7
l’articolo 227; soci illimitatamente responsabili delle s.n.c. e delle s.a.s., secondo l’articolo
222 e in generale soci a responsabilità illimitata, secondo l’articolo 203).
Le modifiche legislative intervenute, inoltre, non hanno chetato le discussioni dottrinali e
giurisprudenziali che hanno riguardato, già dall’origine, il contenuto dell’articolo 218 e delle
norme ad esso collegate.
Tutti questi argomenti saranno meglio affrontati all’interno dei successivi capitoli, tuttavia è
necessario occuparsi di alcuni punti fondamentali che riguardano il reato e di alcune
definizioni preliminari, necessarie per comprendere meglio le questioni più complesse.
2. Il “credito”: definizione e caratteristiche
La definizione di “credito”, in relazione alla fattispecie di ricorso abusivo, è per orientamento
unanime della dottrina2, ampia e comprensiva di moltissime figure di contratto; infatti,
qualsiasi negozio giuridico che determina una prestazione dilazionata nel tempo, a fronte di
un immediato beneficio, integra la nozione di credito; in altri termini si potrebbe definire il
credito come integrato con “qualunque prestazione cui taluni si induce nella fiducia di
ottenere dall’accipiens il corrispettivo pattuito”3 o comunque comprensivo di “qualunque
prestazione data a fido per ottenere una controprestazione differita nel tempo” 4. Non è
necessario, ai fini dell’integrazione della figura di reato qui esaminata, che il credito, in
quanto istituto, venga erogato per la stipulazione di un negozio giuridico commerciale; anche
i rapporti creditizi costituiti a scopo personale (che integrano il c.d. credito civile, contro il
c.d. credito di impresa, utilizzato prettamente per l’attività imprenditoriale) possono, nel
momento in cui si accompagnino agli altri elementi individuati dall’articolo 218, comportare
la realizzazione della fattispecie criminosa; il concetto di credito qui espresso è più ampio del
concetto considerato nel settore bancario, poiché, se il legislatore avesse voluto limitare ad un
2
ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale – leggi complementari: reati fallimentari, tributari, ambientali e
dell’urbanistica, II, Milano, Giuffré, 2003, p. 179;
CONTI L., Il diritto penale dell’impresa, in GALGANO F. (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di
diritto pubblico dell’economia, Vol. XXV, Padova, CEDAM, 2001, pp. 576-577;
GIULIANI-BALLESTRINO U., La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, Giuffré, 1999, p. 421;
LA MONICA M. , I reati fallimentari, Milano, Giuffré, 1972, p. 518;
PALAZZO F., PALIERO C.E. (con la collaborazione di) GARGANI A., Commentario breve alle leggi penali
complementari, Padova, CEDAM, 2003; p. 956;
PARTENITI C., Diritto penale dell’economia, Torino, Giappichelli, 1995, p. 168;
SANDRELLI G.G., I reati della legge fallimentare diversi dalla bancarotta: il ruolo del curatore nel processo
penale, Milano, Giuffré, 1990, pp. 9-10;
PROVINCIALI R., Ricorso abusivo al credito, in Dir. Fall., 1952, I, p. 176.
3
ANTOLISEI F., Manuale..., cit.., p. 179.
4
“Nel qual concetto rientrano tutti i rapporti che si fondano sulla fiducia del creditore di dare immediatamente
la prestazione sua nella aspettativa di ricevere la controprestazione in tempo successivo” PROVINCIALI R.,
Ricorso abusivo al credito,cit., p. 176;
8
solo settore, ad una sola tipologia, il concetto di credito, avrebbe indicato in modo specifico le
modalità di ottenimento del “fido” o comunque del finanziamento.
I contratti e, più in generale, i negozi giuridici che possono essere presi in considerazione in
relazione all’erogazione del credito sono i più disparati: ci si può riferire al contratto di
compravendita, permuta o locazione in cui la dazione del prezzo, della cosa o del canone non
sia contestuale alla controprestazione. Ad esempio ciò può accadere nella promessa di vendita
e, più in generale, nei contratti preliminari, nei quali si trova la formulazione di una promessa,
(che si accompagna alla fiducia riposta nella controparte) che determini un immediato
vantaggio per la controparte (rispetto al promettente) e contemporaneamente l’assenza di un
corrispondente tornaconto immediato per la prima parte considerata, che quindi assume su di
sé il rischio della mancata restituzione del prestito, del mancato pagamento (totale o parziale)
della merce e così via. Si pensi, appunto, alla promessa di compravendita con immediata
corresponsione, in tutto o in parte, del prezzo o con immediato trasferimento del possesso
della cosa, oppure all’emissione di assegni post-datati, oppure, ancora, ai veri e propri
contratti di finanziamento come il mutuo e i fidi bancari5.
Per una parte della dottrina6, sono sicuramente ricomprese, nella nozione di credito, le
prestazioni in natura (di fare e di dare), rese a fronte di controprestazioni di natura analoga o
di differente tipologia; così, si può ritenere punibile, secondo questo orientamento, anche
l’imprenditore che dissimuli il dissesto verso i propri dipendenti, continuando a fruire delle
loro prestazioni lavorative, qualora il compenso dovuto ai lavoratori sia dilazionato nel tempo,
con una dilazione maggiore rispetto a quella che usualmente si applichi per il pagamento dei
salari e degli stipendi (cioè il normale versamento dello stipendio o del salario una volta al
mese)7.
In riferimento all’articolo 218 della Legge Fallimentare, la condotta del soggetto attivo si
riferirà al credito non a causa del semplice ottenimento della fiducia della controparte o del
5
La Cassazione penale, con sentenza 12 giugno 1952, (in Giust. Pen.., 1952, II, c. 1317), ha sostenuto che sia da
ritenersi responsabile per il reato di ricorso abusivo al credito il commerciante che, “anche se non contrae mutui
o riceve denaro, acquista merci senza pagarle immediatamente con l’intenzione, seguita dal fatto, di rivenderle
e nascondendo ai venditori il proprio stato di fallimento”
Secondo il Tribunale di Piacenza, nella sentenza del 19 settembre 1952, (in Banca, borsa e tit. cred., 1953, II, p.
554), il commerciante in stato di fallimento che acquisti della merce dissimulando il proprio stato di insolvenza
commette il reato ex articolo 218 Legge Fallimentare,
6
SANDRELLI G.G., I reati..,cit., .p. 10;
PEDRAZZI C., SGUBBI F., in GALGANO F. (a cura di), Commentario Scialoja-Branca: legge fallimentare,
Bologna, Zanichelli, 1995, p. 196; gli autori specificano che le obbligazioni che hanno ad oggetto un facere
devono esigere l’impiego di mezzi patrimoniali, come può accadere per un contratto di appalto;
7
Sarebbero esclusi, quindi, quei contratti nei quali – come avviene, ad esempio, per quelli stipulati con alberghi
e ristoranti – l’accipiens sia tenuto ad eseguire immediatamente la propria prestazione; così CONTI L., Il diritto
penale dell’impresa.,cit., p. 576; così anche LANZI A., La tutela penale del credito, Padova, CEDAM, 1979, p.
117;
9
finanziamento, ma in relazione al fatto di aver dissimulato il proprio stato di dissesto (e, dopo
la recente riforma, il proprio stato di insolvenza), allo scopo proprio di ottenere il margine di
fiducia necessario per usufruire dei fidi, dei finanziamenti e delle dilazioni di pagamento.
Poiché, di per sé, la condotta del “ricorso al credito” non potrebbe da sola integrare un fatto di
reato (in quanto perfettamente lecita e, anzi, connaturata alla fisiologica attività di impresa) è
necessaria la dissimulazione per determinare il pericolo di lesione nei confronti della
controparte.
3. Derivazione storica della fattispecie di ricorso abusivo al credito: dal codice di
commercio alla Legge Fallimentare
Il reato di ricorso abusivo al credito, in relazione al contenuto intrinseco delle disposizioni che
lo disciplinano, è stato, come si è già visto al § 1, modificato negli ultimi anni, con
l’introduzione di previsioni legislative più precise e analitiche.
Tuttavia, la “storia” della fattispecie prevista dall’articolo 218 della Legge Fallimentare, è
molto più complessa e risalente e il suo esame ha dato vita, all’interno della dottrina, a
dibattiti e scontri che hanno portato i diversi giuristi ad esprimere punti di vista differenti.
Infatti, nonostante la dottrina maggioritaria si schieri a favore di un orientamento preciso, vi è
stata la creazione di dottrine limitate, ma comunque autorevoli, di dissenso. Se, infatti, il
gruppo maggioritario di Autori8 sostiene la riconducibilità dell’attuale reato di ricorso abusivo
al credito al precedente articolo 856 n.3 del Codice di commercio9, un’altra parte della
dottrina sostiene il contrario, eliminando ogni possibilità di collegamenti con la vecchia
fattispecie10.
L’articolo 856 del Codice di Commercio indicava:
8
ANTOLISEI F., Manuale..., cit.., p. 176-177;
CONTI L., Il diritto penale dell’impresa, cit., p.577;
CONTI O., Ricorso abusivo al credito (voce), in AZZARITI G., BATTAGLINI E., SANTORO PASSARELLI
F. (diretta da), Enciclopedia forense, Vol. VI, Milano, Edizioni Francesco Vallardi, 1961, p. 490;
PEDRAZZI C., SGUBBI F., in GALGANO F. (a cura di), Commentario..., cit.., pp. 192-193;
PROVINCIALI R., Ricorso abusivo al credito., cit., pp. 183-184;
9
Cioè del R.D. n. 1062 del 31 ottobre 1882.
10
PALAZZO F., PALIERO C.E. (con la collaborazione di) GARGANI A., Commentario....,cit., p. 955;
PROVINCIALI R., Trattato di diritto fallimentare, Vol. IV, Milano, Giuffré, 1974, p. 2682; e dello stesso autore
Ricorso abusivo al credito., pp. 183-184;
Orientamento parzialmente negativo è attribuibile anche a DE SEMO G. , Sul reato di ricorso abusivo al credito,
in Giust. Pen., 1951, II, cc.85-86;
10
“E’colpevole di bancarotta semplice il commerciante che ha cessato di fare i suoi pagamenti
e si trova in uno dei casi seguenti:
1) se le spese personali o quelle della sua famiglia furono eccessive, rispetto alla sua
condizione economica;
2) se ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o
manifestamente imprudenti;
3) se, allo scopo di ritardare il fallimento, ha fatto compre coll’intenzione seguita dal
fatto di rivendere al di sotto del valore corrente, ovvero ha fatto ricorso a prestiti, a
girate di effetti o ad altri mezzi rovinosi per procurarsi fondi;
4) se, dopo la cessazione dei pagamenti, ha pagato qualche creditore a danno della
massa;
5) se non ha tenuto i libri prescritti, od almeno il libro giornale”11
Come indicato, la parte dell’articolo che qui interessa è il numero 3, che prevedeva, già nel
1882, una fattispecie molto simile al ricorso abusivo al credito, annoverandola, però,
all’interno del Libro III, TitoloVIII, Capo I, tra i reati di bancarotta12.
Il risalente Codice di commercio copiava la legge francese del 1838, comprendendo sotto il
titolo “Delle bancherotte” ogni reato che si fosse potuto consumare nei fallimenti, oltre alle
norme che sanzionavano i colpevoli di questi reati. In questo titolo si trovavano quattro
differenti capi; i primi tre trattavano, rispettivamente: Della bancarotta semplice, Della
bancarotta fraudolenta e Dei reati commessi nei fallimenti da altri che dal fallito. All’interno
di questo titolo si trovavano, però, fattispecie non direttamente assimilabili alla bancarotta
(come l’attuale ricorso abusivo al credito) che vennero, originariamente, illegittimamente
assimilate alla bancarotta anche dal legislatore italiano, nel Libro III, Titolo VIII, Capo I. Il
ricorso abusivo al credito veniva, quindi, annoverato tra i reati di bancarotta semplice.
L’articolo 856 puniva, in generale, il “Commerciante”; questa figura veniva definita
dall’articolo 8 del medesimo codice che recitava “sono commercianti coloro che esercitano
atti di commercio per professione abituale e le società commerciali”, vietando a molti
soggetti l’esercizio del commercio13. Il commerciante veniva punito per la cessazione dei
pagamenti, indicandosi come tale uno stato di cessazione già dichiarato dalla sentenza di
11
Da CUZZERI E., Codice del commercio, BOLAFFIO L., VIVANTE C. (commento diretto da), Torino
UTET, 1911, p. 689;
12
Poiché, appunto, il Capo I si intitola “della bancarotta”.
13
Cioè ai minori, agli interdetti, alle donne maritate, poiché tutti questi soggetti appartenevano alla categoria
degli incapaci. Si escludevano anche i procuratori e i notai e i condannati per bancarotta fraudolenta, in quanto
appartenenti alla categoria degli incompatibili.
11
fallimento, e quindi non certo uno stato di cessazione di mero fatto, poiché, per determinare la
rilevanza dello stato di cessazione, andava accertata, previamente, la responsabilità penale del
commerciante.
In modo particolare, il numero 3 dell’articolo considerato puniva il soggetto che, in stato di
cessazione dei pagamenti, realizzasse delle operazioni che si risolvevano nel cagionamento di
un danno nei confronti dei creditori; il danno poteva non essere stato cagionato dolosamente,
bensì semplicemente a causa della volontà di risollevare le sorti della propria impresa, volontà
accompagnata dall’illusione di poter risanare le proprie finanze e di poter restituire, in seguito,
il prestito. La dottrina, quindi, individuava nel reato in esame due elementi specifici: morale e
materiale. L’elemento morale specifico era rappresentato dalla volontà di ritardare il
fallimento; questo elemento poteva essere riconosciuto dal giudice grazie alla valutazione
delle modalità di impiego dei fondi acquisiti dal commerciante (che, appunto, dovevano
essere utilizzati allo scopo di posticipare il fallimento). Distrarre o consumare i fondi acquisiti
determinava, invece, l’imputazione per bancarotta fraudolenta.
L’elemento materiale consisteva in una delle condotte descritte dall’articolo stesso, cioè , ad
esempio nell’attività di acquisto, effettuata intenzionalmente, e seguita dalla condotta di
rivendita della merce acquistata al disotto del valore corrente; questo, infatti, rappresentava un
“mezzo rovinoso di far danaro”14 e diventava reato quando, appunto, la condotta fosse stata
realizzata allo scopo di ritardare il fallimento.
Le disposizioni dell’articolo 856 sono state notevolmente modificate nel 1942, quando il
legislatore si è trovato a dover disciplinare nuovamente la figura di reato consistente nel
ricorso al credito di tipo “abusivo”. Il legislatore ha, quindi, preferito distinguere l’ipotesi di
ricorso abusivo al credito rispetto alla bancarotta e alle altre figure di reato ad esso
“somiglianti”, rendendolo autonomo anche sotto il profilo “grafico” e letterale all’interno
della legge; infatti, nella Relazione ministeriale che accompagna la Legge Fallimentare, in
modo particolare al numero 53, si indica, volendo sottolineare le peculiarità della figura
criminosa, che il reato previsto nelle nuove disposizioni, all’articolo 218, è “manifestamente
caratterizzato non da semplice colpa ma da dolo di pericolo, esso richiama per alcuni aspetti
l’insolvenza fraudolenta e per altri la truffa”. Questo fa comprendere le differenti
connotazioni che il legislatore ha voluto conferire alla nuova fattispecie.
Nonostante la derivazione abbastanza palese del ricorso abusivo al credito dal vecchio Codice
di commercio, alcuni esponenti della dottrina 15 escludevano, e tutt’ora escludono, la
riconducibilità dell’articolo 218 alla vecchia normativa; infatti, si afferma in modo categorico,
14
Da CUZZERI E., Commentario..., cit.,., p. 700;
15
Supra, nota 7.
12
che “la disposizione di cui all’art. 218 non ha riscontro nel diritto fallimentare anteriore” 16,
escludendo, in modo esplicito, ogni tipo di riferibilità al vecchio articolo 856. Si indica che
“fra tale disposizione e l’attuale art. 218 non vi è che una parziale coincidenza di parole, ché
la diversità, sostanziale e formale, non potrebbe essere più completa”. Vengono quindi poste
delle argomentazioni a sostegno di tale tesi; innanzitutto, si fa riferimento all’elemento
soggettivo, poiché il vecchio reato era punito a titolo di colpa, mentre quello attuale è punito a
titolo di dolo; inoltre, si indica che l’articolo 218 non richiede, per l’integrazione della
fattispecie, lo scopo di ritardare il fallimento17, elemento, invece, esplicitamente previsto dal
Codice di commercio; un’altra differenza consisterebbe nella individuazione dei soggetti
attivi del reato, in quanto nel 1882 il reato venne costruito come addebitabile al commerciante
dissestato, dichiarato fallito18, mentre oggi, per alcuni autori, non è necessaria la dichiarazione
di fallimento per poter punire un imprenditore per il reato di ricorso abusivo al credito19
(salvo che nelle ipotesi nelle quali tale dichiarazione è espressamente prevista); infine, si
sottolinea un’ulteriore differenza, consistente nel non aver più previsto, nelle norme del 1942,
il riferimento ai “presiti e girate di effetti”.
Di contro, gli autori favorevoli alla riconduzione dell’articolo 218 al vecchio 85620
sostengono che, seppure con delle modifiche notevoli, l’articolo attuale deriva dalle
disposizioni della norma del Codice di commercio; la nuova ipotesi criminosa sarebbe stata,
nel 1942, distinta da quella di bancarotta per sottolinearne le particolarità21 e per rendere più
ampia la applicabilità della norma, resa più generale (avendo, il legislatore, eliminato, le
indicazioni precedentemente presenti, riferite alle singole condotte realizzabili per
determinare l’integrazione della fattispecie)22. Inoltre, il fatto che il legislatore abbia indicato
nelle disposizioni dell’attuale articolo 217 gran parte del contenuto del vecchio articolo 856,
lasciando da parte la sola condotta del “ricorso a prestiti” e trasfondendola nell’articolo 218,
dimostrerebbe che nel comporre la Legge Fallimentare si siano volute, semplicemente,
distinguere le due differenti ipotesi di reato già esistenti in precedenza ma assemblate un
un’unica norma 23.
16
PROVINCIALI R., Ricorso abusivo al credito, cit., p. 183;
17
Su questo punto è d’accordo anche DE SEMO G. , Sul reato..., cit., c. 86;
18
Infatti, se la dichiarazione di fallimento non ci fosse stata o se lo scopo animatore del fatto fosse stato diverso,
sarebbe venuto meno il reato; cfr. Corte d’Appello di Roma, 8 febbraio 1906, in Giust. Pen., 1906, 1171;
19
Cfr. CAP. 2, § 1, lett b., ii.
20
Cfr. supra, nota numero 6.
21
Ad esempio il fatto che il ricorso abusivo al credito sia perseguibile a titolo di dolo e non anche di colpa,
differentemente dalla bancarotta;
22
CONTI L.,Il diritto penale dell’impresa., cit., pp. 573, 577;
23
DE SEMO G. , Sul reato..., cit., c. 86;
13
Concludendo, si può dire, quindi che all’interno della dottrina non si è riusciti a raggiungere
un accordo sul punto, in quanto le differenti fazioni rimangono statiche sulle rispettive
posizioni; tuttavia un elemento è palese: dalla formulazione della norma dell’articolo 218, il
ricorso abusivo al credito ha assunto dei propri autonomi connotati che lo hanno caratterizzato
fino alle recenti riforme della Legge Fallimentare.
4. Evoluzione della figura del ricorso abusivo al credito alla luce delle nuove
disposizioni della Legge Fallimentare.
Come accennato al § 1, negli ultimi due anni molte disposizioni della Legge Fallimentare
sono state modificate, coinvolgendo anche la fattispecie del ricorso abusivo al credito e norme
“collaterali” e collegate ad essa.
In modo particolare, partendo proprio dalla specifica disposizione dell’articolo 218, si
possono confrontare i due testi, pre- e post- riforma.
Il testo precedente era il seguente:
“Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione fino a due anni
l'imprenditore esercente un'attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere al credito,
dissimulando il proprio dissesto.
Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la
condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad
esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni.”
La fattispecie, quindi, nella sua formulazione “base” puniva per il reato di ricorso abusivo al
credito, l’imprenditore esercente attività commerciale, senza ulteriori specificazioni. Inoltre, il
livello di pena era particolarmente poco elevato, poiché si prevedeva la “reclusione fino a due
anni”, rendendo il reato, in confronto alle ipotesi, ad esempio, di bancarotta (che veniva, già
in origine, punita con pene più gravi24), molto meno grave.
Inoltre, l’ipotesi originaria di ricorso abusivo al credito determinava la punibilità nel caso di
dissimulazione dello stato di dissesto, escludendo, almeno dal dato letterale, lo stato di
24
La bancarotta fraudolenta, ex articolo 216, con la reclusione da 3 a 10 anni;
La bancarotta semplice con un limite edittale minimo più elevato rispetto a quello del ricorso abusivo al credito;
infatti, l’articolo 217 prevedeva, già originariamente la pena della reclusione da sei mesi a due anni.