4
nell’ambito della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
Il principale dato normativo cui occorre fare riferimento è l’art. 7, comma 3,
L. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 7, comma 4, L. n. 205/2000, secondo
cui "il Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione,
conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del
danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti
patrimoniali consequenziali". Tuttavia, anche a seguito dell’entrata in vigore
del nuovo art. 7 della legge Tar, gli interrogativi in materia di riparto di
giurisdizione con riferimento all’azione risarcitoria non sono del tutto fugati.
La prima questione suscitata dalla disposizione citata deriva dal riferimento in
essa contenuto agli "altri diritti patrimoniali consequenziali". Si tratta di
stabilire se il diritto al risarcimento del danno sia compreso nella incerta
categoria dei diritti patrimoniali consequenziali, e ciò al fine di individuare i
confini entro cui va riconosciuto al giudice amministrativo il potere di
conoscere delle domande di risarcimento del danno asseritamente sofferto in
conseguenza dell’azione o dell’omissione dell’Amministrazione. Occorre
altresì chiedersi se del diritto al risarcimento del danno conosca sempre e
comunque il giudice amministrativo, ovvero se ciò avvenga solo quando lo
stesso sia "consequenziale", al pari degli "altri diritti patrimoniali" di cui
all’art. 7 citato. A tal fine si rende necessario chiarire il senso da ascrivere al
concetto di consequenzialità delineato dalla L. 205/2000.
La problematica esposta presenta profili di interferenza con il tema dei rapporti
intercorrenti tra l’azione demolitoria e quella risarcitoria, l’una tesa a
conseguire l’annullamento dell’atto lesivo, l’altra volta ad ottenere il ristoro del
pregiudizio sofferto a causa dell’illegittima condotta dell’Amministrazione.
Si tratta della dibattuta questione relativa alla operatività della regola della
c.d. pregiudiziale amministrativa, secondo la quale l’ammissibilità della
domanda risarcitoria presuppone la previa demolizione del provvedimento
5
lesivo. L’affermarsi sul piano processuale di tale regola risale al periodo
antecedente la sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite, quando la Corte di
Cassazione ammetteva la tutela risarcitoria del c.d. diritto affievolito, davanti
al giudice ordinario, una volta ottenuto l’annullamento dell’atto amministrativo
illegittimo innanzi al giudice amministrativo. Sul tema sono recentemente
intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le ordinanze
nn.13659 e 13660 del 13 giugno 2006, con una decisa presa di posizione che
però non trova, ad oggi, significative aderenze presso la giurisprudenza
amministrativa.
I due profili del riparto di giurisdizione con riferimento all’azione risarcitoria e
della pregiudizialità dell’azione di annullamento, sono innegabilmente
connessi e le due problematiche destinate ad intrecciarsi. Chiarito
quest’aspetto, si ritiene preferibile procedere ad un’analisi distinta delle
suddette tematiche, per meglio evidenziarne i tratti caratteristici.
La prima parte dell’elaborato è tesa a verificare quale sia l’effettiva consistenza
che il legislatore ha riconosciuto alla sfera di cognizione del giudice
amministrativo. L’analisi della questione comporta la necessità di tener conto
delle implicazioni derivanti dal noto intervento della Corte Costituzionale,
n. 204 del 2004, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli
artt. 33 e 34 del d.lgs.80 del 1998, come novellati dalla l. 205 del 2000. In tale
sede la Consulta ha enunciato taluni principi di diritto, di seguito integrati dalla
sentenza n. 191 del 2006, destinati ad influire sulla determinazione del giudice
innanzi al quale invocare tutela per i danni cagionati dalla Pubblica
Amministrazione. Tra i suddetti principi in questa sede maggiormente interessa
quello per cui la giurisdizione del giudice amministrativo presuppone
necessariamente l’inerenza della controversia all’esercizio del potere, cosicché
devono ritenersi estranee all’ambito di cognizione del giudice amministrativo
le controversie generate da "comportamenti" della Pubblica Amministrazione
6
che non presentano collegamento alcuno con l’esercizio del potere. Verranno
quindi ricostruite le regole generali del riparto nel settore in esame, quello dei
danni cagionati dalla Pubblica Amministrazione che agisce come Autorità,
procedendo all’individuazione delle varie fasi evolutive che hanno portato alla
definizione dell’attuale sistema di riparto.
In secondo luogo verrà affrontato lo spinoso tema della c.d. pregiudizialità
amministrativa, verificando la natura dei rapporti intercorrenti tra l’azione
risarcitoria e l’azione di annullamento con riferimento al riparto di
giurisdizione, nonché il diverso atteggiarsi della giurisprudenza amministrativa
e ordinaria sul tema e gli effetti sul dibattito derivati dalla sentenza n. 204 del
2004 della Corte Costituzionale.
Verranno da ultimo analizzate le tipologie di controversie risarcitorie per le
quali più fortemente si è posto il problema dell’individuazione del giudice
davanti al quale invocare la tutela: si tratta delle ipotesi di danno da silenzio,
cui è connessa la tematica della risarcibilità degli interessi procedimentali, di
danno da responsabilità precontrattuale e, infine, dei danni cagionati alla
persona dall’attività della P.A.
7
CAPITOLO 1
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE CON RIFERIMENTO
ALL’AZIONE RISARCITORIA
1. Il sistema precedente la sentenza 500/99 della Corte di Cassazione
1.1 Cenni storici relativi al riparto di giurisdizione
A seguito dell’unificazione del Regno d’Italia si decise di abolire il sistema del
contenzioso amministrativo istituito nel 1859, sulla base del quale le
controversie tra Pubblica Amministrazione e cittadini erano devolute alla
cognizione di giudici speciali appartenenti all’amministrazione stessa, i
Tribunali Ordinari del contenzioso amministrativo. Il sistema di duplice
giurisdizione che ne derivava era ispirato dall’ordinamento francese e
costituiva diretta conseguenza di un’applicazione meccanicistica della teoria di
separazione dei poteri sotto il profilo della incondizionabilità e specificamente
della insindacabilità dell’azione amministrativa discrezionale da parte di un
potere diverso, quello giurisdizionale. "Con l’unificazione si affermò
l’ideologia liberale della giurisdizione unica, secondo la quale per tutte le
controversie che potessero sorgere tra cittadino e Pubblica Amministrazione,
unico giudice doveva essere il magistrato ordinario"
1
. Con la legge 20 marzo
1865 n. 2248, Allegato E, si provvide allo scioglimento dei Tribunali del
contenzioso amministrativo per devolvere al giudice ordinario la giurisdizione
sulle "materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico,
comunque possa essere interessata la Pubblica Amministrazione, ancorché
siano emanati provvedimenti del potere esecutivo e dell’autorità
1
P. Virga, Diritto amministrativo-atti e ricorsi, II, Milano, Giuffrè, 1999, pag. 163.
8
amministrativa"
2
, riservando all’autorità amministrativa stessa la competenza
circa gli “affari non compresi nell’articolo precedente"
3
. Il sistema sorto a
seguito della c.d. legge abolitrice del contenzioso amministrativo mostrò ben
presto gravi lacune in relazione alla tutela di tutte quelle situazioni dei privati
che non assurgessero al rango di diritti soggettivi, tenendo conto anche del
fatto che il potere del giudice ordinario non includeva la revoca o
l’annullamento dell’atto amministrativo ma era limitato alla conoscenza degli
effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. Si comincia così a
prospettare l’opportunità dell’istituzione di un organo ad hoc cui conferire il
potere di annullare gli atti amministrativi illegittimi a fronte dell’insufficienza
della tutela accordata dall’articolo 3 della legge abolitrice del contenzioso
amministrativo alle posizioni soggettive non configurabili come diritti, affidata
ai soli ricorsi amministrativi.
La legge 5592 del 1889 intervenne a istituire la IV Sezione del Consiglio di
Stato
4
quale organo giurisdizionale per la tutela degli interessi diversi dai diritti
soggettivi, introducendo il sistema della "doppia giurisdizione" o del "doppio
binario", cioè divise la giurisdizione nei confronti della Pubblica
Amministrazione tra due ordini giurisdizionali: mentre il giudice ordinario
continuava a conoscere della lesione dei diritti soggettivi, il giudice
amministrativo si occupò della sola illegittimità degli atti amministrativi
derivante dalla violazione di norme disciplinanti l’azione della Pubblica
Amministrazione. Si venne così a configurare una tutela dell’interesse
legittimo non più di tipo giustiziale ma giurisdizionale, senza però che fosse
2
V. art. 2 Legge 2248/1865, Allegato E.
3
V. art. 3 Legge 2248/1865, Allegato E.
4
L’analisi storiografica relativa alla istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato è trattata da
R. Iannotta in Le condizioni politiche e sociali coeve alla istituzione della sez . IV del Consiglio di
Stato e le prospettive attuali, studi per il centenario della Quarta Sezione, Volume 1, pagg. 117 e ss.,
Roma 1989, consultabile su http://www.giustizia-amministrativa.it.
9
prospettata una puntuale definizione a livello normativo dello stesso e
nonostante il criterio di riparto della giurisdizione si basasse sulla natura della
situazione giuridica lesa. Sorsero così nuove difficoltà: non sempre la
situazione giuridica soggettiva era univocamente inquadrabile nella categoria
del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo. Per ovviare a tali difficoltà il
legislatore con il d.l. 2840/1923 attribuì una competenza esclusiva al Consiglio
di Stato per "blocchi di materie" a prescindere dalla riconducibilità a taluna
categoria della situazione in esame, derogando così all’impostazione
tradizionale basata sul riparto di giurisdizione per posizioni subiettive assunta
con la legge 2248/1865.
La Carta Costituzionale si innesta su questo sistema, sostanzialmente
confermandolo. La distinzione tra posizioni giuridiche soggettive e interessi
legittimi trova pieno riconoscimento e viene approntata una tutela per
entrambe: l’articolo 24 dispone, infatti, che "tutti possono agire in giudizio per
la tutela di propri diritti e interessi legittimi". Sulla base della natura della
situazione giuridica soggettiva lesa la giurisdizione è attribuita dall’articolo
103 al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa per la
tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi legittimi e,
in particolari materie individuate dalla legge, anche dei diritti soggettivi,
mentre la tutela dei diritti soggettivi è affidata in via generale al giudice
ordinario. È, infine, l’articolo 113 a prevedere il meccanismo della doppia
giurisdizione sulla tutela del cittadino nei confronti della Pubblica
Amministrazione: "contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre
ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi
dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria o amministrativa". La
Costituzione però, pur inserendo l’interesse legittimo tra le posizioni giuridiche
tutelabili, non provvede a darne una definizione né a delinearne i caratteri e gli
elementi peculiari che permettano di distinguerlo dal diritto soggettivo, ciò
10
che rende difficile stabilire quale sia l’ambito di tutela effettiva da riconoscersi
all’interesse de quo: è stata la dottrina a formulare, nel corso degli anni, teorie
volte all’elaborazione di una nozione dell’interesse legittimo, per chiarirne il
ruolo rispetto al diritto soggettivo e tracciare i limiti della sua tutela.
L’interesse legittimo venne dapprima costruito come posizione individuale
tutelata solo se e in quanto coincidente con la tutela di un interesse pubblico: si
tratta della teoria dell’interesse occasionalmente protetto
5
, la quale concede
una tutela dell’interesse legittimo che si configura come meramente
occasionale, in quanto tesa non tanto a soddisfare l’interesse individuale
quanto a riparare le conseguenze di un atto amministrativo illegittimo che, in
qualche modo, crea degli svantaggi al privato. Ad esempio, le norme che
prescrivono determinate modalità di accesso ad un concorso pubblico devono
essere rispettate perché esse proteggono direttamente l'interesse della Pubblica
Amministrazione ad avere personale selezionato correttamente, e, solo
indirettamente, i singoli candidati, cosicché, quando il privato agisce in
giudizio per ottenere il rispetto delle regole procedurali, viene tutelato perché
mira ad ottenere il rispetto di regole poste in primis a tutela dell'interesse
pubblico e solo secondariamente dell’interesse privato. Pertanto si parla di
interesse occasionalmente protetto perché l'interesse privato è tutelato solo in
occasione della protezione di un interesse pubblico che sia ad esso
sovraordinato
6
. L'interesse legittimo viene allora definito come "un interesse
individuale strettamente connesso con un interesse pubblico e protetto
dall'ordinamento soltanto attraverso la tutela giuridica di quest'ultimo"
7
. Pur
5
G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, 8^ ed.,Milano,Giuffrè, pagg. 121 ss.
6
“Questa teoria risente innegabilmente del panstatalismo e del monismo che fu tipico
dell’autoritarismo liberal-borghese prima, e del totalitarismo dopo, in quanto l’interesse legittimo
sarebbe tutelato solo in occasione della protezione dell’interesse pubblico inteso come interesse dello
stato-apparato”, in Galateria-Stipo, Manuale di diritto amministrativo, 3^ ed., Torino, Utet, pag.88.
7
G. Zanobini, op. cit., pag 187.
11
potendosi attribuire a questa teoria il merito di aver individuato un
collegamento tra interesse legittimo e interesse pubblico, è evidente la sua
incapacità di analizzare autonomamente l’interesse legittimo. Ad esso, infatti,
accorda una tutela indiretta o riflessa, per cui il privato dovrà attendere la
lesione dell’interesse pubblico ad opera dell’atto amministrativo illegittimo per
vedere tutelata la propria posizione soggettiva lesa. Altra obiezione mossa a
questa tesi consiste nel fatto che la rimozione di un provvedimento contrario
alla legge non sempre costituisce il risultato conforme al pubblico interesse
potendo, infatti, esistere provvedimenti illegali ma sommamente utili alla
collettività
8
. Si è detto infine che questa teoria è frutto di una visione statalista
del diritto amministrativo, visione che parte dal presupposto che
l'amministrazione occupi una posizione di privilegio e che non trova posto
oggi, dato che l'amministrazione è vista come espressione degli stessi governati
e non può porsi al di sopra del cittadino. Al fine di sopperire alla carenza di
tutela derivante da tale teoria e risolvere le contraddizioni connesse a tale
impostazione, la teoria processualistica si preoccupa in primis di dare una
definizione esaustiva dell’interesse de quo, andandolo a identificare con
l’interesse a ricorrere in giudizio attribuito al destinatario di un provvedimento
amministrativo illegittimo, al fine di ottenere una pronuncia di annullamento
dello stesso
9
. La tesi prende le mosse da una bipartizione delle norme
disciplinanti l’azione amministrativa: la prima categoria è costituita dalle
norme che tutelano l’interesse pubblico in via esclusiva, le c.d. norme di
azione, e la seconda è relativa alle norme che regolano le situazioni ed i
rapporti giuridici tra l’autorità amministrativa e i cittadini, le c.d. norme di
relazione, caratterizzate dal fatto di risolvere conflitti intersoggettivi di
8
R. Galli, Corso di diritto amministrativo, 4^ ed., Padova, Cedam, 1996, pag. 52.
9
V. E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, 3^ ed., Padova, Cedam, 1954, principale esponente di
tale corrente dottrinale .
12
interessi
10
. Nel caso in cui la Pubblica Amministrazione violi una norma di
relazione, si ha lesione di un diritto soggettivo, tutelabile dinanzi al giudice
ordinario. Quando, invece, è una norma di azione ad essere violata, essendo la
stessa rivolta al perseguimento dell’interesse pubblico, non possono che
sussistere in capo al privato meri interessi legittimi ed egli potrà ricorrere in
giudizio solo nell’ipotesi di atto amministrativo viziato da illegittimità. La
fruizione e il mantenimento degli interessi dei privati sono, in tali casi,
dipendenti dall’esercizio di un potere da parte della P.A.
È opportuno rilevare però, come, inteso in questi termini, l’interesse legittimo
finisca con l’assumere una rilevanza di tipo meramente processuale; esso,
infatti, legittima il privato a proporre ricorso giurisdizionale avverso l’atto
amministrativo illegittimo e attribuisce al titolare esclusivamente un potere di
reazione processuale come riflesso della lesione di un interesse pubblico,
finendo per sacrificare la valenza sostanziale dell’interesse privato suddetto.
Per ovviare a tali difficoltà, una corrente dottrinale ha affermato la necessità di
individuare il bene della vita a cui l'interesse legittimo si riferisce,
rintracciandolo in una situazione complessa, costituita da tre elementi:
l'interesse di un privato (di vario tipo), un interesse pubblico confliggente con
esso e infine l'interesse del privato a subire il minimo sacrificio possibile della
propria posizione. Tali elementi, nel loro insieme, costituirebbero il substrato
sostanziale dell'interesse legittimo. Rispetto alle concezioni precedenti,
vediamo come l'interesse del privato non sia subordinato a quello pubblico,
essendo tutelato in modo solo indiretto; esso, infatti, trova una tutela diretta e
si pone su di un piano di parità con l'interesse pubblico perché lo scopo della
norma attributiva dell'interesse legittimo è quello di realizzare un equo
10
E. Casetta , Manuale di diritto amministrativo, 5^ ed., Milano, Giuffrè, 2003.
13
contemperamento di opposti interessi.
11
L'interesse legittimo può allora
definirsi come la pretesa del singolo alla legittimità dell'atto amministrativo,
ovvero al corretto esercizio del potere da parte della Pubblica
Amministrazione. Tale pretesa non è processuale o procedimentale, costituisce
invece un riflesso della situazione sostanziale,
12
non potendo l'interesse
legittimo identificarsi nell'astratta pretesa alla legalità ove non sussista
posizione di interesse sostanziale lesa dal provvedimento amministrativo.
13
In
tal senso, quindi, l’interesse legittimo esisterebbe già prima del processo ed
indipendentemente da esso, nascendo ogni qual volta la Pubblica
Amministrazione debba realizzare l'interesse pubblico sacrificando un interesse
privato di qualsiasi tipo o confliggendo con esso.
14
Questa teoria è stata
contestata da M. S. Giannini, il quale ha affermato che essa è un "rebus, poiché
se le situazioni soggettive si definiscono in ordine a beni della vita, non si
intende come la legittimità di un atto (cioè la qualificazione astratta di un atto)
possa essere vista come un bene della vita".
15
11
Galateria L.-Stipo M., Manuale di diritto amministrativo, 4^ ed., Torino, Utet, 2001, pag. 93.
12
F. Bassi, Lezioni di diritto amministrativo, 7^ ed., Milano, Giuffrè, 2003, pagg. 169 e ss.; P. Virga,
op. cit., pagg. 171 e ss.: “l'interesse legittimo può definirsi come la pretesa alla legittimità dell'atto
amministrativo, che viene riconosciuta a quel soggetto, che si trovi rispetto all'esercizio di un potere
discrezionale dell'amministrazione in una particolare posizione legittimante”.
13
P. Virga, op.cit., e A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, 12^ ed., Napoli, Jovene, 1980,
pagg. 107 e ss.; anche per questo autore interesse legittimo è una posizione giuridica sostanziale il cui
oggetto diretto e immediato è l'interesse dell'amministrato alla legalità dell'azione amministrativa; tale
posizione presuppone un oggetto indiretto e mediato, costituito da un'altra situazione di diritto
sostanziale (ad esempio il diritto di proprietà del privato, o il diritto ad ottenere un'autorizzazione) che
rimane sullo sfondo.
14
secondo S. Cassese, in tal modo "la determinazione di un giudice ed un'esigenza di tutela vengono
soddisfatte ammettendo l'esistenza di un diritto permeato di interessi pubblici" e "ciò fa parte
dell’illiberalismo del liberalismo europeo, specialmente di quello italiano, che è riuscito a giustificare i
più gravi interventi autoritari. Si affermava, insomma, un principio liberale, di tutela di situazioni
private, a mezzo di uno strumento illiberale, quello secondo il quale tali situazioni sono il riflesso di
interessi statali", in S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, 8^ ed., Milano, Garzanti, 2004, pag.
467.
15
M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1970, pag. 515.