6
Oltre a quella di rappresentare l’unità nazionale, la Costituzione attribuisce
al Presidente della Repubblica altre funzioni e poteri, propri di una
Repubblica parlamentare e non presidenziale, alcuni formali, ma altri
sostanziali e molto importanti per la vita politica e istituzionale del Paese.
Prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà.
Ai sensi dell’art. 87 Cost.:
ξ Può inviare messaggi alle Camere
ξ Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione
ξ Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di
iniziativa del Governo
ξ Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i
regolamenti
ξ Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione
ξ Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato
ξ Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati
internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere
ξ Ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo di
difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra
deliberato dalle Camere
7
ξ Presiede il Consiglio superiore della magistratura
ξ Può concedere la grazia e commutare le pene
ξ Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Inoltre può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola
di esse. Nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di quest’ultimo, i
ministri. Quindi i suoi poteri influiscono sull’attività delle Camere, sulla
funzione esecutiva e sulla sfera giudiziaria. Non è responsabile degli atti
compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o
per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato d’accusa dal
Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
1.1.2 LE POSIZIONI IN DOTTRINA
Nella dottrina italiana è divenuta dominante la configurazione garantistica
del Presidente della Repubblica, secondo cui il Capo dello Stato viene ad
assumere la figura e il ruolo di supremo garante della Costituzione. A tale
concezione si oppone quella che vede il Capo dello Stato come struttura, in
via normale o in via eccezionale, governante.
8
La ricostruzione della figura e del ruolo del Presidente della Repubblica
come struttura di garanzia costituzionale risale, nella prima formulazione,
all’entrata in vigore della Costituzione. A sostegno di questa tesi
garantistica, il Rossano ad esempio, ha riconosciuto al Presidente una
posizione prevalentemente di controllo, che si esprime anche con la
possibilità del rinvio della legge alle Camere o con l’eventuale richiesta di
riesame dei propri atti rivolta al Governo, in una visione che si traduce in
un bilanciamento tra i poteri in un reciproco condizionamento. La volontà
del Presidente presuppone, quindi, già formati gli atti da promulgare o da
emanare. E ciò in coerenza, del resto, con le previsioni costituzionali che
attribuiscono la funzione legislativa al Parlamento (art. 70 Cost.) e soltanto
in casi eccezionali al Governo ( art. 76-77 Cost.) e mai al Presidente della
Repubblica.
1
A questa concezione si oppone quella sostenuta dall’Esposito che muoveva
contro le tesi garantistiche definendole polemicamente “concezioni
mistiche”, criticando la posizione di organo imparziale del Capo dello
Stato. Di conseguenza , secondo tale autore, la posizione del Capo dello
Stato non differisce affatto dalle altre istituzioni per la qualità del potere
esercitato, ma al contrario come le altre può far valere le proprie direttive,
tendenze, opinioni e orientamenti. L’Esposito gli riconosce un ruolo
1
Rossano – Voce Presidente della Repubblica, Enc. Giur. Volume XXIV – Roma,
Treccani, 1991
9
preminente solo in casi eccezionali: il Capo dello Stato avrebbe la
possibilità di trasformarsi, in periodo di crisi, da Capo formale in Capo
effettivo dello Stato.
2
Alla concezione garantistica si oppone un’altra tesi, che muovendo da una
delle molteplici interpretazioni della teoria del “potere neutro” del Capo
dello Stato, finisce per confluire in una concezione politicizzante del
Presidente della Repubblica. Secondo tale opinione sostenuta da
Baldassarre, il Capo dello Stato è “potere neutro” non nel senso che prende
decisioni fondamentali (come invece sostenuto da Esposito) ma nel senso
che è un potere che sta in mezzo a poteri attivi per moderarli e quindi
adempirebbe funzioni di moderazione, di relativizzazione delle
contrapposizioni politiche, nonché di superamento di conflitti politici che
potrebbero impedire il buon funzionamento del sistema costituzionale.
2
Esposito – Voce Capo dello Stato, Enc. del dir. Volume VI – Milano, Giuffrè, 1960
10
1.2 LA PROMULGAZIONE NEL
PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
1.2.1 PREMESSE
E’ necessario rilevare l’importanza fondamentale del riconoscimento di un
diritto di partecipazione, in qualsiasi forma, al Capo dello Stato nel
processo legislativo.
In ogni ordinamento statale uno dei punti di maggiore importanza è quello
che attiene alla formazione delle leggi, in particolare ciò che concerne gli
organi cui appartiene il potere di legiferare. In particolare già con la
rivoluzione francese la “separazione dei poteri”, accennata da Locke e
teorizzata da Montesqiueu, troverà attuazione in larga misura, se pure con i
diversi adattamenti, nelle forme di governo degli Stati contemporanei.
Secondo tale teoria, nell’ambito di un ordinamento statale, ciascun organo
esercita la sua competenza in via tendenzialmente esclusiva, senza
condizionamento degli altri organi. Un esempio di rigida applicazione del
principio della separazione dei poteri è dato dalla Costituzione americana,
dove Congresso (organo legislativo) e Presidente (organo esecutivo) non
11
sono legati da alcuna relazione fiduciaria. Diversamente accade nelle forme
di governo parlamentare dove sono previsti strumenti di collegamento e
coordinamento tra i vari organi, in base ad una applicazione attenuata della
separazione dei poteri. Nelle forme di governo parlamentare vediamo
quindi che l’Esecutivo e il Legislativo sono raccordati da un rapporto di
fiducia che presuppone l’esistenza o la creazione di una maggioranza
parlamentare d’appoggio politico al governo; accanto ai due poteri si
colloca il Capo dello Stato (monarchico o repubblicano) escluso dalla
funzione di governo e investito invece di funzioni di controllo non
giurisdizionale e anche di intervento attivo ai fini di garanzia
costituzionale. Con il referendum del 1946, la scelta della Repubblica e
l’entrata in vigore della Costituzione, anche la posizione del Presidente
della Repubblica risulta strettamente collegata con la forma di governo
adottata. Ciò non vuol dire che egli non sia titolare di funzioni rilevanti.
Il nostro attuale sistema di Governo parlamentare tende a realizzare un
equilibrio fra i tre organi costituzionali politici, per questo non può
affermarsi che esista netta prevalenza di uno di essi sugli altri. Tuttavia una
spiccata rilevanza è affidata al Parlamento. La Costituzione, per realizzare
l’equilibrio tra i tre organi costituzionali, affida al Presidente della
Repubblica un’altissima posizione nella vita dello Stato.
12
Infatti egli assume spesso un ruolo di “equilibratore” nella delicata sfera dei
rapporti tra le autorità statali. Il suo compito essenziale nel processo
legislativo è di assicurare la difesa dei fondamentali interessi dello Stato
che risultano dalla Costituzione e di favorire l’adeguamento dell’azione
degli organi costituzionali politici alle istanze unitarie della società
nazionale.
3
E’ l’unico organo abilitato ad avere una visione superiore e
coordinata degli interessi costituzionali e dello Stato, valori questi
intangibili del sistema democratico. E’ proprio in questa prospettiva che si
inquadra, dunque, il suo potere di promulgazione.
1.2.2 LA FUNZIONE LEGISLATIVA DEL PRESIDENTE
3
Bozzi A. – Note sul rinvio presidenziale della legge, Riv. trim. dir. pubb.– Milano,
Giuffré, 1958 , pag 747
13
In questo schema sull’iter di formazione di una legge si evidenzia come su
di un progetto di legge, approvato nell’identico testo da Camera e Senato,
interviene il Presidente della Repubblica attestando che un certo testo è
stato approvato quale legge e ne ordina la pubblicazione e l’osservanza; in
ossequio dunque ad un sistema parlamentare che attribuisce alle Camere il
potere legislativo (ed eccezionalmente al Governo).
In sede di Assemblea Costituente la promulgazione appariva
strutturalmente come attività integrativa e accessoria rispetto a quella del
Governo, perché sopravveniva sull’atto governativo già formato in tutti i
suoi elementi. L’istituto della promulgazione presentava tutte le
caratteristiche di una funzione di controllo; di un controllo giuridico, non
libero, vincolato dal diritto, e più precisamente dalla Costituzione. Tale
funzione si riproduceva non solo in sede di promulgazione della legge,
come appena rilevato, ma anche nell’attività esercitata dal Presidente della
Repubblica in occasione dell’esercizio delle altre sue attribuzioni.
4
La Costituzione attribuisce al Presidente il potere di promulgare le leggi
all’art. 87 mentre l’art. 73, oltre ad affermare la medesima attribuzione,
contiene la disciplina per l’esercizio di tale potere. Disciplina che attiene,
innanzitutto, alla fissazione del termine di promulgazione (un mese dalla
4
Galeotti S. – Il Presidente della Repubblica: struttura garantistica o struttura
governante? – Scritti per Crisafulli – Milano, Giuffré, 1985, pag. 277
14
loro approvazione) e alla collocazione della promulgazione come fase
intermedia tra l’approvazione parlamentare della legge e la sua successiva
pubblicazione. Se le Camere, tuttavia, ne dichiarano l’urgenza, la legge è
promulgata nel termine da essa stabilito. Il termine di promulgazione
risulta, quindi, variabile alla duplice condizione che ciascuna Camera
deliberi a maggioranza assoluta l’urgenza della legge e che nel testo di
quest’ultima sia inserita la disposizione che fissa un termine diverso da
quello generale fissato dal comma 1 dell’art. 73. La determinazione
concreta del periodo durante il quale si deve procedere alla promulgazione
(o al rinvio) pone il problema dell’individuazione del dies a quo di tale
periodo. Al riguardo vi potrebbero essere due interpretazioni: 1) che tale
termine decorra dall’approvazione comunicata al Presidente della
Repubblica. Tale interpretazione si basa sull’esigenza di assicurare sempre
al Presidente il tempo sufficiente per valutare e studiare la legge, per
decidere se promulgarla o rinviarla. Si basa, cioè, sulla premessa secondo
cui il termine fissato per la promulgazione o per il rinvio ha l’esclusiva
funzione di garantire l’esercizio dei poteri attribuiti al Capo dello Stato
dalle disposizioni costituzionali; 2) che il termine di promulgazione
rappresenta una garanzia nei confronti delle Camere e soltanto
accessoriamente ed eventualmente nei confronti del Presidente della
Repubblica. Quindi il dies a quo coincide sempre col giorno di
15
approvazione della legge da parte della Camera che interviene per ultima.
Di conseguenza, il termine di promulgazione, per il fatto di costituire
soprattutto strumento di garanzia per le Camere, ha valore perentorio. Il
Presidente, indipendentemente dal periodo di tempo rimasto a sua
disposizione, sarà tenuto a promulgare la legge entro il termine stabilito in
generale dall’art. 73 o entro quello eventualmente più breve stabilito dalle
Camere. Per ciò che concerne invece le leggi di conversione dei decreti
legge (ex. art. 77), secondo parte della dottrina, il termine non può essere
quello generale di trenta giorni. Tale teoria si fonda soprattutto sui dati
forniti dalla prassi, secondo la quale il Presidente della Repubblica
promulga sempre le leggi di conversione entro il termine di sessanta giorni
fissato dall’art. 77 Cost., senza mai pretendere di avvalersi aggiuntivamente
del termine di trenta giorni ex art. 73 Cost.
5
5
Cicconetti – Voce Promulgazione, Enc. Giur. Vol. XXIL – Roma, Treccani, 1991