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INTRODUZIONE
Il risarcimento delle perdite economiche non ha mai incontrato,
perlomeno in linea di principio, ostacoli insormontabili; viceversa, le perdite
biologiche , le sofferenze, i dolori, i pregiudizi immateriali e, più in generale,
le alterazioni negative dell’ esistenza fino a tempi piuttosto recenti han
faticato non poco ad assumere rilevanza sotto il profilo risarcitorio.
La sensibilità nei confronti della tutela della persona, come individuo, è
emersa negli ultimi decenni ed è stata portata alla luce da parte di una
giurisprudenza che, guidata da una dottrina di ampie vedute, si è dimostrata
capace di interpretare le moderne esigenze della società: sono infatti figure di
creazione giurisprudenziale il danno biologico e, successivamente, il danno
esistenziale.
Le decisioni di alcuni Tribunali negli anni ’70 e ’80 han cominciato ad
accordare il risarcimento del danno alla salute, inteso in senso “puro”,
considerato indipendente e sganciato dalla perdita patrimoniale a questo
correlata e in aggiunta a quest’ ultima.
L’ apertura, che è avvenuta ampliando, e un po’ forzando, l’ ambito di
operatività dell’ art. 2043 c.c. da sempre deputato al risarcimento del danno di
carattere patrimoniale, non era tuttavia destinata a limitarsi a questa figura.
Se il diritto alla salute, di matrice costituzionale ex art. 32, ha ispirato la
concezione del danno biologico, un ramo della dottrina e parte degli
operatori del diritto iniziano a ragionare intorno a una figura, che verrà
perlopiù denominata “danno esistenziale”, all’ interno della quale possono
essere ricompresi quei pregiudizi di carattere areddituale che comportano
uno sconvolgimento, un’ alterazione in negativo dell’ esistenza, dello stile di
vita e delle attività realizzatrici dell’ individuo, a partire dalla posizione
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centrale che la persona occupa nella Carta fondamentale stessa e alla luce dei
diritti che questa le attribuisce.
Questa impostazione, che va in un certo senso a scardinare quella
precedente, in cui le perdite di carattere non patrimoniale potevano
acquistare rilevanza risarcitoria esclusivamente qualora l’ illecito civile
integrasse gli estremi della fattispecie di reato e fosse così possibile ammettere
il risarcimento del “ danno morale da reato” ex art. 2059 c.c., ha avuto un
enorme successo in giurisprudenza e ha ispirato la dottrina, tendente ad
affinare il sistema. Non si può tuttavia dire, comunque, che tale orientamento
sia stato sempre e ovunque accolto con favore, esistendo fin da subito autori e
operatori del diritto scettici e critici nei confronti di questa nuova categoria.
Il vero punto di svolta sarà rappresentato dalle rivoluzionarie pronunce
di legittimità della Cassazione del 2003, le decisioni n. 8827 e n. 8828, dette
anche “ sentenze gemelle”, che riconducono il sistema della responsabilità
civile alla bipolarità del danno patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c., e non
patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c..
Queste decisioni han fornito una lettura costituzionalmente orientata
dell’ art. 2059 c.c., intervenendo su due piani. Innanzitutto sulle ipotesi di
risarcibilità del danno non patrimoniale che, oltre ai casi di reato, ora
comprendono anche la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, a partire
dal diritto alla salute, e altre casi di risarcibilità introdotti mediante
legislazione speciale. In secondo luogo sulle figure, ontologicamente intese, di
danno non patrimoniale, dal momento le pronunce, accanto al già noto danno
morale, enumerano quello biologico e, soprattutto, considerano quello di
carattere esistenziale.
E’ da sottolineare come questo momento interpretativo produca una
profonda metamorfosi della norma in questione, l’ art. 2059 c.c., che da
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disposizione concepita dal legislatore di carattere sanzionatorio, tanto che
spesso si parlava di pena privata, giunge a offrire ombrello risarcitorio dei tre
tipi di pregiudizio arreddituale soddisfacendo dunque una funzione più che
altro riparatoria.
L’ orientamento sancito dalla Cassazione, e successivamente avallato
dalla Corte Costituzionale, rende ancor più pregnante di quanto fosse prima
la necessità di distinguere e coordinare le tre diverse figure, soprattutto per
quanto attiene il discrimine tra danno morale e danno esistenziale.
Anche in seguito a questo approdo si registrano diverse reazioni da parte
di dottrina e giurisprudenza: da una parte vi è chi vede con favore queste
decisioni e quindi appoggia il risarcimento, anche contestuale, dei tre tipi di
pregiudizio e chi invece rimane perplesso di fronte al riconoscimento del
danno esistenziale, paventando duplicazioni risarcitorie e cercando, in alcuni
casi, di dare una lettura il più possibile restrittivo a tale innovazione.
Numerosi sono gli ambiti applicativi in cui il danno esistenziale viene
riconosciuto: dalla famiglia al lavoro, dalle immissioni all’ amministrazione
della giustizia, dai diritti della personalità ai rapporti con la pubblica
amministrazione e alla responsabilità medica.
Pure ne settore contrattuale, parallelamente, si verifica tale evoluzione: il
danno di carattere non patrimoniale, e quindi anche esistenziale, inizia ad
esser riconosciuto a livello risarcitorio accanto a quello non patrimoniale.
I successivi, cruciali arresti giurisprudenziali sul danno non patrimoniale
sono delle Sezioni Unite del 2008, che, se in apparenza possa sembrare che
abbian cercato di cancellare con un colpo di spugna il danno esistenziale, ad
una attenta analisi ci si avvede che han semplicemente cercato di fornire una
lettura unitaria della categoria del danno non patrimoniale, all’ interno della
quale i pregiudizi di carattere esistenziale hanno una loro dignità.
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Infatti, è in queste decisioni sancito che “ il danno non patrimoniale è
categoria generale non suscettiva di suddivisione in categorie variamente
etichettate: il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo
denominati risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il
riconoscimento di distinte categorie di danno.” Si fa chiaramente riferimento
al principio di integrale risarcimento de danno quando si dichiara che “ è
compito del giudice accertare l’ effettiva consistenza del pregiudizio allegato,
a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni
negative sul valore- uomo si sian verificate e provvedendo alla loro integrale
riparazione.”
Sono i riflessi sul profilo quantificatorio che stanno a cuore alla Sezioni
Unite, le quali mirano a darne una soluzione in chiave contenitiva.
Non si può tuttora dire che attualmente la situazione in materia di
risarcimento del danno non patrimoniale sia pacifica e sia definitivamente
assestata: piuttosto esiston tuttora contrasti a livello della selezione dei
pregiudizi risarcibili e soprattutto sul piano quantificatorio.
Come osservano alcuni autori, conflitto tra diversi schieramenti è in certi
momenti fin esagerato: bisogna badare alla sostanza, lasciando il
nominalismo in secondo piano
E’ importante invece notare come la dinamica dialettica tra le diverse
visioni sia prolifica e permetta di incrociare continuamente l’ analisi di ciò che
è con la sua critica, la quale spesso contiene in sè anticipazioni. Si pensi infatti
che dopo la decisione della Corte Costituzionale n.184 dell’ 86 si torna ad una
( più corretta) collocazione del biologico all’ interno del 2059 c.c. e soprattutto
ad una collocazione del danno spesso indicato come esistenziale sotto questo
cappello (qualcuno aveva predetto l’ interpretazione costituzionalmente
orientata dell’ art. 2059 c.c.) . Poi, successivamente, vi è una fase in cui ci si
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scontra sulla selezione dei pregiudizi risarcibili e qualcuno contesta i danni
bagattellari: ma successivamente con le sentenze della Cassazione del 2008 si
fa proprio riferimento alla predetta gravità dell’ offesa e alla lesione di diritti
inviolabili. In conclusione, la dialettica appare costruttiva.
Le interazioni tra i diversi formanti si possono dire virtuose, e riguardan
più che altro dottrina e giurisprudenza.
È incredibile vedere come si è passati, nella storia della responsabilità
civile, dal danno corpori corpore datum alla ricompresione di pregiudizi di
carattere estremamente personale e areddituale!
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CAPITOLO PRIMO
DALL’ IMPOSTAZIONE TRADIZIONALE
ALL’ ELABORAZIONE DEL DANNO
ESISTENZIALE
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1. IL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE
NELL’ IMPOSTAZIONE TRADIZIONALE
Il sistema risarcitorio della persona, secondo un’ impostazione
tradizionale, è rimasto ancorato per decenni alla distinzione tra danno
patrimoniale e danno non patrimoniale, con una lettura restrittiva della
seconda categoria. Sulla base di una applicazione rigorosamente letterale
dell’ art 2059 c.c.
1
, il danno non patrimoniale risarcibile veniva identificato
con il solo “danno morale soggettivo”, cioè con la sofferenza contingente, il
dolore, i turbamenti transeunti dell’ animo, i patemi determinati dall’ illecito:
tale nocumento veniva infatti comunemente definito come “pretium doloris”
o “pecunia doloris”
2
.
Il legislatore del 1942 ritenne di sottoporre il danno non patrimoniale ad
una clausola particolarmente restrittiva, l’ art. 2059 c.c. , limitando, in una
logica sanzionatoria dei danni non pecuniari, il risarcimento di questa
categoria “ai soli casi determinati dalla legge”. I pregiudizi non economici si
trovarono chiusi in una costruzione di dimensioni anguste e molto ridotte
3
.
1 Art. 2059 c.c. “Danni non patrimoniali” : “ Il danno non patrimoniale deve essere
risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.
2 P.CENDON (Cura), Il risarcimento del danno non patrimoniale I, Parte generale, Danno
biologico, danno morale, danno esistenziale, Bologna, 2009, p. 8.
3 M.BONA e P.G. MONATERI, Il nuovo danno non patrimoniale, nella collana Le nuove
frontiere della responsabilità civile, Milano, 2004, p. 111
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La tutela risarcitoria della persona non era tra le preoccupazioni
prioritarie del legislatore del ’42, ma il risarcimento del danno non
patrimoniale assolveva più a una forma di sanzione.
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L’ impostazione tradizionale pacificamente individuava, tra le ipotesi in
cui la legge consentiva il risarcimento dei danni non patrimoniali, il danno da
reato ex art. 185, comma 2, cod. pen. , secondo cui “ ogni reato, che abbia
cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento
il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere
per il fatto di lui.”
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Il danno non patrimoniale quindi sarebbe stato risarcibile solo
allorquando il fatto illecito che lo ha cagionato avesse integrato gli estremi del
reato.
E’ infatti proprio la limitazione di cui all’ art. 2059 c.c. , in base alla quale i
danni non patrimoniali sono suscettibili di risarcimento solo in caso di reato,
che induce gli interpreti a configurare sempre nuove voci di danno, prima il
danno biologico, poi quello esistenziale, scorporate dall’ art. 2059 e ricondotte
viceversa nell’ alveo dell’ art. 2043 c.c. .
4 M.BONA e P.G. MONATERI, Il nuovo danno non patrimoniale, cit., p. 114.
Così infatti si può leggere nella Relazione Ufficiale del Guardasigilli “Circa il c.d.
risarcimento dei danni morali si è ritenuto di non estendere a tutti la risarcibilità che
l’ art. 185 c.p. pone soltanto per i reati. La resistenza della giurisprudenza a tale
estensione può considerarsi limpida espressione della nostra coscienza giuridica.
Questa avverte che soltanto i caso di reato è più intensa l’ offesa all’ordine giuridico
ed è maggiormente sentito il bisogno di una energica repressione anche con carattere
preventivo.”
5 F.CARINGELLA- R.GAROFOLI- R.GIOVAGNOLI, Giurisprudenza Civile 2005,
Milano, p.5.
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In seguito, i casi di risarcibilità dei danni non patrimoniali furono
ampliati . Vi fu una vera e propria fioritura di norme che contemplano
espressamente ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale, anche in
assenza di illecito penale.
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Tra queste ipotesi vi sono le norme relative a:
- danni cagionati da comportamenti che producono una discriminazione
per motivi razziali, etnici o religiosi ( art. 44 comma 7, D.Lgs. 25 luglio
1998 n. 286)
- danni conseguenti al mancato rispetto del termine ragionevole di durata
del processo ( art. 2 comma 1, L. 24 marzo del 2001 n. 89)
- danni prodotti dall’ illegittimo trattamento dei dati personali, ovverosia
da violazione della riservatezza ( art 15, comma 2, D.Lgs. 30 giugno 2003
n. 186)
- danni da privazione della libertà personale cagionati da comportamenti,
atti o provvedimenti posti in essere con dolo o colpa grave dal magistrato
nell’ esercizio delle sue funzioni, ovvero cagionati da diniego di giustizia
( art. 2 comma 1 L. 13 aprile 1988 n. 117)
Peraltro, la risarcibilità del danno non patrimoniale era già codificata
dall’ art. 89, comma 2, cod. proc. civ. con riferimento al pregiudizio cagionato
da espressioni sconvenienti ed offensive impiegate in atti giudiziari civili,
purché non attinenti all’ oggetto della causa; nonché dall’ art. 598, comma 2,
cod. pen. con riferimento al pregiudizio cagionato da offese contenute negli
scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori nei
procedimenti davanti all’ autorità giudiziaria o amministrativa,
quand’ anche non riguardanti l’ oggetto del procedimento.
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6 Vedi nota precedente.
7 A. TORRENTE – P.SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, IIX ed., Milano, 2007, p.
835.
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Non molto chiaro è cosa si intenda per danno non patrimoniale, nonché
ancora quali siano le funzioni e la natura di quest’ istituto. Secondo alcuni in
dottrina il danno non patrimoniale sarebbe una voce di danno da risarcire al
pari di tutte le altre
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. Secondo altri il risarcimento di tale danno avrebbe una
funzione satisfattiva, nel senso cioè che la devoluzione di una somma di
denaro contribuirebbe ad alleviare il dolore causato dalla lesione
9
. Altri
ancora non esitano a ritenere che il risarcimento del danno non patrimoniale
integri gli estremi di una vera e propria pena privata
10
. Quest’ ultima
soluzione trova conferma, oltre che nelle indubbie difficoltà a quantificare in
qualche modo il dolore, nei criteri utilizzati dai giudici al fine di determinare
l’ entità dell’ obbligazione risarcitoria/ sanzionatoria. In materia di danni non
patrimoniali si fa infatti sovente riferimento non solo alla gravità della
lesione, ma anche al grado di colpevolezza del responsabile dell’ illecito
nonché ancora alla sua condizione patrimoniale o all’ arricchimento realizzato
mediante fatto ingiusto
11
.
Legittimato a domandare il risarcimento del danno morale è la vittima
del reato. Per lunghissimo tempo, la Corte di Cassazione era stata unanime
nel tenere fermo questo principio e negare, di conseguenza, che i prossimi
congiunti della vittima potessero pretendere il risarcimento del danno morale
12
. Tuttavia, un decennio circa fa, con un celebre revirement, la Suprema Corte
ha abbandonato l’ orientamento tradizionale , ammettendo
8 DE CUPIS, Danno e risarcimento, in BUSNELLI, SCALFI (Cur.), Le pene private, Milano,
1985, p. 323.
9 R. SCOGNAMIGLIO, Il danno morale, in Riv.dir.civ.,1957, I, p. 277.
10 P.GALLO, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, p. 96.
11 P. GALLO, Diritto Privato, IV ed.., Torino, 2006, p. 730.
12 Cass. 17 novembre 1997, n. 11396, in Foro. it. Rep., 1997, p. 108.
18
che anche i prossimi congiunti della vittima possano pretendere il
risarcimento del danno morale, a condizione che ne alleghino e ne
dimostrino l’ effettiva esistenza, anche in via presuntiva
13
.
2. L’ AVVENTO DEL DANNO BIOLOGICO
Una prima apertura evolutiva è avvenuta nel momento in cui è stato
elaborato il danno biologico. Il danno biologico- da identificarsi nella
compromissione dell’ integrità psico-fisica della persona- è apparso sulla
scena aquiliana, quale voce risarcibile, grazie alla elaborazione della
giurisprudenza di merito, in particolare della giurisprudenza genovese della
metà degli anni ’70. Fino a tale momento, quindi, l’ aggressione all’ integrità
fisio - psichica della vittima di un illecito non riceveva alcuna riparazione. Si
riteneva risarcibile non tanto il danno alla salute o all’ integrità fisica in sé e
per sé, quanto le conseguenza patrimoniali di carattere negativo che la lesione
aveva comportato nella sfera del soggetto leso. Si risarcivano infatti le somme
sborsate per spese mediche a titolo di danno emergente, nonché la riduzione
della capacità di produrre reddito a titolo di lucro cessante. Vigeva la c.d.
“ regola del calzolaio” , elaborata da Melchiorre Gioia, secondo la quale
all’ indebolimento della mano del calzolaio doveva corrispondere un
risarcimento pari al valore delle scarpe che il medesimo non avrebbe più
potuto realizzare, e, dunque, si parlava di un danno essenzialmente
patrimoniale. Nessun risarcimento invece per la lesione della mano, in sé
considerata
14
.
13 Cass. 19 maggio 1999, n. 4872, in Foro it., 1999, I, p. 2874.
14 P.CENDON (Cura), Il risarcimento del danno non patrimoniale I, cit., p. 8.