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Introduzione
Al momento attuale più della metà degli abitanti del pianeta vive in ambienti
urbanizzati. Nel corso del XX secolo, in parallelo con la crescita della popolazione,
l’ampliamento dei sistemi urbani ha portato infatti a uno “straripamento” degli
insediamenti. Il cittadino, ormai alienato dal rapporto naturale, ignora come la vita
animale, e di conseguenza la sua, dipenda dalla presenza di vegetali in grado di
svolgere il processo fotosintetico.
Per arrivare a una riqualificazione urbana del territorio è fondamentale una più
ampia e profonda cultura del verde che porti tutti noi, cittadini e gestori dei servizi
pubblici, ad agire con maggiore attenzione e consapevolezza in sua difesa. L’albero
in città può essere collocato in zone inerbite, parchi, giardini, boschi, filari,
spartitraffico o piazzali. Queste ultime situazioni, le più problematiche, necessitano
di particolare competenza nelle scelte progettuali e nelle operazioni di piantagione
e manutenzione, ma sono anche quelle che vengono sfruttate male, o, più spesso,
rimangono irrisolte.
“La città discontinua, la città che ha decentrato la mobilità e la comunicazione come
mai prima nella storia; ha portato a far perdere l’identità di alcuni spazi che sono
spesso, “non luoghi” nel senso di nuovi organismi senza un’appartenenza umana
complessa, semplificati ossessivamente per una singola funzione e quindi
decapsulati”
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.
La realizzazione di progetti che nascono come sommatoria di singoli interventi
localizzati appare l'esito naturale dello sforzo per "riempire" questi vuoti.
In altri casi l'abbandono e la crescita spontanea sono la causa di aree verdi
interstiziali, una delle categorie spaziali più tipiche della città dispersa.
Lasciato a se stesso, il verde ha infatti, per propria natura, la tendenza ad occupare
tutti gli spazi a disposizione e, pur essendo considerato come valore positivo in
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ZAGARI F., Questo è paesaggio 48 definizioni, Gruppo mancosu editore, Roma, 2006.
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assoluto, la presenza di aree verdi incolte può assumere le caratteristiche di una
forma di degrado. Tra questi due estremi, anche grazie all'uso del verde libero da
pregiudizi formali troppo rigidi, è possibile trovare un senso per questi spazi.
Questo studio vuole dimostrare come l’arboricoltura urbana rappresenti, oltre che
un ottimo espediente per ridare vita a quei numerosi spazi che non hanno precisa
destinazione d'uso, una buona pratica da molteplici punti di vista.
Già nel 2001 era stato proposto un progetto dalla P.O. Direzione Ambiente del Q4:
“sTREEt, l’albero in strada, per rendere più gradevoli i mille angoli di Firenze”.
Quell'idea, lasciata in disparte, oggi mette in moto il nostro lavoro, un lavoro che
mantiene lo spirito con cui nacque sTREEt: riuscire a rivitalizzare spazi che non
hanno un’identità, o che sono stati il risultato di una progettazione frammentaria.
Sono innumerevoli gli aspetti che vanno presi in considerazione una volta che si
affronta questo tema. Per primo, la difficoltà di progettare gli angoli di città in
maniera omogenea o standardizzata (proprio perché così diversi l'uno dall'altro). In
secondo luogo, i lunghi tempi burocratici per attivare un progetto, e poi per
realizzarlo. A seguire, i costi delle opere che si scontrano con le limitate risorse
pubbliche, per finire con l'ampiezza di una materia quale l'arboricoltura urbana. A
complicare ulteriormente le cose, durante i sopralluoghi ci siamo fin da subito resi
conto che esistono un'infinità di “vuoti urbani”, ognuno con caratteristiche proprie,
limiti e potenzialità particolari.
La parola d'ordine diventa quindi "semplificare", e cioè dimostrare come l'aumento
del patrimonio arboreo delle città, se affiancato da uno studio scrupoloso, è più
fattibile di quanto sembri. L'obiettivo è quello di agevolare il processo di
progettazione in modo che possano essere in molti a occuparsene, e in tempi brevi.
Si tratta di costruire un sistema che permetta ai progettisti di avere delle basi
tecniche per pianificare l'inserimento dell'"albero giusto al posto giusto". Per fare
ciò, abbiamo elaborato un metodo che indichi le linee guida per una progettazione
sostenibile, a seconda della tipologia di spazio che si intende migliorare.
E' stato necessario un confronto con realtà italiane che si stanno avvicinando
all’argomento e realtà europee e mondiali già all’avanguardia, dalle quali abbiamo
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colto dei suggerimenti per poter rendere la nostra idea non solo qualcosa di
ipotetico, ma di concretamente realizzabile.
E’ nostro desiderio che il progetto diventi uno strumento per la gestione di questi
spazi, perché riteniamo che rappresentino una forte potenzialità all’interno delle
nostre città. La sistemazione degli interstizi urbani può, infatti, riportare ordine,
coerenza e riconoscibilità funzionale in ambienti frazionati e disomogenei,
migliorando in sostanza la qualità della vita nelle nostre città.
La tesi è divisa in quattro capitoli: il primo contiene una breve riflessione sul verde a
scala metropolitana, partendo dalla storia del verde urbano nella realtà fiorentina
fino a trattare il rapporto del verde con la città. Si espone inoltre il ruolo ecologico
delle alberature all’interno dei tessuti urbani.
Il secondo è dedicato alla situazione attuale, una breve analisi sulla situazione
odierna del verde urbano in Italia, scendendo di scala fino al Quartiere 4, oggetto di
studio.
La terza parte riguarda il ruolo del verde nella qualità della vita cittadina e i benefici
che esso svolge sia a livello ecologico che psicologico. Inoltre, si sviluppa un discorso
dettagliato per quanto riguarda i criteri di composizione e scelta delle specie idonee
per l’ambiente urbano.
L’ultimo capitolo viene dedicato al progetto. Una parte di questo è completamente
dedicata all’importanza delle politiche gestionali delle alberature urbane, la seconda
parte è invece la presentazione del progetto, con la sua descrizione tecnica e
l'applicazione pratica in uno dei “vuoti urbani” del Quartiere 4.
Crediamo che il sistema sTREEt getti le basi per una progettazione oculata, che miri
a rendere la nostra città un ambiente migliore, improntato al rispetto per
l’ambiente e per l'uomo.
In una parola, una città vivibile.
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1. Il verde nella dimensione metropolitana
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1.1. Storia del verde urbano e realtà fiorentine
1.1.1. Storia del verde urbano
Le nostre città sono storicamente “città di pietra” , nel senso che la città antica era
tradizionalmente un unicum di materiali tra lo spazio costruito e quello vuoto,
definito e circoscritto proprio dalla parte edificata della città. Le strade e le piazze
costituivano veri spazi interni, degli ambienti “domestici” all’aperto dove la
collettività si ritrovava, spazio privilegiato per la socializzazione.
I giardini, al contrario, erano luoghi privati, racchiusi all’interno degli isolati,
delimitati dai palazzi. Erano riservati ai proprietari e diventavano lo sfondo per la
stessa architettura, il “luogo di delizia”, lo spazio per le rappresentazioni e le feste. Il
resto del verde era destinato ad uso prevalentemente produttivo e si articolava
negli orti urbani e in quegli spazi non edificati, previsti in caso di assedio delle città,
per garantire la sopravvivenza alimentare alla popolazione.
Solo a seguito delle innovazioni urbanistiche ottocentesche, realizzate per la prima
volta a Parigi da Haussman, le città cominciano a rinnovarsi. Questa nuova modalità
d’intervento urbanistico segna il definitivo passaggio ad un’epoca urbana diversa, in
cui il verde interno alla città comincia a diventare di uso pubblico e non più riservato
ad alcune categorie di cittadini.
Per la maggioranza degli italiani il verde ha mantenuto due contraddittorie
connotazioni storiche: da un lato esso appare come un prezioso bene privato,
elitario e costoso, dall’altro il verde s’identifica con gli orti e il terreno agricolo,
materia di fatica, lotta alla miseria, non certamente luogo di socialità. A questo
stato di cose si aggiungono la diffidenza per ogni cosa identificata come “pubblica”,
in contrapposizione dell’amore geloso riservato al privato, nonché il pregiudizio per
cui il verde pubblico, essendo improduttivo, sottrae spazi all’edificazione, e quindi al
lavoro. Questo insieme di cose spiega la valutazione generica del verde urbano,
"l'incultura del verde” (o sospetto del verde) frutto di condizioni storico-culturali
non ancora scomparse.
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1.1.2. Origini del verde pubblico fiorentino
Firenze ha una cultura del verde pubblico che risale ai secoli scorsi. La prima grande
risposta alle esigenze dei cittadini di un tale servizio si ha nel ‘700, con le prime
aperture al pubblico del Parco delle Cascine e del Giardino di Boboli;
successivamente, per il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze,
con la realizzazione di viali alberati, associati a spazi verdi, come la Fortezza, Piazza
Donatello, Bobolino, Viale Poggi, nonché con la realizzazione di piazze inserite nei
nuovi quartieri residenziali del tempo (Piazza D’Azeglio e Piazza Indipendenza).
Gli interventi di sistemazione che seguono risultano di quantità limitata, anche
perché con il trasferimento della capitale a Roma, le abbondanti opere realizzate, la
cui esecuzione viene completata in anni succesivi, non fanno sussistere la necessità
immediata di ampliare il patrimonio verde esistente.
Questa realtà viene stravolta dalla repentina espansione della città a partire dagli
anni ‘50. Molti quartieri vengono realizzati sotto la spinta della speculazione,
lasciando al verde solo gli spazi di risulta, la cui sistemazione in molti casi avverrà
dopo molti anni, solo sotto insistenti richieste della popolazione residente.
Nello stesso periodo viene realizzato anche il quartiere dell’Isolotto, dove il
rapporto aree verdi e costruito, subisce un radicale ribaltamento, in favore delle
prime. A questa positiva concezione del vivere nel verde si contrappone però una
eccessiva frammentazione delle superfici, realizzate in linea con alcune tendenze
esasperate del tempo, con costi di manutenzione eccessivamente elevati (si pensi a
riguardo alle siepi che contornavano quasi tutte le piccole aree e i singoli fabbricati).
Nei primi anni ’60 viene redatto il nuovo piano regolatore e con esso
l’individuazione delle aree destinate a verde ed ai piani di espansione, con il verde
da realizzare nell’ambito del piano stesso.
Quello che segue è anche il momento delle conquiste urbanistiche, introdotte dal
DM 2/4/68, n. 1444 sugli standard urbanistici, che impone 18 mq di spazi liberi, di
cui un minimo di 9 mq per abitante di verde pubblico attrezzato, da prevedersi negli
strumenti comunali.
In conseguenza di questo diritto, pure se i primi effetti si fanno sentire dalla metà
degli anni ‘70 in poi e con una qualità progettuale non sempre rispondente alle
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aspettative e alle esigenze dell’utenza, vengono realizzate numerose aree a verde.
Nonostante ciò, i nuovi standard urbanistici, più che diventare una realtà,
rimangono a lungo un obbiettivo.
Con i primi anni ’80, a seguito della grande espansione edilizia avvenne la
sistemazione a verde attrezzato di numerosissime aree, di cui molte appartenenti a
P.E.E.P. realizzati negli anni ’70 e rimaste incolte, fenomeno che proseguirà fino ai
primi anni’90.
Queste ultime opere a verde, pur eseguite, in parte, nell’ottica di un contenimento
dei costi di manutenzione, hanno dato vita ad un grande e repentino aumento della
superficie da gestire, determinando, alla fine degli anni ’80, grosse difficoltà agli
addetti ai lavori e procurando ritardi sia nei consueti tagli del prato, sia nella
potatura delle alberature con interventi eccessivamente distanti nel tempo. Tutto
ciò è avvenuto perché al notevole incremento del patrimonio non è corrisposta una
adeguata programmazione del settore con un rinnovamento dell’organizzazione
della struttura ed un aumento degli organici.
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1.1.3. Le origini delle alberature stradali
L’impiego delle specie vegetali nelle zone urbane è un fatto ricorrente nella storia:
in ogni civiltà è sempre esistita una particolare predilezione per alcune piante.
Numerose fonti attestano l’utilizzo, già in epoca romana, di alberi accanto ad arbusti
sagomati secondo i dettami dell’ars topiaria nell’abbellimento delle strade di
maggior importanza, denominate “gestiationes” e l’impiego di specie spontanee o
di minor pregio lungo i percorsi usati dai ceti meno abbienti, denominate
“ambulationes”. E’ soprattutto in epoca napoleonica che l’alberatura stradale andò
generalizzandosi, con il preciso intento di trasferire in città il verde della campagna.
La situazione formale del viale alberato largo e rettilineo risale però all’epoca
dell’assolutismo e dell’arte barocca, quando il viale con il punto di fuga all’infinito,
che si diparte dalla piazza o dalla reggia, viene usato sia nelle composizioni urbane
che in quelle del giardino del signore. Dal punto di vista simbolico ribadisce, con
l’uso delle leggi della simmetria e della prospettiva, il principio del potere assoluto,
e dal punto di vista funzionale costituisce una passeggiata riservata alla nobiltà.
La maggior parte delle sistemazioni stradali con alberature sono state realizzate tra
la metà del XIV e l’inizio del XX secolo. E’, per le città italiane, un’epoca di grande
fervore costruttivo, in cui si abbattono le mura medioevali e si preparano i piani per
le nuove espansioni. Lo sviluppo industriale, l’Illuminismo, e la Rivoluzione francese
hanno evidenziato, da un lato le disastrose condizioni igieniche delle città (nel
frattempo ingranditesi a spese della campagna), e dall’altro hanno diffuso
l’abolizione dei privilegi di classe. Ciò significava che la passeggiata refrigerante
all’ombra degli alberi non doveva più essere un privilegio esclusivo dei ceti abbienti.
Tutti: nobili, clero e popolo dovevano goderne.
Solo all’inizio del secolo scorso l’alberatura stradale diviene parte integrante della
composizione urbanistica. Abbandonata la composizione per grandi assi,
l’alberatura non è più usata per riempire i vuoti, ma al contrario, per tentare di
armonizzarli alla scala più appropiata con il costruito, essa vuole costituire il
connettivo tra città e campagna. Il viale-passeggiata non può però più assolvere le
sue funzioni, in quando si diffonde l’uso dell’automobile.
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In anni recenti, l'evoluzione tecnologica ha contribuito a modificare i criteri di
progettazione e di gestione viaria, sempre più raffinati dal punto di vista costruttivo
e sempre meno attenti alla componente paesaggistica. Sono state così create strade
a rapida percorrenza destinate a modificare il territorio in maniera sensibile. Ciò si è
verificato sia per l'inesistenza di una normativa specifica che regolamentasse i criteri
di progettazione da un punto di vista ambientale, sia per la sempre minor
attenzione al problema da parte della collettività: il filare, un tempo anche origine di
guadagno, stava diventando sempre più un onere per le comunità locali.
L'interesse nei confronti delle alberature e il loro ruolo ambientale e paesaggistico è
tornato a crescere soltanto negli ultimi anni. Queste specifiche forme costituiscono
infatti un importante patrimonio che deve essere gestito con razionalità ed adattato
al contesto attuale, profondamente modificato dall'espansione della rete stradale e
dalla generale evoluzione dell'ambiente rurale.
In Italia si è continuato a piantare alberature stradali anche se quasi mai previste in
una progetto organico di alberature e arredo verde. Per questa ragione, trovandosi
in condizioni ristrette, si tendono a usare alberi di dimensioni contenute, puntando
su elementi come fioriture o colore.
Oggi in tutte le città, grandi e piccole, si riconosce l’importanza delle alberature,
anche se non sempre la si accompagna a una programmazione del verde urbano
attenta alle esigenze progettuali, ma soprattutto a quelle gestionali e manutentive.
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1.1.4. Evoluzione del rapporto città e il suo verde
Sul finire degli anni Sessanta viene introdotta nella legislazione italiana la cosidetta
"linea dello standard"; viene riconosciuto ufficialmente il principio che i problemi
della residenza non si esauriscono nella cellula abitativa individuale, ma devono
essere considerate anche le infrastrutture, le attrezzature e i servizi pubblici. A
questi elementi viene quindi applicato un requisito, uno standard appunto. Uno di
questi è lo standard di verde pubblico , cioè la quantità minima di aree da riservare
a verde pubblico in proporzione al numero di abitanti previsti. Un limite degli
standard era però rappresentato dal fatto che, avendo approccio unicamente
quantitativo, non poteva rispondere alla richiesta di qualità dello spazio.
In molti casi infatti, lo standard fu formalmente garantito vincolando a verde le aree
più periferiche della città, ma di fatto la realizzazione vera e propria veniva
posticipata o addirittura mai effettuata.
L'approccio di alcuni urbanisti a questa mancanza a livello legislativo fu di puntare
sulla destinazione a verde pubblico come vincolo per salvare aree di particolare
pregio ambientale, evitare l'espansione delle città a macchia d'olio e indirizzarla
verso un disegno organico. In questo modo il sistema del verde acquisice
importanza dal punto di vista urbanistico in quanto contribuisce alla continuità del
disegno della città e diventa elemento strutturante dell'organismo urbano.
Per quanto riguarda la distribuzione del verde in città esso "non deve rimanere
segregato solo in uno spazio circoscritto (parco), tollerando così che altrove la vita
cittadina rimanga caotica, insalubre, rumorosa e stressante. La distribuzione del
verde deve essere capillare, il verde deve essere ovunque, per la costruzione di una
città futura che riconquisti quei valori di ricomposizione delle funzioni, di
ricomposizione dei tempi artificiosamente separati di lavoro e di svago, di
ricomposizione, in definitiva, della stessa vita degli abitanti"
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Nelle città compulsive di oggi, confusionarie, nelle quali si deve ammettere la
prevalenza della variante motorizzata, meccanizzata e aggressiva dell'uomo,
allontanato ormai dal rapporto primordiale con la natura, è chiaro che la questione
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Estratto dalla relazione di BETTINI P: Il verde nella costruzione delle città in occasione del convegno L'albero, l'uomo,
la città_ La politica del verde nelle città, Bologna 12-13 novembre 1977.
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del verde pubblico assume un'evidenza socio culturale che deve essere considerata
come primaria e che impone nuovi approcci nella progettazione degli spazi.
Come nozione nuova, di fatto, il verde urbano viene completamente abbracciato
dall'urbanistica del XX secolo, dove comincia ad indicare una componente
quantitativa della struttura urbana in cui la città viene riconosciuta come organismo
complesso, all'interno del quale la coesistenza di una grande massa di persone e la
concentrazione di un gran numero di attività antropiche impongono la messa a
punto di particolari procedure, che investono l'organizzazione dello spazio.
La presenza del verde in città si confronta quotidiamente con nuove sfide che
scaturiscono dalla velocità delle trasformazioni che la nostra città vive: tra tutte
basti pensare alla dilatazione territoriale che le nostre città assumono, alla
frantumazione stessa della città come organismo compatto e continuo, sostenuto
da una pianificazione che diventa necessariamente territoriale.