring unacceptable losses. The fundamental role of banks in the maturity
transformation of short-term deposits into long-term loans makes banks inherently vulnerable to
liquidity risk. […] Effective liquidity risk management helps ensure a bank's ability to meet cash
flow obligations, which are uncertain as they are affected by external events and other agents’
behaviour. Liquidity risk management is of paramount importance because a liquidity shortfall at a
single institution can have system-wide repercussions. Financial market developments in the past
decade have increased the complexity of liquidity risk and its management”
20
.
Il rischio di liquidità è generato quindi dal mancato fronteggiamento degli squilibri monetari a
diverse scadenze e, come abbiamo già ricordato per tutte le tipologie di rischio, non è totalmente
eliminabile data l’impossibilità di stimare con precisione assoluta l’evoluzione dei flussi di cassa
attivi e passivi.
Il rischio di liquidità è distinto in due macrocategorie a seconda dell’area di impatto interessata, ma
che sono tra loro fortemente collegate:
Funding Liquidity Risk
21
: consiste nel rischio che la banca non sia in grado di far fronte in
modo efficiente, senza mettere a repentaglio la propria ordinaria operatività ed il proprio
equilibrio finanziario, a deflussi di cassa attesi ed inattesi (rimborso passività, rispetto di
impegni ad erogare fondi, richiesta di accrescere garanzie fornite);
Market Liquidity Risk
22
: è il rischio che per una banca risulti impossibile monetizzare una
consistente posizione in attività finanziarie o che riesca a liquidarla con una decurtazione del
prezzo a causa dell’insufficiente profondità del mercato finanziario in cui tali attività sono
scambiate o di un suo temporaneo malfunzionamento.
18
Basel Committee on banking supervision (2004), pag. 144
19
Cfr. Friedman, J.P., Terzuoli, F. (1995), pagg. 219-228
20
Basel Committee on banking supervision (2008), pag. 1
21
Cfr. Ferrari, P., Ruozi, R. (2009), pag. 4
22
Ferrari, P., Ruozi, R. (2009), pag. 5
7
E’ evidente la correlazione tra le suddette categorie, infatti imprevisti utilizzi, mancati rientri sui
prestiti o richieste di conversione delle passività in moneta potrebbero portare a liquidare posizioni
su alcune attività a condizioni non sempre convenienti per la banca stessa, che rischierebbe quindi
di subire delle perdite.
1.3 Rischio di credito
Il rischio di credito consiste nella possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una
controparte nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una corrispondente variazione
inattesa del valore di mercato della posizione creditoria
23
. Va pertanto sottolineato che nella
definizione di rischio di credito non rientra soltanto l’eventualità che la controparte risulti
insolvente (credit default risk), ma esso si manifesta anche quando il deterioramento del merito
creditizio della controparte (downgrading) comporta una riduzione del valore di mercato della
posizione creditoria detenuta. L’insolvenza del debitore rappresenta quindi l’evento estremo che
coincide con la massima perdita per il creditore, ma questo evento è preceduto da un progressivo
downgrading della controparte che sta ad indicare un aumento del livello di rischio. Pertanto il
compito del risk management sarà quello di valutare e gestire adeguatamente il livello di rischio di
credito nei vari momenti che presumibilmente precedono l’evento estremo di insolvenza.
Un’ulteriore precisazione è utile per comprendere a fondo il concetto di rischio di credito: perché
esso si possa configurare la variazione del merito creditizio deve essere inattesa altrimenti il
deterioramento della qualità del credito atteso sin dall’erogazione del credito sarebbe già
implicitamente considerato nella determinazione del tasso attivo applicato al finanziamento.
Esso è articolato in tre fattispecie
24
:
rischio di credito pieno (full credit risk) che consiste nel rischio che la controparte non
adempia la propria obbligazione di pagamento a causa della propria insolvenza (e non sia
rischio di consegna o di sostituzione);
rischio di consegna (delivery risk) che può esistere soltanto qualora le parti abbiano
reciproche obbligazioni da eseguirsi contemporaneamente e consiste nel fatto che una parte
adempia al proprio obbligo di pagamento o consegna non ricevendo contestualmente la
consegna o il pagamento del dovuto dall’altra parte;
rischio di sostituzione (substitution risk) che è presente nei contratti a termine con
prestazioni corrispettive e consiste nel maggior costo o nel mancato guadagno che la parte
solvente sopporta, qualora la controparte diventi insolvente prima della scadenza pattuita. In
questo caso, la parte potenzialmente solvente si asterrà, ovviamente, dall’effettuare la
propria consegna, effettuando un nuovo contratto con una nuova controparte. Il prezzo del
nuovo contratto potrebbe essere diverso dal precedente, comportando una perdita od un
utile.
Poiché dal punto di vista regolamentare e contabile, il portafoglio di una banca è distinto in
portafoglio di investimento (valori mobiliari detenuti per finalità di investimento) e portafoglio di
negoziazione (posizioni detenute in vista di una loro cessione a breve termine, posizioni assunte a
copertura di altri elementi del portafoglio di negoziazione etc.), la precedente articolazione del
rischio di credito si riferisce ai rischi presenti nel portafoglio investimento, o banking book.
Nell’ambito dell’attività di trading, la normativa di vigilanza bancaria utilizza un’ulteriore
terminologia per identificare il rischio di credito. I corrispondenti rischi di credito presenti nel
portafoglio negoziazione, o trading book, sono:
23
Sironi, A. (1998), pag. 31.
24
Cfr. Nassetti, C. F. (2000), pag. 230.
8
rischio specifico, che corrisponde al rischio di credito pieno, consiste nel rischio di perdite
causate da una sfavorevole variazione del prezzo degli strumenti finanziari negoziati, dovuta
a fattori connessi con la situazione dell’emittente;
rischio di regolamento, che corrisponde al rischio di consegna, limitato, solo, alle operazioni
in titoli;
rischio di controparte, che corrisponde al rischio di sostituzione.
La principale differenza tra le tipologie di rischio di credito sopra indicate si basa soprattutto su due
elementi: la volontarietà dell’esposizione e la determinazione della sua entità.
Il rischio di credito pieno è un rischio che il creditore ha scelto di accettare e la cui massima
dimensione è determinata dal creditore stesso (è il creditore, infatti, che decide il quantum
dell’esposizione creditizia).
Il rischio di sostituzione, al pari del full credit risk, è assunto volontariamente dal creditore, ma la
sua dimensione non dipende dalla volontà dello stesso, bensì da elementi esogeni, quali la
variazione dei tassi di interesse, di cambio, del corso delle azioni, ecc...
Il rischio di consegna, al contrario, è un rischio subito, non voluto, ma dal quale non si può
prescindere data la natura dell’operazione finanziaria.
Caratteristiche Attività di investimento Attività di negoziazione
Volontario e determinato Rischio di credito pieno Rischio specifico
Volontario, ma indeterminato Rischio di sostituzione Rischio di controparte
Involontario Rischio di consegna Rischio di regolamento
Fig. 1: Caratteristiche del rischio di credito. Fonte: produzione propria sulla base di Sironi (2001)
Il rischio di credito si suddivide fondamentalmente in due parti: la perdita attesa (Expected loss, EL)
e la perdita inattesa (Unexpected loss, UE).
La perdita attesa, in quanto stimata a priori, non costituisce il vero rischio di un’esposizione
creditizia, ma si configura piuttosto come un elemento di costo incorporato già nelle aspettative
dell’investitore.
In altri termini, essa consente di tener conto del rischio medio di insolvenza della controparte, che
viene quantificato nella determinazione del pricing da uno spread che misura il premio rispetto ad
un investimento privo di rischio.
Per perdita attesa si intende quindi il valor medio della perdita che una banca si attende di subire
con riferimento ad un credito o portafoglio di crediti, in un certo arco temporale.
La perdita inattesa invece non è altro che il grado di variabilità del tasso di perdita intorno al proprio
valore atteso. Essa quindi equivale alla possibilità che la perdita effettiva risulti, ex post, superiore
alla perdita attesa stimata ex ante
25
.
25
Cfr. Sironi, A. (2001), pag. 43.
9
Fig. 2: Expected and unexpected loss. Fonte: Metricstream
1.3.1 La perdita attesa
La perdita attesa si compone di tre elementi:
Probabilità di default della controparte (Probability of Default, PD)
Esposizione al momento del default (Exposure At Default, EAD)
Tasso di perdita in caso di recupero del credito (Loss Given Default, LGD)
i quali si combinano come segue per calcolare la perdita attesa riferita alla singola esposizione:
LGD EAD PD EL * *
Il tasso di perdita attesa, rappresentato dal rapporto tra l’ammontare della perdita attesa e
l’esposizione complessiva della controparte, concorre a determinare lo spread da considerare in
sede di formulazione del tasso applicabile all’operazione al fine di poter coprire la perdita attesa nei
confronti della controparte in questione.
1.3.1.1 PD: Probabilità di default della controparte
Secondo le istruzioni della Banca d'Italia “Per probabilità di default si intende la probabilità che una
controparte passi allo stato di default in un orizzonte temporale di un anno”
26
. Il documento
prosegue con la definizione di default, un concetto necessario per la stima di tutti i parametri di
rischio: un'esposizione è considerata scaduta quando il debitore è in ritardo da almeno 90 giorni su
un'obbligazione creditizia ritenuta rilevante
27
. La soglia di rilevanza è stata fissata pari al 5%
dell'esposizione.
“La quantificazione della PD associata a ciascuna classe di rating avviene concettualmente in due
stadi: in una prima fase la banca assegna ciascuna controparte ad una classe di rating, definita sulla
base di criteri espliciti e formalizzati; in una fase successiva la banca determina una PD per
ciascuna classe di rating, che dovrà essere assegnata a ciascuna controparte inclusa nella stessa
classe di rating”
28
.
La stima della PD può essere effettuata ricorrendo a:
1) esperienza interna di default: la banca impiega per la stima della PD dati desunti dalla
propria esperienza, dimostrando il rispetto dei criteri di affidamento e tenendo conto delle
26
Banca d’Italia (2006b), pag. 4
27
Il termine di 90 giorni è sostituito da quello più lungo di 180 nei seguenti casi:
• crediti verso le imprese, solo fino al 31 dicembre 2011;
• crediti al dettaglio o verso enti del settore pubblico.
28
Banca d’Italia (2006b), pag . 41
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