3
INTRODUZIONE
Quanto è importante il riconoscimento del volto umano nel corso delle indagini?
Quanto può essere affidabile la memoria di un testimone oculare? Che strumenti
offre la tecnologia per dare certezza nell’individuazione di un possibile autore di
reato?
A questi ed altri fondamentali quesiti si tenterà di dare una risposta con questo
elaborato, il cui oggetto comprende le diverse modalità attraverso cui il
riconoscimento del volto influenza la fase investigativa e procedimentale all’interno
del nostro ordinamento.
Nel contesto di una continua evoluzione due strumenti si sono distinti per la loro
rilevanza investigativa: l'identikit tradizionale e il riconoscimento facciale
automatizzato.
Questi strumenti, sebbene differenti sotto il punto di vista metodologico,
condividono l'obiettivo comune di identificare possibili autori di reati.
L'identikit, nato in un periodo antecedente alla digitalizzazione, si basa sulla
capacità umana di ricordare e descrivere le caratteristiche facciali di un individuo.
Questo metodo ha svolto un ruolo cruciale nell'aiutare le forze dell'ordine a
identificare sospetti in numerosi casi. Le testimonianze oculari venivano trasformate
in compositi facciali, spesso diventando il punto di partenza delle indagini.
D'altra parte, il riconoscimento facciale è una tecnologia emergente che utilizza
algoritmi avanzati per analizzare e confrontare volti in base a immagini fotografiche
o fotogrammi estratti da videocamere di sorveglianza. Questa tecnologia offre
vantaggi in termini di velocità ed efficienza, ma solleva al contempo importanti
questioni etiche e legali in particolare legate alla privacy, soprattutto in un’epoca in
cui la tutela dei dati personali è al centro del dibattito pubblico.
Questo testo si propone di gettare luce sulle sfide e le opportunità legate all'uso
dell'identikit e del riconoscimento facciale nel contesto investigativo, con particolare
attenzione anche al riconoscimento dal punto di vista codicistico con i due istituti di
ricognizione di persona e individuazione di persona.
In particolare, nel Capitolo I verrà trattato l’argomento sotto il punto di vista
giuridico, con particolare riferimento ai principali istituti di riconoscimento presenti
4
nel nostro ordinamento: la ricognizione di persona e l’individuazione di persona,
valutando le relative applicazioni nella pratica investigativa; ci si soffermerà inoltre
sul rapporto tra i due istituti e sull’utilizzabilità delle relative forme atipiche.
Il Capitolo II si concentrerà sulle diverse forme di riconoscimento del volto
utilizzate in campo investigativo: l’identikit e i software di riconoscimento facciale
con le relative implicazioni giuridiche.
Infine, il Capitolo III metterà in luce un aspetto cruciale del processo
investigativo, ovvero il contributo dei testimoni e delle vittime, in particolare verrà
svolta un'analisi della memoria, dei bias e dell'interazione tra l'operatore di polizia e
il testimone/vittima.
Un contributo di merito è dato, all’interno del presente lavoro, dalla
collaborazione speciale di Giovanni Battista Rossi, ispettore capo della polizia
scientifica per trent’anni, disegnatore dell’identikit della nota banda della Uno
Bianca su cui ci si soffermerà nel Capitolo III, anche per analizzare il rapporto di
empatia e fiducia che si crea tra disegnatore e testimone/vittima.
In conclusione, ci si chiederà se l’evoluzione tecnologica sia davvero in grado di
sostituire il lavoro del disegnatore. Può una macchina cogliere ciò che coglie l’uomo
durante il racconto del testimone/vittima?
«I computer sono veloci ma non hanno ancora l’abilità psicologica di penetrare
nella testa di un testimone per far emergere non tanto il volto bensì l’espressione
assunta dal reo nell’acme del reato commesso. Un identikit è la traduzione
figurativa di un’impressione visiva spesso fugace, di una frustrazione intima, di un
logorio emozionale, di un coacervo di parole spesso confuse e contraddittorie».
Giovanni Battista Rossi
5
CAPITOLO I
IL RICONOSCIMENTO DEL VOLTO COME MEZZO DI
PROVA
Sommario: 1. Le prove atipiche. – 1.1 I mezzi atipici di ricerca della prova. – 1.2.
Criteri di ammissibilità della prova atipica. 1.2.1. – Idoneità ad assicurare
l’accertamento dei fatti. 1.2.2. – Rispetto della libertà morale della persona. 1.2.3. –
Obbligo di sentire le parti sulle modalità di assunzione. 2. La ricognizione di
persone. Atti preliminari. – 2.1. Svolgimento della ricognizione. – 2.2. Ricognizioni
atipiche. – 2.2.1. Il riconoscimento informale in udienza. – 2.2.2. Il riconoscimento
fotografico. – 3. Identificazione e individuazione di persona: differenze tra le attività
del pubblico ministero e della polizia giudiziaria. – 4. Il controverso rapporto tra
ricognizione e individuazione.
Nel complesso panorama dei mezzi di prova, emergono sempre più
frequentemente le cosiddette "prove atipiche", che si distinguono dagli strumenti
tradizionali di acquisizione delle prove per il loro carattere non convenzionale,
sollevando interrogativi cruciali in merito alla loro validità e utilizzabilità nel
contesto giudiziario. In questo capitolo mi concentrerò sulle interpretazioni che nel
corso del tempo sono state date in merito al loro utilizzo e ai criteri di ammissibilità
che tutt’ora vengono considerati.
Nell’ambito del riconoscimento del volto, argomento centrale di questa tesi, ha
fondamentale importanza, soprattutto nello svolgimento del processo, la
"ricognizione di persona" che rappresenta il mezzo di prova attraverso cui si procede
all’identificazione di possibili autori di reato.
Questa pratica, come si vedrà, può essere anche affrontata attraverso modalità
"atipiche" quali il "riconoscimento informale in udienza" o il "riconoscimento
fotografico", sollevando nuovamente interrogativi sulla loro validità e affidabilità.
Un ulteriore elemento su cui mi soffermerò riguarda la distinzione tra le attività
svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria nell'identificazione e
nell’individuazione delle persone.
6
Questi due attori del sistema giudiziario, nell’acquisizione di prove sull’identità
di un individuo coinvolto in un procedimento penale, hanno generalmente approcci e
obiettivi diversi di cui darò conto nel corso della trattazione.
Mi occuperò, poi, dell’identikit, un interessante istituto la cui disciplina si
intreccia con quella delle prove atipiche e della ricognizione di persone.
L'identikit è, infatti, uno strumento di individuazione utilizzato dalla polizia
giudiziaria per cercare di raffigurare un sospettato in base alle descrizioni fornite da
testimoni oculari o vittime di un reato.
Questo strumento, pur non essendo tradizionalmente considerato come una
prova tipica, può essere collegato alle "prove atipiche" in quanto nella sua essenza,
l'identikit rappresenta una modalità non convenzionale di acquisizione di
informazioni utili all'individuazione di una persona.
In alcuni casi, per esempio, l'identikit può essere utilizzato come una forma di
"ricognizione atipica" in cui un testimone fornisce dettagli sulla fisionomia del
sospettato invece di identificarlo direttamente.
La differenza tra le attività svolte dal pubblico ministero e dalla polizia
giudiziaria nell'uso dell'identikit può riflettere inoltre il ruolo diverso che questi due
attori rivestono all'interno del sistema giudiziario. Mentre il pubblico ministero può
utilizzare l'identikit come fonte di informazioni per indirizzare l'indagine, la polizia
giudiziaria è responsabile della sua creazione e dell'acquisizione delle testimonianze
utili per redigerlo.
In conclusione, l'identikit si inserisce in modo peculiare nella discussione sulle
prove atipiche e la ricognizione di persone, offrendo un approccio alternativo per
l'individuazione di soggetti coinvolti in procedimenti legali.
1. Le prove atipiche
Il legislatore del 1988, condividendo apertamente il principio di non
tassatività dei mezzi di prova, ha messo fine al lungo dibattito dottrinale che
si era sviluppato nel periodo di vigenza del codice Rocco.
1
1
Sul tema M. Nobili, “Il principio del libero convincimento del giudice”, Milano, Giuffrè, 1974, p.
38.
7
L’art.189 c.p.p. recita: «Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla
legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento
dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice provvede
all’ammissione sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.»
2
Prova non disciplinata dalla legge quindi, così si potrebbe inquadrare la
categoria della prova atipica, tuttavia, allo stesso tempo, definire la prova atipica
come “prova non disciplinata dalla legge” appare approssimativo.
Un’analisi più accurata rivela la natura versatile del termine in questione: da un
lato si riferisce all’utilizzo di uno strumento probatorio non previsto dalla legge, la
cosiddetta prova “innominata”; dall’altro lato può indicare deviazioni da uno schema
probatorio già esistente, riguardando quindi non il mezzo di prova in sé ma il suo
meccanismo di assunzione.
3
Nel primo caso, si fa riferimento alla fonte di convincimento utilizzata dal
giudice, cioè il mezzo di conoscenza di un fatto non previsto dalla legge.
In secondo luogo, è possibile trovarsi dinnanzi alla cosiddetta prova “irrituale”,
ossia ottenuta in modo difforme da quello stabilito dalla legge.
Secondo parte della dottrina, la prova irrituale è individuata come quella che,
pur non essendo prevista dalla legge, ha l’obiettivo di ottenere risultati probatori
tipici, conformi alle norme giuridiche.
4
Alcuni rappresentanti della dottrina hanno citato, come esempio di prova
irrituale, il caso di una ricognizione condotta utilizzando un cane addestrato al posto
di una persona oppure l'esempio dell'esame del teste condotto a distanza, tenendo
presente che normalmente la testimonianza richiede la presenza fisica del teste in
aula. In questo caso, invece, si tratterebbe di una modalità atipica di svolgimento
della prova.
Si suggerisce che, nel caso in cui non siano presenti le condizioni previste
dall'articolo 147-bis disp. att. c.p.p., che riguarda le modalità di esame a distanza dei
testimoni, si debba applicare l’art. 189 c.p.p.
5
2
Codice di procedura penale, Libro III Titolo I.
3
Cfr. G. Ricci, “Le prove atipiche”, Milano, Giuffrè, 1999, p.41.
4
Cfr. M. Nobili, “Il nuovo “diritto delle prove” ed un rinnovato concetto di prova”, in Leg. Pen.,
1989, p. 395.
5
P. Tonini, “Il diritto delle prove penali”, Milano, Giuffrè, 2014.